ESORTAZIONE APOSTOLICA POSTSINODALE
INDICE Introduzione [1] Perché la nostra gioia sia perfetta [2] PRIMA PARTE Dio nel dialogo [6] La risposta
dell’uomo al Dio che parla Chiamati ad entrare nell’Alleanza con Dio
[22] L’ermeneutica
della sacra scrittura nella Chiesa
SECONDA PARTE
Liturgia luogo
privilegiato della parola di Dio
La Parola di Dio
nella vita ecclesiale Incontrare la Parola di Dio nella sacra
Scrittura [72] TERZA PARTE La missione
della Chiesa: annunciare la Parola di Dio
Parola di Dio e
impegno nel mondo Servire Gesù nei suoi «fratelli più piccoli» (Mt
25,41) [99] Il valore della cultura per la vita dell’uomo
[109] Parola di Dio e
dialogo interreligioso Il valore del dialogo interreligioso [117] La parola definitiva di Dio [121] Perché la
nostra gioia sia perfetta 2. Vorrei innanzitutto richiamare alla memoria la bellezza
ed il fascino del rinnovato incontro con il Signore Gesù sperimentato nei
giorni dell’Assemblea sinodale. Per questo, facendomi eco dei Padri, mi
rivolgo a tutti i fedeli con le parole di san Giovanni nella sua prima
lettera: «Vi annunciamo la vita eterna,
che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto
e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione
con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù
Cristo» (1Gv
1,2-3). L’Apostolo ci parla di un udire, vedere, toccare
e contemplare (cfr 1Gv 1,1) il Verbo della Vita, poiché la Vita
stessa si è manifestata in Cristo. E noi, chiamati alla comunione con Dio e
tra noi, dobbiamo essere annunciatori di tale dono. In questa prospettiva
kerigmatica, l’Assemblea sinodale è stata una testimonianza alla Chiesa e al
mondo di quanto sia bello l’incontro con la Parola di Dio nella comunione
ecclesiale. Pertanto, esorto tutti i fedeli a riscoprire l’incontro personale
e comunitario con Cristo, Verbo della Vita che si è reso visibile, e a farsi
suoi annunciatori perché il dono della vita divina, la comunione, si dilati
sempre più in tutto il mondo. Infatti, partecipare alla vita di Dio, Trinità
d’Amore, è gioia piena (cfr 1Gv 1,4). Ed è dono e compito
imprescindibile della Chiesa comunicare la gioia che viene dall’incontro con
la Persona di Cristo, Parola di Dio presente in mezzo a noi. In un mondo che
spesso sente Dio come superfluo o estraneo, noi confessiamo come Pietro che
solo Lui ha «parole di vita eterna»
(Gv 6,68). Non esiste priorità
più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio
che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza (cfr Gv
10,10). Dalla «Dei
Verbum» al Sinodo sulla Parola di Dio 3. Con È a tutti noto il
grande impulso che Il Sinodo dei
Vescovi sulla Parola di Dio 4. Nella XII Assemblea
sinodale, Pastori provenienti da tutto il mondo si sono riuniti
intorno alla Parola di Dio e hanno simbolicamente messo al centro
dell’Assemblea il testo della Bibbia per riscoprire ciò che nel quotidiano
rischiamo di dare per scontato: il fatto che Dio parli e risponda alle
nostre domande. Insieme abbiamo ascoltato e celebrato Così abbiamo potuto
constatare con gioia e gratitudine che «nella
Chiesa c’è una Pentecoste anche oggi – cioè che essa parla in molte lingue e
questo non soltanto nel senso esteriore dell’essere rappresentate in essa
tutte le grandi lingue del mondo, ma ancora di più in senso più profondo: in
essa sono presenti i molteplici modi dell’esperienza di Dio e del mondo, la
ricchezza delle culture, e solo così appare la vastità dell’esistenza umana
e, a partire da essa, la vastità della Parola di Dio». Inoltre, abbiamo potuto constatare anche una Pentecoste ancora
in cammino; vari popoli attendono ancora che sia annunciata Come non ricordare
poi che durante tutto il Sinodo ci ha accompagnato la testimonianza
dell’apostolo Paolo! È stato provvidenziale, infatti, che Il Prologo del
Vangelo di Giovanni come guida 5. Mediante questa Esortazione apostolica desidero che le acquisizioni del Sinodo
influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa: sul personale rapporto
con le sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella liturgia e nella
catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché VERBUM DEI «In principio era il Verbo, Dio in
dialogo 6. La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto
che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. La Costituzione dogmatica Dei Verbum
aveva esposto questa realtà riconoscendo che «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici
e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé». Ma non avremmo ancora compreso a sufficienza il messaggio del
Prologo di san Giovanni se ci fermassimo alla constatazione che Dio si
comunica amorevolmente a noi. In realtà il Verbo di Dio, mediante il quale «tutto è stato fatto» (Gv 1,3)
e che si «fece carne» (Gv
1,14), è il medesimo che sta «in principio» (Gv 1,1).
Se qui avvertiamo un’allusione all’inizio del libro della Genesi (cfr Gen
1,1), in realtà siamo posti di fronte ad un principio di carattere
assoluto e che ci narra la vita intima di Dio. Il Prologo giovanneo ci pone
di fronte al fatto che il Logos è realmente da sempre, e da
sempre egli stesso è Dio. Dunque, non c’è mai stato in Dio un tempo in
cui non ci fosse il Logos. Il Verbo preesiste alla creazione.
Pertanto, nel cuore della vita divina c’è la comunione, c’è il dono assoluto.
«Dio è amore» (1Gv 4,16), dirà altrove lo stesso Apostolo,
indicando con ciò «l’immagine cristiana
di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino». Dio si fa conoscere a noi come mistero di amore infinito in cui
il Padre dall’eternità esprime la sua Parola nello Spirito Santo. Perciò il
Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel
dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso.
Pertanto, fatti ad immagine e somiglianza di Dio amore, possiamo comprendere
noi stessi solo nell’accoglienza del Verbo e nella docilità all’opera dello
Spirito Santo. È alla luce della Rivelazione operata dal Verbo divino che si
chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana. Analogia della
Parola di Dio 7. Da queste considerazioni che scaturiscono dalla
meditazione sul mistero cristiano espresso nel Prologo di Giovanni è
necessario ora rilevare quanto è stato affermato dai Padri sinodali in
relazione alle diverse modalità con cui noi utilizziamo l’espressione «Parola
di Dio». Si è giustamente parlato di una sinfonia
della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: «un canto a più voci». I Padri sinodali hanno parlato a questo proposito di un uso
analogico del linguaggio umano in riferimento alla Parola di Dio. In effetti,
questa espressione, se da una parte riguarda la comunicazione che Dio fa di
se stesso, dall’altra assume significati diversi che vanno attentamente
considerati e relazionati fra loro, sia dal punto di vista della riflessione
teologica che dell’uso pastorale. Come ci mostra in modo chiaro il Prologo di
Giovanni, il Logos indica originariamente il Verbo eterno, ossia il
Figlio unigenito, generato dal Padre prima di tutti i secoli e a Lui
consustanziale: il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. Ma questo
stesso Verbo, afferma san Giovanni, si «fece
carne» (Gv 1,14); pertanto Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, è
realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a noi. Dunque l’espressione
«Parola di Dio» viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno
Figlio del Padre, fatto uomo. Inoltre, se al centro
della Rivelazione divina c’è l’evento di Cristo, occorre anche riconoscere
che la stessa creazione, il liber naturae, è anche essenzialmente
parte di questa sinfonia a più voci in cui l’unico Verbo si esprime. Allo
stesso modo confessiamo che Dio ha comunicato la sua Parola nella storia
della salvezza, ha fatto udire la sua voce; con la potenza del suo Spirito «ha parlato per mezzo dei profeti». La divina Parola, pertanto, si esprime lungo tutta la storia
della salvezza ed ha la sua pienezza nel mistero dell’incarnazione, morte e
risurrezione del Figlio di Dio. E ancora, Parola di Dio è quella predicata
dagli Apostoli, in obbedienza al comando di Gesù Risorto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il
Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Pertanto, Come hanno affermato
i Padri sinodali, realmente ci troviamo di fronte ad un uso analogico dell’espressione «Parola di Dio», di cui
dobbiamo essere consapevoli. Occorre pertanto che i fedeli vengano
maggiormente educati a cogliere i suoi diversi significati e a comprenderne
il senso unitario. Anche dal punto di vista teologico è necessario che si
approfondisca l’articolazione dei differenti significati di questa
espressione perché risplenda meglio l’unità del piano divino e la centralità
in esso della persona di Cristo. Dimensione
cosmica della Parola 8. Consapevoli del significato fondamentale della Parola
di Dio in riferimento all’eterno Verbo di Dio fatto carne, unico salvatore e
mediatore tra Dio e l’uomo, ed in ascolto di questa Parola, siamo condotti dalla
rivelazione biblica a riconoscere che essa è il fondamento di tutta la
realtà. Il Prologo di san Giovanni afferma, in riferimento al Logos
divino, che «tutto è stato fatto per
mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv
1,3); anche nella Lettera ai Colossesi si afferma in riferimento a
Cristo, «primogenito di tutta la
creazione» (1,15), che «tutte le
cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (1,16). E
l’autore della Lettera agli Ebrei ricorda che «per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di
Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3). Questo annuncio è per
noi una parola liberante. Infatti, le
affermazioni scritturistiche indicano che tutto ciò che esiste non è frutto
di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio, è dentro il suo disegno, al
cui centro sta l’offerta di partecipare alla vita divina in Cristo. Il creato
nasce dal Logos e porta in modo indelebile la traccia della Ragione
creatrice che ordina e guida. Di questa certezza gioiosa cantano i salmi:
«Dalla parola del Signore furono fatti
i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6);
ed ancora: «egli parlò e tutto fu
creato, comandò e tutto fu compiuto» (Sal 33,9). L’intera realtà
esprime questo mistero: «I cieli
narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento»
(Sal 19,2). Per questo è la stessa sacra Scrittura che ci invita a
conoscere il Creatore osservando il creato (cfr Sap 13,5; Rm
1,19-20). La tradizione del pensiero cristiano ha saputo approfondire questo
elemento-chiave della sinfonia della Parola, quando, ad esempio, san
Bonaventura, che insieme alla grande tradizione dei Padri greci vede tutte le
possibilità della creazione nel Logos, afferma che «ogni
creatura è parola di Dio, poiché proclama Dio». La Costituzione dogmatica Dei Verbum
aveva sintetizzato questo dato dichiarando che «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo
(cfr Gv 1,3), offre agli uomini
nelle cose create una perenne testimonianza di sé». La creazione
dell’uomo 9. La realtà, dunque, nasce dalla Parola come creatura
Verbi e tutto è chiamato a servire Il realismo
della Parola 10. Chi conosce la divina Parola conosce pienamente anche
il significato di ogni creatura. Se tutte le cose, infatti, «sussistono» in
Colui che è «prima di tutte le cose»
(cfr Col 1,17), allora chi costruisce la propria vita sulla sua Parola
edifica veramente in modo solido e duraturo. Cristologia
della Parola 11. Da questo sguardo alla realtà come opera della
santissima Trinità, mediante il Verbo divino, possiamo comprendere le parole
dell’autore della Lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva
parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha
parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e
mediante il quale ha fatto anche il mondo» (1,1-2). È molto bello osservare come già tutto l’Antico
Testamento si presenti a noi come storia nella quale Dio comunica la sua
Parola: infatti, «mediante l’alleanza
stretta con Abramo (cfr Gen 15,18), e per mezzo di Mosè col popolo d’Israele (cfr Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in atti, al
popolo che così s’era acquistato, come l’unico Dio vivo e vero, in modo tale
che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e,
parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre
maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza
alle genti (cfr Sal 21,28-29; 95,1-3; Is 2,1-4; Ger
3,17)». Questa condiscendenza
di Dio si compie in modo insuperabile nell’incarnazione del Verbo. 12. La tradizione patristica e medievale, nel contemplare
questa «Cristologia della Parola», ha utilizzato un’espressione suggestiva: il
Verbo si è abbreviato. «I Padri della Chiesa,
nella loro traduzione greca dell’Antico Testamento, trovavano una parola del
profeta Isaia, che anche san Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio
fossero già preannunciate nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: “Dio ha reso
breve la sua Parola, l’ha abbreviata” (Is 10,23; Rm 9,28) … Il Figlio stesso è Seguendo il racconto
dei Vangeli, notiamo come la stessa umanità di Gesù si mostri in tutta la sua
singolarità proprio in riferimento alla Parola di Dio. Egli, infatti,
realizza nella sua perfetta umanità la volontà del Padre istante per istante;
Gesù ascolta la sua voce e vi obbedisce con tutto se stesso; egli conosce il
Padre e osserva la sua parola (cfr Gv 8,55); racconta a noi le cose
del Padre (cfr Gv 12,50); «le
parole che hai dato a me io le ho date a loro» (Gv 17,8). Pertanto
Gesù mostra di essere il Logos divino che si dona a noi, ma anche il
nuovo Adamo, l’uomo vero, colui che compie in ogni istante non la propria
volontà ma quella del Padre. Egli «cresceva
in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).
In modo perfetto, ascolta, realizza in sé e comunica a noi La missione di Gesù
trova infine il suo compimento nel Mistero Pasquale: qui siamo posti di
fronte alla «Parola della croce» (1Cor
1,18). Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è «detto»
fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare.
Suggestivamente i Padri della Chiesa, contemplando questo mistero, mettono
sulle labbra della Madre di Dio questa espressione: «È senza parola In questo grande
mistero Gesù si manifesta come Nel mistero
luminosissimo della risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta
nel suo significato autentico e definitivo. Cristo, Parola di Dio incarnata,
crocifissa e risorta, è Signore di tutte le cose; egli è il Vincitore, il Pantocrator,
e tutte le cose sono così ricapitolate per sempre in Lui (cfr Ef
1,10). Cristo, dunque, è «la luce del
mondo» (Gv 8,12), quella luce che «splende nelle tenebre» (Gv 1,5) e che le tenebre non
hanno vinto (cfr Gv 1,5). Qui comprendiamo pienamente il significato
del Salmo 119: «lampada per i
miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (v. 105); 13. Giunti, per così dire, al cuore della «Cristologia
della Parola», è importante sottolineare l’unità del disegno divino nel Verbo
incarnato: per questo il Nuovo Testamento ci presenta il Mistero Pasquale in
accordo con le sacre Scritture, come loro intimo compimento. San Paolo, nella
Prima Lettera ai Corinzi, afferma che Gesù Cristo morì per i nostri
peccati «secondo le Scritture»
(15,3) e che è risorto il terzo giorno «secondo
le Scritture» (15,4). Con ciò l’Apostolo pone l’evento della morte e
risurrezione del Signore in relazione alla storia dell’Antica Alleanza di Dio
con il suo popolo. Anzi, ci fa capire che tale storia riceve da esso la sua
logica ed il suo vero significato. Nel Mistero Pasquale si compiono «le parole della Scrittura, cioè, questa
morte realizzata “secondo le
Scritture” è un avvenimento che porta in sé un logos, una logica: la morte di Cristo testimonia che Richiamando questi
elementi essenziali della nostra fede, possiamo così contemplare la profonda
unità tra creazione e nuova creazione e di tutta la storia della salvezza in
Cristo. Esprimendoci con un’immagine, possiamo paragonare il cosmo ad un
«libro» – così diceva anche Galileo Galilei –, considerandolo come «l’opera di un Autore che si esprime
mediante la “sinfonia” del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a
un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un “assolo”, un
tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che
da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo “assolo” è Gesù… Il
Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore,
la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si
uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera». Dimensione
escatologica della Parola di Dio 14. Con tutto ciò Di conseguenza, il
Sinodo ha raccomandato di «aiutare i
fedeli a distinguere bene 15. Dopo esserci soffermati sulla Parola ultima e
definitiva di Dio al mondo, è necessario richiamare ora la missione dello
Spirito Santo in relazione alla divina Parola. Infatti, non v’è alcuna
comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell’azione
del Paraclito. Ciò dipende dal fatto che la comunicazione che Dio fa di se
stesso implica sempre la relazione tra il Figlio e lo Spirito Santo, che
Ireneo di Lione, infatti, chiama «le
due mani del Padre». Del resto, è la sacra Scrittura a indicarci la presenza
dello Spirito Santo nella storia della salvezza ed in particolare nella vita
di Gesù, il quale è concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito
Santo (cfr Mt 1,18; Lc 1,35); all’inizio della sua missione
pubblica, sulle rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in forma di colomba
(cfr Mt 3,16); in questo stesso Spirito Gesù agisce, parla ed esulta
(cfr Lc 10,21); ed è nello Spirito che egli offre se stesso (cfr Eb
9,14). Sul finire della sua missione, secondo il racconto
dell’Evangelista Giovanni, è Gesù stesso a mettere in chiara relazione il
dono della sua vita con l’invio dello Spirito ai suoi (cfr Gv 16,7).
Gesù risorto, poi, portando nella sua carne i segni della passione, effonde
lo Spirito (cfr Gv 20,22), rendendo i suoi partecipi della sua stessa
missione (cfr Gv 20,21). Lo Spirito Santo insegnerà ai discepoli ogni
cosa e ricorderà loro tutto ciò che Cristo ha detto (cfr Gv 14,26),
poiché sarà Lui, lo Spirito di Verità (cfr Gv 15,26), a condurre i
discepoli alla Verità tutta intera (cfr Gv 16,13). Infine, come si
legge negli Atti degli Apostoli, lo Spirito discende sui Dodici
radunati in preghiera con Maria nel giorno di Pentecoste (cfr 2,1-4), e li
anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la Buona Novella. 16. Consapevoli di quest’orizzonte pneumatologico, i Padri
sinodali hanno voluto richiamare l’importanza dell’azione dello Spirito Santo
nella vita della Chiesa e nel cuore dei credenti in relazione alla sacra
Scrittura: senza l’azione efficace dello «Spirito della Verità» (Gv 14,16) non è dato di
comprendere le parole del Signore. Come ricorda ancora sant’Ireneo: «Quelli che non partecipano dello Spirito
non attingono nel petto della loro madre ( I grandi scrittori
della tradizione cristiana sono unanimi nel considerare il ruolo dello
Spirito Santo nel rapporto che i credenti devono avere con le Scritture. San
Giovanni Crisostomo afferma che Vorrei sottolineare
ancora quanto sia significativa la testimonianza che troviamo riguardo alla
relazione tra lo Spirito Santo e Tradizione e
Scrittura 17. Riaffermando il profondo legame tra lo Spirito Santo e Il Concilio
Vaticano II ricorda, inoltre, come questa Tradizione di origine
apostolica sia realtà viva e dinamica: essa «progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo»;
non nel senso che essa muti nella sua verità, che è perenne. Piuttosto «cresce … la comprensione, tanto delle
cose quanto delle parole trasmesse», con la contemplazione e lo studio,
con l’intelligenza data da una più profonda esperienza spirituale, e per
mezzo della «predicazione di coloro i
quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di
verità». La viva Tradizione è
essenziale affinché 18. Da questo si evince come sia importante che il Popolo
di Dio sia educato e formato in modo chiaro ad accostarsi alle sacre
Scritture in relazione alla viva Tradizione della Chiesa, riconoscendo in
esse In definitiva,
mediante l’opera dello Spirito Santo e sotto la guida del Magistero, Sacra
Scrittura, ispirazione e verità 19. Un concetto chiave per cogliere il testo sacro come
Parola di Dio in parole umane è certamente quello dell’ispirazione.
