A san Luca Evangelista *
PROIBITO PROIBIRE
Caro san
Luca,
mi
siete sempre piaciuto, perché uomo tutto dolcezza e conciliazione.
Nel vostro Vangelo
avete sottolineato che il Cristo è infinitamente buono; che i peccatori sono
oggetto di un amore particolare da parte di Dio, che Gesù quasi ostentatamente
ha tenuto rapporti con coloro che non godevano al mondo di considerazione
alcuna.
Voi solo ci avete
dato il racconto della nascita e dell’infanzia di Cristo, che a Natale sentiamo
sempre leggere con rinnovata commozione. Una piccola vostra frase soprattutto
trattiene la mia attenzione: "Avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia".
E’ Ia frase che ha dato origine a tutti i presepi del mondo e a migliaia di
stupendi quadri. Alla frase ho accostato una strofa del Breviario:
"Ha
accettato di giacere sul fieno
non
ha avuto paura della greppia
con
poco latte s’è nutrito
Lui,
che sfama fin l’ultimo degli uccellini".
Fatto questo, mi
sono chiesto: "Cristo ha preso quel posto umilissimo. Noi, che posto
prendiamo?". Lasciatemi adesso dire le risposte che ho trovato per questa
domanda.
Davanti a Dio, il
nostro posto è quello d’Abramo, che diceva: "Oserò io parlare al mio
Signore, io che sono polvere e cenere?". Oppure quello del pubblicano,
che, sulla soglia del tempio, lontano dall’altare neppure osava alzare gli
occhi al cielo, pensando ai tanti peccati commessi.
Davanti a un Dio
infinito e onnipotente dobbiamo accettare di essere piccolissimi, reprimendo
in noi ogni tendenza contraria alla giusta sottomissione. Succede, infatti,
che Dio vuole essere imitato da noi in alcune cose, mentre in altre vuol essere
unico, inimitabile. Dice: "Imparate da me a essere miti e umili";
"siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre mio". Ma dice
anche: "Solo a Dio l’onore e la gloria"; "solo Dio è 1’Assoluto
e l’Indipendente".
Noi tentiamo di rovesciare le
posizioni: vorremmo noi autonomia, indipendenza, onori e non abbiamo voglia di
essere dipendenti, miti e pazienti. Ci facciamo forti, all’uopo, delle
"filosofie nuove" (che fra breve saranno vecchie) e della Kultura col
K maiuscolo. Il progresso poi ci ha dato alla testa: siamo molto consci di
essere andati fin sulla Luna, di avere messo in piedi la civiltà di tutti i
consumi e di tutte le comodità.
Stavamo, perô,
dimenticandoci di Colui dal quale proveniva ogni dono di ingegno e di energia,
quando dagli sceicchi orientali c’è venuto il duro e brusco richiamo: "Voi
del consumismo e dell’opulenza - ci hanno detto -,
è
finita la cuccagna; petrolio ce n’è ormai solo per una trentina d’anni; chi lo
vuole, lo paghi salato; ridimensionatevi; andate in cerca di altre fonti di
energia".
Il richiamo e i
duri momenti che ci aspettano, possono essere utili: da un lato stimolano a
nuove ricerche ed a nuove vie di progresso; dall’altro ricordano i limiti di
ogni cosa terrena e il dovere di mettere solo in alto le nostre supreme
speranze.
Ho sentito dire da
un "cristiano critico": "Basta con la religione
piccolo-borghese, che parla di paradiso e di singole anime salvate. Tutto ciò
odora di individualismo capitalista e svia l’attenzione dei poveri dai grandi
problemi sociali. Di p0-polo, di massa, di salvezza comune deve parlare chi
predica il Vangelo. Cristo, infatti, è venuto a liberare il popolo dall’esilio
della civiltà capitalista per guidarlo alla patria della nuova società, che
sta per spuntare".
Di vero, in queste
parole, c’è solo che il cristiano deve occuparsi, ed efficacemente, dei grandi
problemi sociali. Quanto più, infatti, uno è appassionato del
"cielo", tanto pili deve dare una mano a piantare la giustizia sulla
terra. Quanto al resto, capitalista o socialista, la civiltà è per ciascuno di
noi solo temporanea; ci viviamo solo di passaggio.
La vera nostra
patria, cui, condotti da Cristo, ci avviamo - insieme, ma
ciascuno con destino proprio - è il Paradiso. Chi non crede al Paradiso è
sfortunato: è "senza speranza", direbbe san Paolo, e non ha ancora
trovato il senso profondo della propria esistenza.
