A Felice Dupanloup *
IL TESTO C’E, MA LE TESTE?
Caro Vescovo e
Accademico di Francia,
"Carbone
acceso, sul quale soffia ora la natura, ora la grazia". Cosi vi hanno
definito. Io trovo, invece, che in Voi “soffiò” molto più la grazia che la
natura.
Anche quando
combatteste sui giornali o all’Assemblea nazionale francese o al Senato o al
Concilio Vaticano I le vostre grandi battaglie, vi guidò e animò sempre un
profondo senso religioso, un cuore entusiasta sì, ma retto e leale.
Dirigeste un
Seminario; e perfino Renan, vostro ex alunno, vi dichiarò "educatore
ineguagliabile".
Ci fu una
campagna per la scuola libera; e Lacordaire, Montalembert e Falloux Vi ebbero
al loro fianco nella lotta e nella vittoria.
Uscì il Sillabo di Pio IX, suscitando reazioni
penose e vaste; e Voi ne faceste un commento così moderato e giudizioso da
placare in parte la tempesta, riscuotendo il plauso di ben seicento vescovi e
l’approvazione dello stesso Pio IX.
Talleyrand, quel
grosso peccatore e apostata, era ritenuto irrecuperabile da tutti; Dio lo
recuperò, ma si servì di Voi, del vostro tatto, della vostra comprensione e
pazienza.
Insomma, grande
vescovo, grande letterato, mattatore in tutti i movimenti di idee e opinioni
del vostro secolo.
Per me però
l’aspetto più interessante della vostra persona e della vostra opera è la
passione per il catechismo.
Avete cominciato a
istruire i piccoli ancora chierico a san Sulpizio; avete continuato giovanissimo
prete all’Assunta e alla Maddalena; tutta Parigi accorreva ad ascoltarvi.
Anche da vescovo, il catechismo fu in cima ai vostri pensieri, invase la
maggior parte dei vostri libri. Avete scritto nel vostro diario: "Appena assegnatami la classe dei piccoli,
presi subito fuoco: da allora, ciò che non è catechismo, azione pura della
grazia sulle anime, è niente ai miei occhi; il piccolo letterato, ch’era in me,
cedette il posto e si pose a! completo servizio del catechista".
Scriveste ancora: "Il più bello dei ministeri è il ministero pastorale. Ma
il catechismo è più bello ancora. E’ il bell’ideale del cuore di Dio. Niente
gli si può paragonare. E’ il ministero più puro, il più disinteressato, il più
distaccato da pretese".
.*
* *
M’è venuto di
pensare a Voi e a queste vostre appassionate convinzioni, perché ho sottocchio
il testo del "Catechismo dei fanciulli" che sarà sperimentato in
Italia dal prossimo ottobre in poi. Buon testo, mi pare. Ma che vale il testo, se poi non ci sono le teste e i cuori dei catechisti?
A me, pretino,
dicevano: "Il testo è appena un sussidio, uno stimolo, non una comoda
poltrona, in cui il catechista si adagia per riposarsi". "Il testo,
per quanto ben fatto, resta cosa morta: tocca al catechista renderla
viva". "Tanto vale la lezione quanto la preparazione! ".
"Ai piccoli non si insegna tanto quello che si sa, quanto quello che si è:
poco giovano le belle parole uscite
dalla bocca del catechista, se altre parole escono dalla sua condotta a
smentirle".
Mi si raccontava di
Pietro Ribadeneira, un ragazzo tempesta, un "Giamburrasca" ante litteram, che sant’Ignazio aveva
condotto con sé a Roma dal
"Cosa dici! I
miei gesuiti fanno il segno di croce come si deve!".
Il ragazzo non replica, ma ne pensa una.
I gesuiti al mattino si alzavano per tempissimo,
e andavano in cappella attraverso i corridoi bui in veste nera e cotta bianca.
Pietro riempie la pila dell’acqua santa con inchiostro nero. I gesuiti,
passando, intingono le dita, si segnano, vanno ai banchi per la meditazione,
finita la quale, depongono le cotte in sacrestia. Pierino, svelto, fa un bottino
di tutte quelle cotte, le porta a sant’Ignazio: "Venga, Padre, e
verifichi i segni di croce dei suoi can gesuiti!" Ahimè! le macchie
d’inchiostro dicono chiaro che anche i gesuiti talvolta fanno il segno di croce
“come Dio vuole”, o meglio come Dio non vorrebbe!