Anche qui ci è possibile suggerire un’analogia:
come il Verbo di Dio si è fatto carne
per opera dello Spirito Santo nel
grembo della Vergine Maria, così la sacra
Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per opera del medesimo Spirito.
La sacra Scrittura è «Parola di Dio in
quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio». In tal modo si riconosce tutta l’importanza dell’autore umano
che ha scritto i testi ispirati e, al medesimo tempo, Dio stesso come vero
autore. Come hanno affermato
i Padri sinodali, appare in tutta evidenza quanto il tema dell’ispirazione
sia decisivo per l’adeguato accostamento alle Scritture e per la loro
corretta ermeneutica, la quale a sua volta deve essere fatta nello stesso Spirito in
cui è stata scritta. Quando si affievolisce in noi la consapevolezza
dell’ispirazione, si rischia di leggere Inoltre, i Padri
sinodali hanno messo in evidenza come al tema dell’ispirazione sia connesso
anche il tema della verità delle Scritture. Per questo, un approfondimento della dinamica dell’ispirazione
porterà indubbiamente anche ad una maggior comprensione della verità
contenuta nei libri sacri. Come afferma la dottrina conciliare sul tema, i
libri ispirati insegnano la verità: «Poiché
dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da
ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza,
che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore
la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre
Lettere. Infatti, “tutta Certamente la riflessione
teologica ha sempre considerato ispirazione e verità come due concetti chiave
per un’ermeneutica ecclesiale delle sacre Scritture. Tuttavia, si deve
riconoscere l’odierna necessità di un approfondimento adeguato di queste
realtà, così da poter rispondere meglio alle esigenze riguardanti
l’interpretazione dei testi sacri secondo la loro natura. In tale prospettiva
formulo il vivo auspicio che la ricerca in questo campo possa progredire e
porti frutto per la scienza biblica e per la vita spirituale dei fedeli. Dio Padre,
fonte e origine della Parola 20. L’economia della Rivelazione ha il suo inizio e la sua
origine in Dio Padre. Dalla sua parola «furono
fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera» (Sal
33,6). È Lui che fa «risplendere la
conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2Cor 4,6; cfr
Mt 16,17; Lc 9,29). Nel Figlio, «Logos fatto carne» (cfr Gv
1,14), venuto a compiere la volontà di Colui che l’ha mandato (cfr Gv
4,34), Dio fonte della Rivelazione si manifesta come Padre e porta a
compimento l’educazione divina dell’uomo, già in precedenza animata dalle
parole dei profeti e dalle meraviglie operate nella creazione e nella storia
del suo popolo e di tutti gli uomini. Il culmine della Rivelazione di Dio
Padre è offerto dal Figlio con il dono del Paraclito (cfr Gv 14,16),
Spirito del Padre e del Figlio, che ci «guida
a tutta la verità» (Gv 16,13). È così che tutte le
promesse di Dio diventano «sì» in Gesù Cristo (cfr 2Cor 1,20). In tale
modo si apre per l’uomo la possibilità di percorrere la via che lo conduce al
Padre (cfr Gv 14,6), perché alla fine «Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28). 21. Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per
mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza
dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di
Dio, Parola incarnata. Appeso al legno della croce, ha lamentato il dolore
causatoGli da tale silenzio: «Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27,46).
Procedendo nell’obbedienza fino all’estremo alito di vita, nell’oscurità
della morte, Gesù ha invocato il Padre. A Lui si è affidato nel momento del
passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Questa esperienza di
Gesù è indicativa della situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e
riconosciuto La
risposta dell’uomo al Dio che parla Chiamati ad
entrare nell’Alleanza con Dio 22. Sottolineando la pluriformità della Parola, abbiamo
potuto contemplare attraverso quante modalità Dio parli e venga incontro
all’uomo, facendosi conoscere nel dialogo. Certo, come hanno affermato i
Padri sinodali, «il dialogo quando è
riferito alla Rivelazione comporta il primato della Parola di Dio
rivolta all’uomo». Il mistero dell’Alleanza esprime questa relazione tra Dio che
chiama con la sua Parola e l’uomo che risponde, nella chiara consapevolezza
che non si tratta di un incontro tra due contraenti alla pari; ciò che noi
chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è un atto di intesa tra due parti
uguali, ma puro dono di Dio. Mediante questo dono del suo amore Egli,
superando ogni distanza, ci rende veramente suoi «partner», così da
realizzare il mistero nuziale dell’amore tra Cristo e Dio ascolta
l’uomo e risponde alle sue domande Dialogare con
Dio mediante le sue parole 24. La divina Parola introduce ciascuno di noi al colloquio
con il Signore: il Dio che parla ci insegna come noi possiamo parlare con
Lui. Il pensiero va spontaneamente al Libro dei Salmi, nel quale Egli
ci dà le parole con cui possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita nel
colloquio davanti a Lui, trasformando così la vita stessa in un movimento
verso Dio. Nei Salmi infatti troviamo tutta la gamma articolata di
sentimenti che l’uomo può provare nella propria esistenza e che vengono posti
con sapienza davanti a Dio; gioia e dolore, angoscia e speranza, timore e
trepidazione trovano qui espressione. Insieme ai Salmi pensiamo anche ai
numerosi altri testi della sacra Scrittura che esprimono il rivolgersi
dell’uomo a Dio nella forma della preghiera di intercessione (cfr Es
33,12-16), del canto di giubilo per la vittoria (cfr Es 15), o di
lamento nello svolgimento della propria missione (cfr Ger 20,7-18). In
tal modo la parola che l’uomo rivolge a Dio diventa anch’essa Parola di Dio,
a conferma del carattere dialogico di tutta 25. «A Dio che si
rivela è dovuta “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26; cfr Rm
1,5; 2 Cor 10,5-6), con la quale
l’uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente prestando “il pieno
ossequio dell’intelletto e della volontà a Dio che rivela” e assentendo
volontariamente alla Rivelazione che egli fa». Con queste parole Il peccato come
non ascolto della Parola di Dio 26. Maria «Mater Verbi
Dei» e «Mater fidei» 27. I Padri sinodali hanno dichiarato che scopo
fondamentale della XII Assemblea
è stato di «rinnovare la fede della
Chiesa nella Parola di Dio»; per questo è necessario guardare là dove la
reciprocità tra Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente, ossia a
Maria Vergine, «che con il suo sì alla
Parola d’Alleanza e alla sua missione, compie perfettamente la vocazione
divina dell’umanità». La realtà umana, creata per mezzo del Verbo, trova la sua figura
compiuta proprio nella fede obbediente di Maria. Ella dall’Annunciazione alla
Pentecoste si presenta a noi come donna totalmente disponibile alla volontà
di Dio. È l’Immacolata Concezione, colei che è «colmata di grazia» da Dio (cfr Lc 1,28), docile in modo
incondizionato alla Parola divina (cfr Lc 1,38). La sua fede
obbediente plasma la sua esistenza in ogni istante di fronte all’iniziativa
di Dio. Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la divina Parola;
serba nel suo cuore gli eventi del suo Figlio, componendoli come in un unico
mosaico (cfr Lc 2,19.51). È necessario nel
nostro tempo che i fedeli vengano introdotti a scoprire meglio il legame tra
Maria di Nazareth e l’ascolto credente della divina Parola. Esorto anche gli
studiosi ad approfondire maggiormente il rapporto tra mariologia e
teologia della Parola. Da ciò potrà venire grande beneficio sia per la
vita spirituale che per gli studi teologici e biblici. Infatti, quanto
l’intelligenza della fede ha tematizzato in relazione a Maria si colloca nel
centro più intimo della verità cristiana. In realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere
dalla libertà di questa giovane donna
che con il suo assenso coopera in modo decisivo all’ingresso dell’Eterno nel
tempo. Ella è la figura della Chiesa
in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne. Maria è anche simbolo
dell’apertura per Dio e per gli altri; ascolto attivo, che interiorizza,
assimila, in cui Inoltre, il
riferimento alla Madre di Dio ci mostra come l’agire di Dio nel mondo
coinvolga sempre la nostra libertà perché nella fede Contemplando nella
Madre di Dio un’esistenza totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo
anche noi chiamati ad entrare nel mistero della fede, mediante la quale
Cristo viene a dimorare nella nostra vita. Ogni cristiano che crede, ci
ricorda sant’Ambrogio, in un certo senso, concepisce e genera il Verbo di Dio
in se stesso: se c’è una sola Madre di Cristo secondo la carne, secondo la
fede, invece, Cristo è il frutto di tutti. Dunque, quanto è accaduto a Maria può riaccadere in ciascuno di
noi ogni giorno nell’ascolto della Parola e nella celebrazione dei
Sacramenti. L’ermeneutica della sacra
Scrittura nella Chiesa 29. Un altro grande tema emerso durante il Sinodo, sul
quale intendo ora richiamare l’attenzione, è l’interpretazione della sacra
Scrittura nella Chiesa. Proprio il legame
intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che l’autentica ermeneutica
della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di
Maria il suo paradigma. San Bonaventura afferma a questo proposito che senza
la fede non c’è chiave di accesso al testo sacro: «Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da
una fonte, la sicurezza e l’intelligenza di tutta la sacra Scrittura. Perciò
è impossibile che uno possa addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la
fede infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche fondamento di tutta la
Scrittura». E san Tommaso d’Aquino, menzionando sant’Agostino, insiste con
forza: «Anche la lettera del vangelo
uccide se manca l’interiore grazia della fede che sana». Questo ci permette di
richiamare un criterio fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo
originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa.
Questa affermazione non indica il riferimento ecclesiale come un criterio
estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà
stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo. Infatti, «le tradizioni di fede formavano
l’ambiente vitale in cui si è inserita l’attività letteraria degli autori
della sacra Scrittura. Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione
alla vita liturgica e all’attività esterna delle comunità, al loro mondo
spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico.
L’interpretazione della sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la
partecipazione degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della
comunità credente del loro tempo». Di conseguenza, «dovendo
la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito
mediante il quale è stata scritta», occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo di Dio
si accostino ad essa per ciò che realmente è, quale Parola di Dio che si
comunica a noi attraverso parole umane (cfr 1Tes 2,13). Questo è un
dato costante ed implicito nella Bibbia stessa: «nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione,
poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito
Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2Pt 1,20-21). Del
resto, è proprio la fede della Chiesa che riconosce nella Bibbia 30. San Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli
leggere Approcci al testo
sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti,
soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale
tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente
incompiuto. Infatti, come è stato affermato dalla Pontificia Commissione
Biblica, facendo eco ad un principio condiviso nell’ermeneutica moderna, «la giusta conoscenza del testo biblico è
accessibile solo a colui che ha un’affinità vissuta con ciò di cui parla il
testo». Tutto questo mette in rilievo la relazione tra la vita spirituale e l’ermeneutica della Scrittura.
Infatti, «con la crescita della vita
nello Spirito cresce anche, nel lettore, la comprensione delle realtà di cui
parla il testo biblico». L’intensità di un’autentica esperienza ecclesiale non può che
incrementare un’intelligenza della fede autentica riguardo alla Parola di
Dio; reciprocamente si deve dire che leggere nella fede le Scritture fa
crescere la stessa vita ecclesiale. Da qui possiamo cogliere in modo nuovo la
nota affermazione di san Gregorio Magno: «le
parole divine crescono insieme con chi le legge». In questo modo l’ascolto della Parola di Dio introduce ed
incrementa la comunione ecclesiale con quanti camminano nella fede. «L’anima della
sacra Teologia» 31. «Sia dunque lo
studio delle Sacre Pagine come l’anima della Sacra Teologia»: questa espressione della Costituzione dogmatica Dei Verbum
ci è diventata in questi anni sempre più familiare. Possiamo dire che l’epoca
successiva al Concilio
Vaticano II, per quanto riguarda gli studi teologici ed esegetici,
ha fatto frequente riferimento a quest’espressione come simbolo del rinnovato
interesse per la sacra Scrittura. Anche Sviluppo della
ricerca biblica e Magistero ecclesiale 32. Innanzitutto è necessario riconoscere il beneficio
derivato nella vita della Chiesa dall’esegesi storico-critica e dagli altri
metodi di analisi del testo sviluppati nei tempi recenti. Per la visione cattolica della sacra Scrittura l’attenzione a
questi metodi è imprescindibile ed è legata al realismo dell’incarnazione: «Questa necessità è la conseguenza del
principio cristiano formulato nel Vangelo secondo Giovanni 1, 14: Verbum caro factum est. Il fatto
storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della
salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con
i metodi della seria ricerca storica». Pertanto, lo studio della Bibbia esige la conoscenza e l’uso
appropriato di questi metodi di indagine. Se è vero che questa sensibilità
nell’ambito degli studi si è sviluppata più intensamente nell’epoca moderna,
benché non dappertutto in modo uguale, tuttavia, nella sana tradizione
ecclesiale, vi è sempre stato amore per lo studio della «lettera». Basti qui
ricordare la cultura monastica, cui dobbiamo ultimamente il fondamento della
cultura europea, alla cui radice sta l’interesse per la parola. Il desiderio
di Dio include l’amore per la parola in tutte le sue dimensioni: «poiché nella Parola biblica Dio è in
cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel
segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di
esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti
le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua». 33. Il Magistero vivo della Chiesa, al quale spetta «d’interpretare autenticamente L’ermeneutica
biblica conciliare: un’indicazione da recepire 34. Dato questo orizzonte, si possono apprezzare
maggiormente i grandi principi dell’interpretazione propri dell’esegesi
cattolica espressi dal Concilio
Vaticano II, particolarmente nella Costituzione dogmatica Dei Verbum:
«Poiché Dio nella sacra Scrittura ha
parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra
Scrittura, per capir bene ciò che Egli ha voluto comunicarci, deve ricercare
con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è
piaciuto manifestare con le loro parole». Da una parte il Concilio sottolinea come elementi fondamentali
per cogliere il significato inteso dall’agiografo lo studio dei generi
letterari e la contestualizzazione. Dall’altra, dovendo I Padri sinodali
hanno affermato giustamente che il frutto positivo apportato dall’uso della
ricerca storico-critica moderna è innegabile. Tuttavia, mentre l’attuale
esegesi accademica, anche cattolica, lavora ad alto livello per quanto
riguarda la metodologia storico-critica, anche con le sue più recenti
integrazioni, è doveroso esigere un analogo studio della dimensione teologica
dei testi biblici, affinché progredisca l’approfondimento secondo i tre
elementi indicati dalla Costituzione dogmatica Dei Verbum. Il pericolo del
dualismo e l’ermeneutica secolarizzata a) Innanzitutto, se l’attività esegetica si riduce solo al
primo livello, allora la stessa Scrittura diviene un testo solo del
passato: «Si possono trarre da esso
conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla
solo del passato e l’esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura
storiografia, storia della letteratura». È chiaro che in una tale riduzione non si può in alcun modo
comprendere l’evento della Rivelazione di Dio mediante la sua Parola che si
trasmette a noi nella viva Tradizione e nella Scrittura. b) La mancanza di un’ermeneutica della fede nei confronti
della Scrittura non si configura poi unicamente nei termini di un’assenza; al
suo posto inevitabilmente subentra un’altra ermeneutica, un’ermeneutica
secolarizzata, positivista, la cui chiave
fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana.
Secondo questa ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, lo
si deve spiegare in altro modo e ridurre tutto all’elemento umano. Di
conseguenza, si propongono interpretazioni
che negano la storicità degli elementi divini. c) Una tale posizione non può che produrre danno alla vita
della Chiesa, stendendo un dubbio su misteri fondamentali del cristianesimo e
sul loro valore storico, come ad esempio l’istituzione
dell’Eucaristia e la risurrezione di Cristo. Così, infatti, si impone
un’ermeneutica filosofica che nega la possibilità dell’ingresso e della
presenza del Divino nella storia. L’assunzione di tale ermeneutica
all’interno degli studi teologici introduce inevitabilmente un pesante dualismo tra l’esegesi, che si
attesta unicamente sul primo livello, e la teologia, che si apre alla
deriva di una spiritualizzazione del senso delle Scritture non rispettosa del
carattere storico della Rivelazione. Tutto ciò non può che
risultare negativo anche per la vita spirituale e l’attività pastorale; «la conseguenza dell’assenza del secondo
livello metodologico è che si è creato un profondo fossato tra esegesi
scientifica e lectio divina. Proprio
di qui scaturisce a volte una forma di perplessità anche nella preparazione
delle omelie». Si deve inoltre segnalare che tale dualismo produce a volte
incertezza e poca solidità nel cammino formativo intellettuale anche di
alcuni candidati ai ministeri ecclesiali. In definitiva, «dove
l’esegesi non è teologia, Fede e ragione
nell’approccio alla Scrittura 36. Credo possa costituire un contributo ad una più
completa comprensione dell’esegesi e, dunque, del suo rapporto con l’intera
teologia quanto scritto dal Papa Giovanni Paolo
II nell’Enciclica Fides et ratio
a questo riguardo. Infatti egli affermava che non è da sottovalutare «il pericolo insito nel voler derivare la
verità della sacra Scrittura dall’applicazione di una sola metodologia,
dimenticando la necessità di una esegesi più ampia che consenta di accedere,
insieme con tutta Questa riflessione
lungimirante ci permette di osservare come nell’approccio ermeneutico alla
sacra Scrittura si giochi inevitabilmente il corretto rapporto tra fede e
ragione. Infatti, l’ermeneutica secolarizzata della sacra Scrittura è posta
in atto da una ragione che strutturalmente vuole precludersi la possibilità
che Dio entri nella vita degli uomini e che parli agli uomini in parole
umane. Anche in questo caso, pertanto, è necessario invitare ad allargare
gli spazi della propria razionalità. Per questo nell’utilizzazione dei metodi di analisi storica si
dovrà evitare di assumere, là dove si presentano, criteri che
pregiudizialmente si chiudono alla rivelazione di Dio nella vita degli
uomini. L’unità dei due livelli del lavoro interpretativo della sacra
Scrittura presuppone, in definitiva, un’armonia tra la fede e la ragione.
