FONDAZIONE MAGNA
CARTA E ASSOCIAZIONE ITALIA PROTAGONISTA
SUMMER SCHOOL 2011
Frascati, Domenica 4
settembre 2011
Lectio Magistralis
“Chiesa
e Politica”
CARD. ANGELO BAGNASCO
Arcivescovo di Genova e Presidente
della CEI
La politica deve avere a cuore ciò che appartiene a tutti
“Nella Chiesa mi trovo a casa” diceva Georges Bernanos! E’ difficile vivere senza una casa intesa come spazio dove le dimensioni sono a misura d’uomo, sono riconosciute perché familiari, dove si coltivano gli affetti, dove esistono luoghi per raccogliersi, per sentirsi al riparo dalla “strada” pur necessaria. Come scriveva Josef Pieper, l’uomo non può vivere sempre “sotto le stelle” (cfr Che cosa significa filosofare): ha bisogno della casa, del finito e del piccolo per ritrovarsi, riposare, ricuperare energie e riprendere il cammino sotto il cielo. Allo stesso modo, l’uomo ha bisogno della volta stellata, degli orizzonti sconfinati, della strada dove tutto si può incontrare e può accadere. Possiamo dire che l’uomo, come ha bisogno del suo “ambiente”, così ha bisogno del “mondo”: il primo per superare la dispersione e fare sintesi, il secondo per superare il ripiegamento e pensare in grande. In entrambi i casi l’uomo costruisce se stesso: egli è infatti un paradosso, come ha scritto magistralmente Pascal: creato finito ma programmato per l’infinito. E’ una linea di confine tra il tempo e l’eternità, è un desiderio incompiuto, un intrigo di ombre dove la luce è la stoffa di base.
2. Fare politica
La politica è amore per la polis, per la vita sociale che trova la sua radice in
quella esigenza interiore che spinge l’uomo a cercare gli altri, ad entrare in
relazione con loro, a vivere insieme. Non si tratta solo della necessità di
soddisfare i propri bisogni attraverso la collaborazione altrui, o di
regolamentare gli istinti di prevaricazione di tutti contro tutti,
ma di aprirsi, di superare il proprio guscio, di creare comunione, di farsi
dono nella dimensione indispensabile dell’amore dato e ricevuto. Non è
innanzitutto questione di avere ma di dare, non di sopravvivere ma di essere. E
questo a partire dalla prima forma di società, la famiglia (come ricorda San
Tommaso: “coniugio, prima societas”).
Si comprende allora come
Se questo vale rispetto alle persone, vale altresì rispetto alla società nel suo insieme, rispetto ad un popolo. Il popolo si differenzia da una moltitudine perché ha un’anima: mi sembra che oggi questa categoria sia oscurata, e si voglia – ad arte o in modo miope – appiattire i popoli in nome di una unità di convenienza. Ora l’anima non è di ordine economico o politico, ma di ordine spirituale e morale. Se la politica non rispetta “l’anima della Nazione” fatta di gente e di terra, di storia e di cultura, tradisce il popolo in ciò che ha di più profondo e caro, anche quando sembra dimenticare le sue radici. Così facendo, la politica sgretola – in nome di ideologie o di altri interessi – ciò che consente a ciascuno di sentirsi parte di un tutto. Significa derubarlo di ciò in cui crede, che gli appartiene, che gli è stato tramandato come un patrimonio, che costituisce la forza unificante di una comunità: un patrimonio ideale che consente di sentirsi “famiglia”. Per questa ragione, intaccare i valori spirituali e morali di una società, è attentare alla sua integrità e alla sua unità.
E’ opportuno ricordare anche che non esistono solo utopie o miti fallaci e devastanti: vi è anche il “vuoto” di verità che assume la maschera del bene, ma che svuota l’anima dei singoli e delle Nazioni. Il nichilismo di senso e di valori nasce da una visone materialista dell’uomo e del mondo, conduce e si alimenta allo spettro ridente del consumismo, che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo. Ma ben presto – lo vediamo nella cronaca – ne deriva un’immane svalutazione della vita. Essa non è più custodita col sigillo della sacralità, e quando non è più gradita, la si getta via. La brama di vivere e di godere si muta improvvisamente in avversione per la vita e rifiuto. Veramente chi semina vento raccoglie tempesta, come dice il profeta Osea.
In questo orizzonte, la libertà viene concepita come assenza di vincoli, e la legge o le norme morali vengono ritenute come attentati alla soggettività. Nulla può essere al di sopra della propria autodeterminazione, si dice; questa è concepita come valore supremo e criterio etico. In verità, l’esperienza universale insegna che la libertà è condizione di moralità - se agisco costretto, infatti, non sono responsabile - ma la qualifica morale del mio agire sta in ciò che scelgo liberamente. Il fatto di scegliere senza costrizioni non rende buono il mio atto a prescindere dal contenuto. Oggi, in un clima di individualismo solitario e di nichilismo valoriale, il dinamismo etico, tanto universale quanto ovvio, fatica ad essere riconosciuto. La conseguenza pratica, sul piano morale, è il cinismo comportamentale: scelgo ciò che mi conviene, ciò che mi appare utile, o che sembra placare i miei impulsi, fosse anche la morte mia o degli altri.