Davanti al prossimo,
il nostro posto è triplice, secondo che si tratta di superiori, di eguali o di
inferiori.
Ma si può parlare
di superiori in questi anni? Si può ancora dire: i figli devono amare,
rispettare e ubbidire i loro genitori, i discepoli i loro insegnanti, i
cittadini le autorità costituite?
Nel Seicento qui, a
Venezia, c’era il famoso Carnevale: in quei giorni la gente sembrava impazzire,
faceva un po’ quello che voleva e si sfogava, andando - con la complicità
della maschera - contro costumi e leggi quasi per rifarsi
dei mesi vissuti in obbedienza e morigeratezza. Ho l’impressione che stia
succedendo qualcosa di simile.
A me non fa tanto paura il sentire che ci sono in giro
per il mondo attentati, furti, rapine, sequestri e omicidi. Essi sono sempre
esistiti. Fa paura il modo nuovo, con cui molta gente guarda a questi fenomeni.
La legge, la norma è considerata una cosa da mettersi in burla o come repressione
e alienazione. Si prova un gusto matto a dir male di qualunque legge. L’unica
cosa oggi proibita - si dice è il proibire, e uno che tenti di
proibire fa figura di appartenere alla vecchia e sorpassata "società
oppressiva". Qualche magistrato nel sentenziare dà l’impressione di
aprire arbitrari "pertugi" nella siepe del Codice; molto spesso nella
stampa vengono irrise le forze, che hanno il compito di far rispettare l’ordine
pubblico.
Nello stesso
ambiente clericale, nel "buttar
giù", una dopo l’altra, leggi ecclesiastiche, si applica in modo
allegro ed inatteso il quantum potes
tantum aude del "Lauda Sion"! Si moltiplicano inchieste più o
meno scientifiche, che sembrano concludersi quasi tutte con questa antifona:
"Cara gente, tu sei infelice nella situazione attuale; se vuoi essere
felice, devi cambiare tutto e rovesciare le strutture".
Ci si mette anche
la psicologia, scienza che spiega i fatti umani. Ebbene? Gli adùlteri, i
sadici, gli omosessuali dagli "psicologi del profondo" sono praticamente quasi sempre
scusati: la colpa è dei genitori, che non hanno amato come dovevano i loro
teneri e angelici rampolli. Tutta una letteratura pare aver per parola
d’ordine: "dàgli al padre!" e rende il padre responsabile quasi di
tutto.
Un’altra
letteratura, propagandando una liberalizzazione completa da ogni legge, chiede
contraccezione senza freni, aborto a piacimento della madre, divorzio a
volontà, relazioni prematrimoniali, omosessualità, uso di stupefacenti.
E’ una mareggiata,
una specie di ciclone, che s’avanza, caro san Luca; di fronte ad essi cosa può
fare un povero vescovo? Può concedere che in passato la legge è stata spesso un
assoluto, una specie di altare sul quale veniva un po’ troppo sacrificata la
persona. Prende atto che a volte sono i genitori stessi ad allentare ogni
briglia sul collo dei figli "non voglio che mio figlio conosca il rigore
che hanno fatto subire a me!".
Ammette
che gli stessi genitori hanno talora dimenticato il monito di "non essere
troppo esigenti coi propri figli" (Col.
3, 21). Sa benissimo che l’esercizio di ogni autorità è un servizio e va
eseguito in stile di servizio. Ha presenti le parole di san Pietro: Agite
"da veri uomini liberi, che non si servono della libertà come velo della
malizia, ma sono servitori di Dio" (1 Pt. 2, 16). Queste parole escludono il
cosiddetto "potere" e reclamano un’autorità promotrice di libertà;
non vogliono un’obbedienza servile. bensi un’obbedienza adulta, attiva e
responsabile.
Ma dopo? Dopo deve
confidare in Dio, richiamando con fermezza la parola divina: "Chi teme
Dio onora il padre... Figlio mio, con parole con fatti onora tuo padre" (Sir. 3, 7. 8). "Figli, obbedite ai
vostri genitori in tutto: ciò è gradito al Signore" (Col. 3, 20). "Ognuno stia soggetto alle autorità in funzione,
perché non v’è autorità se non da Dio... sicché, chi si ribella all’autorità,
si ribella all’ordinamento divino" (Rom.