Da una parte, occorre una fede che mantenendo un adeguato rapporto con la retta ragione non degeneri mai in fideismo, il
quale nei confronti della Scrittura diverrebbe fautore di letture
fondamentaliste. Dall’altra parte,
è necessaria una ragione che
indagando gli elementi storici presenti nella Bibbia si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede
la propria misura. D’altronde, la religione del Logos incarnato
non potrà che mostrarsi profondamente ragionevole all’uomo che sinceramente
cerca la verità e il senso ultimo della propria vita e della storia. Senso letterale
e senso spirituale 37. Un significativo contributo al recupero di un’adeguata
ermeneutica della Scrittura, come è stato affermato nell’Assemblea sinodale,
proviene anche da un rinnovato ascolto
dei Padri della Chiesa e del loro approccio esegetico. In effetti, i Padri della Chiesa ci mostrano ancora oggi una
teologia di grande valore perché nel suo centro sta lo studio della sacra
Scrittura nella sua integralità. Infatti, i Padri sono in primo luogo ed
essenzialmente dei «commentatori della
sacra Scrittura». Il loro esempio può «insegnare
agli esegeti moderni un approccio veramente religioso della sacra Scrittura,
come anche un’interpretazione che s’attiene costantemente al criterio di
comunione con l’esperienza della Chiesa, la quale cammina attraverso la
storia sotto la guida dello Spirito Santo». Pur non conoscendo,
ovviamente, le risorse di ordine filologico e storico che sono a disposizione
dell’esegesi moderna, la tradizione patristica e medioevale sapeva
riconoscere i diversi sensi della Scrittura ad iniziare da quello letterale,
quello, cioè, «significato dalle parole
della Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della
retta interpretazione». Ad esempio, san Tommaso d’Aquino afferma: «tutti i sensi della sacra Scrittura si
basano su quello letterale». Bisogna, però, ricordare che al tempo patristico e medioevale
ogni forma di esegesi, anche quella letterale, veniva fatta sulla base della
fede e non vi era necessariamente distinzione tra senso letterale e senso
spirituale. Si ricordi a questo proposito il classico distico che
rappresenta la relazione tra i diversi sensi della Scrittura: «Littera gesta
docet, quid credas allegoria, Moralis quid agas, quo tendas anagogia. La
lettera insegna i fatti, l’allegoria che cosa credere, Il senso morale che
cosa fare, e l’anagogia dove tendere». Qui notiamo l’unità e
l’articolazione tra senso letterale e senso spirituale, il
quale a sua volta si suddivide in tre sensi, con cui vengono descritti i
contenuti della fede, della morale e della tensione escatologica. In definitiva,
riconoscendo il valore e la necessità, pur con i suoi limiti, del metodo
storico-critico, dall’esegesi patristica impariamo che «si è fedeli all’intenzionalità dei testi biblici solo nella misura
in cui si cerca di ritrovare, nel cuore della loro formulazione, la realtà di
fede che essi esprimono e se si collega questa realtà con l’esperienza
credente del nostro mondo». Solo in questa prospettiva si può riconoscere che Il necessario
trascendimento della «lettera» 38. Nel recupero dell’articolazione tra i diversi sensi
scritturistici diventa allora decisivo cogliere il passaggio tra lettera e
spirito. Non si tratta di un
passaggio automatico e spontaneo; occorre piuttosto un trascendimento
della lettera: « L’unità
intrinseca della Bibbia 39. Alla scuola della grande tradizione della Chiesa
impariamo a cogliere nel passaggio dalla lettera allo spirito anche l’unità
di tutta Il rapporto tra
Antico e Nuovo Testamento 40. Nella prospettiva dell’unità delle Scritture in Cristo,
è necessario sia per i teologi che per i Pastori essere consapevoli delle relazioni
tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Innanzitutto è evidente che il Nuovo
Testamento stesso riconosce l’Antico Testamento come Parola di Dio e
pertanto accoglie l’autorità delle sacre Scritture del popolo ebraico. Le riconosce implicitamente adoperando lo stesso linguaggio e
accennando spesso a brani di queste Scritture. Le riconosce esplicitamente,
perché ne cita molte parti e se ne serve per argomentare. Un’argomentazione
basata sui testi dell’Antico Testamento costituisce così, nel Nuovo
Testamento, un valore decisivo, superiore a quello di ragionamenti
semplicemente umani. Nel quarto Vangelo Gesù dichiara in proposito che « Inoltre, il Nuovo
Testamento stesso si afferma conforme all’Antico e proclama che nel mistero
della vita, morte e risurrezione di Cristo le sacre Scritture del popolo
ebraico hanno trovato il loro perfetto adempimento. Bisogna però osservare
che il concetto di adempimento delle
Scritture è complesso, perché comporta
una triplice dimensione: un aspetto fondamentale di continuità con la rivelazione dell’Antico Testamento, un
aspetto di rottura e un
aspetto di compimento e superamento.
Il mistero di Cristo sta in continuità d’intenzione con il culto sacrificale
dell’Antico Testamento; si è attuato però in modo molto differente, che
corrisponde a parecchi oracoli dei profeti, e ha raggiunto così una perfezione
mai ottenuta prima. L’Antico Testamento, infatti, è pieno di tensioni tra i
suoi aspetti istituzionali e i suoi aspetti profetici. Il mistero pasquale di
Cristo è pienamente conforme – in un modo però che era imprevedibile – alle
profezie e all’aspetto prefigurativo delle Scritture; tuttavia, presenta
evidenti aspetti di discontinuità rispetto alle istituzioni dell’Antico
Testamento. 41. Queste considerazioni mostrano così l’importanza
insostituibile dell’Antico Testamento per i cristiani, ma nello stesso tempo
evidenziano l’originalità della lettura cristologica. Fin dai tempi
apostolici e poi nella Tradizione viva, «Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e l’Antico è
manifesto nel Nuovo», così si esprimeva con acuta saggezza
sant’Agostino su questo tema. È importante, dunque, che sia nella pastorale
che nell’ambito accademico venga messa bene in evidenza la relazione intima
tra i due Testamenti, ricordando con san Gregorio Magno che quanto «l’Antico Testamento ha promesso, il Nuovo
Testamento l’ha fatto vedere; ciò che quello annunzia in maniera occulta,
questo proclama apertamente come presente. Perciò l’Antico Testamento è
profezia del Nuovo Testamento; e il miglior commento dell’Antico Testamento è
il Nuovo Testamento». Le pagine
«oscure» della Bibbia 42. Nel contesto della relazione tra Antico e Nuovo
Testamento, il Sinodo ha affrontato anche il tema delle pagine della Bibbia,
che risultano oscure e difficili per la violenza e le immoralità in esse
talvolta contenute. In relazione a ciò si deve tenere presente innanzitutto
che la rivelazione biblica è profondamente radicata nella storia. Il
disegno di Dio vi si manifesta progressivamente e si attua lentamente
attraverso tappe successive, malgrado la resistenza degli uomini. Dio
sceglie un popolo e ne opera pazientemente l’educazione. La rivelazione si
adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi
fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti,
sterminio di popolazioni, senza denunciarne esplicitamente l’immoralità; il
che si spiega dal contesto storico, ma può sorprendere il lettore moderno,
soprattutto quando si dimenticano i tanti comportamenti «oscuri» che gli
uomini hanno avuto sempre lungo i secoli, anche ai nostri giorni. Nell’Antico
Testamento, la predicazione dei profeti si erge vigorosamente contro ogni
tipo d’ingiustizia e di violenza, collettiva o individuale, ed è così lo
strumento dell’educazione data da Dio al suo popolo in preparazione al
Vangelo. Pertanto, sarebbe sbagliato non considerare quei brani della
Scrittura che ci appaiono problematici. Piuttosto, si deve essere consapevoli
che la lettura di queste pagine richiede l’acquisizione di un’adeguata
competenza, mediante una formazione che legga i testi nel loro contesto
storico-letterario e nella prospettiva cristiana, che ha come chiave
ermeneutica ultima «il Vangelo è il
comandamento nuovo di Gesù Cristo compiuto nel mistero pasquale». Perciò esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare tutti i
fedeli ad accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia
scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo. Cristiani ed
ebrei in riferimento alle sacre Scritture 43. Considerando le strette relazioni che legano il Nuovo
Testamento all’Antico, viene spontaneo volgere ora l’attenzione al legame
peculiare che ne deriva tra cristiani ed ebrei, un legame che non dovrebbe
mai essere dimenticato. Agli ebrei, il Papa Giovanni Paolo
II ha dichiarato: siete i «nostri
“fratelli prediletti” nella fede di Abramo, nostro patriarca». Certo, queste affermazioni non significano misconoscimento
delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni
dell’Antico Testamento e meno ancora dell’adempimento delle Scritture nel
mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questa
differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca.
L’esempio di san Paolo (cfr. Rm 9-11) dimostra, al contrario, che «un atteggiamento di rispetto, di stima e
di amore per il popolo ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano in
questa situazione che fa misteriosamente parte del disegno, totalmente
positivo, di Dio». San Paolo, infatti, afferma che gli Ebrei «quanto alla scelta di Dio, essi sono
amati, a causa dei padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono
irrevocabili!» (Rm 11,28-29). Inoltre, san Paolo
usa la bella immagine dell’albero di olivo per descrivere le relazioni molto
strette tra cristiani ed ebrei: Desidero riaffermare
ancora una volta quanto prezioso sia per L’interpretazione
fondamentalista della sacra Scrittura 44. L’attenzione che abbiamo voluto dare finora al tema
dell’ermeneutica biblica nei suoi diversi aspetti ci permette di affrontare
l’argomento, più volte emerso nel dibattito sinodale, dell’interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura. Su questo tema Dialogo tra
Pastori, teologi ed esegeti 45. L’autentica ermeneutica della fede porta con sé alcune
conseguenze importanti nell’ambito dell’attività pastorale della Chiesa.
Proprio i Padri sinodali a questo proposito hanno raccomandato, ad esempio, un rapporto più assiduo tra Pastori,
esegeti e teologi. È bene che le Conferenze Episcopali favoriscano questi
incontri allo «scopo di promuovere una
maggiore comunione nel servizio alla Parola di Dio». Una tale cooperazione aiuterà tutti a svolgere meglio il
proprio lavoro a beneficio di tutta Bibbia ed ecumenismo 46. Nella consapevolezza che In questo lavoro di
studio e di preghiera riconosciamo con serenità anche quegli aspetti che
chiedono di essere approfonditi e che ci vedono ancora distanti, come ad
esempio la comprensione del soggetto autorevole dell’interpretazione nella
Chiesa ed il ruolo decisivo del Magistero. Vorrei sottolineare,
inoltre, quanto detto dai Padri sinodali circa l’importanza, in questo lavoro
ecumenico, delle traduzioni della Bibbia nelle diverse lingue.
Sappiamo infatti che tradurre un testo non è mero lavoro meccanico, ma è in
un certo senso parte del lavoro interpretativo. A questo proposito, il
Venerabile Giovanni Paolo II ha affermato: «Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in
Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole
passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni». Perciò la promozione delle traduzioni comuni della Bibbia è
parte del lavoro ecumenico. Desidero qui ringraziare tutti coloro che sono
impegnati in questo importante compito e incoraggiarli a proseguire nella
loro opera. Conseguenze
sull’impostazione degli studi teologici 47. Un’altra conseguenza derivante da un’adeguata
ermeneutica della fede riguarda la necessità di mostrarne le implicazioni
circa la formazione esegetica e teologica, in particolare per coloro che sono
candidati al sacerdozio. Si deve fare in modo che lo studio della sacra
Scrittura sia davvero l’anima della teologia in quanto in essa si riconosce In questa prospettiva
raccomando che lo studio della Parola di Dio, trasmessa e scritta, avvenga
sempre in profondo spirito ecclesiale, tenendo in debito conto, nella
formazione accademica, gli interventi su queste tematiche da parte del
Magistero, il quale «non è superiore
alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato
trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito
Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella
parola». Pertanto, si abbia cura che gli studi si svolgano nel
riconoscimento che «la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero
della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente
connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre». Auspico, pertanto, che, secondo l’insegnamento del Concilio
Vaticano II, lo studio della Sacra Scrittura, letta nella
comunione della Chiesa universale, sia realmente come l’anima dello studio
teologico. I Santi e
l’interpretazione della Scrittura 48. L’interpretazione della sacra Scrittura rimarrebbe
incompiuta se non si mettesse in ascolto anche di chi ha vissuto veramente
Non è certamente un
caso che le grandi spiritualità che hanno segnato la storia della Chiesa
siano sorte da un esplicito riferimento alla Scrittura. Penso ad esempio a
sant’Antonio Abate, mosso dall’ascolto delle parole di Cristo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi
quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni!
Seguimi!» (Mt 19,21). Non meno suggestivo è san Basilio Magno che nell’opera Moralia
si domanda: «Che cosa è proprio della
fede? Piena e indubbia certezza della verità delle parole ispirate da
Dio...che cosa è proprio del fedele? Il conformarsi con tale piena certezza
al significato delle parole della Scrittura, e non osare togliere o
aggiungere alcunché». San Benedetto, nella sua Regola, rimanda alla
Scrittura quale «norma rettissima per
la vita dell’uomo». San Francesco d’Assisi – scrive Tommaso da Celano – «udendo che i discepoli di Cristo non
devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane,
né bastone per via, né avere calzari, né due tuniche … subito, esultante di
Spirito Santo, esclamò: Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare
con tutto il cuore!». Santa Chiara d’Assisi ricalca appieno l’esperienza di san
Francesco: «La forma di vita
dell’Ordine delle Sorelle povere… è questo: osservare il santo Vangelo del
Signore nostro Gesù Cristo». San Domenico di Guzman, poi, «dovunque si manifestava come un uomo evangelico, nelle parole come
nelle opere» e tali voleva che fossero anche i suoi frati predicatori,
«uomini evangelici». Santa Teresa di Gesù, carmelitana, che nei suoi scritti
continuamente ricorre ad immagini bibliche per spiegare la sua esperienza
mistica, ricorda che Gesù stesso le rivela che «tutto il male del mondo deriva dal non conoscere chiaramente le
verità della sacra Scrittura». Santa Teresa di Gesù Bambino trova l’Amore come sua
vocazione personale nello scrutare le Scritture, in particolare i capitoli 12
e 13 della Prima Lettera ai Corinti; è la stessa Santa a descrivere il fascino delle Scritture: «Appena getto lo sguardo sul Vangelo,
subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre». Ogni santo costituisce come un raggio di luce che scaturisce
dalla Parola di Dio: così pensiamo inoltre a san Ignazio di Loyola nella sua
ricerca della verità e nel discernimento spirituale; san Giovanni Bosco nella
sua passione per l’educazione dei giovani; san Giovanni Maria Vianney nella
sua coscienza della grandezza del sacerdozio come dono e compito; san Pio da
Pietrelcina nel suo essere strumento della misericordia divina; san Josemaría
Escrivá nella sua predicazione sulla chiamata universale alla santità; la
beata Teresa di Calcutta, missionaria della Carità di Dio per gli ultimi;
fino ai martiri del nazismo e del comunismo, rappresentati, da una parte, da
santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), monaca carmelitana, e,
dall’altra, dal beato Luigi Stepinac, cardinale arcivescovo di Zagabria. 49. La santità in rapporto alla Parola di Dio si iscrive
così, in un certo modo, nella tradizione profetica, in cui Di questo legame tra Parola di Dio e santità
abbiamo avuto testimonianza diretta durante VERBUM IN
ECCLESIA «A quanti però
lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv
1,12) 50. Il Signore pronuncia la sua Parola perché venga accolta
da coloro che sono stati creati proprio «per mezzo» dello stesso Verbo. «Venne tra i suoi» (Gv 1,11): Contemporaneità
di Cristo nella vita della Chiesa 51. Il rapporto tra
Cristo, Parola del Padre, e Liturgia,
luogo privilegiato della Parola di Dio 52. Considerando Pertanto, occorre
comprendere e vivere il valore essenziale dell’azione liturgica per la
comprensione della Parola di Dio. In un certo senso, l’ermeneutica della
fede riguardo alla sacra Scrittura deve sempre avere come punto di
riferimento la liturgia, dove Qui appare anche la
sapiente pedagogia della Chiesa che proclama e ascolta la sacra Scrittura
seguendo il ritmo dell’anno liturgico. Questo distendersi della Parola di Dio
nel tempo avviene in particolare nella celebrazione eucaristica e nella
Liturgia delle Ore. Al centro di tutto risplende il Mistero Pasquale, al
quale si collegano tutti i misteri di Cristo e della storia della salvezza
che si attualizzano sacramentalmente: «Ricordando
in tal modo i misteri della redenzione, essa [ Sacra Scrittura
e Sacramenti 53. Affrontando il tema del valore della liturgia per la
comprensione della Parola di Dio, il Sinodo dei Vescovi ha voluto
sottolineare anche la relazione tra la
sacra Scrittura e l’azione sacramentale. È quanto mai opportuno
approfondire il legame tra Parola e Sacramento, sia nell’azione pastorale
della Chiesa che nella ricerca teologica. Certamente «la liturgia
della Parola è un elemento decisivo nella celebrazione di ciascun sacramento
della Chiesa»; tuttavia nella prassi pastorale non sempre i fedeli sono
consapevoli di questo legame e colgono l’unità tra il gesto e la parola. È «compito dei sacerdoti e dei diaconi,
soprattutto quando amministrano i sacramenti, mettere in luce l’unità che
Parola e Sacramento formano nel ministero della Chiesa». Infatti, nella relazione tra Parola e gesto sacramentale si
mostra in forma liturgica l’agire proprio di Dio nella storia mediante il carattere
performativo della Parola stessa. Nella storia della salvezza infatti non
c’è separazione tra ciò che Dio dice e opera; la sua stessa
Parola si presenta come viva ed efficace (cfr Eb 4,12), come del resto
lo stesso significato dell’espressione ebraica dabar indica. Al
medesimo modo, nell’azione liturgica siamo posti di fronte alla sua Parola
che realizza ciò che dice. Educando il Popolo di Dio a scoprire il carattere performativo della Parola di
Dio nella liturgia, lo si aiuta anche a cogliere l’agire di Dio nella storia
della salvezza e nella vicenda personale di ogni suo membro. Parola di Dio
ed Eucaristia 54. Quanto viene affermato in genere riguardo alla
relazione tra Parola e Sacramenti si approfondisce quando ci riferiamo alla
celebrazione eucaristica. Del resto, l’intima unità fra Parola ed Eucaristia
è radicata nella testimonianza scritturistica (cfr Gv 6; Lc 24),
attestata dai Padri della Chiesa e riaffermata dal Concilio
Vaticano II. A questo proposito pensiamo al grande discorso di Gesù sul pane
di vita nella sinagoga di Cafarnao (cfr Gv 6,22-69), che ha in
sottofondo il confronto tra Mosè e Gesù, tra colui che parlò faccia a faccia
con Dio (cfr Es 33,11) e colui che ha rivelato Dio (cfr Gv
1,18). Il discorso sul pane, infatti, richiama il dono di Dio, che Mosè ottenne
per il suo popolo con la manna nel deserto e che in realtà è Il racconto di Luca
sui discepoli di Emmaus ci permette un’ulteriore riflessione sul legame tra
l’ascolto della Parola e lo spezzare il pane (cfr Lc 24,13-35). Gesù
si fece loro incontro nel giorno dopo il sabato, ascoltò le espressioni della
loro speranza delusa e, diventando compagno di cammino, «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui»
(24,27). I due discepoli iniziano a guardare in un modo nuovo le Scritture
insieme a questo viandante che si manifesta così inaspettatamente familiare
alla loro vita. Ciò che è accaduto in quei giorni non appare più come
fallimento, ma come compimento e nuovo inizio. Tuttavia, anche queste parole
non sembrano ancora sufficienti ai due discepoli. Il Vangelo di Luca ci dice
che «si aprirono loro gli occhi e lo
riconobbero» (24,31) solo quando Gesù prese il pane, recitò la
benedizione, lo spezzò e lo diede loro, mentre prima «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (24,16). La presenza
di Gesù, dapprima con le parole, poi con il gesto di spezzare il pane, ha
reso possibile ai discepoli il riconoscerlo, ed essi possono risentire
in modo nuovo quanto avevano già vissuto precedentemente con Lui: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore
mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?» (24,32). 55. Da questi racconti emerge come La
sacramentalità della Parola 56. Con il richiamo al carattere performativo della Parola
di Dio nell’azione sacramentale e l’approfondimento della relazione tra
Parola ed Eucaristia, siamo portati ad inoltrarci in un tema significativo,
emerso durante l’Assemblea del Sinodo, riguardante la sacramentalità della
Parola. È utile a questo proposito ricordare che il Papa Giovanni Paolo
II aveva fatto riferimento «all’orizzonte
sacramentale della
Rivelazione e, in particolare, al segno eucaristico dove l’unità inscindibile
tra la realtà e il suo significato permette di cogliere la profondità del
mistero». Da qui comprendiamo che all’origine della sacramentalità della
Parola di Dio sta propriamente il mistero dell’incarnazione: «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), la realtà
del mistero rivelato si offre a noi nella «carne» del Figlio. La sacramentalità
della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di
Cristo sotto le specie del pane e del vino consacrati. Accostandoci all’altare e prendendo parte al banchetto
eucaristico noi comunichiamo realmente al corpo e al sangue di Cristo. La
proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione comporta il riconoscere
che sia Cristo stesso ad essere presente e a rivolgersi a noi per essere accolto. Sull’atteggiamento da avere sia nei
confronti dell’Eucaristia, che della Parola di Dio, san Girolamo afferma: «Noi leggiamo le sante Scritture. Io penso
che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il
suo insegnamento. E quando egli dice: Chi non mangerà la mia carne e berrà il mio sangue (Gv
6,53), benché queste parole si possano
intendere anche del Mistero [eucaristico], tuttavia il corpo di Cristo e il
suo sangue è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di Dio.
