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Se la contrizione sia "il dolore spontaneo dei peccati col proposito di confessarli e di espiarli"
Supplemento
Questione 1
Articolo 1
SEMBRA che la contrizione non sia, come dicono alcuni, "il dolore spontaneo dei peccati col proposito di confessarli e di espiarli". Infatti:
1. A detta di S. Agostino, "il dolore ha per oggetto cose capitate contro il nostro volere". Ma i peccati non sono tali. Dunque la contrizione non è "il dolore dei peccati".
2. La contrizione ci viene data da Dio. Ora, quello che ci viene dato non è spontaneo. Quindi la contrizione non è un dolore "spontaneo".
3. La soddisfazione e la confessione sono necessarie per la remissione della pena che non viene rimessa nella contrizione. Ma talora nella contrizione viene rimessa tutta la pena. Dunque non è necessario che il contrito abbia sempre "il proposito di confessarsi e di espiare".
IN CONTRARIO: Tale è la definizione proposta.
RISPONDO: "Radice di ogni peccato è la superbia" con la quale l'uomo, aderendo al proprio sentire, si allontana dai precetti di Dio. Perciò è necessario che quanto distrugge il peccato faccia recedere l'uomo dal proprio sentire. Ora, colui che persevera nel proprio sentire è denominato in senso figurato compatto e duro: cosicché si dice che uno si lascia spezzare quando si allontana dal proprio sentire. Però tra la frattura e lo sbriciolamento o triturazione (contritio) delle cose materiali, da cui queste voci sono desunte e applicate a quelle spirituali, c'è questa differenza, come nota Aristotele, che si parla di frattura "quando una cosa solida si divide in grandi pezzi", mentre si parla di triturazione "quando si riduce in parti minute". E poiché per la remissione dei peccati si richiede che uno abbandoni totalmente l'affetto del peccato, col quale conservava coerenza e solidità nel suo sentire, l'atto col quale viene rimesso il peccato in senso figurato viene chiamato contrizione (ossia sbriciolamento).
Ora, in questa contrizione si possono considerare diverse cose: cioè la natura stessa dell'atto, il suo modo di prodursi, il suo principio e i suoi effetti. E secondo queste varie considerazioni furono date diverse definizioni della contrizione.
Rispetto alla natura stessa dell'atto viene data la definizione suddetta. E poiché l'atto della contrizione è un atto virtuoso ed è insieme parte del sacramento della penitenza, viene presentata in codesta definizione quale atto di virtù per il fatto che vengono indicati il genere di esso, ossia "il dolore"; il suo oggetto, nell'espressione "dei peccati"; e la deliberazione richiesta per un atto virtuoso con l'aggettivo "spontaneo". Invece quale parte del sacramento viene illustrato col legame che esso ha con le altre parti, mediante l'espressione, "col proposito di confessarli, ecc.".
C'è però una seconda definizione che definisce la contrizione in quanto è soltanto un atto di virtù; ma a questa definizione viene aggiunta la differenza specifica che la inserisce in una speciale virtù, ossia nella penitenza. Essa infatti dice che la penitenza è "il dolore volontario dei peccati, pronto a punire quanto uno si pente di aver commesso". Per il fatto quindi che si accenna alla punizione viene a inserirsi nella virtù della penitenza.
C'è poi la definizione di S. Isidoro: "La contrizione è compunzione e umiltà d'animo, accompagnata dalle lacrime, derivante dal ricordo del peccato e dal timore del giudizio". Questa definizione accenna all'etimologia della parola con l'espressione "umiltà d'animo": perché, come dalla superbia uno è reso inflessibile nel proprio sentire, così per il fatto che ne recede contrito, viene ad umiliarsi. Accenna pure alle manifestazioni esterne dell'atto, con le parole "accompagnata dalle lacrime"; e al principio o movente che lo determina: "derivante dal ricordo del peccato, ecc.".
Dalle parole di S. Agostino si desume un'altra definizione: "La contrizione è il dolore che rimette il peccato".
Un'altra definizione si desume dalle parole di S. Gregorio: "La contrizione è l'umiltà dell'animo che annienta il peccato tra la speranza e il timore". E questa accenna all'etimologia del nome con l'espressione "umiltà dell'animo"; ai suoi effetti con l'espressione "che annienta il peccato"; al suo movente con le parole "tra la speranza e il timore". E non ricorda solo il movente principale, che è il timore; ma anche quello concomitante, ossia la speranza, senza la quale il timore potrebbe produrre la disperazione.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene i peccati fossero volontari quando capitarono, tuttavia sono involontari nel momento in cui ne abbiamo la contrizione. E quindi "sono capitati contro la nostra volontà", non di quando si vollero, ma rispetto a quella che abbiamo adesso, secondo la quale vorremmo che non fossero mai capitati.
2. La contrizione deriva da Dio soltanto rispetto alla forma (ossia alla carità) da cui è informata: non già rispetto alla natura dell'atto, il quale deriva e dal libero arbitrio e da Dio che opera in tutte le opere e dalla natura e dalla volontà.
3. Sebbene la pena possa essere rimessa per intero mediante la contrizione, tuttavia è ancora necessaria e la confessione e la soddisfazione. Sia perché l'uomo non può raggiungere la certezza di essersi purificato del tutto. Sia perché la confessione e la soddisfazione sono di precetto. Perciò commetterebbe una trasgressione, chi non si confessasse e non accettasse l'espiazione.
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