13, 1-2). "Raccomando che si facciano suppliche, preghiere... per
tutti gli uomini, per i re e per coloro che sono costituiti in autorità" (I Tim. 2, 1). "Siate obbedienti e cedevoli ai vostri superiori,
affinché, dovendo essi, come responsabili, vegliare sopra le vostre anime, lo
facciano con gioia e non gemendo" (Ebrei13,
17).
Ci sono poi i
nostri eguali. Di fronte ad essi il dovere è: essere semplici, evitare la
singolarità, la smania esagerata di distinguersi. La tendenza, a volte,
sarebbe non di fare quello che fanno gli altri, ma di fare quello che gli altri
non fanno; di contraddire alle loro affermazioni; di sdegnare ciò ch’essi
ammirano; d’ammirare ciò che essi sdegnano.
Qualcuno vuole segnalarsi
per l’eleganza, il lusso, i colori vivaci, la sfarzosità dei vestiti, qualche
altro per il linguaggio originale e ricercato. Un anello in dito, un ricciolo
che spunta di sotto il cappellino, una penna sul cappello d’alpino rende
qualcuno fiero in maniera incredibile. Cose in sé non gravi - intendiamoci -,
ma
spesso diventano mezzucci per mettersi in mostra, far meravigliare gli altri e
nascondere la propria mediocrità.
L’uomo semplice e
schietto, invece, non cerca di apparire più ricco, più colto, più pio, più
nobile, più potente di quello che è. Essere ciò che deve, parere ciò che è, vestire secondo la propria condizione,
non mettersi volutamente in mostra, non offuscare nessuno, ecco i suoi
propositi. Gesù li ha approvati e raccomandati in anticipo e Voi, caro san
Luca, ce li avete conservati: "Sedete all’ultimo posto"; "guai
a voi, che cercate i primi seggi nelle sinagoghe e i salamelecchi nelle
piazze".
Ci sono infine gli
inferiori, o meglio, quelli che sono più sfortunati di noi, perché malati o
poveri o tribolati o peccatori. Verso di essi c’è il dovere dell’efficace amore
cristiano, che deve portarsi su ciascuno e anche sul gruppo o la classe che
essi formano.
Qui noto oggi due
posizioni .sbagliate. Dice qualcuno: io amo e aiuto il povero singolo e basta:
non m’interessa la "classe" dei poveri. Dice un altro: io invece mi
batto solo per tutta la classe dei poveri, per tutti gli emarginati, per il
Terzo Mondo; curare i singoli poveri colla piccola carità non giova, anzi
ritarda la rivoluzione definitiva.
Al primo rispondo:
bisogna anche amare efficacemente i poveri che, uniti insieme e organizzati,
stanno lottando per migliorare la loro situazione. Bisogna fare come Cristo,
che ha amato tutti, ma ha privilegiato i poveri di intenso amore.
Al secondo dico: è
bene avere scelto la causa dei poveri, degli emarginati, del Terzo Mondo. Attento,
però, con la scusa dei poveri lontani ed organizzati, a non trascurare i poveri
vicini. Povera vicina è la tua mamma: perché la disobbedisci e strapazzi?
Povero vicino è il tuo professore: perché sei con lui così irrispettoso ed
impietoso? E perché hai impedito con la violenza e il picchettaggio al tuo
compagno di scuola di entrare con te in classe, col pretesto che egli ha idee
politiche opposte alle tue? Sei per la grande causa della pace. Benissimo, ma
attento che non si verifichino le parole di Geremia profeta: "Van dicendo:
pace, pace, ma di pace non c’è neanche l’ombra!" (cfr. Ger. 6,14 e 11). La pace, infatti,
costa: non si fa a parole, ma con sacrifici e rinunce amorose da parte di
tutti. Non è neppure possibile ottenerla coi soli sforzi umani: occorre
l’intervento di Dio.
E’ il monito
natalizio degli angeli: una delle cose più belle, che Voi, caro san Luca,
abbiate mai "registrato": "Pace sulla terra per gli uomini che
Dio ama!".
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* S. LUCA è l’autore del terzo Vangelo canonico e
degli Atti degli apostoli. Visse nel I secolo d.C.. Medico, legato da intima
amicizia con S. Paolo, di cui fu fedele collaboratore; lo seguì anche nel terzo
viaggio missionario. Sebbene non testimone oculare della vita di Cristo, ampio
è il suo contributo al Nuovo Testamento, soprattutto nell’attenzione
all’infanzia di Gesù.
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Albino Luciani
Illustrissimi
Edizioni Messaggero - Padova
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