Quando ci rechiamo al Mistero [eucaristico], se ne cade una briciola, ci
sentiamo perduti. E quando stiamo ascoltando La sacra
Scrittura e il Lezionario 57. Sottolineando il nesso tra Parola ed Eucaristia, il
Sinodo ha voluto giustamente richiamare anche alcuni aspetti della
celebrazione inerenti al servizio della Parola. Vorrei fare riferimento
innanzitutto all’importanza del Lezionario. La riforma voluta dal Concilio
Vaticano II ha mostrato i suoi frutti arricchendo l’accesso alla sacra
Scrittura che viene offerta in abbondanza, soprattutto nelle liturgie
domenicali. L’attuale struttura, oltre a presentare frequentemente i testi
più importanti della Scrittura, favorisce la comprensione dell’unità del
piano divino, mediante la correlazione tra le letture dell’Antico e del Nuovo
Testamento, «incentrata in Cristo e nel
suo mistero pasquale». Talune difficoltà che permangono nel cogliere le relazioni
tra le letture dei due Testamenti devono essere considerate alla luce della
lettura canonica, ossia dell’unità intrinseca di tutta Inoltre, non dobbiamo
dimenticare che l’attuale Lezionario del rito latino ha anche un significato
ecumenico, in quanto viene utilizzato ed apprezzato anche da confessioni non
ancora in piena comunione con Proclamazione
della Parola e ministero del lettorato 58. Già nell’Assemblea sinodale sull’Eucaristia era stata
chiesta una maggior cura della proclamazione della Parola di Dio. Come è noto, mentre il Vangelo è proclamato dal sacerdote o dal
diacono, la prima e la seconda lettura nella tradizione latina vengono
proclamate dal lettore incaricato, uomo o donna. Vorrei qui farmi voce dei
Padri sinodali che anche in questa circostanza hanno sottolineato la
necessità di curare con una formazione adeguata l’esercizio del munus di lettore nella celebrazione
liturgica ed in modo particolare il ministero del lettorato, che, come
tale, nel rito latino, è ministero laicale. È necessario che i lettori
incaricati di tale ufficio, anche se non ne avessero ricevuta l’istituzione,
siano veramente idonei e preparati con impegno. Tale preparazione deve essere
sia biblica e liturgica, che tecnica: «La
formazione biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel
loro contesto e a cogliere il centro dell’annunzio rivelato alla luce della
fede. La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità
nel percepire il senso e la struttura della liturgia della Parola e le
motivazioni del rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia
eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i lettori sempre più idonei
all’arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto dei moderni
strumenti di amplificazione». L’importanza dell’omelia 59. «Diversi sono i
compiti e gli uffici che spettano a ciascuno riguardo alla Parola di Dio: ai
fedeli spetta l’ascoltarla e il meditarla; l’esporla invece spetta soltanto a
coloro che, in forza della sacra ordinazione, hanno il compito magisteriale,
o a coloro ai quali viene affidato l’esercizio di questo ministero», vale a dire
Vescovi, presbiteri e diaconi. Da qui si comprende l’attenzione che nel
Sinodo è stata data al tema
dell’omelia. Già nell’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis,
avevo ricordato che «in relazione
all’importanza della Parola di Dio si pone la necessità di migliorare la
qualità dell’omelia. Essa infatti “è parte dell’azione liturgica”; ha il
compito di favorire una più piena comprensione ed efficacia della Parola di
Dio nella vita dei fedeli». L’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio
scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la
presenza e l’efficacia della Parola di Dio nell’oggi della propria vita. Essa deve condurre alla comprensione del
mistero che si celebra, invitare alla missione, disponendo l’assemblea alla professione di fede, alla preghiera
universale e alla liturgia eucaristica. Di conseguenza, coloro che per
ministero specifico sono deputati alla predicazione abbiano veramente a cuore
questo compito. Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino
la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che
rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del
messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore
al predicatore è mostrare Cristo, che
deve essere al centro di ogni omelia. Per questo occorre che i
predicatori abbiano confidenza e contatto assiduo con il testo sacro; si preparino per l’omelia nella meditazione e nella preghiera,
affinché predichino con convinzione e passione. L’Assemblea sinodale ha
esortato che si tengano presenti le seguenti domande: «Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me
personalmente? Che cosa devo dire alla comunità, tenendo conto della sua
situazione concreta?». Il predicatore deve lasciarsi «interpellare per primo dalla Parola di Dio che annuncia», perché, come dice sant’Agostino: È indubbiamente senza frutto chi predica all’esterno la parola di Dio
e non ascolta nel suo intimo. Si curi con particolare attenzione l’omelia domenicale e nelle
solennità; ma non si trascuri anche durante la settimana nelle Messe cum
populo, quando possibile, di offrire brevi riflessioni, appropriate alla
situazione, per aiutare i fedeli ad accogliere e rendere feconda Opportunità di
un Direttorio omiletico 60. Predicare in modo adeguato in riferimento al Lezionario
è veramente un’arte che deve essere coltivata. Pertanto, in continuità con
quanto richiesto nel precedente Sinodo, chiedo alle autorità competenti che, in relazione al Compendio
eucaristico, si pensi anche a strumenti e sussidi adeguati per aiutare i ministri
a svolgere nel modo migliore il loro compito, come ad esempio un Direttorio
sull’omelia, cosicché i predicatori possano trovare in esso un aiuto utile
per prepararsi nell’esercizio del ministero. Come ci ricorda san Girolamo,
poi, la predicazione deve essere accompagnata dalla testimonianza della
propria vita: «Le tue azioni non
smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in
chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non
agisci così?”…Nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono
accordare». Parola di Dio,
Riconciliazione e Unzione degli infermi 61. Se al centro della relazione tra Parola di Dio e
Sacramenti sta indubbiamente l’Eucaristia, tuttavia è bene sottolineare
l’importanza della sacra Scrittura anche negli altri Sacramenti, in
particolare quelli di guarigione: ossia il sacramento della Riconciliazione o
della Penitenza, e il sacramento dell’Unzione degli infermi. Spesso il
riferimento alla sacra Scrittura in questi Sacramenti viene trascurato. È
necessario, invece, che ad essa venga dato lo spazio che le spetta. Infatti,
non si deve mai dimenticare che « Anche per quanto
riguarda il Sacramento dell’Unzione degli infermi, non si dimentichi che «la forza sanante della Parola di Dio è un
appello vivo ad una costante conversione personale nell’ascoltatore stesso». La sacra Scrittura contiene numerose pagine di conforto,
sostegno e guarigione dovuti all’intervento di Dio. In particolare si ricordi
la vicinanza di Gesù ai sofferenti e che Egli stesso, Verbo di Dio incarnato,
si è caricato dei nostri dolori ed ha patito per amore dell’uomo, donando
così senso alla malattia e al morire. È bene che nelle parrocchie e
soprattutto negli ospedali si celebri, secondo le circostanze, il Sacramento
degli infermi in forma comunitaria. Sia dato in queste occasioni ampio spazio
alla celebrazione della Parola e si aiutino i fedeli infermi a vivere con
fede la propria condizione di sofferenza, in unione al Sacrificio redentivo
di Cristo che ci libera dal male. Parola di Dio e
Liturgia delle Ore 62. Tra le forme di preghiera che esaltano la sacra
Scrittura si colloca indubbiamente Coloro che per il
proprio stato di vita sono tenuti alla recita della Liturgia delle Ore vivano
con fedeltà tale impegno a beneficio di tutta Il Sinodo ha espresso
il desiderio che si diffonda maggiormente nel Popolo di Dio questo tipo di
preghiera, specialmente la recita delle Lodi e dei Vespri. Tale incremento
non potrà che aumentare tra i fedeli la familiarità con Parola di Dio e
Benedizionale 63. Anche nell’uso del Benedizionale si presti attenzione
allo spazio previsto per la proclamazione, l’ascolto e la spiegazione della
Parola di Dio, mediante brevi ammonimenti. Infatti, il gesto della
benedizione, nei casi previsti dalla Chiesa e quando richiesto dai fedeli,
non è da isolare in se stesso, ma da rapportare nel grado proprio alla vita
liturgica del Popolo di Dio. In questo senso la benedizione, come vero segno
sacro, «attinge senso ed efficacia
dalla proclamazione della parola di Dio». Pertanto, è importante utilizzare anche queste circostanze per
riaccendere nei fedeli la fame e la sete di ogni parola che esce dalla bocca
di Dio (cfr Mt 4,4). Suggerimenti e
proposte concrete per l’animazione liturgica 64. Dopo aver richiamato alcuni elementi fondamentali della
relazione tra liturgia e Parola di Dio, desidero ora riassumere e valorizzare
alcune proposte e suggerimenti raccomandati dai Padri sinodali per favorire
nel Popolo di Dio una sempre maggiore familiarità con la Parola di Dio
nell’ambito delle azioni liturgiche o comunque ad esse riferite. a) Celebrazioni
della Parola di Dio 65. I Padri sinodali hanno esortato tutti i Pastori a
diffondere nelle comunità loro affidate i momenti di celebrazione della
Parola: sono occasioni privilegiate di incontro con il Signore. Per
questo, una tale prassi non può che portare grande giovamento nei fedeli ed è
da ritenersi elemento importante della pastorale liturgica. Queste
celebrazioni assumono particolare rilevanza in preparazione all’Eucaristia
domenicale, così che i credenti abbiano la possibilità di inoltrarsi
maggiormente nella ricchezza del Lezionario per meditare e pregare la sacra
Scrittura, soprattutto nei tempi liturgici forti, Avvento e Natale, Quaresima
e Pasqua. La celebrazione della Parola di Dio è poi fortemente raccomandata
in quelle comunità in cui, a causa della scarsità di sacerdoti, non è
possibile celebrare il Sacrificio eucaristico nei giorni di precetto festivo.
Tenendo conto delle indicazioni già espresse nell’Esortazione apostolica
postsinodale Sacramentum
caritatis circa le assemblee domenicali in attesa di
sacerdote, raccomando che siano formulati dalle competenti autorità dei
direttori rituali, valorizzando l’esperienza delle Chiese particolari. In tal
modo verranno favorite, in queste situazioni, celebrazioni della Parola che
nutrano la fede dei credenti, evitando, però, che esse vengano confuse con le
celebrazioni eucaristiche; «piuttosto
dovrebbero essere occasioni privilegiate di preghiera a Dio perché mandi
santi sacerdoti secondo il suo cuore». Inoltre, i Padri
sinodali hanno invitato a celebrare b) 66. Non pochi interventi dei Padri sinodali hanno insistito
sul valore del silenzio in relazione
alla Parola di Dio e alla sua ricezione nella vita dei fedeli. Infatti, la parola può essere pronunciata e udita solamente nel
silenzio, esteriore ed interiore. Il nostro tempo non favorisce il raccoglimento
e a volte si ha l’impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per
un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa. Per questo è
necessario oggi educare il Popolo di Dio al valore del silenzio. Riscoprire
la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa vuol dire anche
riscoprire il senso del raccoglimento e della quiete interiore. La grande
tradizione patristica ci insegna che i misteri di Cristo sono legati al
silenzio e solo in esso Questo valore risplenda
in particolare nella liturgia della Parola, che «deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione». Il silenzio, quando previsto, è da considerarsi «come parte della celebrazione». Pertanto, esorto i Pastori a incoraggiare i momenti di
raccoglimento, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, c) Proclamazione
solenne della Parola di Dio 67. Un altro suggerimento emerso dal Sinodo è stato di
solennizzare, soprattutto in ricorrenze liturgiche rilevanti, la
proclamazione della Parola, specialmente il Vangelo, utilizzando
l’Evangeliario, recato processionalmente durante i riti iniziali e poi
portato all’ambone dal diacono o da un sacerdote per la proclamazione. In tal
modo si aiuta il Popolo di Dio a riconoscere che «la lettura del Vangelo costituisce il culmine della stessa liturgia
della Parola». Seguendo le indicazioni contenute nell’Ordinamento delle
letture della Messa, è bene valorizzare la proclamazione della Parola di
Dio con il canto, in particolare il Vangelo, specie in determinate solennità.
