A
don Gonzalo Fernandez de Cordova *
LE CAMPANE DEl GUERRIGLIERI
Caro don Gonzalo,
so di voi solo quel
tanto che ne scrive il Manzoni ne I
Promessi Sposi. Siete stato Governatore spagnolo dello Stato di Milano;
quello della guerra di Casale, quello della peste del 1630. Nel vostro stemma
spiccava un re moro incatenato per la gola. Fu davanti a quello stemma che
Renzo, all’osteria della luna piena, sbottò a dire: "So cosa vuol dire
quella faccia d’ariano con la corda al collo. Vuol dire, quella faccia: comanda
chi può e obbedisce chi vuole".
Povero Renzo! Mal gliene incolse:
poche ore dopo i birri gli mettevano sopra le mani e poiché riuscì a fuggire,
voi lo faceste ricercare con gran fracasso come malandrino, ladrone pubblico,
promotore di saccheggio, in una parola, come sedizioso e rivoluzionario!
Oggi sarebbe diverso. Per quella
frase Renzo sarebbe promosso profeta, carismatico, teologo. Voi, caro don
Gonzalo, per il solo fatto di volere emanare delle gride, sareste un repressore, invaso dalla libidine del potere e
calpestatore della dignità e libertà umana.
La sedizione milanese contro il
vostro Vicario di provvigione sarebbe detta un insignificante aborto di
rivoluzione, un nulla in confronto della rivoluzione vera, che vuole
rovesciare tutto il sistema.
Le campane di certa
"filosofia" e "teologia" sembrano oggi suonare a morto per
l’autorità, a festa per la libertà e la rivoluzione. Esse farebbero dire a
Bossuet, un genio, che vi era quasi contemporaneo: "Dove tutti fanno quel
che vogliono, nessuno fa quello che vuole; dove nessuno comanda, tutti
comandano; dove tutti comandano, nessuno comanda"!
***
Ma chi si cura di Bossuet? Il
luminare, cui guardano specialmente folti gruppi di studenti, è Mao, che ha
loro detto: "Cancellare tutto ciò che è borghese con la rivoluzione
culturale! La cultura di una volta serve solo a creare divisioni: ‘fare la
rivoluzione’ è invece l’unica cultura degna di questo nome". E’ stato
preso in parola anche in casa nostra. I "nuovi studenti" proclamano:
"Siamo noi la miccia che farà saltare la società attuale. Non più scuola
selettiva o di classe, che favorisce solo chi è borghese, chi ha già avuto in
famiglia un certo tipo di educazione! Basta con la meritocrazia classista, che
pretende misurare a scuola con lo stesso metro chi può andare in macchina e chi
deve andare a piedi!"
E fanno sul serio: occupano le
scuole, negano che ci sia differenza fra Dante Alighieri e Bertoldino, hanno
imparato il metodo della guerilla urbana,
l'analisi marxista della società borghese, l’uso della droga, paralizzano col
ridicolo i non rivoluzionari, dominano col terrorismo le maggioranze
studentesche silenziose e penetrano negli stessi ambienti studenteschi
cattolici.
Curioso fenomeno, queste
"quinte colonne" accettate, applaudite e teologizzate. Mao è il nuovo
Mosè, che introduce i popoli in una nuova Terra Promessa. La democrazia
cosiddetta occidentale è ormai un rudere inutile. Lo stesso comunismo sovietico
è sorpassato.
La terza via, quella di Mao, è
quella che libererà il mondo, perché, dicono, è quella del Vangelo. Come mai? E’ da
sapere, dicono, che la
Palestina, ai tempi di Gesù, era teatro di guerriglia: i guerriglieri, zeloti, si battevano a sangue contro Roma:
rappresaglia contro di essi era la crocifissione, sicché, la croce, ancora
prima di diventare simbolo cristiano, fu segno legato alla guerilla. Gesù, privato dei suoi diritti di cittadino dai
dominatori bianchi di Roma, ebreo offeso, non poté trovarsi che fra i
rivoluzionari.
Ciò non appare bene dai Vangeli,
continuano a dire, che sono stati
scritti quando la rivolta contro Roma era ormai terminata. San Marco, inoltre,
scrivendo per i romani, annacquò a loro favore il contenuto del suo Vangelo;
anche san Paolo, cittadino romano, si lasciò influenzare da Roma.
