A
Paolo Diacono *
LE SMANIE DELLE VACANZE
Illustre scrittore
e storico,
l’imminente Congresso Eucaristico Nazionale
che si terra nel Friuli (agosto 1972), mi ha fatto pensare a Voi, che, pur di
stirpe longobarda, nel Friuli siete nato e che della vostra gente avete
scritto con affetto di figlio.
I Longobardi che
vengono, son trascorsi ormai
dodici secoli, in Italia ammontano
a qualche centomila. Voi li descrivete avanzare lungo la via Postumia e vi
paiono un formicaio in marcia.
Se ritornaste
adesso? Se un sabato o una domenica di luglio o agosto, seduto a passo
Fadalto, vi metteste a contare le macchine, straniere e italiane, che scendono
verso Caorle, Jesolo e Venezia,o che salgono verso il Cadore? Oppure, se vi
sedeste al Brennero o su altri passi alpini ancora più congestionati di
turisti?
Se vi dicessi che
nei soli giorni di ferragosto saranno un milione i milanesi che lasciano
Milano, un milione i romani che lasciano Roma, una processione interminabile
gli automezzi che procedono in tutti i sensi, a tutte le ore, su tutte le
strade d’Italia?
Prevedo la vostra
meraviglia e la domanda: "Ma dove va tutta questa gente?"
"Va al mare,
ai monti, a visitare monumenti, curiosità naturali; va in cerca di fresco, di
verde, di sabbia, di aria iodica o resinosa, di evasione!"
"E dove il
alloggeranno?"
Un po’ dappertutto:
negli alberghi, nelle pensioni, nelle tendopoli o villaggi turistici, nelle
“case per ferie”, nei motels, nei campings. Lo vedete quel coso a quattro
ruote, rimorchiato dall’auto? E’ una roulotte,
piccola casa viaggiante.
Ai vostri tempi voi
fermavate il cavallo e lo legavate a un albero; ai nostri, fermano l’auto e la roulotte, dove c’è un ciuffo d’alberi e
scorre un ruscello; lì tirano fuori una bombola a gas con fornello e
frigorifero portatile, preparano i cibi, consumano la cena seduti sull’erba,
gustando il fruscio delle foglie mosse dal vento, il ronzare delle api e dei
mosconi, il profumo dell’erba e dei fiori, il colore del cielo, il contatto
immediato con la natura, che li inebria e placa nel medesimo tempo; nella roulotte, tra le altre cento cose, sono
pronti i lettini pieghevoli con materassi di gommapiuma; la sera li stendono,
vi dormono sopra tutta la notte, aspettando di venir svegliati dal canto degli
uccelli; insomma vogliono, almeno per breve tempo, far un bagno nella natura,
affogandovi le loro pene solite e dimenticando la città di cemento e di mattoni
che il ha inghiottiti e li inghiottirà per lunghi mesi.
Pare di vedervi,
testa fra le mani, e mi pare di ascoltarvi: "Qui cambia tutto! C’è più
frastuono che nelle antiche invasioni! Gli uomini sono diventati come le
chiocciole e si trascinano dietro la casa ed ora è la casa su ruote; ora è il
piccolo telo bianco prima arrotolato dietro il seggiolino della moto, poi
svolto, spiegato e alzato a mo’ di stanza; ora è quell’altra tenda azzurra,
enorme, panoramica, illuminata di luce elettrica, fornita di radio e televisione
ed allineata con altre tende, abitate da gente di ogni razza e di ogni lingua.
E’ un’altra Babele! Rinuncio a scrivere!
Voi fortunato! Io,
pastore d’anime, invece, non posso rinunciare a scrivere; devo dire una parola
almeno su qualcuno dei problemi di coscienza racchiusi in questo muoversi,
vagabondare o andare in giro che chiamano, secondo i casi, weekend, ferie brevi, ferie, vacanze, turismo, villeggiatura.
Abbiate la bontà di seguirmi con la coda dell’occhio mentre mi rivolgo ai
lettori.
***
Per noi italiani un
caso antico e classico di turista è il Petrarca, che fu anche alpinista e viaggiò
il viaggiabile di quei tempi, dentro e fuori d’Italia, "in cerca di can
luoghi, di cari amici, di cari libri". Il viaggiare andava bene per la sua
curiosità e sete di conoscenze, non per le sue finanze, tanto che il suo
castaldo, Monte, brontolava spesso e gli diceva: "Tu non fai che andare in
giro, ma ne avrai sempre le tasche vuote".
Ecco una prima
riflessione da fare: non c’è, talvolta, anche uno sperpero ingiustificato di denaro
nel viaggiare in una determinata maniera, senza i dovuti limiti? Non si tratta
di casi rari; le "smanie per la villeggiatura", che fanno fare il passo
più lungo della gamba, si verificano oggi come ai tempi del Goldoni; ne vanno
spesso di mezzo doveri di coscienza e virtù familiari come il senso di
economia, il sapersi limitare, il risparmio.
***
Altra riflessione.