Il saluto, l’annunzio iniziale: «Dal Vangelo...» e quello finale «Parola del
Signore» sarebbe bene proferirli in canto per sottolineare l’importanza di
ciò che viene letto. d) 68. Per favorire l’ascolto della Parola di Dio non si
devono trascurare quei mezzi che possono aiutare i fedeli ad una maggiore
attenzione. In questo senso è necessario che negli edifici sacri non si
trascuri mai l’acustica, nel rispetto delle norme liturgiche e
architettoniche. «I vescovi,
debitamente aiutati, abbiano cura nella costruzione delle chiese che queste
siano luoghi adeguati alla proclamazione della Parola, alla meditazione e
alla celebrazione eucaristica. Gli spazi sacri anche al di fuori dell’azione
liturgica siano eloquenti, presentando il mistero cristiano in relazione alla
Parola di Dio». Un’attenzione speciale va data all’ambone, come
luogo liturgico da cui viene proclamata I Padri sinodali,
inoltre, suggeriscono che nelle chiese vi sia un posto di riguardo in cui
collocare la sacra Scrittura anche al di fuori della celebrazione. È bene, infatti, che il libro che contiene e) Esclusività dei
testi biblici nella liturgia 69. Il Sinodo ha inoltre vivamente ribadito quanto,
peraltro, già stabilito dalla norma liturgica della Chiesa, che le letture tratte dalla sacra Scrittura non siano mai
sostituite con altri testi, per quanto significativi dal punto di vista
pastorale o spirituale: «nessun testo
di spiritualità o di letteratura può raggiungere il valore e la ricchezza
contenuta nella sacra Scrittura che è Parola di Dio». Si tratta di una disposizione antica della Chiesa che va
mantenuta. Di fronte ad alcuni abusi, già il Papa Giovanni Paolo
II aveva richiamato l’importanza di non sostituire mai la sacra
Scrittura con altre letture. Ricordiamo che anche il Salmo responsoriale è Parola di
Dio, con la quale rispondiamo alla voce del Signore e per questo non deve
essere sostituito da altri testi; mentre è assai opportuno poterlo eseguire
in forma cantata. f) Canto liturgico
biblicamente ispirato 70. Nell’ambito della valorizzazione della Parola di Dio
durante la celebrazione liturgica si tenga presente anche il canto nei
momenti previsti dal proprio rito, favorendo quello di chiara ispirazione
biblica che sappia esprimere, mediante l’accordo armonico delle parole e
della musica, la bellezza della Parola divina. In tal senso è bene
valorizzare quei canti che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato e che
rispettano questo criterio. Penso in particolare all’importanza del canto
gregoriano. g) Particolare
attenzione ai non vedenti e ai non udenti Incontrare 72. Se è vero che la liturgia è il luogo privilegiato per
la proclamazione, l’ascolto e la celebrazione della Parola di Dio, è
altrettanto vero che quest’incontro deve essere preparato nei cuori dei
fedeli e soprattutto da questi approfondito ed assimilato. Infatti, la vita
cristiana è caratterizzata essenzialmente dall’incontro con Gesù Cristo che
ci chiama a seguirlo. Per questo il Sinodo dei Vescovi ha più volte ribadito
l’importanza della pastorale nelle comunità cristiane come ambito proprio in
cui percorrere un itinerario personale e comunitario nei confronti della
Parola di Dio, così che questa sia veramente a fondamento della vita
spirituale. Insieme ai Padri sinodali esprimo il vivo desiderio affinché
fiorisca «una nuova stagione di più
grande amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i membri del Popolo di
Dio, cosicché dalla loro lettura orante e fedele nel tempo si approfondisca
il rapporto con la persona stessa di Gesù». Non mancano nella
storia della Chiesa raccomandazioni da parte dei Santi sulla necessità di
conoscere L’animazione
biblica della pastorale Esorto pertanto i
Pastori e i fedeli a tenere conto dell’importanza di questa animazione: sarà
anche il modo migliore per far fronte ad alcuni problemi pastorali emersi
durante l’Assemblea sinodale legati, ad esempio, alla proliferazione di
sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra
Scrittura. Là dove non si formano i fedeli ad una conoscenza della Bibbia
secondo la fede della Chiesa nell’alveo della sua Tradizione viva, di fatto
si lascia un vuoto pastorale in cui realtà come le sette possono trovare
terreno per mettere radici. Per questo è necessario anche provvedere ad una
preparazione adeguata dei sacerdoti e dei laici che possano istruire il
Popolo di Dio nel genuino approccio alle Scritture. Inoltre, come è stato
sottolineato durante i lavori sinodali, è bene che nell’attività pastorale si
favorisca anche la diffusione di piccole comunità, «formate da famiglie o radicate nelle
parrocchie o legate ai diversi movimenti ecclesiali e nuove comunità», in cui promuovere la formazione, la preghiera e la conoscenza
della Bibbia secondo la fede della Chiesa. Dimensione
biblica della catechesi 74. Un momento importante dell’animazione pastorale della
Chiesa in cui poter sapientemente riscoprire la centralità della Parola di
Dio è la catechesi, che nelle sue diverse forme e fasi deve sempre
accompagnare il Popolo di Dio. L’incontro dei discepoli di Emmaus con Gesù,
descritto dall’evangelista Luca (cfr Lc 24,13-35), rappresenta, in un
certo senso, il modello di una catechesi al cui centro sta la «spiegazione delle Scritture», che
solo Cristo è in grado di dare (cfr Lc 24,27-28), mostrando in se
stesso il loro compimento. In tal modo rinasce la speranza più forte di ogni sconfitta,
che fa di quei discepoli testimoni convinti e credibili del Risorto. Nel Direttorio
generale per la catechesi troviamo valide indicazioni per animare
biblicamente la catechesi e ad esse volentieri rimando. In questa circostanza desidero soprattutto sottolineare che la
catechesi «deve imbeversi e permearsi
del pensiero, dello spirito e degli atteggiamenti biblici ed evangelici
mediante un contatto assiduo con i testi medesimi; ma vuol dire, altresì,
ricordare che la catechesi sarà tanto più ricca ed efficace, quanto più
leggerà i testi con l’intelligenza ed il cuore della Chiesa», e quanto più s’ispirerà alla riflessione ed alla vita
bimillenaria della Chiesa stessa. Si deve incoraggiare quindi la conoscenza
delle figure, delle vicende e delle espressioni fondamentali del testo sacro;
per questo può giovare anche un’intelligente memorizzazione di alcuni
brani biblici particolarmente eloquenti dei misteri cristiani. L’attività
catechetica implica sempre l’accostare le Scritture nella fede e nella
Tradizione della Chiesa, così che quelle parole siano percepite come vive,
come vivo è Cristo oggi dove due o tre si riuniscono nel suo nome (cfr Mt
18,20). Essa deve comunicare in modo vitale la storia della salvezza ed i
contenuti della fede della Chiesa, affinché ogni fedele riconosca che a
quella storia appartiene anche la propria vicenda personale. In questa prospettiva
è importante sottolineare la relazione tra la sacra Scrittura e il Catechismo
della Chiesa Cattolica, come ha affermato il Direttorio
generale per la catechesi: «La
sacra Scrittura, infatti, come “parola di Dio messa per iscritto sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo”, e il Catechismo della Chiesa Cattolica,
in quanto rilevante espressione attuale della Tradizione viva della Chiesa, e
norma sicura per l’insegnamento della fede, sono chiamati, ciascuno a modo
proprio e secondo la sua specifica autorità, a fecondare la catechesi nella
Chiesa contemporanea». Formazione
biblica dei cristiani 75. Per raggiungere lo scopo auspicato dal Sinodo di un
maggiore carattere biblico di tutta la pastorale della Chiesa è necessario
che vi sia un’adeguata formazione dei cristiani e, in particolare, dei
catechisti. Al riguardo, occorre riservare attenzione all’apostolato
biblico, metodo assai valido per raggiungere tale finalità, come dimostra
l’esperienza ecclesiale. I Padri sinodali, inoltre, hanno raccomandato che,
possibilmente attraverso la valorizzazione di strutture accademiche già
esistenti, si stabiliscano centri di formazione per laici e per missionari,
in cui si impari a comprendere, vivere ed annunciare La sacra
Scrittura nei grandi raduni ecclesiali 76. Tra le molteplici iniziative che possono essere prese,
il Sinodo suggerisce che nei raduni, sia a livello diocesano che nazionale o
internazionale, venga maggiormente sottolineata l’importanza della Parola di
Dio, del suo ascolto e della lettura credente ed orante della Bibbia.
Pertanto, all’interno dei congressi eucaristici, nazionali ed internazionali,
delle giornate mondiali della gioventù e di altri incontri, si potrà lodevolmente
trovare maggiore spazio per celebrazioni della Parola e per momenti di
formazione di carattere biblico. Parola di Dio e
vocazioni 77. Il Sinodo, nel sottolineare l’esigenza intrinseca della
fede di approfondire il rapporto con Cristo, Parola di Dio tra noi, ha voluto
anche evidenziare il fatto che questa Parola chiama ciascuno in termini
personali, rivelando così che la vita stessa è vocazione in rapporto a
Dio. Questo vuol dire che quanto più approfondiamo il nostro personale
rapporto con il Signore Gesù, tanto più ci accorgiamo che Egli ci chiama alla
santità, mediante scelte definitive, con le quali la nostra vita risponde al
suo amore, assumendo compiti e ministeri per edificare a) Parola di Dio e
Ministri ordinati 78. Innanzitutto, rivolgendomi ora ai Ministri ordinati
della Chiesa ricordo loro quanto affermato dal Sinodo: « 79. Per coloro che sono chiamati all’episcopato, e
sono i primi e più autorevoli annunciatori della Parola, desidero ribadire
quanto è stato affermato dal Papa Giovanni Paolo
II nell’Esortazione apostolica postsinodale Pastores gregis.
Per nutrire e fare progredire la vita spirituale, il Vescovo deve sempre
porre «al primo posto, la lettura e la
meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà sempre affidarsi e sentirsi
affidato “al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di
edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati” (At
20,32). Prima, perciò, d’essere
trasmettitore della Parola, il Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti e come
ogni fedele, anzi come la stessa Chiesa, deve essere ascoltatore della
Parola. Egli dev’essere come “dentro” 80. Anche riguardo ai sacerdoti vorrei
richiamare le parole del Papa Giovanni Paolo
II, il quale nell’Esortazione apostolica postinodale Pastores dabo
vobis ha ricordato che «il sacerdote è, anzitutto, ministro
della Parola di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a tutti il
Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo all’obbedienza della fede e conducendo
i credenti ad una conoscenza e comunione sempre più profonde del mistero di
Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo. Per questo, il sacerdote stesso
per primo deve sviluppare una grande familiarità personale con In definitiva, la
chiamata al sacerdozio chiede di essere consacrati «nella verità».
Gesù stesso formula questa esigenza nei confronti dei suoi discepoli:
«Consacrali nella verità. La tua Parola è verità. Come tu hai mandato me nel
mondo, anche io ho mandato loro nel mondo» (Gv 17,17-18). I discepoli
vengono in un certo senso «tirati nell’intimo di Dio mediante l’essere
immersi nella Parola di Dio. 81. Vorrei riferirmi al posto della Parola di Dio anche
nella vita di coloro che sono chiamati al diaconato, non solo come
grado previo dell’ordine del presbiterato, ma come servizio permanente. Il
Direttorio per
il diaconato permanente afferma che «dall’identità teologica del diacono, scaturiscono con chiarezza i
lineamenti della sua specifica spiritualità, che si presenta essenzialmente
come spiritualità del servizio. Il modello per eccellenza è il Cristo servo,
vissuto totalmente al servizio di Dio, per il bene degli uomini». In questa prospettiva, si comprende come, nelle varie
dimensioni del ministero diaconale, un «elemento
caratterizzante la spiritualità diaconale è b) Parola di Dio e
candidati all’Ordine sacro 82. Il Sinodo ha dato particolare importanza al ruolo
decisivo della Parola di Dio nella vita spirituale dei candidati al
sacerdozio ministeriale: «I
candidati al sacerdozio devono imparare ad amare Questa attenzione
alla lettura orante della Scrittura non deve in alcun modo alimentare una
dicotomia rispetto allo studio esegetico richiesto nel tempo della
formazione. Il Sinodo ha raccomandato che i seminaristi siano aiutati
concretamente a vedere la relazione tra lo studio biblico e il pregare con
c) Parola di Dio e
vita consacrata Vorrei ricordare che
la grande tradizione monastica ha sempre avuto come fattore costitutivo della
propria spiritualità la meditazione della sacra Scrittura, in particolare
nella forma della lectio divina. Anche oggi, le realtà antiche e nuove
di speciale consacrazione sono chiamate ad essere vere scuole di vita
spirituale in cui leggere le Scritture secondo lo Spirito Santo nella Chiesa,
così che tutto il Popolo di Dio ne possa beneficiare. Il Sinodo, pertanto,
raccomanda che non manchi mai nelle comunità di vita consacrata una
formazione solida alla lettura credente della Bibbia. Desidero farmi ancora
eco dell’attenzione e della gratitudine che il Sinodo ha espresso per le
forme di vita contemplativa che per carisma specifico dedicano molto
tempo delle loro giornate ad imitare d) Parola di Dio e
fedeli laici 84. Ai fedeli laici il Sinodo ha rivolto molte volte
l’attenzione, ringraziandoli per il loro generoso impegno nella diffusione
del Vangelo nei vari ambiti della vita quotidiana, nel lavoro, nella scuola,
nella famiglia e nell’educazione. Tale compito, che deriva dal battesimo, deve potersi sviluppare
attraverso una vita cristiana sempre più consapevole e in grado di dare
«ragione della speranza» che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Gesù nel Vangelo
di Matteo indica che «il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del
Regno» (13,38). Queste parole valgono particolarmente per i laici cristiani,
i quali vivono la propria vocazione alla santità con un’esistenza secondo lo
Spirito che si esprime «in modo peculiare nel loro inserimento nelle
realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene». Essi hanno bisogno di essere formati a discernere la volontà di
Dio mediante una familiarità con e) Parola di Dio,
matrimonio e famiglia 85. Il Sinodo ha avvertito la necessità di sottolineare
anche il rapporto tra Parola di Dio, matrimonio e famiglia cristiana.
Infatti, «con l’annuncio della Parola di Dio, Dal grande mistero
nuziale, deriva una imprescindibile responsabilità dei genitori nei
confronti dei loro figli. Appartiene infatti all’autentica paternità e
maternità la comunicazione e la testimonianza del senso della vita in Cristo:
attraverso la fedeltà e l’unità della vita di famiglia gli sposi sono davanti
ai propri figli i primi annunciatori della Parola di Dio. La comunità
ecclesiale deve sostenerli ed aiutarli a sviluppare la preghiera in famiglia,
l’ascolto della Parola, la conoscenza della Bibbia. Per questo il Sinodo
auspica che ogni casa abbia la sua Bibbia e la custodisca in modo
dignitoso, così da poterla leggere e utilizzare per la preghiera. L’aiuto
necessario può essere fornito da sacerdoti, diaconi o da laici ben preparati.
Il Sinodo ha raccomandato anche la formazione di piccole comunità tra
famiglie in cui coltivare la preghiera e la meditazione in comune di brani
adatti delle Scritture. Gli sposi, poi, ricordino che « In questo contesto
desidero anche evidenziare quanto il Sinodo ha raccomandato riguardo al compito
delle donne in relazione alla Parola di Dio. Il contributo del «genio
femminile», come lo chiamava Papa Giovanni Paolo
II, alla conoscenza della Scrittura e all’intera vita della Chiesa,
è oggi più ampio che in passato e riguarda ormai anche il campo degli stessi
studi biblici. Il Sinodo si è soffermato in modo speciale sul ruolo
indispensabile delle donne nella famiglia, nell’educazione, nella catechesi e
nella trasmissione dei valori. Esse, infatti, «sanno suscitare l’ascolto
della Parola, la relazione personale con Dio e comunicare il senso del
perdono e della condivisione evangelica», come pure essere portatrici di amore, maestre di misericordia e
costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità in un mondo che
troppo spesso valuta le persone con freddi criteri di sfruttamento e
profitto. Lettura orante
della sacra Scrittura e «lectio divina» 86. Il Sinodo è tornato più volte ad insistere
sull’esigenza di un approccio orante al testo sacro come elemento
fondamentale della vita spirituale di ogni credente, nei diversi ministeri e
stati di vita, con particolare riferimento alla lectio divina. La Parola di Dio, infatti, sta alla base di ogni
autentica spiritualità cristiana. Con ciò i Padri sinodali si sono messi in
sintonia con quanto afferma Tuttavia, a tale
proposito, si deve evitare il rischio di un approccio individualistico,
tenendo presente che Per questo nella
lettura orante della sacra Scrittura il luogo privilegiato è la liturgia, in
particolare l’Eucaristia, nella quale, celebrando il Corpo e il Sangue
di Cristo nel Sacramento, si attualizza tra noi 87. Nei documenti che hanno preparato ed accompagnato il
Sinodo si è parlato di diversi metodi per accostare con frutto e nella fede
le sacre Scritture. Tuttavia l’attenzione maggiore è stata data alla lectio
divina, che è davvero «capace di schiudere al fedele il tesoro della
Parola di Dio, ma anche di creare l’incontro col Cristo, parola divina
vivente». Vorrei qui richiamare brevemente i suoi passi fondamentali:
essa si apre con la lettura (lectio) del testo, che provoca la domanda
circa una conoscenza autentica del suo contenuto: che cosa dice il testo
biblico in sé? Senza questo momento si rischia che il testo diventi solo
un pretesto per non uscire mai dai nostri pensieri. Segue, poi, la
meditazione (meditatio) nella quale l’interrogativo è: che cosa
dice il testo biblico a noi? Qui ciascuno personalmente, ma anche come
realtà comunitaria, deve lasciarsi toccare e mettere in discussione, poiché
non si tratta di considerare parole pronunciate nel passato, ma nel presente.
Si giunge successivamente al momento della preghiera (oratio) che
suppone la domanda: che cosa diciamo noi al Signore in risposta alla sua
Parola? La preghiera come richiesta, intercessione, ringraziamento e
lode, è il primo modo con cui Questi passaggi li
troviamo sintetizzati e riassunti in modo sommo nella figura della Madre di
Dio. Modello per ogni fedele di accoglienza docile della divina Parola, Ella
«custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19; cfr
2,51), sapeva trovare il nodo profondo che unisce eventi, atti e cose,
apparentemente disgiunti, nel grande disegno divino. Vorrei richiamare,
inoltre, quanto è stato raccomandato durante il Sinodo circa l’importanza
della lettura personale della Scrittura anche come pratica che prevede
la possibilità, secondo le abituali disposizioni della Chiesa, di acquistare
l’indulgenza per sé o per i defunti. La pratica dell’indulgenza implica la dottrina degli infiniti meriti di Cristo, che Parola di Dio e
preghiera mariana 88. Memore della relazione inscindibile tra Il Sinodo ha inoltre
raccomandato di promuovere tra i fedeli la recita della preghiera dell’Angelus
Domini. Si tratta di una preghiera semplice e profonda che ci permette di
fare «memoria quotidiana del Verbo Incarnato». È opportuno che il Popolo di Dio, le famiglie e le comunità di
persone consacrate siano fedeli a questa preghiera mariana, che la tradizione
ci invita a recitare all’aurora, a mezzogiorno e al tramonto. Nella preghiera
dell’Angelus Domini chiediamo a Dio che per intercessione di Maria sia
dato anche a noi di compiere, come Lei, la volontà di Dio e di accogliere in
noi la sua Parola. Questa pratica può aiutarci a rafforzare un autentico
amore al mistero dell’Incarnazione. Meritano di essere
conosciute, apprezzate e diffuse anche alcune antiche preghiere dell’Oriente
cristiano, che attraverso un riferimento alla Theotokos, alla Madre di
Dio, ripercorrono l’intera storia della salvezza. Ci riferiamo in particolare
all’Akathistos e alla Paraklesis. Si tratta di inni di lode
cantati in forma litanica, intrisi di fede ecclesiale e di riferimenti
biblici, che aiutano i fedeli a meditare insieme a Maria i misteri di Cristo.
In particolare, il venerabile inno alla Madre di Dio, detto Akathistos
– ossia cantato rimanendo in piedi -, rappresenta una tra le più alte espressioni
di pietà mariana della tradizione bizantina. Pregare con queste parole dilata l’anima e la dispone alla pace
che viene dall’alto, da Dio, a quella pace che è Cristo stesso, nato da Maria
per la nostra salvezza. Parola di Dio e
Terra Santa 89. Facendo memoria del Verbo di Dio che si fa carne nel
seno di Maria di Nazareth, il nostro cuore si volge ora a quella Terra in cui
si è compiuto il mistero della nostra redenzione e da cui La Terra Santa rimane
ancor oggi meta di pellegrinaggio del popolo cristiano, quale gesto di
preghiera e di penitenza, come testimoniano già nell’antichità autori come
san Girolamo. Più volgiamo lo sguardo e il cuore alla Gerusalemme terrena,
più si infiammano in noi il desiderio della Gerusalemme celeste, vera meta di
ogni pellegrinaggio, e la passione perché il nome di Gesù, nel quale solo c’è
salvezza, sia riconosciuto da tutti (cfr At 4,12). VERBUM MUNDO «Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio
unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv
1,18) La missione della Chiesa: annunciare 90. San Giovanni sottolinea con forza il paradosso
fondamentale della fede cristiana: da una parte, egli afferma che «Dio,
nessuno lo ha mai visto» (Gv 1,18; cfr 1Gv 4,12). In nessun
modo le nostre immagini, concetti o parole possono definire o misurare la
realtà infinita dell’Altissimo. Egli rimane il Deus semper maior.
