Bibbia a fumetti - Castigat ridendo mores - da Astrologia a Vita Sociale il dizionario dei problemi dell'uomo moderno

 

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A Carlo Goldoni *

          

           A Carlo Goldoni *

 

 

         LE FEMMINISTE

       E LA BARBA DI SANTA VILGEFORTIS

 

 

           Caro Goldoni,  

        ho avuto occasione di vedere a fine agosto di quest'anno (1974) i vostri «Rusteghi» e, a poca distanza, «La bisbetica domata» di Shakespeare. Senza che ci pensassi, spontaneamente mi s'è imposto il contrasto: «antifemminista» Shakespeare, «femminista» Voi.

La «bisbetica» è Caterina, figlia di un riccone di Padova. Iraconda, stizzosa, insofferente di tutto e di tutti, manda all'aria i mobili delle stanze, fa scappare la gente di casa, ha perfino la gentile usanza di mordere, nessuno la vuole in sposa.

Ma sopravviene da Verona Petruccio, cui fa gola la ricchissima dote di Caterina. Eccolo pretendente alla sua mano: essa lo sdegna, ma lui, furbo e imperturbabile, le fa una corte sapiente: quanto più essa lo maltratta, tanto più egli dichiara di trovarla dolce e gentile.

Si fa il matrimonio, Petruccio porta la sposa a Verona, ma qui le parti si invertono. Petruccio, col pretesto che i cibi ed il letto non sono degni della sposa, in mezzo a mille moine e proteste di affetto, non permette che essa mangi né che dorma.

Senza cibo e senza sonno Caterina è «domata»; quando al marito piaccia, essa è disposta a chiamare sole la luna e viceversa, a dire che è sereno quando piove e viceversa; al padre, alla sorella, al cognato e al pubblico dichiara che i doveri di una moglie sono: obbedire, servire il marito e dichiararsi sempre del suo parere.

Ne «I Rusteghi» il procedimento è inverso: quattro mariti partono «domatori» e arrivano piuttosto «domati».

Le loro spose? «Che le staga in casa, che no le veda nissun, che no le sappia gnente! ».

La figlia di Lunardo, uno dei quattro? Il giorno del matrimonio né sa di aver un fidanzato né l'ha mai visto: tutto è combinato in gran segreto dai padri degli sposi. La sposina si lamenta colla matrigna: «E mi, poverazza, che no vago mai fora de la porta? E nol vol mo gnanca che vaga un fià al balcon»!        

Ma ecco le mogli partire alla riscossa, con in testa l'intraprendente «sora Felice», la quale, dopo aver scoperto e propalato il segreto dell'imminente matrimonio e aver procurato ai «rusteghi» una grossa sorpresa, vince le loro ultime resistenze con una arringa degna di un avvocato, che li fa sbalordire.

I quattro, vinti più che convinti, devono confessare che le mogli e le figlie non vanno «domate», ma ascoltate: la parola, in ogni caso, se i mariti non gliela  danno, se la prendono le mogli stesse.

 

***

 

Fra la tesi di Shakespeare e la vostra, caro Goldoni, preferisco la vostra: più umana, più giusta, più vicina alla realtà di allora e di oggi, anche se oggi il vostro «femminismo» appare palliduccio: dai vostri tempi in qua la donna, infatti, ne ha fatto delle conquiste!

Conquiste in gran parte positive.

Ne «Le femmine puntigliose» voi avete riso sui salotti, «ove ghe xé donne co i cavalieri serventi che le sta dure impetrìe a farse adorar: chi ghe sospira intorno da una banda, chi  se  ghe inzenocchia dall'altra, chi ghe sporze la sotto coppa, chi ghe tol su da terra el fazzoletto, chi ghe basa la man, chi le serve de brazzo, chi ghe fa da segretario, chi da camerier...». Ebbene, oggi tutto questo non solo è scomparso, ma è scomparsa quasi del tutto anche la differenza tra le «signore» e le «popolane».

Il tempo e specialmente due guerre formidabili con susseguente formidabile «rime-scolamento di carte» hanno cambiato la mentalita e la posizione sociale delle donne. Le ragazze non stanno piu chiuse in casa: anche le piu agiate studiano o si preparano in vista di un lavoro con cui guadagnarsi la vita. Ricevono magari ancora inchini e baciamano, ma in fretta: sanno che, in generale, devono contare solo su se stesse, bastare a se stesse come gli uomini e portare il proprio contributo di lavoro e di denaro alla famiglia.

           Come ai vostri tempi, esse possiedono tesori di intuizione e di sentimento, ma oggi li devono orientare metà per farsi una famiglia, metà per farsi una posizione sociale e mantenerla.