Si dice che si viaggia
per imparare, per estendere la propria cultura, per poter sostenere a suo tempo una conversazione con onore,
per allargarsi l’anima con le bellezze artistico-naturali straniere. Tutte
cose vere, a patto che il viaggio sia fatto con calma, con soste opportune, con
la preparazione necessaria, con l’occhio aperto a indagare su elementi utili,
essenziali. C’è anzi modo di migliorare moralmente, di sentirsi più piccoli in
un mondo cosi vasto e bello, di essere più grati e vicini a Dio, più uniti ai
nostri fratelli uomini.
C’è però chi nei
viaggi si infatua per cose da nulla, come quelli che, tornati da Roma, sanno
raccontare solo di un certo vino dei Castelli e di certi piatti della cucina di
Trastevere...
C’è chi alla storia
dei luoghi sembra negato, come la guida che aveva accompagnato il Fucini a
veder Sorrento. "E adesso, disse lo scrittore, mentre mangio un boccone,
andate un po’ ad informarvi dove sia la casa di Tasso!". La guida andò,
tornò e riferì: "Signurì, quel signore non ce ne sta chiù!".
C’è
anche il turista fanfarone, che gonfia, inventa, fa strabiliare, descrivendo
incidenti o meraviglie come fosse un Marco Polo, un Pigafetta o un Caboto...
***
Vacanza vuol dire
riposo, distensione. Ma il riposo c’è chi lo sa prendere e chi non lo sa. E’
come lo spolverare: qualche donna di casa crede di spolverare, ed invece
trasporta soltanto la polvere da un luogo a un altro.
La famiglia che, per seguire la moda, arriva in un centro
frequentatissimo di soggiorno in pieno ferragosto, quando gli alberghi sono
zeppi, e deve allogarsi in una stanza o su letti di fortuna che possono essere
anche un biliardo o una sedia a sdraio, non riposa affatto, ma cambia fatica con
fatica, noia con noia.
Quel signore
percorre di domenica centocinquanta chilometri per raggiungere Cortina o Jesolo
su una strada intasata di macchine; dopo la Messa una passeggiatina, il pranzo
e quattro chiacchiere; poi torna indietro, alla guida della macchina,
inserendosi in una fila interminabile di altre macchine, tentando o
effettuando continuamente sorpassi complicati, schivando parafanghi, girando
curve difficili; se arriva sano e salvo a casa sua, ringrazi il Signore e
dica che ha fatto gran movimento diverso dal solito, non dica che ha riposato.
Quanti tornano
dalle ferie stanchi e annoiati, perché hanno scelto un posto troppo mondano o
rumoroso o non hanno saputo misurarsi nelle gite o sono entrati nel
"giro" di gente, che li ha trascinati a divertimenti, discorsi e
discussioni eccitanti e stancanti!
Ho accennato a
strade intasate e macchine, a curve e sorpassi. E’ un grosso problema d’anima
anche questo. Curioso, nessun guidatore che, in confessionale, mai dica:
"Padre, ho messo in pericolo la vita mia e degli altri! ". Nessuno che dica: "Sono stato
imprudente, sono stato ambizioso nel guidare".
Eppure son molti quelli che,
avvistata appena una macchina da lontano, dicono immediatamente e quasi
giurano a se stessi: "La sorpasserò! ". Anche se è una spider, in salita! Loro devono sorpassare
sempre, tutti, passare alla storia per i sorpassi. Oppure prendono in mano il
volante dopo aver bevuto in abbondanza o quando sono troppo stanchi, depressi e
con gravi preoccupazioni di famiglia o personali. E’ in gioco il quinto comandamento;
non si sottolinea mai abbastanza la grave responsabilità di chi guida le
potenti macchine di oggi sulle povere, strette, tortuose e battutissime strade
di ieri.
Il quinto
comandamento non contempla solo i danni recati al corpo, ma anche quelli recati
all’anima Col cattivo esempio. Il villeggiante o turista è osservato con
occhio ammirato o almeno curioso specialmente dai più poveri e dai più giovani.
Di solito egli ragiona: "Ora, che sono fuori del mio ambiente, mi prenderò
più libertà morali".
Deve capovolgere il
ragionamento: "Fuori, sono più osservato e pertanto starò ancora più a posto
che a casa mia".
E che gli occhi
della gente siano aperti sui turisti, lo ebbe a sperimentare Renato Fucini,
turista a Sorrento. La guida, che ho già citato sopra, si vantava con lui di
sapere individuare il paese di provenienza dei forestieri. "Lei per
esempio, disse, ho capito che è piemontese". "Ma
no, io sono toscano, come mai non te ne sei accorto?". "Eccellenza,
non avete detto brutte parole e non avete bestemmiato il nome santo di Dio.
Come potevo pensare che foste toscano?".
Ecco, sotto questo
aspetto, i turisti il desidererei "piemontesi". E, viceversa, i
paesi di soggiorno estivo, mi auguro che il scelgano così cristiani, di
spirito, di tradizioni, di vita vissuta, da poter
pressappoco dire di essi quello che scrisse la prima santa nordamericana,
Elisabetta Seton, di un paesino toscano, in cui aveva soggiornato per breve
tempo: "Vi assicuro che l’essere io diventata cattolica (prima era
protestante) fu una semplice conseguenza dell’essere andata in un paese cattolico".
