Al Re David *
REQUIESCAT ALLA SUPERBIA
Illustre Sovrano, nonché poeta e musico!
La gente vi vede
sotto mille aspetti diversi.
Gli artisti, da
secoli, vi presentano ora con la cetra, ora con la fionda di fronte a Golia,
ora con lo scettro sul trono, ora nella grotta di Engaddi, nell’atto di
tagliare il mantello di Saul.
I ragazzi amano il
vostro combattimento con Golia e le vostre imprese di capobanda ardito e generoso.
La Liturgia vi
ricorda soprattutto come antenato di Cristo.
La Bibbia presenta
le varie componenti della vostra personalità: poeta e musico; brillante ufficiale;
re avveduto, implicato, ahimé! non sempre felicemente , in
storie di donne e intrighi di harem con conseguenti tragedie familiari; e,
ciononostante, amico di Dio, grazie alla insigne pietà, che vi mantenne sempre
conscio della vostra piccolezza davanti a Dio.
Quest’ultima nota
mi è particolarmente simpatica e sono felice, quando la incontro ad esempio
nel breve Salmo 131 da voi composto.
Voi dite in quel
Salmo: Signore, non superbo è il mio
cuore. lo cerco di seguirvi a ruota, ma devo, purtroppo, limitarmi a
pregare: Signore, desidero che il mio cuore non corra dietro a pensieri di
superbia!...
Troppo poco per un
vescovo! direte. Lo so, ma la verità è che cento volte ho fatto i funerali alla
mia superbia, illudendomi di averla messa due metri sotterra con tanto di requiescat, e cento volte l’ ho vista
tornare su pili vispa di prima: ho sentito che le critiche mi spiacevano
ancora, che le lodi, viceversa, mi piacevano, che mi preoccupava il giudizio
degli altri su me.
Quando mi viene
fatto un complimento, ho bisogno di paragonarmi all’ asinello che portava Cristo
il giorno delle Palme. E mi dico: quello, se, sentendo gli applausi della
folla, si fosse insuperbito e avesse cominciato, somaro com’era, a ringraziare a destra e a sinistra con
inchini da prima donna, quanta ilarità avrebbe suscitato! Non fare una figura
simile!
Quando vengono le
critiche, ho invece bisogno di mettermi nella situazione del manzoniano fra
Cristoforo, che, oggetto di ironie e sogghignamenti mantiene calmo, dicendosi:
"Frate, ricorda che non sei qui per te! ".
Lo stesso fra
Cristoforo, in altro contesto, "dando indietro due passi, mettendo la
destra sull’ anca, alza la sinistra con l’indice teso verso don Rodrigo" e
gli pianta in faccia due occhi infiammati.
Il gesto piace immensamente ai cristiani d’oggi, che reclamano
"profezie", denuncie clamorose, "occhi infiammati",
"rai fulminei" alla Napoleone.
A me piace più come
scrivete voi, re David: "altèri non sono i miei occhi". Mi piacerebbe
potermi avvicinare a! sentire di Francesco di
Sales, che scriveva: Se un nemico mi cavasse l’occhio destro, mi
sentirei di sorridergli col sinistro e se mi cavasse tutti e due gli occhi, mi
resterebbe sempre il cuore per volergli bene!
Voi continuate nel
vostro Salmo: "Non vado in cerca di cose grandi né di cose troppo alte per
me". Posizione d’animo molto nobile, se la confronto con quanto diceva
don Abbondio: "Gli uomini sono fatti così: sempre vogliono salire, sempre
salire". Purtroppo, temo che abbia ragione don Abbondio: quelli che sono
più alti di noi, tenderemmo a raggiungerli: i nostri eguali. a metterli sotto;
quelli che sono sotto, a farceli più lontani.
E noi? Noi
tenderemmo a primeggiare, a grandeggiare per riconoscimenti, avanzamenti e
promozioni. Niente di male, finché si tratta di sana emulazione, di desideri
modetati e ragionevoli, che stimolano al lavoro, alla ricerca.
Ma se diventa una
Specie di malattia? Se, per andare avanti, calpestiamo gli altri a colpi di ingiustizie
e di denigrazioni? Se, sempre per avanzare, ci si raduna in
"branco", sotto i pretesti più speciosi, ma in realtà per contrastare
il passo ad altri "branchi", pure forniti di "appetiti più avanzati"?