          Nelle vostre commedie le categorie femminili stanno sulle dita di una mano: nobildonne,

« parone» borghesi, «massere», «locandiere», «cameriere». Oggi non basta un vocabolario  intero: commesse, studentesse, operaie, vetriniste, maestre, hostess, professoresse, infermiere, impiegate, medichesse, poliziotte, assistenti sociali, avvocatesse e su su in una schiera interminabile fino alle deputatesse e alle ministro di stato.

          «La sa far de tuto» fate dire con orgoglio a Lunardo a proposito della figlia Lucietta. E intendete: calza, rammendi, ricamini, pietanzette, suonatine.

         Oggi il lavoro della donna si estende a tutte le forme, anche a quelle che nei vostri tempi erano riservate ai soli uomini; oggi trovate le donne nelle competizioni politiche, nelle gare sportive e, spesso, in atteggiamento forte e scanzonato, che sdegna, o finge di sdegnare, ogni manifestazione esterna di sentimento. Sotto, magari, il cuore sogna e piange come quello delle vostre Rosaure, Marine, Luciette e Colombine, ma fuori c'è per lo più la maschera dell'indifferenza.  

 

         A questo punto chiederete: «Ma tutto questo lo giudicate un bene o un male? ».

         In sé è bene, caro Goldoni; il male, semmai, risiede nel deterioramento in peggio dell'ambiente in cui le donne oggi si muovono e che insidia fortemente le loro sane convinzioni e la loro vita religiosa e morale. Il 26 luglio - ad esempio - i quotidiani italiani riferivano: ieri in una conferenza stampa, la deputatessa N., propugnando la liberalizzazione dell'aborto, ha dichiarato: «Il diritto a vivere la propria sessualita è oggi limitato dal senso del peccato... c'e il diritto della donna a vivere la propria sessualità non solo nell'ambito di una famiglia e in vista di una famiglia».

        Caro Goldoni, Voi non siete stato quel che dicono un «bigotto», avete parlato poco di Dio e avete sparso perfino qualche pizzico d'ironia su certo clero; avvocato-drammaturgo, avete conosciuto il mondo e la vita. E quale vita! quella dei teatranti, della Venezia Settecento, della Corte di Luigi XVI.

          Alla famiglia però, all'amore e fedelta coniugale, alla dignità della donna - nonostante la in-nata vostra galanteria e la confessata attrattiva verso il «bel sesso» - ci credevate. La vostra «putta onorata»; la «buona madre», la «figlia obbediente», la stessa «vedova scaltra» (scaltra sì, ma in vista di un onesto secondo matrimonio) sarebbero arrossite, ascoltando la deputatessa succitata.

          Era inaudito al vostro tempo che l'esercizio di una sessualità femminile extrafamiliare venisse reclamato come diritto a nome di tutte le donne, sotto gli occhi di tutti, senza veli e reticenze. Inaudito anche che il peccato passasse come pura invenzione del «potere» per fare rigar diritta la gente e togliere la libertà.

         Le donne del vostro tempo, anche se peccavano, ammettevano quasi tutte che,  fuori di noi, un Dio - a nostro e non a suo vantaggio - poteva mettere leggi alle azioni umane. Oggi? Mi do-mando quante donne consentono alle tesi della deputatessa. Spero che non siano numerose, ma non lo so: se fossero numerose, allora, più che un'avanzata del «femminismo», avremmo un crollo della femminilità e dell'umanità.

 

***

 

         Avete sentito la deputatessa: aborto liberalizzato e regolamentato per la promozione della donna.

        Ma sarà vera promozione? Inchieste di medici giapponesi, inglesi e ungheresi su aborti, pur eseguiti sotto il patrocinio della legge e in cliniche specializzate, rivelano che tali aborti sono sempre un trauma per la salute della donna, per i parti e i figli successivi. Psicologi e psichiatri, a loro volta, segnalano altre cattive conseguenze: queste, dicono, magari sonnecchiano abitualmente nel subcosciente della donna che ha abortito, ma riemergono in seguito in tempo di crisi.

        Non parliamo dell'aspetto morale: l'aborto, oltre che violare le leggi di Dio, va contro le aspirazioni più profonde della donna, turbandola fortemente.

        In molti casi poi l'aborto, più che la donna, libera in realtà il suo partner, marito o no, da noie e seccature, permettendogli di dare corso ai suoi desideri sessuali senza assumere i relativi doveri: è un retrocedere, più che un avanzare, della donna nei confronti dell'uomo.

 

***

 

        In materia di aborto, caro Goldoni, la deputatessa e le femministe hanno oggi dei potenti al-leati.

        «L'aborto regolamentato - dicono alcuni - è un male minore; impedirà gli aborti clandestini e la morte di parecchie giovani donne, vittime sinora delle "praticone"».