Oltre il quinto, è
in gioco anche il sesto comandamento del Signore. Mi riferisco al modo di
vestire, al turismo giovanile misto, ai divertimenti sconvenienti di parecchi
centri di villeggiatura, alle lunghe gite in automobile a due, fidanzati o non
fidanzati che siano.
Dicono, pei
vestiti: "Ormai tutti fanno così!". Non è vero, non
tutti fanno così, pur dovendosi
ammettere con amarezza che famiglie buone all’apparenza stanno
inspiegabilmente cedendo su questo punto. Fosse anche vero che molti o tutti
fanno così, una cosa cattiva resta cattiva anche se la fanno tutti.
Dicono anche:
"E’ caldo!".
Ma ci sono sul mercato tipi di stoffa così leggeri che
permettono di difendersi benissimo dal caldo, anche se l’abito è prolungato di
qualche palmo. Quanto alle compagnie, alle gite solitarie in auto, non è un
mistero per nessuno ch’esse sono occasioni di male. "La mia figliola è
buona, sa stare a posto!" mi diceva una signora. "La sua figliola,
signora, è debole come siamo tutti e dev’essere difesa contro la sua propria
debolezza e inesperienza, tenendola lontana dal pericolo. Il peccato
originale, purtroppo, non è un mito, ma una realtà dolorosa!".
Dopo il sesto,
viene il settimo comandamento. Un vescovo tedesco, alcuni anni fa, raccomandava
di non sfruttare ingiustamente i turisti. La raccomandazione non è fuori
luogo. M’è stato detto che una "Pro-loco" di montagna ha completato
il paesaggio con una mucca di gomma gonfiata. Vista da lontano, bianca su un
prato verde, con un grosso campano, finto anche quello, la mucca dà una nota
di colore e serve di richiamo.
Il fatto,
se vero, sarebbe ingenuità, più che truffa. E’ vero, invece, che in certi
centri turistici, i prezzi salgono alle stelle nei momenti di punta. E’ vero
che da qualcuno i villeggianti ospiti vengono considerati soltanto sotto
l’aspetto commerciale: sono quelli che "portano soldi", che
"hanno soldi" e "possono dar soldi". Non sempre invece
si ricorda che sono gente che ha lavorato tutto l’anno, nelle fabbriche, negli
uffici, nelle città umide e nebbiose; gente che ha appena quindici-venti
giorni di pausa, con vero bisogno di riposo, di aria, di sole. Non sempre e non
abbastanza si ricorda che sono fratelli, verso cui incombe l’obbligo di carità
sentita e di ospitalità cordiale.
A noi cristiani san
Pietro raccomanda forte di essere "hospitales invicem" e aggiunge: "sine murmuratione": "Siate
ospitali tra voi, senza brontolare!". Si potrebbe, in questa occasione, completare così:
"Senza brontolare e senza... pelare!".
***
Ultimo pensiero: se
andiamo in vacanza noi, il Signore non fa vacanza.
Il suo giorno, la
domenica, Egli lo vuole salvo, non profanato, in ogni caso, sia per il proprio
onore esterno sia per il nostro interesse. Quando dico il "Suo
giorno", non intendo solo quel pezzettino di giorno, che corrisponde alla
messa ascoltata. La domenica cristiana è un giorno intero, che racchiude un
complesso di cose: è Messa o Sacrificio divino partecipato attivamente (non
solo ascoltato passivamente); è cura della propria anima nella quiete, nella
riflessione, nell’accostarsi ai sacramenti; è istruzione religiosa, fatta
ascoltando la parola del sacerdote e leggendo il Vangelo o altro buon libro; è
presa di contatto con tutta la famiglia parrocchiale; è esercizio di carità
verso i poveri, ammalati o bambini; è buon esempio dato e ricevuto; è il
premio e la garanzia della nostra vita buona.
Se siamo capaci di
vivere bene la domenica è quasi certo, infatti, che vivremo bene nel resto
della settimana. Per questo il Signore ci tiene tanto, per questo dobbiamo far
di tutto per non lasciar scadere la domenica. Turismo o non turismo, in ferie o
fuori ferie, la nostra anima soprattutto e prima di tutto!
***
Torno ancora a Voi,
Paolo Diacono. Che vi pare della mia conclusione?
E’ vecchia?
E’ vecchia, ma vera
e saggia, ci aiuta a diventare o a conservarci buoni; questo è quello che
importa!
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PAOLO DIACONO, monaco e storico
friulano del sec. VIII. Fu educato a Pavia alla corte di re Ratchis. Fu
precettore della figlia di Desiderio Adelpaga. Dopo la caduta dei Longobardi,
Paolo Diacono fu condotto in Francia dove conobbe Carlo Magno alla cui corte
rimase a lungo come insegnante. Scrisse, oltre a numerose poesie, una Storia dei Longobardi che ha legato il
suo nome alla storia dell’alto Medioevo.
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