Dall’altra parte, egli afferma che il Verbo realmente «si fece carne» (Gv
1,14). Il Figlio unigenito, che è rivolto verso il seno del Padre, ha
rivelato il Dio che «nessuno ha mai visto» (Gv 1,18). Gesù
Cristo viene a noi, «pieno di grazia e verità» (Gv 1,14), che per
mezzo di Lui sono donate a noi (cfr Gv 1,17); infatti, «dalla sua
pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16). In
tal modo l’evangelista Giovanni nel Prologo contempla il Verbo dal suo stare
presso Dio al suo farsi carne, fino al suo ritornare nel seno del Padre
portando con sé la nostra stessa umanità, che egli ha assunto per sempre. In
questo suo uscire dal Padre e tornare a Lui (cfr Gv 13,3; 16,28;
17,8.10) Egli si presenta a noi come il «Narratore» di Dio (cfr Gv
1,18). Il Figlio, infatti,
afferma sant’Ireneo di Lione, «è il Rivelatore del Padre». Gesù di Nazareth è, per così dire, l’«esegeta» di Dio che
«nessuno ha mai visto». «Egli è immagine del Dio invisibile» (Col
1,15). Si compie qui la profezia di Isaia riguardo all’efficacia della Parola
del Signore: come la pioggia e la neve scendono dal cielo per irrigare e far
germogliare la terra, così Annunciare al
mondo il «Logos» della Speranza 91. Il Verbo di Dio ci ha comunicato la vita divina che
trasfigura la faccia della terra, facendo nuove tutte le cose (cfr Ap
21,5). La sua Parola ci coinvolge non soltanto come destinatari della
Rivelazione divina, ma anche come suoi annunciatori. Egli, l’inviato
dal Padre a compiere la sua volontà (cfr Gv 5,36-38; 6,38-40;
7,16-18), ci attira a sé e ci coinvolge nella sua vita e missione. Lo Spirito
del Risorto abilita così la nostra vita all’annuncio efficace della Parola in
tutto il mondo. È l’esperienza della prima comunità cristiana, che vedeva il
diffondersi della Parola mediante la predicazione e la testimonianza (cfr At
6,7). Vorrei qui riferirmi in particolare alla vita dell’apostolo Paolo, un
uomo afferrato completamente dal Signore (cfr Fil 3,12) – «non vivo
più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20) – e dalla sua missione: «guai
a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16), consapevole che quanto
è rivelato in Cristo è realmente la salvezza di tutte le genti, la
liberazione dalla schiavitù del peccato per entrare nella libertà dei figli
di Dio. In effetti, ciò che Dalla Parola di
Dio la missione della Chiesa 92. Il Sinodo dei Vescovi ha ribadito con forza la
necessità di rinvigorire nella Chiesa la coscienza missionaria, presente nel
Popolo di Dio fin dalla sua origine. I primi cristiani hanno considerato il
loro annuncio missionario come una necessità derivante dalla natura stessa
della fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero
che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con
ciò la risposta che tutti gli uomini, nel loro intimo, attendono. Le prime
comunità cristiane hanno sentito che la loro fede non apparteneva ad una
consuetudine culturale particolare, che è diversa a seconda dei popoli, ma
all’ambito della verità, che riguarda ugualmente tutti gli uomini . È ancora san Paolo
che con la sua vita ci illustra il senso della missione cristiana e la sua
originaria universalità. Pensiamo all’episodio narrato dagli Atti degli
Apostoli circa l’Areòpago di Atene (cfr 17,16-34). L’Apostolo delle genti
entra in dialogo con uomini di culture diverse, nella consapevolezza che il
mistero di Dio, Noto-Ignoto, di cui ogni uomo ha una percezione per quanto
confusa, si è realmente rivelato nella storia: «Colui che, senza conoscerlo,
voi adorate, io ve lo annuncio» (At 17,23). Infatti, la novità
dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire a tutti i popoli: «Egli si è
mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La
novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto:
Egli si è rivelato». 93. Pertanto, la missione della Chiesa non
può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita
ecclesiale. Si tratta di lasciare che lo Spirito Santo ci assimili a Cristo
stesso, partecipando così alla sua stessa missione: «Come il Padre ha mandato
me, anch’io mando voi» (Gv 20,21), in modo da comunicare È necessario, dunque,
riscoprire sempre più l’urgenza e la bellezza di annunciare Tutti i
battezzati responsabili dell’annuncio 94. Poiché tutto il Popolo di Dio è un popolo «inviato», il
Sinodo ha ribadito che «la missione di annunciare Vescovi e sacerdoti secondo la missione loro propria sono
chiamati per primi ad una esistenza afferrata dal servizio della Parola, ad
annunciare il Vangelo, a celebrare i Sacramenti e a formare i fedeli alla
conoscenza autentica delle Scritture. Anche i diaconi si sentano
chiamati a collaborare, secondo la missione loro propria, a questo impegno di
evangelizzazione. La vita consacrata risplende in tutta la storia della Chiesa per la
capacità di assumersi esplicitamente il compito dell’annuncio e della
predicazione della Parola di Dio, nella missio ad gentes e nelle
situazioni più difficili, con disponibilità anche alle nuove condizioni di
evangelizzazione, intraprendendo con coraggio e audacia nuovi percorsi e
nuove sfide per l’annuncio efficace della Parola di Dio. I laici sono chiamati a esercitare il loro compito profetico,
che deriva direttamente dal battesimo, e testimoniare il Vangelo nella vita
quotidiana dovunque si trovino. A questo proposito i Padri sinodali hanno
espresso «la più viva stima e
gratitudine nonché l’incoraggiamento per il servizio all’evangelizzazione che
tanti laici, e in particolare le donne, offrono con generosità e impegno
nelle comunità sparse per il mondo, sull’esempio di Maria di Magdala, prima
testimone della gioia pasquale». Il Sinodo riconosce, inoltre, con gratitudine che i movimenti
ecclesiali e le nuove comunità sono, nella Chiesa, una grande forza per
l’evangelizzazione in questo tempo, spingendo a sviluppare nuove forme
d’annuncio del Vangelo. La necessità
della «missio ad gentes» 95. Nell’esortare tutti i fedeli all’annuncio della divina
Parola, i Padri sinodali hanno ribadito la necessità anche per il nostro
tempo di un impegno deciso nella missio ad gentes. In nessun modo Annuncio e
nuova evangelizzazione 96. Papa Giovanni Paolo
II, sulla scia di quanto già espresso dal Papa Paolo VI
nell’Esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi, aveva richiamato in tanti modi i fedeli alla
necessità di una nuova stagione missionaria per tutto il Popolo di Dio. All’alba del terzo millennio non solo vi sono ancora tanti
popoli che non hanno conosciuto Parola di Dio e
testimonianza cristiana 97. Gli orizzonti immensi della missione ecclesiale, la
complessità della situazione presente chiedono oggi modalità rinnovate per
poter comunicare efficacemente C’è uno stretto
rapporto tra la testimonianza della Scrittura, come attestazione che Il fatto che
l’annuncio della Parola di Dio richieda la testimonianza della propria vita è
un dato ben presente nella coscienza cristiana fin dalle sue origini. Cristo
stesso è il testimone fedele e verace (cfr Ap 1,5; 3,14), testimone
della Verità (cfr Gv 18,37). A questo proposito vorrei farmi eco delle
innumerevoli testimonianze che abbiamo avuto la grazia di ascoltare durante
l’Assemblea sinodale. Siamo stati profondamente commossi davanti al racconto
di coloro che hanno saputo vivere la fede e dare testimonianza fulgida del
Vangelo anche sotto regimi avversi al Cristianesimo o in situazioni di
persecuzione. Tutto questo non ci
deve fare paura. Gesù stesso ha detto ai suoi discepoli: «Un servo non è più
grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»
(Gv 15,20). Desidero, pertanto, innalzare a Dio con tutta Parola di Dio e impegno nel mondo Servire Gesù
nei suoi «fratelli più piccoli» (Mt 25,40) 99. La divina Parola illumina l’esistenza umana e mobilita
le coscienze a rivedere in profondità la propria vita, poiché tutta la storia
dell’umanità sta sotto il giudizio di Dio: «Quando il Figlio dell’uomo verrà
nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua
gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli» (Mt 25,31-32).
Nel nostro tempo ci fermiamo spesso superficialmente sul valore dell’istante
che passa, come se fosse irrilevante per il futuro. Al contrario, il Vangelo
ci ricorda che ogni momento della nostra esistenza è importante e deve essere
vissuto intensamente, sapendo che ognuno dovrà rendere conto della propria
vita. Nel capitolo venticinque del Vangelo di Matteo il Figlio
dell’uomo ritiene fatto o non fatto a sé quanto avremo fatto o non fatto a
uno solo dei suoi «fratelli più piccoli» (25,40.45): «Ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,35-36). Pertanto, è
la stessa Parola di Dio a richiamare la necessità del nostro impegno nel
mondo e la nostra responsabilità davanti a Cristo, Signore della storia.
Nell’annunciare il Vangelo esortiamoci vicendevolmente a compiere il bene e
all’impegno per la giustizia, la riconciliazione e la pace. Parola di Dio e
impegno nella società per la giustizia 100. A questo scopo i
Padri sinodali hanno rivolto un pensiero particolare a quanti sono impegnati
nella vita politica e sociale. L’evangelizzazione e la diffusione della
Parola di Dio devono ispirare la loro azione nel mondo alla ricerca del vero
bene di tutti, nel rispetto e nella promozione della dignità di ogni persona.
Certo, non è compito diretto della Chiesa creare una società più giusta,
anche se a lei spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle questioni
etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli. È
soprattutto compito dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo,
intervenire direttamente nell’azione sociale e politica. Per questo il Sinodo
raccomanda di promuovere un’adeguata formazione secondo i principi della
Dottrina sociale della Chiesa. 101. Inoltre, desidero richiamare l’attenzione di tutti
sull’importanza di difendere e promuovere i diritti umani di ogni persona,
basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo, e che come tali
sono «universali, inviolabili, inalienabili». La Chiesa auspica che, mediante l’affermazione di tali diritti,
la dignità umana sia più efficacemente riconosciuta e promossa
universalmente, quale caratteristica impressa da Dio Creatore sulla sua
creatura, assunta e redenta da Gesù Cristo mediante la sua incarnazione,
morte e risurrezione. Per questo la diffusione della Parola di Dio non può
che rafforzare l’affermazione ed il rispetto di tali diritti. Annuncio della
Parola di Dio, riconciliazione e pace tra i popoli 102. Tra i molteplici ambiti di impegno, il Sinodo ha
raccomandato vivamente la promozione della riconciliazione e della pace.
Nell’odierno contesto è necessario più che mai riscoprire Fedeli all’opera di
riconciliazione compiuta da Dio in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, i
cattolici e tutti gli uomini di buona volontà si impegnino a dare esempi di
riconciliazione per costruire una società giusta e pacifica. Non dimentichiamo mai che «là dove le parole umane diventano
impotenti, perché prevale il tragico rumore della violenza e delle armi, la
forza profetica della Parola di Dio non viene meno e ci ripete che la pace è
possibile, e che dobbiamo essere noi strumenti di riconciliazione e di pace». 103. L’impegno per la giustizia, la riconciliazione e la
pace trova la sua radice ultima e il suo compimento nell’amore rivelatoci in
Cristo. Ascoltando le testimonianze emerse nel Sinodo, siamo resi più attenti
al legame che esiste tra l’ascolto amorevole della Parola di Dio e il
servizio disinteressato verso i fratelli; tutti i credenti comprendano la
necessità «di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo
così diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità
che segnano le persone». Gesù è passato in questo mondo facendo il bene (cfr At 10,38).
Ascoltando con disponibilità L’amore del prossimo,
radicato nell’amore di Dio, ci deve dunque vedere costantemente impegnati
come singoli e come comunità ecclesiale, locale ed universale. Sant’Agostino
afferma: «È fondamentale comprendere che la pienezza della Legge, come di
tutte le Scritture divine, è l’amore … Chi dunque crede di aver compreso le
Scritture, o almeno una qualsiasi parte di esse, senza impegnarsi a
costruire, mediante la loro intelligenza, questo duplice amore di Dio e del
prossimo, dimostra di non averle ancora comprese». Annuncio della
Parola di Dio e i giovani 104. Il Sinodo ha riservato un’attenzione particolare
all’annuncio della Parola divina alle nuove generazioni. I giovani sono già
fin d’ora membri attivi della Chiesa e ne rappresentano il futuro. In essi
spesso troviamo una spontanea apertura all’ascolto della Parola di Dio ed un sincero
desiderio di conoscere Gesù. Nell’età della giovinezza, infatti, emergono
in modo incontenibile e sincero le domande sul senso della propria
vita e su quale indirizzo dare alla propria esistenza. A queste domande solo
Dio sa dare vera risposta. Questa attenzione al mondo giovanile implica il
coraggio di un annuncio chiaro; dobbiamo aiutare i giovani ad acquistare
confidenza e familiarità con la sacra Scrittura, perché sia come una bussola
che indica la strada da seguire. Per questo, essi hanno bisogno di testimoni e di maestri, che
camminino con loro e li guidino ad amare e a comunicare a loro volta il
Vangelo soprattutto ai loro coetanei, diventando essi stessi autentici e
credibili annunciatori. Occorre che la divina
Parola venga presentata anche nelle sue implicazioni vocazionali così da
aiutare e orientare i giovani nelle loro scelte di vita, anche verso la
consacrazione totale. Autentiche vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio hanno
il loro terreno propizio nel contatto fedele con Annuncio della
Parola di Dio e i migranti 105. Annuncio della
Parola di Dio e i sofferenti 106. Durante i lavori sinodali l’attenzione dei Padri è
stata posta anche sulla necessità di annunciare La vicinanza di
Gesù ai sofferenti non si è interrotta:
essa si prolunga nel tempo grazie all’azione dello Spirito Santo nella
missione della Chiesa, nella Parola e nei Sacramenti, negli uomini di buona
volontà, nelle attività di assistenza che le comunità promuovono con carità
fraterna, mostrando così il vero volto di Dio ed il suo amore. Il Sinodo
rende grazie a Dio per la testimonianza luminosa, spesso nascosta, di tanti
cristiani – sacerdoti, religiosi e laici – che hanno prestato e continuano a
prestare le loro mani, i loro occhi e i loro cuori a Cristo, vero medico dei
corpi e delle anime! Esorta, poi, a continuare ad avere cura delle persone
inferme portando loro la presenza vivificante del Signore Gesù, nella Parola
e nell’Eucaristia. Siano aiutate a leggere Annuncio della
Parola di Dio e i poveri 107. La sacra Scrittura manifesta la predilezione di Dio per
i poveri e i bisognosi (cfr Mt 25,31-46). Frequentemente i Padri
sinodali hanno richiamato la necessità che l’annuncio evangelico, l’impegno
dei Pastori e delle comunità siano rivolti a questi nostri fratelli. In
effetti, «i primi ad avere diritto all’annuncio del Vangelo sono proprio i
poveri, bisognosi non solo di pane, ma anche di parole di vita». La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre
Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola e alla
celebrazione dei santi misteri. Nello stesso tempo, occorre riconoscere e valorizzare il fatto
che gli stessi poveri sono anche agenti di evangelizzazione. Nella Bibbia il
vero povero è colui che si affida totalmente a Dio e Gesù stesso nel Vangelo
li chiama beati, «poiché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3;
cfr Lc 6,20). Il Signore esalta la semplicità di cuore di chi
riconosce in Dio la vera ricchezza, ripone in Lui la propria speranza, e non
nei beni di questo mondo. Parola di Dio e
custodia del creato 108. L’impegno nel mondo richiesto dalla divina Parola ci
spinge a guardare con occhi nuovi l’intero cosmo creato da Dio e che porta
già in sé le tracce del Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto (cfr Gv
1,2). In effetti c’è una responsabilità che abbiamo come credenti e
annunciatori del Vangelo anche nei confronti della creazione. Il valore della
cultura per la vita dell’uomo 109. L’annuncio giovanneo riguardante l’incarnazione del
Verbo rivela il legame indissolubile che esiste tra 110. I Padri sinodali hanno sottolineato l’importanza di
favorire tra gli operatori culturali una conoscenza adeguata della Bibbia,
anche negli ambienti secolarizzati e tra i non credenti; nella sacra Scrittura sono contenuti valori antropologici e
filosofici che hanno influito positivamente su tutta l’umanità. Va pienamente ricuperato il senso della Bibbia come grande
codice per le culture. La conoscenza
della Bibbia nelle scuole e università 111. Un ambito particolare dell’incontro tra Parola di Dio e
culture è quello della scuola e dell’università. I Pastori
abbiano speciale cura per questi ambienti, promuovendo una conoscenza
profonda della Bibbia così da poterne cogliere le feconde implicazioni
culturali anche per l’oggi. I centri di studio promossi dalle realtà cattoliche
offrono un contributo originale – che deve essere riconosciuto – alla
promozione della cultura e dell’istruzione. Non si deve trascurare, poi, l’insegnamento
della religione, formando accuratamente i docenti. In molti casi esso
rappresenta per gli studenti un’occasione unica di contatto con il messaggio
della fede. È bene che in questo insegnamento sia promossa la conoscenza
della sacra Scrittura, vincendo antichi e nuovi pregiudizi, e cercando di far
conoscere la sua verità. La sacra
Scrittura nelle diverse espressioni artistiche 112. La relazione tra Parola di Dio e cultura ha trovato
espressione in opere di diversi ambiti, in particolare nel mondo dell’arte.
Per questo la grande tradizione dell’Oriente e dell’Occidente ha sempre
stimato le manifestazioni artistiche ispirate alla sacra Scrittura, quali ad
esempio le arti figurative e l’architettura, la letteratura e la musica.