E qui, davanti alla
mia fantasia, passa la schiera dei catechisti laici.
I genitori anzitutto. Essi sono "i primi
predicatori della parola", ha detto il Concilio. Per le immagini sacre,
che sono in casa, per la preghiera che vi si fa, per i discorsi che vi si
tengono, per il rispetto mostrato verso i sacerdoti e le cose sacre, i figli
possono trovarsi immersi in un caldo e naturale ambiente di religiosità. Ma si
deve far qualcosa di più.
Windhorst, uomo di
stato tedesco, richiesto da una signora di come dovesse posare davanti a!
fotografo, rispose: "Col catechismo in mano, signora, in atto
d’insegnarlo ai vostri figli!".
In realtà, il primo libro di religione, che
i figli leggono, sono i genitori stessi. Buona cosa, se il papà dice al
ragazzo: "C’è in chiesa un frate confessore: non credi che potresti
approfittarne?". Cosa migliore se dice: "Vado in chiesa a confessarmi;
vuoi venire anche tu?".
***
Qui però trovo oggi
degli obiettori: genitori che si dicono cristiani, e che rimandano perfino il
Battesimo dei loro bambini. "Nessuna pressione su mio figlio! A vent’anni
sceglierà! ".
Voi, collega
Dupanloup, avete già risposto a questa obiezione come segue: A vent’anni! L’età
di tutte le passioni! L’età nella quale soprattutto suo figlio avrebbe bisogno
di una fede penetrata fin nell’intimo del suo essere per averne aiuto! E come
farà questo ragazzo ventenne a scegliere fra le tante religioni esistenti, se
prima non le ha studiate tutte? E come studiarle tutte, preso com’è dalla scuola,
dallo sport, dai divertimenti, dalle amicizie? Uno, per diventare l’erede di un
ricchissimo patrimonio, basta che sia nato. Ereditare ricchezze, infatti, è
una fortuna e si pensa, si interpreta che, anche se per ora è inconscio, il
bambino sarà, a suo tempo, arcicontento e ultraconsenziente per la for-tuna
toccatagli. Se un papà è cristiano sul serio, deve pensare che divenire col
Battesimo figlio di Dio e fratello di Cristo, è una fortuna immensa; perché
dovrebbe privarne suo figlio?
"Sì - riprese l’obiettore
- ma a questa fortuna sono legati impegni morali pesanti!
Questi non devono essere accollati a mio figlio senza il suo permesso!".
Voi, Dupanloup,
avete risposto anche a questo: Quante cose si impongono ai figli senza il loro
permesso! Senza chiedere permesso, intanto, il avete messi al mondo! Il nome,
la famiglia, l’ambiente e la situazione sociale, i vestiti, la scuola dei primi
anni, tutto avviene senza chiedere permesso agli interessati. Ma è poi una
disgrazia che il figlio abbia le buone leggi cristiane da osservare? Dio ha
forse dato agli uomini le sue leggi per un capriccio trionfalistico o in vista
di un proprio vantaggio? Non diventa moralmente grande e felice l’uomo, se
accetta di avere dei doveri e dei limiti? La libertà? Si, d’accordo, ma essa
non consiste nel fare tutto quello che pare e piace, bensì nel poter fare ciò
che si deve fare!
***
Dopo i genitori,
sono catechisti i maestri delle elementari. Voi avete scritto cose finissime
sui vostri primi maestri.
A mia volta, io
penso con tenerezza ai miei e condivido le parole di Otto Ernst: "Per me
non c’è niente di pili grande di un maestro elementare".
Mi rivedo fanciullo
sui banchi della mia scuola di Canale coi sentimenti degli scolari, di cui
parla Goldsmith in “Villaggio
abbandonato”: stupiti, a bocca aperta, davanti al
maestro e tutti a chiedersi come mai da una testa cosi piccola potessero venir
fuori cose così grandi e meravigliose!
Intendiamoci: non
sono cosi ingenuo da mitizzare fanciulli e maestri. C’è anche il rovescio della medaglia, lo so. Innocenti come angeli, i
fanciulli; ma spesso orgogliosi come prìncipi, arditi come eroi, sfrenati come
puledri, testardi come asinelli, volubili come i fiori del girasole, con una
gola lunga come il collo delle gru; sempre però di una età preziosa, confidente
e plasmabile.