3. Chiesa e politica
Il Signore Gesù ha istituito
In quale modo, ci chiediamo ora,
L’immagine del sale indica la via
della “discesa”, del nascondimento, per condividere con pazienza e fiducia la
vita della gente. In una parola suggerisce l’incarnazione nel mondo. I fedeli
laici, le innumerevoli Parrocchie in Italia, i sacerdoti, i religiosi e le
religiose, i diaconi permanenti, i gruppi, le associazioni e i movimenti, che –
singolarmente o organizzati - con intelligenza e generosità sono presenti con
la testimonianza e la fantasia della carità, dell’evangelizzazione e della
catechesi, le scuole cattoliche, gli ospedali, le molteplici iniziative di
incontro, di annuncio, di preghiera, di educazione e di assistenza ai
bisognosi…non esprimono forse la realtà del sale di cui parla Gesù? Non sono forse
segni permanenti di una vicinanza capillare e quotidiana al mondo? Non è la
voglia di mondano protagonismo che muove
Ma l’immagine del sale deve essere
completata da quella della luce: la luce dona alle cose il loro volto. Nel buio
tutto è indistinto, regna la confusione, si perde la strada. La luce suggerisce
dunque la visibilità della presenza cristiana: non solo la visibilità delle
opere di Dio, ma anche la visibilità della parola di Dio e della Chiesa.
Qualcuno, oggi, vorrebbe che
Si potrebbe pensare che
nell’epoca del pluralismo culturale sia arrogante giudicare gli eventi della
storia con la verità del Vangelo, che sia un atteggiamento di intellettuale
fondamentalismo, specialmente in politica. Ci si chiede se la verità morale,
legata ad una scelta religiosa, possa ispirare l’ordinamento civile valido per
tutti. E’ una questione giusta e delicata. Se è gravemente ingiusto tradurre in
termini di ordinamento pubblico certe scelte esclusivamente etico-religiose,
è scorretto ridurre ogni posizione assunta dai credenti a scelta
“confessionale” e quindi individuale e privata. Certi valori - come nel campo
della vita e della famiglia, della concezione della persona, della libertà e
dello Stato - anche se sono illuminati dalla fede, sono anzitutto bagaglio
della buona ragione. Per questo sono detti “non negoziabili”. Si dice che la
politica è l’arte della mediazione: è vero per molte cose, e speriamo che si
raggiungano sempre le mediazioni migliori, ma vi sono dei principi primi che
qualunque mediazione distrugge. Cicerone scrive: “Certamente
esiste una vera legge: è la retta ragione. Essa è
conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna;
i suoi precetti chiamano ai doveri; i suoi divieti trattengono dall’errore” (
Nel Messaggio per
Porto, a conclusione di queste considerazioni, due testimonianze: di un convertito al cattolicesimo ( Tomas Eliot), e di un ebreo neo hegeliano, Karl Lovith.
“La forza dominante nella creazione di una cultura comune tra i popoli, ciascuno dei quali abbia una cultura distinta, è la religione. Vi prego, a questo punto, di non compiere un errore anticipando quel che intendo dire. Questa non è una conversazione religiosa, né mi dispongo a convertire alcuno. Mi limito a constatare un fatto. Non mi interesso molto della comunione dei cristiani credenti ai giorni nostri; parlo della comune tradizione cristiana che ha fatto l’Europa quella che è, e dei comuni elementi culturali che questa cristianità ha portato con sé (…) Un singolo europeo può non credere che la fede cristiana sia vera, e tuttavia tutto ciò che egli dice e fa, scaturirà dalla parte della cultura cristiana di cui è erede, e da quella trarrà significato. Solamente una cultura cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietzsche. Non credo che la cultura dell’Europa potrebbe sopravvivere alla sparizione completa della fede cristiana (…) Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura” (T.Eliot, Appunti per una definizione della cultura in Opere, Classici Bompiani 2003, pagg. 638-639).
“Il mondo storico – scrive Karl Lovith - in cui si è potuto formare il che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la dignità e il destino di essere uomo, non è originariamente il mondo (…) del Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo. L’immagine che sola fa dell’homo del mondo europeo un uomo, è sostanzialmente determinata dall’idea che il cristiano ha di sé, quale immagine di Dio (…) Questo riferimento storico (…) risulta indirettamente chiaro, per il fatto che soltanto con l’affievolirsi del cristianesimo è divenuta problematica anche l’umanità” (Karl Lovith, Da Hegel a Nietzsche, Biblioteca Einaudi 1994, pag. 482).
Sta qui la radice dell’umanesimo europeo del quale l’Europa è in debito con tutti. Un umanesimo non nominalistico ma integrale, concreto e fondato in modo trascendente: “Non tutti gli umanesimi, infatti, sono equivalenti sotto il profilo morale – diceva Benedetto XVI ai Vescovi sloveni in visita ad limina – Non mi riferisco qui agli aspetti religiosi, mi limito a quelli etico-sociali. A seconda della visione di uomo che si adotta, infatti, si hanno conseguenze diverse per la convivenza civile. Se, per esempio, si concepisce l’uomo, secondo una tendenza oggi diffusa, in modo individualistico, come giustificare lo sforzo per la costruzione di una comunità giusta e solidale?” (24.1.2008).
Sono parole che fanno pensare, e noi siamo qui per questo, con questo desiderio e questa passione: pensare per capire, capire per amare, e amare per servire l’uomo, la società, il Paese.