I, 28

Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Le relazioni divine


Prima pars
Quaestio 28
Prooemium

[29610] Iª q. 28 pr.
Deinde considerandum est de relationibus divinis. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum in Deo sint aliquae relationes reales.
Secundo, utrum illae relationes sint ipsa essentia divina, vel sint extrinsecus affixae.
Tertio, utrum possint esse in Deo plures relationes realiter distinctae ab invicem.
Quarto, de numero harum relationum.

 
Prima parte
Questione 28
Proemio

[29544] Iª q. 26 pr.
Passiamo ora a considerare le relazioni divine.
A questo proposito si pongono quattro quesiti:

1. Se in Dio vi siano relazioni reali;
2. Se tali relazioni siano la stessa essenza divina o qualche cosa di aggiunto esternamente;
3. Se in Dio vi possono essere più relazioni tra loro realmente distinte;
4. Quale sia il numero di queste relazioni.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Le relazioni divine > Se in Dio vi siano relazioni reali


Prima pars
Quaestio 28
Articulus 1

[29611] Iª q. 28 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod in Deo non sint aliquae relationes reales. Dicit enim Boetius, in libro de Trin., quod cum quis praedicamenta in divinam vertit praedicationem, cuncta mutantur in substantiam quae praedicari possunt; ad aliquid vero omnino non potest praedicari. Sed quidquid est realiter in Deo, de ipso praedicari potest. Ergo relatio non est realiter in Deo.

 
Prima parte
Questione 28
Articolo 1

[29611] Iª q. 28 a. 1 arg. 1
SEMBRA che in Dio non vi siano relazioni reali. Infatti:
1. Boezio dice: «quando le nostre categorie si riferiscono a Dio, quelle che gli si possono riferire si mutano nella categoria di sostanza; ma in nessun modo gli possiamo attribuire la relazione». Ma tutto ciò che è realmente in Dio possiamo a lui attribuirlo. Perciò in lui non c'è realmente nessuna relazione.

[29612] Iª q. 28 a. 1 arg. 2
Praeterea, dicit Boetius in eodem libro, quod similis est relatio in Trinitate patris ad filium, et utriusque ad spiritum sanctum, ut eius quod est idem, ad id quod est idem. Sed huiusmodi relatio est rationis tantum, quia omnis relatio realis exigit duo extrema realiter. Ergo relationes quae ponuntur in divinis, non sunt reales relationes, sed rationis tantum.

 

[29612] Iª q. 28 a. 1 arg. 2
2. Boezio asserisce nello stesso libro che «nella SS. Trinità la relazione del Padre al Figlio, e quella di ambedue allo Spirito Santo, è come quella di una identica cosa a se stessa». Ma questa è solo una relazione di ragione: perché ogni relazione reale richiede due termini reali. Perciò le relazioni che si pongono in Dio non sono reali ma di sola ragione.

[29613] Iª q. 28 a. 1 arg. 3
Praeterea, relatio paternitatis est relatio principii. Sed cum dicitur, Deus est principium creaturarum, non importatur aliqua relatio realis, sed rationis tantum. Ergo nec paternitas in divinis est relatio realis. Et eadem ratione nec aliae relationes quae ponuntur ibi.

 

[29613] Iª q. 28 a. 1 arg. 3
3. La relazione di paternità è una relazione di principio. Ma l'espressione Dio è principio delle creature, non implica una relazione reale, ma solo di ragione. Perciò neppure la paternità è una relazione reale. Lo stesso si deve dire delle altre relazioni che si attribuiscono a Dio.

[29614] Iª q. 28 a. 1 arg. 4
Praeterea, generatio in divinis est secundum intelligibilis verbi processionem. Sed relationes quae consequuntur operationem intellectus, sunt relationes rationis. Ergo paternitas et filiatio, quae dicuntur in divinis secundum generationem, sunt relationes rationis tantum.

 

[29614] Iª q. 28 a. 1 arg. 4
4. La generazione in Dio avviene come processione del verbo mentale. Ma le relazioni che derivano dalle operazioni intellettuali sono relazioni di ragione. Perciò in Dio paternità e filiazione, che sono desunte dalla generazione, sono soltanto relazioni di ragione.

[29615] Iª q. 28 a. 1 s. c.
Sed contra est quod pater non dicitur nisi a paternitate, et filius a filiatione. Si igitur paternitas et filiatio non sunt in Deo realiter, sequitur quod Deus non sit realiter pater aut filius, sed secundum rationem intelligentiae tantum, quod est haeresis Sabelliana.

 

[29615] Iª q. 28 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Padre non è detto tale se non per la paternità, e il Figlio per la filiazione. Se dunque la paternità e la filiazione non sono realmente in Dio, ne segue che egli non è realmente né Padre né Figlio, ma soltanto secondo il nostro modo di concepire: e questa è l'eresia di Sabellio.

[29616] Iª q. 28 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod relationes quaedam sunt in divinis realiter. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod solum in his quae dicuntur ad aliquid, inveniuntur aliqua secundum rationem tantum, et non secundum rem. Quod non est in aliis generibus, quia alia genera, ut quantitas et qualitas, secundum propriam rationem significant aliquid alicui inhaerens. Ea vero quae dicuntur ad aliquid, significant secundum propriam rationem solum respectum ad aliud. Qui quidem respectus aliquando est in ipsa natura rerum; utpote quando aliquae res secundum suam naturam ad invicem ordinatae sunt, et invicem inclinationem habent. Et huiusmodi relationes oportet esse reales. Sicut in corpore gravi est inclinatio et ordo ad locum medium, unde respectus quidam est in ipso gravi respectu loci medii. Et similiter est de aliis huiusmodi. Aliquando vero respectus significatus per ea quae dicuntur ad aliquid, est tantum in ipsa apprehensione rationis conferentis unum alteri, et tunc est relatio rationis tantum; sicut cum comparat ratio hominem animali, ut speciem ad genus. Cum autem aliquid procedit a principio eiusdem naturae, necesse est quod ambo, scilicet procedens et id a quo procedit, in eodem ordine conveniant, et sic oportet quod habeant reales respectus ad invicem. Cum igitur processiones in divinis sint in identitate naturae, ut ostensum est, necesse est quod relationes quae secundum processiones divinas accipiuntur, sint relationes reales.