Quanto ai maestri,
ce n’è che sanno prendere gli alunni dal loro verso e cioè dal bisogno di avere
un capo, che si imponga con la bravura e la simpatia; ce n’è che sono domati e
dominati, invece che domatori e dominatori.
E
"domata" sembra la maestra di prima, ricordata dal nostro Mosca.
Passando nei corridoi, egli scrive, si sentiva la sua voce: - I cavalli hanno
quindici gambe? - No, si sentivano rispondere in coro gli
scolaretti. - Ne hanno forse dodici? - Nemmeno. E, calando
sempre il numero delle gambe, arrivava, finalmente al numero vero.
- Ne hanno quattro? - No, rispondevano
con entusiasmo gli scolari! Povera maestra!
Il citato Mosca, invece, era di un’altra pasta. Come arrivò a
"conquistare" la terribile “Quinta C”? Semplice: acquistandosi la
simpatia dei suoi quaranta ragazzi. Ma come si conquistò la simpatia? Ce lo
dice:
"Un moscone fu
la mia salvezza". Un moscone, che, entrato in classe, col suo ronzio
attirò l’attenzione di tutta la scolaresca. Un altro maestro avrebbe forse
detto: "Attenzione a me e non al moscone! ". Mosca invece dice a
uno: "Ti sentiresti capace, con un colpo di fionda, di abbattere quel
moscone?". "E’ il mio mestiere", fa il ragazzo,
che esce subito dal banco colla fonda in mano, prende di mira il moscone e
tira, ma sbaglia il bersaglio. "A me la fonda!",
dice
Mosca e, a sua volta, prende di mira il moscone, tira e lo fa cadere morto ai
suoi piedi. Colpo superlativo di bravura, che gli assicura l’immediata
ammirazione dei ragazzi prima in atteggiamento di minaccia e sfida.
"Se lei avesse
almeno i baffi!", gli aveva detto il direttore, diffidente
per l’età troppo giovanile del maestro. Più dei baffi però contano, si vede,
altre doti! E’ incalcolabile il bene che, insegnando religione, possono fare ai
fanciulli, con il loro ascendente, i maestri.
Ad un patto: che
essi espongano con fedeltà l’autentica parola di Dio e non le proprie personali
opinioni. A volte succede: si scambia la verità coi progressismo; si disprezza
ciò che il Magistero del
I maestri
raccontano ai loro alunni la fiaba di Aladino e della sua lampada meravigliosa
sottratta al mago. Questi, a un certo punto, vuole la rivincita. Passa per le
strade gridando: "Baratto lampade nuove con lampade vecchie!".
Pare
un ottimo affare, ed invece è una truffa. La moglie credulona di Aladino ci
casca. Assente il marito, va in soffitta, prende la lampada, di cui non conosce
la virtù portentosa, la consegna al mago. Il briffaldo se la porta via,
lasciandole in cambio tutte le sue lucerne di latta luccicante, ma di nessun
valore.
Il trucco si
ripete: ogni tanto passa un mago, mistico, filosofo o politico che sia, e’
offre di barattare mercanzia. Attenzione! Le idee offerte da certi
"maghi", anche se luccicano, sono latta, cosa umana, di un giorno!
Quelle che essi chiamano idee vecchie e sorpassate, sono spesso idee di Dio,
delle quali è scritto che non passerà neppure una virgola!
Ahimè, caro
Dupanloup, io Vi ho quasi dimenticato, scrivendo di catechisti e maestri.
Ma proprio a questi
catechisti e maestri, Voi avete qualcosa da dire. E cioè: unire, come avete
fatto Voi, la fedeltà a Dio con la
fiducia nei veri valori della civiltà moderna e nella perpetua giovinezza
della Chiesa.
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FELICE DUPANLOUP, vescovo d’Orléans, nato a St. Felix (nella Savoia) nel
1802, e morto a Lacombe nel 1878. Si distinse per lo zelo intelligente ed
infaticabile nella formazione del clero, nell’educazione della gioventù e
nell’insegnamento del catechismo. Autore di opere pedagogiche, si battè per la
libertà dell’insegnamento e partecipò alla vita politica francese.
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Albino Luciani
Illustrissimi
Edizioni Messaggero - Padova
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