        Ma l'esperienza di altri paesi assicura che gli aborti clandestini non diminuiscono affatto col sopravvenire della legalizzazione, a meno che questa non permetta qualunque aborto. Il numero poi delle giovani vittime della clandestinità e spesso gonfiato a scopo di propaganda. «Posseggono l'aborto legalizzato altre nazioni civili; perché non l'Italia?» Ribatto: se legalizzare l'aborto è un errore, perché errare anche noi? una malattia importata da fuori in Italia, per il fatto che è importata, non diventa salute, ma infezione o epidemia.  

 

        In difesa dell'aborto comincia a correre un motivo anche piu specioso: «Importante, dicono, e la 12a  settimana.

        Sì, perché quello è il momento delle due vite del feto nel seno materno.

        La prima vita e umana, ancora vegeto-animale; la seconda è umanizzata, ma umanizzata a una condizione. A condizione, cioé, che i genitori, percepita appena la presenza del nuovo esserino, lo "chiamino a nascere", lo vogliano, lo riconoscano, intreccino con lui un legame di amore, conferen-dogli così il diritto ad esistere». E soggiungono: di solito, i genitori devono fare questa chiamata; se però (bruttissimo però) è in vista un motivo, i genitori possono, senza peccato, rifiutare il figlio ed espellerlo. Tutt'al più, ad evitare abusi, perché non si sia troppo facili a espellere, si dovranno sentire dei medici o dei magistrati prima di decidere.  

        Ahimé! caro Goldoni, quelle «due vite» esistono soltanto nella testa di alcuni teologi: fuori delle teste, nel seno della madre, in concreto, c'e una sola vita a lanciare il suo implorante appello ai genitori e alla società. Si suppone che spetti ai genitori, dopo  la famosa 12e settimana, creare dei diritti nella creatura. E' vero il contrario: è la creatura, fin dall'inizio del suo sviluppo, che pone dei doveri nei genitori.

        E oltre la creatura c'e Dio, che ha intimato: «Non ammazzare!». «La vita - ha scritto  il  Concilio Vaticano II - dev'essere protetta con la massima cura fin dal momento della concezione: l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti» (GS., n. 51).

 

***

 

        Caro Goldoni, ci sarebbero altri «femminismi» poco delicati da segnalare, ma lasciamoli lì. Auguro, invece, che le donne possano realizzare conquiste nuove, ma giuste ed elevanti, a sviluppo di quanto il Signore ha rivelato circa la vera grandezza della donna.

        Un aiuto, caro Goldoni, lo potrebbero recare le vostre commedie, così piene di buon senso, popolate di fanciulle che trepidano in attesa della vita coniugale, di spose che desiderano sì una vita piu lieta ed hanno sì dei difetti, ma che sono oneste, attente ai propri doveri e gelose della propria virtù.

        Alcune femministe trovano invece tutto questo antiquato e sorpassato, tentando di gabbare come «schiavitù imposte dal maschio» perfino alcune leggi di Dio. Vuol dire che esse stanno scegliendo modelli di vita non cristiani.

        Se dovessimo raccomandarle a una santa, questa potrebbe essere Vilgefortis dal nome strano e dalle vicende piu strane ancora.

        Nata infatti in Portogallo da genitori pagani e battezzata a loro insaputa, essa - secondo la leggenda - aveva fatto voto di verginita. Promessa da suo padre in matrimonio a un re di Sicilia, chiese ed ottenne dal Signore un miracolo e cioé una folta e orrida barba, che di fatto spuntò sul suo virgineo mento. Le nozze naturalmente caddero; la vergine fu libera dallo sposo, anche se poi martirizzata dal padre.

        Il riferimento è senza  malizia: scherzosamente si può dire, tuttavia, che una santa barbuta, liberata da un marito, ci vorrebbe proprio per le femministe, che partono con propositi feroci contro i barbuti uomini.

        Dopo «La vedova scaltra», «La donna di garbo», «Le massere», «Le morbinose», «La gutta onorata», «Il cavaliere e la dama», «Le femmine puntigliose», «I pettegolezzi delle donne», «La moglie saggia», «La castalda», «La sposa persiana», «Donne de casa soa» e tante altre,  «La donna barbuta» darebbe all'immenso quadro femminile goldoniano l'ultimo personaggio!

 

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* CARLO GOLDONI, celebre commediografo veneziano (1707-1793). Dapprima avvocato, abbandonò poi la professione per dedicarsi al teatro. La sua opera comprende oltre 120 commedie (La locandiera, La famiglia dell'antiquario, I rusteghi, Il campiello, Le baruffe chiozzotte...), le autobiografiche Memorie, scritte in francese. Innovatore del teatro, realizzò un felice equilibrio di moralismo e realismo, di magia narrativa e analisi sociale della nascente borghesia mercantile.

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