Ad Alvise Cornaro *
SEMO VECI, SEMO IN TOCHI?
Caro veneziano
ultranovantenne,
perché vi scrivo?
Perché siete stato un simpatico veneziano di quattrocento anni fa. Perché,
attraverso un libretto - lettissimo per la sua deliziosa ingenuità
- avete fatto propaganda alla vita sobria. E, soprattutto,
perché siete stato un modello di sereno vecchietto.
Fino a quarant’anni
avevate sofferto di stomaco
"freddissimo e umidissimo", di "dolore di fianco", di
"principio di gotta" e di cent’altri mali. Un bel giorno buttaste via
tutte le medicine. Avevate scoperto che "chi vuol mangiare assai, bisogna
che mangi poco" e vi deste alla sobrietà.
Riacquistata
la salute, poteste così dedicarvi allo studio, alla "santa
agricoltura", all’idraulica, alla bonifica, al mecenatismo,
all’architettura, sempre pieno di buon umore e con buona cera, scrivendo, tra
gli ottanta e i novant’anni, i vostri "Discorsi intorno alla vita
sobria", adatti a infondere coraggio e a persuadere che anche per noi
anziani la vita può essere serena e utilmente impiegata.
Ai vostri tempi non
molti potevano arrivare alla vecchiaia. Si conoscevano poche norme igieniche;
non c’erano gli agi e le comodità odierne; non erano pressoché debellate, come
sono oggi, certe malattie; non esisteva la chirurgia dai mezzi potenti e dai
risultati prodigiosi, che abbiamo noi; la
gente non arrivava alla media di settant’anni di vita, come invece arriva oggi
in alcuni Stati.
Oggi noi vecchi
stiamo avanzando in numero su tutta la linea.
In Italia, noi dai
sessanta anni in su, siamo quasi la quinta parte dell’intera popolazione. Ci
chiamano quelli della "terza età". Col solo contarci dovremmo farci
coraggio.
Invece? Invece ci
lasciamo talvolta prendere da sgomento. Ci pare di essere lasciati in disparte
come rotelle ormai usate, come ciclisti ormai abbandonati dal gruppo. Se
andiamo in pensione, se i figli, sposandosi, sono andati ad abitare altrove,
sentiamo il vuoto affettivo sotto i piedi e non sappiamo dove aggrapparci.
Quando vengono avanti gli acciacchi e i segni del decadimento fisico, facciamo
loro il viso dell’arme. Invece di pensare soprattutto alle cose liete, che Dio
ancora ci concede, cediamo alla malinconia del detto veneziano, che voi mai
avete voluto fatto vostro: "Semo
veci, semo in tochi... questo xe de mal! ".
Il fenomeno si
aggrava se, più in su dei sessanta, ci tocca abbandonare la casa, che era
stata la nostra, con la quale ormai ci identificavamo, per diventare gli ospiti
di una "Casa di riposo". Molti vi Si adattano e vi si trovano bene; qualcuno invece si sente come un
pesce fuor d’acqua. "Non mi lasciano mancar niente mi diceva uno - potrebb’essere
l’anticamera del Paradiso, ma per me è un Purgatorio anticipato! ".
*
* *
I problemi degli
anziani sono oggi più complicati
che ai vostri tempi e, forse, più profondamente umani, ma il rimedio principe,
caro Cornaro, resta ancora il vostro: reagire ad ogni pessimismo o egoismo.
"Mi restano forse intere decine d’anni di vita: le utilizzerò per guadagnare
il tempo perduto, per aiutare gli altri; voglio fare della vita che mi resta
una gran fiammata d’amore per Dio e per il prossimo.
Le forze sono
poche? Posso almeno pregare. Sono cristiano, credo all’efficacia delle orazioni
che le monache claustrali innalzano a Dio nei loro conventi, credo anche con
Donoso Cortes che il mondo ha più bisogno di preghiere che di battaglie.
Ebbene, anche noi anziani. offrendo a Dio le nostre pene e sforzandoci di
sopportarle serenamente, possiamo avere una grande incidenza sui problemi degli
uomini che lottano nel mondo".
Questo è un
discorso. Se poi ci rimangono ancora energie e disponibilità di tempo, se ne
può fare anche un altro. E cioè: perché non metterci a disposizione delle opere
buone? In certe parrocchie delle maestre in pensione e degli impiegati anziani
costituiscono un aiuto preziosissimo.