I Vangeli e Paolo, cosi come sono, non sono
dunque attendibili, bisogna reinterpretarli.
E’ scritto:
"Rendete a Cesare ciò che è di Cesare". Si deve sostituire:
"Proibito dare a Cesare qualcosa, perché in Palestina tutto appartiene a
Dio". E’ scritto: "Beati i facitori di pace"; "Va’ a
riconciliarti col tuo fratello"; "perdonate"; "chi usa la
spada, di spada perisce"; "porgi la guancia destra"; "ama i
tuoi nemici". Sembrerebbero testi pacifisti, invece no: intesi in senso
pacifista, essi suonano assurdi e codardi a gente sotto l’oppressione romana,
anelante a indipendenza politica.
Vanno,
dunque, "reinterpretati" come segue: "Tu non devi avere nemici:
questo è possibile solo quando avrai rovesciato il potere con la rivoluzione e
avrai distrutto i demoni della non dignità umana, della disparità economica,
della disparità di potere, che significa oppressione".
Il vero Cristo, concludono, è rivoluzionario e guerrigliero; quello
che ha armato la sua mano contro i mercanti del tempio, che è entrato in
conflitto colla Sinagoga. Per seguirlo, bisogna farsi rivoluzionari nei confronti
del potere sia statale che ecclesiastico in nome della libertà, della
corresponsabilità, del dialogo, dei carismi.
***
Che dire? Cristo, pur non essendo
inferiore a nessuno, neppure al Padre, è modello di rispetto verso l’autorità
umana. A Nazareth "è sottomesso" a Maria e Giuseppe; a Cafarnao opera
addirittura una piccola pesca miracolosa onde avere lo statere necessario a
pagare Ia tassa del tempio (Mt. 17).
La posizione di Cristo di fronte alla
Sinagoga non si può minimamente paragonare a quella di qualcuno di noi di
fronte all’autorità civile o ecclesiastica. Cristo era "il padrone della
Legge" e il Figlio del Padre, superiore alla Legge; la Sinagoga era appena
destinataria della Legge. Scontrandosi poi colla Sinagoga, Cristo non si appellô
a un suo diritto a ribellarsi, ma, viceversa, al suo dovere di obbedire al
Padre. La stessa cacciata dei mercanti dal tempio è atto religioso ben
calcolato e meditato. Cristo, infatti, nel tempio non ferisce e uccide nessuno,
non incendia il tempio; solo rovescia le tavole dei cambiavalute e disperde gli
animali dei mercanti, ai quali, più che danno, causa disagio momentaneo in
vista di un fine da lui preinteso: insegnare il rispetto alla casa del Padre.
Il Concilio ha sottolineato che
Ia Chiesa è popolo di Dio e comunitaria prima ancora che gerarchica.
Fondandola, Cristo aveva in cima ai suoi pensieri il popolo, le anime da
salvare. A servizio del popolo ha voluto Apostoli e vescovi muniti di poteri
speciali. Per tener uniti i vescovi ha voluto il Papa. Papa e vescovi non sono
dunque sopra, ma dentro e al servizio del popolo di Dio.
Il servizio, però, lo possono prestare
solo esercitando i poteri ricevuti. I quali, dunque, non si possono
cancellare. Dice il Concilio: "I vescovi governano
le chiese particolari loro affidate come vicari o legati di Cristo col
consiglio la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà...
in virtù della quale hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di
dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene
a! culto e all’apostolato" (LG; 127).
Che sia difficile esercitare
quest’autorità nella maniera giusta, è vero. Che si sia mancato e che Si possa
anche ora mancare da parte della Gerarchia, è pure vero. Quando i Padri
parlano di una "Chiesa lebbrosa" e di "Chiesa zoppicante",
toccano una piaga viva.
Ma è piaga legata alla finitezza
umana; essa può essere curata, guarita in parte, ma non eliminata del tutto. I
laici ed i sacerdoti che talora, per sincero amore verso la Chiesa, contestano,
dovrebbero tenerlo presente. Bisogna saper edificare su quella che esiste:
spesso è saggio accontentarsi di quello che si ha, mirando bensì a ulteriori
conquiste, ma senza distruggere colla contestazione i germi esistenti di una
evoluzione futura.