E per quali
soddisfazioni poi? Un effetto fanno le cariche a distanza, prima di essere
raggiunte e un effetto da vicino, dopo il conseguimento. L’ha detto molto bene
uno che era più matto di voi, ma poeta come voi: Jacopone da Todi. Quando sentì
che frate Pier di Morone era stato fatto papa, scrisse:
Che farai Pier di Morone?...
Se non sai ben schermire
canterai mala canzone!
Io me lo dico
spesso, in mezzo alle preoccupazioni dell’ufficio episcopale: "Adesso,
caro, stai cantando la mala canzone di Jacopone!". Ma anche voi ve lo diceste, nel Salmo 52 "contro le male lingue".
Queste, a sentirvi, sono come "rasoi affilati", che, al posto della
barba, mozzano il buon nome.
Bene. Ma, passato
il rasoio, dopo Un po’ di tempo, la barba ricresce spontanea e florida. Anche
l’onore disturbato e la fama intaccata ricrescono. Per questo può essere a
volte saggio tacere, aver pazienza: un po’ alla volta tutto ritorna a posto
spontaneamente!
***
Essere ottimisti,
nonostante tutto. E’ questo che voi intendete, scrivendo: "Come fanciullo
divezzato in braccio a sua madre... è in me l’anima mia". La fiducia in
Dio dev’essere il perno dei nostri pensieri e delle nostre azioni. A ben
pensarci, infatti, i personaggi principali della nostra vita sono due: Dio e
noi.
Guardando questi
due, vedremo sempre bontà in Dio e miseria in noi. Vedremo la bontà divina ben
disposta verso la nostra miseria e la nostra miseria oggetto della bontà
divina. I giudizi degli uomini vanno tenuti un po’ fuori gioco: essi né sanano
una coscienza colpevole né possono ferire una coscienza retta.
Il vostro ottimismo
alla fine del piccolo Salmo esplode in grido gioioso: "Spera, Israele,
nel Signore, da ora e per sempre". Leggendovi, non mi sembrate affatto un
pavido, ma un bravo, un forte, che svuota l’anima della fiducia in se stesso
per riempirlo della fiducia e della forza di Dio.
L’umiltà, in altre parole, va di pan passo colla magnanimità. Essere
buoni, è cosa grande e bella, ma difficile e ardua. Perché l’animo non aspiri
a cose grandi in maniera esagerata, ecco l’umiltà; perché non prenda paura
davanti alle difficoltà, ecco la magnanimità.
Penso a san Palo:
disprezzi, flagelli, pressioni non deprimono questo magnanimo; estasi, rivelazioni,
applausi non esaltano questo umile. Umile, quando scrive: "Sono il minimo
fra tutti gli Apostoli". Magnanimo e lanciato ad ogni rischio, quando
afferma: "Tutto posso in Colui che mi dà forza. Umile, ma, a tempo e
luogo, sa essere fiero:
"Sono Ebrei?
Anch’io... Sono ministri di Cristo? Parlo da folle, di più io"! Si mette
al di sotto di tutti, ma, nel dovere, non si lascia piegare da niente e da
nessuno.
Le onde scagliano
contro le scogliere la nave che lo porta; le vipere lo mordono; pagani, giudei,
falsi cristiani lo cacciano e perseguitano; viene battuto con le verghe e
rimesso in carcere, lo si fa morire ogni giorno, si crede di averlo
spaventato, annientato ed egli salta fuori fresco e rugiadoso ad assicurarvi: non angustiamur, non sono disperato e poi
si alza in piedi e lancia la sfida della certezza cristiana: "Sono sicuro
che né la morte, né la vita... né il presente, né l’avvenire, ne altezza, né
profondità, né qualsiasi altra creatura mi potranno separare dall’amore
d’Iddio che è in Cristo Gesù".
E’ lo sbocco
dell’umiltà cristiana. Essa non sfocia nella pusillanimità, ma nel coraggio,
nel lavoro intraprendente e nell’abbandono in Dio!
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* DAVID, re d’Israele dal 1010 circa a.C. La Bibbia presenta le varie componenti
della sua personalità musico e poeta; brillante combattente, re avveduto,
implicato in storie di donne e, ciononostante, amico di Dio grazie alla insigne
pietà che lo mantenne conscio della sua piccolezza.
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Albino Lucani
Illustrissimi
Edizioni
Messaggero - Padova
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