Penso anche all’antico linguaggio espresso dalle icone che dalla
tradizione orientale si sta diffondendo in tutto il mondo. Con i Padri
sinodali, Parola di Dio e
mezzi di comunicazione sociale 113. Al rapporto tra Parola di Dio e culture si connette
anche l’importanza dell’utilizzo attento ed intelligente dei mezzi, vecchi e
nuovi, di comunicazione sociale. I Padri sinodali hanno raccomandato una
conoscenza appropriata di questi strumenti, ponendo attenzione al loro veloce
sviluppo e ai diversi livelli di interazione e investendo maggiori energie
per acquisire competenza nei vari settori, in particolare nei cosiddetti new
media, come ad esempio internet. Esiste già una significativa
presenza da parte della Chiesa nel mondo della comunicazione di massa e anche
il Magistero ecclesiale si è espresso più volte su questo tema a partire dal Concilio
Vaticano II. L’acquisizione di nuovi metodi per trasmettere il Messaggio
evangelico fa parte della costante tensione evangelizzatrice dei credenti e
oggi la comunicazione stende una rete che avvolge tutto il globo e acquista
un nuovo significato l’appello di Cristo: «Quello che io vi dico nelle
tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi
annunciatelo dalle terrazze» (Mt 10,27). Tra le nuove forme di
comunicazione di massa, un ruolo crescente va riconosciuto oggi a internet,
che costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella
consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo
reale e che l’evangelizzazione potrà usufruire della virtualità
offerta dai new media per instaurare rapporti significativi solo se si
arriverà al contatto personale, che resta
insostituibile. Nel mondo di internet, che permette a miliardi di
immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo, dovrà emergere il
volto di Cristo e udirsi Bibbia e
inculturazione 114. Il mistero dell’incarnazione ci rende noto che Dio, da
una parte, si comunica sempre in una storia concreta, assumendo i codici
culturali iscritti in essa, ma, dall’altra parte, la stessa Parola può e deve
trasmettersi in culture differenti, trasfigurandole dall’interno, mediante
ciò che il Papa Paolo VI
chiamava l’evangelizzazione delle culture. La Parola di Dio, come del resto la fede cristiana, manifesta
così un carattere profondamente interculturale, capace di incontrare e
di far incontrare culture diverse. In questo contesto si
comprende anche il valore dell’inculturazione del Vangelo. La Chiesa è fermamente persuasa dell’intrinseca capacità della
Parola di Dio di raggiungere tutte le persone umane nel contesto culturale in
cui vivono: «Questa convinzione deriva dalla Bibbia stessa, che, fin dal
libro della Genesi, assume un orientamento universale (cfr Gen
1,27-28), lo mantiene poi nella benedizione promessa a tutti i popoli grazie
ad Abramo e alla sua discendenza (cfr Gen 12,3; 18,18) e lo conferma
definitivamente estendendo a “tutte le nazioni” l’evangelizzazione». Per questo l’inculturazione non va scambiata con processi di
adattamento superficiale e nemmeno con la confusione sincretista che diluisce
l’originalità del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile. L’autentico paradigma dell’inculturazione è l’incarnazione
stessa del Verbo: «L’“acculturazione” o “inculturazione” sarà realmente un
riflesso dell’incarnazione del Verbo, quando una cultura, trasformata e
rigenerata dal Vangelo, produce nella sua propria tradizione espressioni
originali di vita, di celebrazione, di pensiero cristiano», fermentando dall’interno la cultura locale, valorizzando i semina
Verbi e quanto di positivo in essa è presente, aprendola ai valori
evangelici. Traduzioni e
diffusione della Bibbia 115. Se l’inculturazione della Parola di Dio è parte
imprescindibile della missione della Chiesa nel mondo, un momento decisivo di
questo processo è la diffusione della Bibbia mediante il prezioso lavoro di
traduzione nelle differenti lingue. A questo proposito si deve sempre tenere
presente che l’opera di traduzione delle Scritture «ha avuto inizio fin dai
tempi dell’Antico Testamento quando il testo ebraico della Bibbia fu tradotto
oralmente in aramaico (Ne 8,8.12) e, più tardi, per iscritto in greco.
Una traduzione infatti è sempre qualcosa di più di una semplice trascrizione
del testo originale. Il passaggio da una lingua a un’altra comporta
necessariamente un cambiamento di contesto culturale: i concetti non sono
identici e la portata dei simboli è differente, perché mettono in rapporto
con altre tradizioni di pensiero e altri modi di vivere». Durante i lavori
sinodali si è dovuto constatare che varie Chiese locali non dispongono ancora
di una traduzione integrale della Bibbia nelle proprie lingue. Quanti popoli
hanno oggi fame e sete della Parola di Dio, ma purtroppo non possono ancora
avere un «largo accesso alla sacra Scrittura», come era stato auspicato nel Concilio
Vaticano II! Per questo il Sinodo ritiene importante, anzitutto,
la formazione di specialisti che si dedichino a tradurre 116. L’Assemblea sinodale, nel dibattito circa la relazione
tra Parola di Dio e culture ha sentito l’esigenza di riaffermare quanto i
primi cristiani hanno potuto sperimentare fin dal giorno di Pentecoste (cfr At
2,1-13). Parola
di Dio e dialogo interreligioso Il valore del
dialogo interreligioso 117. Ad esempio, nella
tradizione ebraico-cristiana si trova la suggestiva attestazione dell’amore
di Dio per tutti i popoli, che Egli, già nell’Alleanza stretta con Noè,
riunisce in un unico grande abbraccio simboleggiato dall’«arco sulle nubi» (Gen
9,13.14.16) e che, secondo le parole dei profeti, intende raccogliere in
un’unica universale famiglia (cfr Is 2,2ss; 42,6; 66,18-21; Ger 4,2;
Sal 47). Di fatto, testimonianze dell’intimo legame esistente tra il
rapporto con Dio e l’etica dell’amore per ogni uomo si registrano in molte
grandi tradizioni religiose. Dialogo tra
cristiani e musulmani 118. Tra le diverse religioni, Dialogo con le
altre religioni Dialogo e
libertà religiosa 120. Tuttavia, il dialogo non sarebbe fecondo se questo non
includesse anche un autentico rispetto per ogni persona, perché possa aderire
liberamente alla propria religione. Per questo il Sinodo, mentre promuove la
collaborazione tra gli esponenti delle diverse religioni, ricorda ugualmente
«la necessità che sia effettivamente assicurata a tutti i credenti la libertà
di professare la propria religione in privato e in pubblico, nonché la
libertà di coscienza»; infatti, «il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in
tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più
particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra
i popoli». La parola
definitiva di Dio 121. Al termine di queste riflessioni con le quali ho voluto
raccogliere ed approfondire la ricchezza della XII Assemblea Generale
Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio nella vita e nella
missione della Chiesa, desidero ancora una volta esortare tutto il Popolo di
Dio, i Pastori, le persone consacrate e i laici ad impegnarsi per diventare
sempre più familiari con le sacre Scritture. Non dobbiamo mai dimenticare che
a fondamento di ogni autentica e viva spiritualità cristiana sta Come ci fa contemplare
il Prologo del Vangelo di Giovanni, tutto l’essere sta sotto il segno della
Parola. Il Verbo esce dal Padre e viene a dimorare tra i suoi e torna nel
seno del Padre per portare con sé tutta la creazione che in Lui e per Lui è
stata creata. Ora Nuova
evangelizzazione e nuovo ascolto 122. Per questo, il nostro dev’essere sempre più il tempo di
un nuovo ascolto della Parola di Dio e di una nuova evangelizzazione.
Riscoprire la centralità della divina Parola nella vita cristiana ci fa
ritrovare così il senso più profondo di quanto il Papa Giovanni Paolo II
ha richiamato con forza: continuare la missio ad gentes e
intraprendere con tutte le forze la nuova evangelizzazione, soprattutto in
quelle nazioni dove il Vangelo è stato dimenticato o soffre l’indifferenza
dei più a causa di un diffuso secolarismo. Lo Spirito Santo desti negli
uomini fame e susciti sete della Parola di Dio e zelanti annunciatori e
testimoni del Vangelo. Ad imitazione del
grande Apostolo delle genti, che fu trasformato dopo aver udito la voce del
Signore (cfr At 9,1-30), anche noi ascoltiamo la divina Parola che ci
interpella sempre personalmente qui ed ora. Lo Spirito Santo, ci raccontano
gli Atti degli Apostoli, si riservò Paolo insieme a Barnaba per la
predicazione e la diffusione della Buona Novella (cfr 13,2). Così anche oggi
lo Spirito Santo non cessa di chiamare ascoltatori e annunciatori convinti e
persuasivi della Parola del Signore. 123. Quanto più sapremo metterci a disposizione della divina
Parola, tanto più potremo constatare che il mistero della Pentecoste è in
atto anche oggi nella Chiesa di Dio. Lo Spirito del Signore continua ad
effondere i suoi doni sulla Chiesa perché siamo condotti alla verità tutta
intera, dischiudendo a noi il senso delle Scritture e rendendoci nel mondo
annunciatori credibili della Parola di salvezza. Ritorniamo così alla Prima
Lettera di san Giovanni. Nella Parola di Dio, anche noi abbiamo udito, veduto
e toccato il Verbo della vita. Abbiamo accolto per grazia l’annuncio che la
vita eterna si è manifestata, cosicché noi riconosciamo ora di essere in
comunione gli uni con gli altri, con chi ci ha preceduto nel segno della fede
e con tutti coloro che, sparsi nel mondo, ascoltano L’Assemblea sinodale
ci ha permesso di sperimentare quanto è contenuto nel messaggio giovanneo:
l’annuncio della Parola crea comunione e realizza la gioia. Si
tratta di una gioia profonda che scaturisce dal cuore stesso della vita
trinitaria e che si comunica a noi nel Figlio. Si tratta della gioia come
dono ineffabile che il mondo non può dare. Si possono organizzare feste, ma
non la gioia. Secondo «Mater Verbi et Mater laetitiae» 124. Questa intima relazione tra Ogni nostra giornata
sia dunque plasmata dall’incontro rinnovato con Cristo, Verbo del Padre fatto
carne: Egli sta all’inizio e alla fine e «tutte le cose sussistono in lui»
(Col 1,17). Facciamo silenzio per ascoltare Dato a Roma,
presso San Pietro, il 30 settembre, memoria di San Girolamo, dell’anno 2010,
sesto del mio Pontificato. Cfr Propositio 1. Cfr
XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum
laboris, 27. Cfr Leone XIII, Lett. enc. Providentissimus
Deus (18 novembre 1893): ASS 26 (1893-94), 269-292;
Benedetto XV, Lett. enc. Spiritus
Paraclitus (15 settembre 1920): AAS 12 (1920), 385-422;
Pio XII, Lett. enc. Divino afflante
Spiritu (30 settembre 1943): AAS 35 (1943), 297-325. ibidem. Conc. Ecum. Vat.II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
2. Tra gli
interventi di diversa natura si ricordi: Paolo VI, Lett. ap. Summi Dei Verbum
(4 novembre 1963): AAS 55 (1963), 979-995; Id., Motu Proprio Sedula cura
(27 giugno 1971): AAS 63 (1971), 665-669; Giovanni Paolo II, Udienza Generale (1° maggio
1985): L’Osservatore Romano, 2-3 maggio 1985, p. 6; Id.,
Discorso
sull’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (23 aprile
1993): AAS 86 (1994), 232-243; Benedetto XVI, Discorso al
Congresso Internazionale per il 40° anniversario della Dei Verbum (16 settembre
2005); AAS 97 (2005), 957; Id., Angelus (6 novembre
2005): Insegnamenti I (2005), 759-760. Sono da ricordare
anche gli interventi della Pontificia Commissione Biblica, De sacra
Scriptura et Christologia (1984): Ench. Vat. 9, n. 1208-1339; Unità
e diversità nella Chiesa (11 aprile 1988): Ench. Vat. 11, n.
544-643; L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993): Ench. Vat.
13, n. 2846-3150; Il popolo
ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24
maggio 2001): Ench. Vat. 20, n. 733-1150; Bibbia e morale.
Radici bibliche dell’agire cristiano (11 maggio 2008), Città
del Vaticano 2008. Cfr Benedetto XVI, Discorso alla
Curia Romana (22 dicembre 2008): AAS 101 (2009),
49. Cfr Pontificia Commissione Biblica, Il popolo
ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24
maggio 2001), Ench. Vat. 20, n. 733-1150. Benedetto XVI, Discorso alla
Curia Romana (22 dicembre 2008): AAS 101 (2009),
50. Cfr Benedetto XVI, Angelus (4 gennaio 2009):
Insegnamenti V, 1 (2009), 13. Cfr Relatio ante
disceptationem, I. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
2. Benedetto XVI,
Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1: AAS
98 (2006), 217-218. Credo Nicenocostantinopolitano: DS 150. San Bernardo di Chiaravalle, Homilia
super Missus est, IV, 11: PL 183, 86 B. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
10. Cfr Congregazione per la Dottrina
della Fede, Dichiarazione sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù
Cristo e della Chiesa Dominus Iesus
(6 agosto 2000), 13-15: AAS 92 (2000), 754-756. Cfr In Hexaemeron, XX,5:
Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 425-426; Breviloquium, I, 8: Opera
Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 216-217. Itinerarium mentis in Deum, II, 12: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 302-303;
cfr Commentarius in librum Ecclesiastes, Cap. 1, vers. 11, Quaestiones
II, 3: Opera Omnia, VI, Quaracchi 1891, p. 16. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
3; cfr Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius,
cap. 2, De revelatione: DS 3004. Commissione Teologica Internazionale,
Alla ricerca di
un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città
del Vaticano 2009, n. 39. Cfr Summa Theologiae, Ia-IIae, q. Cfr Pontificia Commissione Biblica,
Bibbia e morale. Radici
bibliche dell’agire cristiano (11 maggio 2008), Città del
Vaticano 2008, n. 13, 32, 109. Cfr Commissione Teologica
Internazionale, Alla ricerca di
un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città
del Vaticano 2009, n. 102. Cfr Benedetto XVI, Omelia durante
l’Ora Terza all’inizio della I Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi (6 ottobre 2008):
AAS 100 (2008), 758-761. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
14. Benedetto XVI,
Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1: AAS
98 (2006), 217-218. « Ho Logos pachynetai (o brachynetai)». Cfr Origene, Peri Archon, I, 2, 8: SC 252,
pp. 127-129. Benedetto XVI, Omelia nella
solennità della Natività del Signore (24 dicembre 2006): AAS
99 (2007), 12. Cfr Messaggio finale,
II, 4-6. Massimo il Confessore, La
vita di Maria, n. 89: Testi mariani del primo millennio, 2, Roma
1989, p. 253. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 9-10: AAS 99 (2007),
111-112. Benedetto XVI, Udienza Generale
(15
aprile 2009): L’Osservatore Romano, 16 aprile 2009, p. 1. Id., Omelia nella solennità
dell’Epifania (6 gennaio 2009): L’Osservatore Romano,
7-8 gennaio 2009, p. 8. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
4. S. Giovanni della Croce, Salita
al Monte Carmelo, II, 22. Catechismo della Chiesa Cattolica, 67. Cfr Congregazione per la dottrina
della fede, Il messaggio di
Fatima (26 giugno 2000): Ench. Vat. 19, n. 974-1021. Adversus haereses, IV, 7, 4: PG 7, 992-993; V, 1, 3: PG 7,
1123; V, 6, 1: PG 7, 1137; V, 28, 4: PG 7, 1200. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 12: AAS 99 (2007),
113-114. Adversus haereses, III, 24, 1: PG 7, 966. Homiliae in Genesim, XXII, 1: PG 53, 175. Epistula 120, 10: CSEL 55, pp. 500-506. Homiliae in Ezechielem, I, VII, 17: CC 142, p. 94. «Oculi ergo devotae animae sunt
columbarum quia sensus eius per Spiritum sanctum sunt illuminati et edocti,
spiritualia sapientes… Nunc quidem aperitur animae talis sensus, ut
intellegat Scripturas»: Riccardo di San Vittore, Explicatio in Cantica
canticorum, 15: PL 196, 450 B. D. Sacramentarium
Serapionis
II (XX): Didascalia et Constitutiones apostolorum, ed. F.X. Funk, II,
Paderborn 1906, p. 161. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
7. Expositio
Evangelii secundum Lucam 6, 33: PL 15, 1677. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
13. Catechismo della Chiesa Cattolica, 102. Cfr anche Ruperto di Deutz, De operibus
Spiritus Sancti, I, 6: SC 131, pp. 72-74. Enarrationes
in Psalmos, 103, IV, 1: PL 37, 1378. Analoghe
affermazioni in Origene, In Iohannem V, 5-6: SC 120, pp.
380-384. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
21. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
12. Conc.
Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
11 Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202. Cfr Benedetto XVI, Discorso agli
uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 721-730. Cfr Relatio post disceptationem,
12. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
5. Ad esempio Dt
28,1-2.15.45; 32,1; tra i profeti cfr Ger 7,22-28; Ez
2,8; 3,10; 6,3; 13,2; fino agli ultimi: cfr Zac 3,8. Per san Paolo cfr
Rm 10,14-18; 1 Tes 2,13. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 33: AAS 99 (2007),
132-133. Id.,
Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 41: AAS
98 (2006), 251. Cfr Expositio Evangelii secundum Lucam 2, 19: PL 15, 1559-1560. Breviloquium, Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp.
201-202. Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 106, art.2. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, A, 3: Ench.
Vat. 13, n. 3035. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
12. Contra epistolam Manichaei quam
vocant fundamenti, V, 6: PL 42,
176. Cfr Benedetto XVI, Udienza Generale
(14
novembre 2007): Insegnamenti III, 2 (2007), 586-591. Commentariorum in Isaiam
libri, Prol.: PL 24, 17. Epistula 52, 7: CSEL 54, p. 426. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench.
Vat. 13, n. 2988. Ibidem, II, A, 2: Ench. Vat.
13, n. 2991. Homiliae in Ezechielem, I, VII, 8: PL 76, 843 D. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
24; cfr Leone XIII, Lett. enc. Providentissimus
Deus (18 novembre 1893), Pars II, sub fine: ASS
26 (1893-94), 269-292; Benedetto XV, Lett. enc. Spiritus
Paraclitus (15 settembre 1920), Pars III: AAS 12
(1920), 385-422. Cfr Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), A-B: Ench. Vat.
13, n. 2846-3150. Benedetto XVI, Intervento nella
XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti
IV, 2 (2008), 492; cfr Propositio 25. Id., Discorso agli
uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 722-723. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum,
10. Cfr Giovanni Paolo II, Discorso in
occasione del 100º anniversario della Providentissimus Deus e del 50º
anniversario della Divino afflante Spiritu (23 aprile 1993):
AAS 86 (1994), 232-243. Ibidem, n. 4: AAS 86
(1994), 235. Ibidem, n. 5: AAS 86
(1994), 235. Ibidem, n. 5: AAS 86 (1994), 236. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, C, 1: Ench.
