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Se, dopo che uno ha riacquistato la carità, prenda valore anche la sua soddisfazione fatta in precedenza
Supplemento
Questione 14
Articolo 3
SEMBRA che quando uno riacquista la carità, prenda valore anche la soddisfazione da lui fatta in precedenza. Infatti:
1. A commento di quel testo del Levitico, "Se un tuo fratello impoverito, ecc.", la Glossa afferma, che "i frutti di una vita onesta vanno computati dal tempo in cui uno ha peccato". Ora, essi non verrebbero così computati, se non ricevessero efficacia dalla carità successiva. Dunque essi prendono valore dopo il ricupero della carità.
2. L'efficacia della soddisfazione è impedita dal peccato come l'efficacia del battesimo è impedita dalle cattive disposizioni. Ma eliminate le cattive disposizioni il battesimo comincia ad aver valore. Quindi anche la soddisfazione appena scompare il peccato.
3. Se per i peccati commessi a uno sono stati imposti molti digiuni, ed egli li compie dopo essere ricaduto in peccato, quando si riconfessa non gli viene imposto di ripeterli. Invece essi gli verrebbero imposti, se così egli non avesse compiuto la soddisfazione. Dunque dal pentimento successivo le opere precedenti ricevono la loro efficacia.
IN CONTRARIO: 1. Le opere compiute senza la carità non furono satisfattorie, perché erano morte. Ma esse con la penitenza non reviviscono. Quindi neppure possono cominciare ad essere satisfattorie.
2. La carità non informa se non quegli atti che da essa in qualche modo derivano. Ora, le opere non possono essere accette a Dio, e quindi satisfattorie, se non sono informate dalla carità. Perciò siccome le opere compiute senza la carità in nessun modo sono derivate né potranno in seguito derivare da essa, in nessun modo potranno essere computate tra le opere satisfattorie.
RISPONDO: Alcuni hanno insegnato che le opere compiute nella carità, e che vengono denominate vive, sono meritorie della vita eterna e satisfattorie rispetto alla pena che rimane da espiare; mentre le opere fatte senza la carità, mediante il recupero successivo della carità verrebbero a rivivere come opere satisfattorie, ma non per meritare la vita eterna.
Ma questo è impossibile. Perché le opere compiute nella carità hanno l'uno e l'altro effetto dalla medesima ragione, cioè dal fatto che sono gradite a Dio. Perciò, la carità che viene acquistata, come non può renderle gradite per uno scopo, non può renderle tali neppure per l'altro.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La frase non va intesa nel senso che i frutti vanno computati dal momento che uno cominciò ad essere in peccato; ma dal tempo in cui cessò di peccare, ossia di essere in istato di peccato. Oppure da quando dopo il peccato uno se n'è pentito, facendo molte opere buone prima ancora di confessarsi.
Oppure si deve rispondere che quanto più grande è la contrizione, tanto più diminuisce la pena; e più numerose sono le opere buone che uno compie mentre è in peccato, più si dispone alla grazia della contrizione; per cui è probabile che costui meriti una pena minore. Ecco perché ciò dev'essere computato con discrezione dal sacerdote, nell'imporgli una pena meno grave, perché lo trova meglio disposto.
2. Il battesimo imprime nell'anima il carattere, non così la soddisfazione. Perciò quando sopraggiunge la carità, eliminando le cattive disposizioni e il peccato, fa sì che il battesimo ottenga il suo effetto; ma essa non può fare lo stesso per la soddisfazione.
Inoltre il battesimo giustifica ex opere operato, cioè con un'efficacia che non dipende dall'uomo ma da Dio. Perciò il battesimo non può essere "mortificato" del tutto come la soddisfazione che è opera dell'uomo.
3. Ci sono delle opere satisfattorie che lasciano degli effetti in chi le compie anche dopo che sono state compiute: il digiuno, p. es., lascia una debilitazione corporale, e l'elargizione di elemosine lascia una diminuzione di sostanze, e così via. Ebbene tali opere, non è necessario che vengano ripetute: poiché esse sono rese accette a Dio con la penitenza nelle loro conseguenze che permangono. Invece le opere satisfattorie che non lasciano conseguenze in chi le compie, devono essere ripetute: tale è il caso delle preghiere e di altre opere consimili. Gli atti interni poi,
poiché passano del tutto, in nessun modo possono avere una riviviscenza, ma devono essere ripetuti.
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