- Rispetto alle persone? Certo,
ma non possono i vescovi per rispetto alle persone singole trascurare il bene
comune, permettendo che s’instauri l’indisciplina e l’anarchia. Diceva
sant’Agostino: "Noi vescovi presediamo, ma solo se serviamo". E
soggiungeva: "Il vescovo che non serve il pubblico è solo uno
spaventapasseri messo nei vigneti perché gli uccelli non becchino le uve".
- Più spirito, più
carismi e meno istituzione? Ma alcune istituzioni risalgono a Cristo e non si
possono toccare senza che cambi l’essenza stessa della Chiesa: così il Primato
del Papa, il Collegio episcopale, l’episcopato, il sacerdozio ministeriale.
Altre istituzioni sono umane, si
devono cambiare quando si rivelano superate e controproducenti, ma seguendo la
legge della storia. Questa dice ai vescovi: niente di umano è immutabile,
neppure il modo di ubbidire dei cattolici. Ma soggiunge: non pensino i sudditi
che il corso della storia si possa affrettare con una impaziente ribellione!
Anche Bertoldino aveva fretta che nascessero i pulcini: cacciô Ia chioccia e
la sostituì, covando personalmente le uova, ‘ma ne venne solo una frittata nel
fondo dei calzoni!
- Più libertà, meno legalismo?
Giusto. Cristo proclamò l’interiorità, condannò il legalismo farisaico. Anche
san Paolo esalta la libertà dello spirito e il codice dell’amore. C’è, però,
anche il rovescio della medaglia: Cristo diede prescrizioni, obbligando i suoi
seguaci a osservarle e volle nella Chiesa l’autorità. Paolo poi, ammonì:
"Siete stati chiamati a libertà; solamente, che questa libertà non diventi
un pretesto per la carne".
- Corresponsabilità? I Pastori
ricordino: essi non sono stati "istituiti da Cristo per assumere da soli
il peso della missione salvifica della Chiesa: "Nelle battaglie decisive
è spesso dal fronte che partono le iniziative più indovinate". A loro
volta, i laici vedano di non limitare la loro corresponsabilità alla troppo
comoda protesta: aggiungano le proposte attuabili e pratiche, e soprattutto
collaborino all’effettuazione delle proposte. Non solo: ricordino che il loro
concorso ai bene della Chiesa deve avvenire non scompostamente, ma "sotto
la guida del sacro magistero", cui spetta riconoscere e autenticare gli
stessi carismi.
- Dialogo? I documenti conciliari ne
parlano una cinquantina di volte. Dev’ essere dunque attuato con buona volontà
da una parte e dall’altra. I vescovi non ascoltino solo se stessi; consultino,
esaminino insieme ad altri prima di decidere. E i fedeli parlino "con
quella libertà e fiducia, che si addice ai figli di Dio e a fratelli in
Cristo... sempre con verità, fortezza e prudenza, con reverenza e carità".
Neppure il dialogo, però, opererà come
una bacchetta magica, che tutto sana, risolve e mette a posto. Il dialogo in
tanto è utile in quanto i dialoganti hanno fiducia in esso e ne osservano le
giuste regole.
***
Caro don Gonzalo! Questa gente,
che dice di interpretare il Vangelo, va in cerca di libertà. Purtroppo, non è
la libertà che intendeva Cristo, quando ci insegnò a dire: "Padre...
liberaci dal male! ".
Non è
neppure l’altra, di cui parlava sant’Agostino: "Sarai libero, se ti farai
servo; libero dal peccato, servo della giustizia! ".
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* GONZALO FERNANDEZ DE CORDOVA fu governatore spagnolo
dello Stato di Milano, durante la guerra di Ca-sale e la peste del 1630.
Ricordato dal Manzoni (1785-1873) nei suoi Promessi Sposi per la
sedizione milanese contro il suo vicario di provvigione nella quale rimase
coinvolto Renzo, "contestatore" finito presto nelle mani dei birri.
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Albino Lucani
Illustrissimi
Edizioni
Messaggero - Padova
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