A Charles Dickens*
SIAMO AGLI SGOCCIOLI...
Caro Dickens,
sono un vescovo, che ha preso lo strano impegno di scrivere
ogni mese (1) per il Messaggero di S. Antonio una lettera a
qualche illustre personaggio.
A corto di tempo, sotto Natale,
non sapevo proprio chi scegliere. Quand’ecco, trovo su un giornale la réclame dei vostri cinque famosi Libri natalizi. Mi son
subito detto: li ho letti da ragazzo, mi sono immensamente piaciuti perché
tutti pervasi da un senso di amore ai poveri e di
rigenerazione sociale, tutti caldi di fantasia e umanità; scriverò a lui. E son qui a disturbarvi.
***
Ho ricordato dianzi
il vostro amore ai poveri. L’avete sentito ed espresso magnificamente, perché tra i poveri eravate vissuto bambino.
A dieci anni, col Papa in
prigione per debiti, al fine di aiutare la mamma ed i fratellini, andaste a lavorare in una fabbrica di vernici. Dalla mattina
alla sera le vostre piccole mani imballavano scatole di lucido da scarpe sotto
gli occhi di un padrone impietoso; la notte dormivate in una soffitta; la
domenica, per far compagnia al padre, la trascorrevate con tutta la famiglia
in prigione, dove i vostri occhi di fanciullo
s’aprivano sbalorditi, commossi e attentissimi, su decine e decine di casi pietosi.
Per questo tutti i vostri romanzi
sono popolati da povera gente, che vive in una miseria impressionante: donne
e bambini arruolati in fabbrica o in bottega indiscriminatamente anche sotto i
sei anni; nessun sindacato che il difenda; nessuna proiezione contro malattie e
infortuni; salari da fame; lavoro prolungato fino a
quindici ore giornaliere, che, con desolante monotonia, lega fragilissime
creature alla macchina potente e fragorosa, all’ambiente fisicamente e
moralmente malsano e spesso spinge a cercare oblIo
nell’alcool o a tentare un’evasione mediante la prostituzione.
Sono gli oppressi: su di essi si riversa tutta la vostra simpatia. Di fronte, stanno
gli oppressori, che Voi stigmatizzate con penna
maneggiata dal genio della collera e dell’ironia capace di scolpire quasi su
bronzo figure da maschera.
***
Una di queste figure è l’usuraio Scrooge, protagonista del vostro Canto di Natale in prosa.
Due signori, capitati
nel suo studio, notes e penna alla mano, lo interpellano:
"E’ Natale, migliaia di persone mancano del necessario, signore!". Risposta di Scrooge: "E non ci sono le prigioni?
E gli ospizi di mendicità non funzionano
ancora?". "Ci sono, funzionano, ma ben poco possono fare per
rallegrare spiriti e corpi in occasione del Natale. Abbiamo pensato di
raccogliere fondi per offrire ai poveri cibi, bevande e combustibili. Per che cifra posso iscrivervi?". "Per nessuna.
Desidero essere lasciato in pace. Io non festeggio il Natale e non mi permetto
il lusso di farlo festeggiare a dei fannulloni. Pagando la
tassa sui poveri, do il mio aiuto alle carceri, agli istituti di mendicità;
chi è nella miseria può rivolgersi là". "Molti non possono
andarci, e molti preferirebbero piuttosto
morire?". "Se preferiscono morire, meglio lo
facciano in fretta per diminuire la sovrabbondanza della popolazione. E poi,
scusatemi, queste cose non mi riguardano".
Così avete descritto l’usuraio Scrooge: preoccupato solo di soldi e di affari.
Ma quando di affari parla allo spettro del suo
"spirito gemello", il defunto socio usuraio Marley,
questi lamenta dolorosamente: "Gli affari! Avere umanità avrebbe dovuto
essere il mio affare. Il benessere generale avrebbe dovuto essere il mio
affare: carità, clemenza e benevolenza, tutto questo avrebbe dovuto essere il
mio affare. Perché ho camminato tra la folla dei miei simili
cogli occhi rivolti a terra, senza mai alzarli su quella stella benedetta che
condusse i magi ad una capanna? Non c’erano forse altre povere case verso cui
la sua luce avrebbe potuto guidarmi?".
***
Da quando scriveste
queste parole (1843) sono passati più di centotrent’anni.
Sarete curioso di sapere se e come è stato portato un
rimedio alle situazioni di miseria e di ingiustizia che voi denunciaste.
Ve lo dico subito. Nella vostra
Inghilterra e nell’Europa industrializzata, i lavoratori hanno migliorato di
molto la loro posizione. Avevano a loro disposizione come unica forza il numero. L’hanno valorizzato.
Dissero i
vecchi oratori socialisti: "Il cammello passava attraverso il deserto; le
sue zampe calpestavano i granellini di sabbia ed egli, superbo e trionfante,
diceva: “Vi schiaccio, vi schiaccio!"
I granellini si lasciavano
schiacciare. ma si alzò il vento, il terribile simoun. "Su,
granellini, disse, unitevi, fate corpo insieme a me,
flagelleremo insieme il bestione e lo seppelliremo sotto montagne di sabbia!
".