Ma in Francia, per
non lasciarsi tagliare fuori dalla vita, gli anziani si sono addirittura
organizzati. "Dappertutto - si sono detti - sorgono gruppi
spontanei di giovani. Facciamo i gruppi spontanei di noi anziani!". Ne
venne un movimento davvero considerevole, che ha un vescovo per assistente,
che promuove l’amicizia e la spiritualità degli iscritti, l’assistenza e
l’apostolato a favore di altri anziani, che strappa molti di essi
all’isolamento e alla sfiducia e fa talora esplodere energie sopite e
insospettate.
Voi non siete
stato, infatti, l’unico a scrivere libri dopo gli ottanta, caro Alvise Cornaro.
Goethe ha terminato il suo Faust a
ottantun anni. Tiziano ha dipinto il suo autoritratto dopo i novanta. Del
resto, noi siamo vecchi per quelli che vengono dopo di noi; per quelli,
invece, che invecchiano insieme a noi, siamo sempre giovani! E poi, con un
pizzico di malizia, si può dire che il computo degli anni si fa un po’ a
fisarmonica. Quando Gounod - a quarant’anni -"compose il Faust, gli
domandarono: "Con precisione che età dovrebbe avere il vostro Faust al
primo atto?". "Dio mio, rispose Gounod, l’età normale della
vecchiaia: i sessant’anni". Vent’anni dopo Gounod aveva lui i sessant’anni;
gli fecero la stessa domanda ed egli candidamente, rispose: "Mio Dio,
Faust deve avere l’età normale della vecchiaia: gli ottant’anni!".
***
A questo punto mi è
facile fare una profezia. E cioè: questa lettera scritta a Voi, ma per essere
letta da altri, non interesserà i lettori giovani, che, seccati, diranno:
"Roba per vecchi!".
Ma non diventeranno
anziani anch’essi? E se davvero esiste un’arte, una metodologia per essere
"bravi anziani", non converrà loro impararla per tempo? Da giovane
studente m’è capitato che l’insegnante di diritto
canonico, arrivato ai canoni del Codice che spiegano i doveri dei cardinali,
dei metropoliti e dei vescovi, dicesse: "Queste sono cose poco ordinarie,
le saltiamo; se qualcuno di voi per caso arriverà a quest’ufficio, se le
studierà per conto suo!". E fu così che, diventato vescovo e metropolita,
io ho dovuto cominciare da zero.
Ora, se pochi tra i
giovani teologi diventano cardinali, quasi tutti, invece, i giovani di oggi arriveranno
domani alla vecchiaia col dovere di imparar per strada l’arte e di metterla da
parte. Uno, nella primaverile età di vent’anni, è
brontolone al venti per cento? a sessant’anni è certo che brontolerà al
settanta per cento, se non si corregge. Meglio, dunque, che si raddolcisca per
tempo.
A parte questo, non
è male che i giovani sappiano che, oltre i propri, ci sono i problemi delicati
e sofferti degli altri, coi quali vivono fianco a fianco. A Timoteo, un giovane
vescovo, san Paolo raccomandava: "Non riprendere con asprezza un vecchio,
ma pregalo come si prega un padre".
E’ tuttavia vero
che, scrivendo, ho pensato soprattutto a noi anziani, che abbiamo bisogno di
comprensione e di incoraggiamento. In linea, - Caro nobiluomo
Cornaro, - con quanto scriveste Voi. Ed in linea con quanto il
direttore di un quotidiano soleva raccomandare ai suoi collaboratori.
Diceva: "Scrivete spesso qualcosa per gli anziani! Se vi imbattete in
qualche caso di longevità (per esempio, un uomo che si avvicini ai cento anni
in piena lucidità di mente e con forze ancora vegete e fresche) non vi
lasciate scappare la bella notizia; inseritela, datele spazio in cronaca
bianca! C’è un pubblico di vecchi, cui essa farà piacere e che esclamerà: Ecco
un giornale che è bene informato!".
Come sarò contento
anch’io, se si dirà: "Come è bene
informato il Messaggero di S. Antonio!".
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* ALVISE
CORNARO (1475-1566), singolarissima figura dell’ambiente
veneziano del Cinquecento, morì in tardissima età, a 91 anni, grazie a metodi
di cura da lui inventati, che descrisse in un trattato: Discorsi sulla vita sobria. Essi persuadono ancora gli anziani che
la loro vita può essere serena e utilmente impegnata. Il Cornaro fu anche buon
architetto.
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Albino Luciani
Illustrissimi
Edizioni
Messaggero - Padova
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