Vat. 13, n. 3065. Benedetto XVI, Intervento nella
XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti
IV, 2 (2008), 493; cfr Propositio 25. Benedetto XVI, Intervento nella
XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti
IV, 2 (2008), 493; cfr Propositio 26. Benedetto XVI, Intervento nella
XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti
IV, 2 (2008), 493-494. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio (14
settembre 1998), 55: AAS 91 (1999), 49-50. Cfr Benedetto XVI, Discorso al IV
Convegno nazionale ecclesiale in Italia (19 ottobre 2006): AAS
98 (2006), 804-815. Cfr S. Agostino, De libero
arbitrio, III, XXI, 59: PL 32, 1300; De Trinitate, II, I,
2: PL 42, 845. Congregazione per l’Educazione
Cattolica, Istr. Inspectis dierum (10 novembre 1989), 26: AAS
82 (1990), 618. Catechismo della Chiesa Cattolica, 116. Summa Theologiae, I, q. 1, art. 10, ad 1. Catechismo della Chiesa Cattolica, 118. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench.
Vat. 13, n. 2987. Ibidem, II, B 2: Ench. Vat. 13, n. 3003. Benedetto XVI, Discorso agli
uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 726. Cfr Id., Udienza Generale
(9
gennaio 2008): Insegnamenti IV, 1 (2008), 41-45. De arca Noe, 2, 8: PL 176, 642 C-D. Cfr Benedetto XVI, Discorso agli
uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 725. Cfr Propositio 10;
Pontificia Commissione Biblica, Il popolo
ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio
2001), 3-5: Ench. Vat. 20, n. 748-755. Cfr Catechismo della Chiesa
Cattolica, 121-122. Cfr Pontificia Commissione Biblica,
Il popolo
ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24
maggio 2001), 19: Ench. Vat. 20, n. 799-801; Origene, Omelia sui
Numeri 9, 4: SC 415, pp. 238-242. Catechismo della Chiesa Cattolica, 128. Quaestiones in Heptateuchum, 2, 73: PL 34, 623. Homiliae in Ezechielem, I, VI, 15: PL 76, 836 B. Giovanni Paolo II, Messaggio al
Rabbino Capo di Roma (22 maggio 2004): Insegnamenti,
XXVII, 1 (2004), 655. Pontificia Commissione Biblica,
Il popolo
ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24
maggio 2001), 87: Ench. Vat. 20, n. 1150. Cfr Benedetto XVI, Discorso di
congedo all’Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv (15 maggio
2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 847-849. Giovanni Paolo II, Discorso ai
Rabbini Capi di Israele (23 marzo 2000): Insegnamenti
XXIII, 1 (2000), 434. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), I, F: Ench.
Vat. 13, n. 2974. Cfr Benedetto XVI, Discorso agli
uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 726. Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum,
23. Si ricorda, comunque, che, per quanto
riguarda i cosiddetti Libri Deuterocanonici dell’Antico Testamento e la loro
ispirazione, Cattolici e Ortodossi non hanno esattamente lo stesso canone
biblico di Anglicani e Protestanti. Cfr Relatio post
disceptationem, 36. Cfr Benedetto XVI, Discorso all’XI
Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (25 gennaio
2007): AAS 99 (2007), 85-86. Conc.
Ecum. Vat. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, 21. Cfr Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum,
10. Lett. enc. Ut unum sint
(25 maggio 1995), 44: AAS 87 (1995), 947. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
10. S. Gregorio Magno, Moralia
in Job XXIV, VIII, 16: PL 76, 295. Cfr S. Atanasio, Vita
Antonii, II: PL 73, 127. Moralia, Regula LXXX, XXII: PG 31, 867.
Regola, 73, 3: SC 182, p. 672. Tommaso da Celano, La vita
prima di S. Francesco, IX, 22: FF 356. B. Giordano da Sassonia, Libellus
de principiis Ordinis Praedicatorum, 104: Monumenta Fratrum
Praedicatorum Historica, Roma 1935, 16, p. 75. Ordine dei Frati Predicatori, Prime
Costituzioni o Consuetudines, II, XXXI. Cfr Storia di una anima,
Ms B 3r°. In
Iohannis Evangelium Tractatus, I,12: PL 35, 1385. Lett.
enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 25: AAS 85 (1993), 1153. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum,
8. Relatio post disceptationem, 11. Benedetto XVI, Discorso al
Convegno internazionale «La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa» (16 settembre
2005): AAS 97 (2005), 956. Cfr Relatio post
disceptationem, 10. Conc.
Ecum. Vat.II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 24. Ordinamento delle letture della
Messa, 4. Ibidem, 3; cfr L c 4,
16-21; 24, 25-35.44-49. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 102. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007) 44-45: AAS 99 (2007),
139-141. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), IV, C, 1: Ench.
Vat. 13, n. 3123. Ibidem, III, B, 3: Ench. Vat. 13, n. 3056. Cfr Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum
Concilium, 48.51.56; Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
21.26; Decr. sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes
6.15; Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum
ordinis, 18; Decr. sul rinnovamento della vita
religiosa Perfectae
caritatis, 6. Nella grande Tradizione della Chiesa troviamo
espressioni significative come: «Corpus Christi intelligitur etiam
[...] Scriptura Dei» (anche la Scrittura di Dio si considera Corpo di
Cristo): Waltramus, De unitate Ecclesiae conservanda, 1,14, ed. W.
Schwenkenbecher, Hannoverae 1883, p. 33; «La carne del Signore è vero cibo e
il suo sangue vera bevanda; questo è il vero bene che ci è riservato nella
vita presente, nutrirsi della sua carne e bere il suo sangue, non solo
nell’Eucaristia, ma anche nella lettura della Sacra Scrittura. Infatti è vero
cibo e vera bevanda la parola di Dio che si attinge dalla conoscenza delle
Scritture»: S. Girolamo, Commentarius in Ecclesiasten, III: PL 23,
J. Ratzinger (Benedetto XVI), Gesù
di Nazaret, Milano 2007, 311. Ordinamento delle letture della
Messa, 10. Lett.
enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), 13: AAS 91 (1999),
16. Cfr Catechismo della Chiesa
Cattolica, 1373-1374. Cfr Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 7. In Psalmum 147: CCL 78, 337-338. Conc. Ecum. Vat.II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum,
2. Cfr Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum
Concilium, 107-108. Ordinamento delle letture della
Messa, 66. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007) 45: AAS 99 (2007),
140-141. Cfr Codice di Diritto
Canonico, cann. 230 § 2; 204 § 1. Ordinamento delle letture della
Messa, 55. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
25. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 93: AAS 99 (2007), 177. Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti, Compendium eucharisticum (25 marzo
2009), Città del Vaticano 2009. Epistula 52,7: CSEL 54, 426-427. Principi e norme per la Liturgia
delle Ore, III, 15. Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum
Concilium, 85. Cfr Codice di Diritto
Canonico, cann. 276 § 3; 1174 § 1. Cfr Codice dei Canoni delle
Chiese Orientali, cann. 377; 473, § 1 e 2, 1°; 538 § 1; 881 § 1. Benedizionale, Premesse Generali, 21. Cfr Propositio 18; Conc. Ecum.
Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 35. Cfr
Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 75; AAS
99 (2007), 162-163. Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su
pietà popolare e liturgia, Principi e orientamenti (17
dicembre 2001), 87: Ench. Vat. 20, n. 2461. Cfr S. Ignazio di Antiochia, Ad
Ephesios XV, 2: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, Tubingae 1901, I, 224. Cfr S.
Agostino, Sermo 288,5: PL 38,1307; Sermo 120,2: PL 38,677. Ordinamento Generale del Messale
Romano,
56. Ibidem, 45; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum
Concilium, 30. Ordinamento delle letture della
Messa, 13. Cfr Ordinamento Generale del
Messale Romano, 309. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 69: AAS 99 (2007), 157. Cfr Ordinamento Generale del
Messale Romano, 57. Cfr il canone 36 del Sinodo
di Ippona dell’anno 393: DS, 186. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Vicesimus
quintus annus (4 dicembre 1988), 13: AAS 81 (1989),
910; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis
sacramentum Istruzione su alcune cose che si devono osservare
ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004), 62: Ench. Vat.
22, n. 2248. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla
sacra Liturgia Sacrosanctum
Concilium, 116; Ordinamento Generale del Messale Romano,
41. Epistula 30, 7: CSEL 54, p. 246. Id., Epistula 133, 13: CSEL
56, p. 260. Id., Epistula 107, 9.12: CSEL
55, pp. 300.302. Id., Epistula 52, 7: CSEL
54, p. 426. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio
ineunte (6 gennaio 2001), 31: AAS 93 (2001),
287-288. Propositio 30; Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum,
24. S. Girolamo, Commentariorum
in Isaiam libri, Prol.: PL 24, 17 B. Cfr Congregazione per il Clero,
Direttorio
generale per la catechesi (15 agosto 1997), 94-96: Ench.
Vat., 16, n. 875-878; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi
tradendae (16 ottobre 1979), 27: AAS 71 (1979),
1298-1299. Ibidem, 127: Ench. Vat. 16, n. 935; cfr Giovanni Paolo
II, Esort. ap. Catechesi
tradendae (16 ottobre 1979), 27: AAS 71 (1979), 1299. Ibidem, 128: Ench. Vat. 16, n. 936. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
sulla Chiesa Lumen gentium,
39-42. N. 15: AAS 96
(2004), 846-847. Benedetto XVI, Omelia nella
Messa del Crisma (9 aprile 2009): AAS 101 (2009), 355. Congregazione per l’Educazione
Cattolica, Norme
fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti (22
febbraio 1998), 11: Ench. Vat. 17, n. 174-175. Ibidem, 74: Ench. Vat. 17,
n. 263. Cfr ibidem, 81: Ench. Vat.
17, n. 271. Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap.
postsinodale Pastores dabo
vobis (25 marzo 1992), 47: AAS 84 (1992), 740-742. Benedetto XVI, Omelia nella
Giornata Mondiale della Vita Consacrata (2 febbraio 2008): AAS
100 (2008), 133; cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Vita consecrata
(25 marzo 1996), 82: AAS 88 (1996), 458-460. Congregazione per gli Istituti di Vita
Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Istruzione Ripartire da
Cristo: un rinnovato impegno della Vita consacrata nel terzo millennio
(19 maggio 2002), 24: Ench. Vat. 21, n. 447. S. Benedetto, Regola,
IV, 21: SC 181, pp. 456-458. Benedetto XVI, Discorso nella
visita all’Abbazia di «Heiligenkreuz» (9 settembre 2007): AAS
99 (2007), 856. Giovanni Paolo II, Esort. ap.
postsinodale Christifideles
laici (30 dicembre 1988), 17: AAS 81 (1989), 418. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris
consortio (22 novembre 1981), 49: AAS 74 (1982),
140-141. Cfr Lett. ap. Mulieris dignitatem
(15 agosto 1988), 31: AAS 80 (1988), 1727-1729. Enarrationes in Psalmos, 85, 7: PL 37, 1086. Origene, Epistola ad
Gregorium, 3: PG 11,92. Benedetto XVI, Discorso agli
alunni del Seminario Romano Maggiore (19 febbraio 2007): AAS
99 (2007), 253-254. Cfr Id., Esort. ap. postsinodale
Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 66: AAS 99 (2007),
155-156. « Plenaria indulgentia
conceditur christifideli qui Sacram Scripturam, iuxta textum a competenti
auctoritate adprobatum, cum veneratione divino eloquio debita et ad modum
lectionis spiritalis, per dimidiam saltem horam legerit; si per minus tempus
id egerit indulgentia erit partialis»: Paenitentiaria Apostolica,
Enchiridion Indulgentiarum. Normae et concessiones (16 luglio
1999), 30, § 1. Cfr Catechismo della Chiesa
Cattolica, 1471-1479. Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum
doctrina (1 gennaio 1967): AAS 59 (1967), 18-19. Cfr Epistula 49, 3:
PL 16, 1204A. Cfr Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su
pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17
dicembre 2001), 197-202: Ench. Vat. 20, n. 2638-2643. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Rosarium
Virginis Mariae (16 ottobre 2002): AAS 95 (2003), 5-36. Cfr Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su
pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17
dicembre 2001), 207: Ench. Vat. 20, n. 2656-2657. Benedetto XVI, Omelia nella S.
Messa presso la Valle di Josafat, Gerusalemme (12 maggio 2009):
AAS 101 (2009), 473. Cfr Epistula 108, 14: CSEL
55, p. 324-325. Adversus haereses, IV, 20, 7: PG 7, 1037. Benedetto XVI, Lett. enc. Spe
salvi (30 novembre 2007), 31: AAS 99 (2007), 1010. Benedetto XVI, Discorso agli
uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi
(12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 730. Cfr In Evangelium secundum
Matthaeum 17, 7: PG 13, 1197 B; S. Girolamo, Translatio
homiliarum Origenis in Lucam, 36: PL 26, 324-325. Cfr Benedetto XVI, Omelia per
l’apertura della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (5 ottobre 2008):
AAS 100 (2008), 757. Cfr Congregazione per gli Istituti di
Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Istruzione Ripartire da
Cristo: un rinnovato impegno della Vita consacrata nel terzo millennio
(19 maggio 2002), 36: Ench. Vat. 21, n. 488-491. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris
missio (7 dicembre 1990): AAS 83 (1991), 294-340;
Id., Lett. ap. Novo millennio
ineunte (6 gennaio 2001), 40: AAS 93 (2001), 294-295. Cfr Benedetto XVI, Omelia per
l’apertura della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (5 ottobre 2008):
AAS 100 (2008), 753-757. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi
(8 dicembre 1975), 22: AAS 68 (1976), 20. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla
libertà religiosa Dignitatis
humanae, 2.7. Cfr Benedetto XVI, Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace 2009 (8 dicembre 2008): Insegnamenti
IV, 2 (2008), 792-802. Esort. ap. Evangelii
nuntiandi (8 dicembre 1975), 19: AAS 68 (1976), 18. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris
(11 aprile 1963), I: AAS 55 (1963), 259. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus
(1° maggio 1991), 47: AAS 83 (1991), 851-852; Id., Discorso
all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979),
13: AAS 71 (1979), 1152-1153. Cfr Compendio della
dottrina sociale della Chiesa, 152-159. Cfr Benedetto XVI, Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace 2007 (8 dicembre 2006), 10: Insegnamenti
II,2 (2006), 780. Benedetto XVI , Omelia (25 gennaio
2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 141. Id., Omelia in
occasione della conclusione della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo
dei Vescovi (26 ottobre 2008): AAS 100 (2008),
779. Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est
(25 dicembre 2005), 28: AAS 98 (2006), 240. De doctrina christiana, I, 35, 39 – 36, 40: PL 34, 34. Cfr Benedetto XVI, Messaggio per la
XXI Giornata Mondiale della Gioventù (22 febbraio 2006): AAS
98 (2006), 282-286. Omelia (24 aprile 2005): AAS 97 (2005), 712. Benedetto XVI, Omelia in
occasione della XVII Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio
2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 232. Cfr Benedetto XVI, Lett. enc.
Deus caritas est (25
dicembre 2005), 25: AAS 98 (2006), 236-237. Benedetto XVI , Omelia (1° gennaio
2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 5. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 92: AAS 99 (2007),
176-177. Giovanni Paolo II, Discorso
all’UNESCO (2 giugno 1980), 6: AAS 72 (1980),
738. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc .
Fides et ratio (14 settembre 1998), 80: AAS 91 (1999), 67-68. Cfr Lineamenta 23. Cfr Conc.
Ecum. Vat. II, Decr. sugli strumenti
di comunicazione sociale Inter mirifica;
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Istr. past. Communio et
progressio sugli strumenti della comunicazione sociale
pubblicata per disposizione del Concilio Ecumenico Vaticano II (23 maggio
1971): AAS 63 (1971), 593-656; Giovanni Paolo II, Lett. ap. Il rapido
sviluppo (24 gennaio 2005): AAS 97 (2005), 265-274;
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Istr. past.
sulle comunicazioni sociali nel 20° Anniversario della «Communio et
progressio» Aetatis novae (22 febbraio 1992): AAS
84 (1992), 447-468; Id., La Chiesa e
internet (22 febbraio 2002): Ench. Vat. 21, n.
66-95; Id., Etica in
internet (22 febbraio 2002): Ench. Vat. 21, n. 96-127. Cfr Messaggio finale,
IV,11; Benedetto XVI, Messaggio per la
XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24
gennaio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 123-127. Giovanni Paolo II, Messaggio per la
XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24
gennaio 2002), 6: Insegnamenti, XXV, 1 (2002), 94-95. Cfr Esort. ap. Evangelii
nuntiandi (8 dicembre 1975), 20: AAS 68 (1976), 18-19. Cfr Benedetto XVI, Esort. ap.
postsinodale Sacramentum
caritatis (22 febbraio 2007), 78: AAS 99 (2007), 165. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), IV, B: Ench.
Vat. 13, n. 3112. Cfr Conc.
Ecum. Vat. II, Decr. sull’attività
missionaria della Chiesa Ad gentes,
22; Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa, (15 aprile 1993), IV, B: Ench.
Vat. 13, n. 3111-3117. Giovanni Paolo II, Discorso ai
Vescovi del Kenia (7 maggio 1980), 6: AAS 72 (1980),
497. Cfr Instrumentum
laboris 56. Pontificia Commissione Biblica,
L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa, (15 aprile 1993), IV, B: Ench.
Vat. 13, n. 3113. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum,
22. Benedetto XVI, Omelia durante
l’Ora Terza all’inizio della I Congregazione Generale dei Sinodo dei Vescovi (6 ottobre
2008): AAS 100 (2008), 760. Fra i numerosi interventi di diverso
genere si ricordi: Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem
(18 maggio 1986): AAS 78 (1986), 809-900; Id., Lett. enc. Redemptoris missio
(7 dicembre 1990): AAS 83 (1991), 249-340; Id., Discorsi ed Omelie ad
Assisi in occasione della Giornata di preghiera per la pace il 27 ottobre
1986: Insegnamenti IX, 2, (1986), 1249-1273; Giornata di Preghiera per
la Pace nel Mondo (24 gennaio 2002): Insegnamenti XXV, 1 (2002),
97-108; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus
Iesus sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della
Chiesa (6 agosto 2000): AAS 92 (2000), 742-765. Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulle
relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate,
3. Cfr Benedetto XVI, Discorso ad
Ambasciatori dei Paesi a maggioranza musulmana accreditati presso la Santa
Sede (25 settembre 2006): AAS 98 (2006), 704-706. Giovanni Paolo II, Discorso
nell’incontro con i giovani musulmani a Casablanca in Marocco (19 agosto
1985), 5: AAS 78 (1986), 99.
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