I lavoratori da granellini divisi
e sparsi sono diventati nube unita nei sindacati e nei vari
socialismi, che hanno il merito innegabile di essere stati quasi
dappertutto la causa principale dell’avvenuta promozione dei lavoratori.
Questi, dai vostri tempi in qua,
hanno realizzato avanzamenti e conquiste sul piano dell’economia, della
sicurezza sociale, della cultura. Oggi poi, attraverso i sindacati, riescono
spesso a farsi sentire anche lassù, nelle alte sfere
dello Stato, dove in realtà si decidono le loro sorti. Tutto ciò, a prezzo di
gravissimi sacrifici, superando opposizioni e ostacoli.
L’unione dei lavoratori per la
difesa dei propri diritti, infatti, fu dapprima dichiarata illegale, poi
tollerata, poi riconosciuta giuridicamente. Lo Stato dapprima
fu "Stato carabiniere", dichiarò il contratto di lavoro affare del
tutto privato, proibì i contratti collettivi; il padrone teneva il coltello per
il manico; imperava senza freni la "libera concorrenza".
"Due padroni corrono dietro a un operaio? Il
salario dell’operaio
crescerà. Due operai tirano per la giacca un padrone? Il salario calerà".
Questa è la legge, si diceva, tale, che porta
automaticamente all’equilibrio delle forze! Invece
portava agli abusi di un capitalismo, che fu, ed in certi casi ancora è,
"sistema nefasto".
E adesso?
Ahimé! Ai vostri tempi le ingiustizie sociali erano a senso unico: di operai, che dovevano puntare il dito contro i padroni. Oggi, a puntare il dito è uno sterminio di gente: i lavoratori dei
campi, che lamentano di trovarsi molto peggio dei lavoratori dell’industria;
qui in Italia, il Sud contro il Nord; in Africa, in Asia, in America Latina le
nazioni del "Terzo Mondo" contro le nazioni del benessere.
Ma pure
in queste ultime nazioni ci sono numerose sacche di miseria e di insicurezza.
Molti lavoratori sono disoccupati o insicuri del
posto, non dappertutto sono protetti a sufficienza contro gli incidenti,
spesso si sentono trattati solo da strumenti di produzione e non da
protagonisti.
Per di più la corsa frenetica al
benessere, l’uso esagerato e pazzo di cose non necessarie ha compromesso i
beni indispensabili: l’aria e l’acqua pura, il silenzio, la pace interiore, il
riposo.
Si credeva che i pozzi di petrolio
fossero come il pozzo di san Patrizio, senza fondo;
improvvisamente ci si accorge che siamo quasi agli sgoccioli. Si confidava che, esaurito in tempi lontani il petrolio, si
potesse contare sull’energia nucleare, ma ci vengono a dire che nella
produzione di questa esiste il pericolo di scorie radioattive dannose all’uomo
e al suo ambiente.
Il timore e la preoccupazione sono
grandi. Per molti il bestione del deserto da aggredire e seppellire non è più
soltanto il capitalismo, ma anche il "sistema" attuale, da abbattere
con rivoluzione capovolgitrice. Per altri il
capovolgimento sta già cominciando.
Il povero Terzo Mondo di oggi, dicono, sarà presto ricco, grazie ai pozzi
di petrolio, che sfrutterà solo per se; il mondo del benessere consumistico,
avendo il petrolio solo col contagocce, dovrà limitare le sue industrie, i
suoi consumi e sottomettersi ad una recessione.
Tra questo
infittirsi di problemi, di preoccupazioni e di tensioni, valgono
ancora, allargati e adattati, i
principi da Voi, caro Dickens, caldeggiati sia
pure un po’ sentimentalmente. Amore al povero, e non tanto al
povero singolo, quanto ai poveri, che respinti, sia come individui sia come
popoli, si sono sentiti classe e solidarizzano tra loro. Ad essi, senza
titubanza, sull’esempio di Cristo, va data la preferenza sincera e aperta del cristiani.
Solidarietà: siamo un’unica barca piena di popoli
ormai ravvicinati nello spazio e nel costume, ma in un mare molto mosso. Se non
vogliamo andare incontro a gravi dissesti, la regola è questa: tutti per uno e
uno per tutti; insistere su quello che unisce, lasciar
perdere quello che divide.
Fiducia
in Dio: per bocca del vostro Marley Voi
auspicavate che la stella dei Magi illuminasse le case povere.
Oggi casa povera è il mondo intero, che ha
tanto bisogno di Dio!
__________________________________________________________________________________________
* CHARLES DICKENS, scrittore inglese (1812-1870).
Un’infanzia amara
(il padre fu imprigionato per debiti ed egli iniziò a lavorare a 12 anni in una
fabbrica) gli ispirò le più note tra le sue opere (Oliver Twist, David Copperfield), pervase tuttavia da una chiara
vena umoristica (Il circolo Pickwick). L’efficace realismo dickensiano,
denso di calore umano, ebbe persino conseguenze sul piano sociale (la riforma
della legislazione inglese sull’infanzia).
(1)
L’"epistolario"
ha avuto inizio col numero di maggio del 1971.
_________________________________
Albino Luciani
Illustrissimi
Edizioni Messaggero - Padova
_________________________________