 

[29616] Iª q. 28 a. 1 co.
RISPONDO: Vi sono in Dio alcune relazioni reali. Per mettere questo in chiaro si deve notare che solo nella categoria di relazione si trovano alcune specie che non sono reali ma soltanto di ragione. E ciò non avviene nelle altre categorie; perché queste altre, come la quantità e la qualità, prese anche secondo la loro ragione differenziale, significano qualcosa di inerente al soggetto. Invece la relazione, presa secondo il suo concetto essenziale, importa solo un ordine a qualche altra cosa. E tale ordine qualche volta è nella stessa natura delle cose; come quando queste per natura sono tra loro ordinate e tendono l'una all'altra. Queste relazioni sono necessariamente reali. Così nei gravi c'è l'inclinazione e la tendenza al basso, al centro della terra; e perciò c'è in loro un ordine, una relazione a questo centro. Lo stesso avviene in altre cose simili. Invece, talvolta, il rapporto, espresso dai termini relativi, si trova soltanto nella ragione che conosce e confronta un termine con l'altro: e allora si ha una relazione soltanto di ragione; come quando questa mette in rapporto l'uomo con l'animale, quale specie al genere.
Ora, quando un soggetto procede da un principio di uguale natura, tutti e due, cioè chi procede e il principio da cui procede, necessariamente convengono nello stesso ordine, e perciò le relazioni che li uniscono sono di necessità relazioni reali. Essendo dunque le processioni divine in identità di natura, come fu detto, anche le relazioni che ne seguono sono necessariamente relazioni reali.

[29617] Iª q. 28 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ad aliquid dicitur omnino non praedicari in Deo, secundum propriam rationem eius quod dicitur ad aliquid; inquantum scilicet propria ratio eius quod ad aliquid dicitur, non accipitur per comparationem ad illud cui inest relatio, sed per respectum ad alterum. Non ergo per hoc excludere voluit quod relatio non esset in Deo, sed quod non praedicaretur per modum inhaerentis secundum propriam relationis rationem, sed magis per modum ad aliud se habentis.

 

[29617] Iª q. 28 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che la relazione, secondo la sua natura di relazione, non si può affatto attribuire a Dio; perché non si desume la natura propria di tale categoria dal soggetto in cui si trova, ma dal riferimento all'altro [termine della relazione]. Con questo però Boezio non ha voluto escludere da Dio le relazioni, ma affermare che esse, secondo la loro propria natura; non si predicano in quanto inerenti a un soggetto, ma piuttosto in quanto si riferiscono all'altro termine.

[29618] Iª q. 28 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod relatio quae importatur per hoc nomen idem, est relatio rationis tantum, si accipiatur simpliciter idem, quia huiusmodi relatio non potest consistere nisi in quodam ordine quem ratio adinvenit alicuius ad seipsum, secundum aliquas eius duas considerationes. Secus autem est, cum dicuntur aliqua eadem esse, non in numero, sed in natura generis sive speciei. Boetius igitur relationes quae sunt in divinis, assimilat relationi identitatis, non quantum ad omnia, sed quantum ad hoc solum, quod per huiusmodi relationes non diversificatur substantia, sicut nec per relationem identitatis.

 

[29618] Iª q. 28 a. 1 ad 2
2. La relazione indicata dall'espressione identica cosa è una relazione di sola ragione, se [la cosa] si prende come del tutto identica: perché una tale relazione non può consistere che in un certo rapporto di una cosa con se stessa, presa sotto due considerazioni diverse, stabilito dalla mente. Ma non è affatto cosi quando si dice che due cose numericamente distinte, sono identiche di genere o di specie. Perciò Boezio paragona le relazioni che sono in Dio a quella di identità, non in tutto, ma solo in questo che con tali relazioni la sostanza [divina] non acquista diversità, come avviene nella relazione di identità.

[29619] Iª q. 28 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, cum creatura procedat a Deo in diversitate naturae, Deus est extra ordinem totius creaturae, nec ex eius natura est eius habitudo ad creaturas. Non enim producit creaturas ex necessitate suae naturae, sed per intellectum et per voluntatem, ut supra dictum est. Et ideo in Deo non est realis relatio ad creaturas. Sed in creaturis est realis relatio ad Deum, quia creaturae continentur sub ordine divino, et in earum natura est quod dependeant a Deo. Sed processiones divinae sunt in eadem natura. Unde non est similis ratio.

 

[29619] Iª q. 28 a. 1 ad 3
3. Siccome le creature procedono da Dio secondo una diversità di natura, Dio si trova fuori di tutto l'ordine delle creature; e il rapporto che egli ha alle creature non proviene dalla sua natura, poiché egli non le produce per necessità intrinseca, ma per azione libera del suo intelletto e della sua volontà, come si è detto. Perciò in Dio non c'è una relazione reale alle creature. Ma nelle creature c'è una relazione reale a Dio: essendo contenute sotto l'ordine divino, e dipendendo nella loro natura da Dio. Le processioni divine invece sono secondo l'unità di natura. Quindi il paragone non regge.

[29620] Iª q. 28 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod relationes quae consequuntur solam operationem intellectus in ipsis rebus intellectis, sunt relationes rationis tantum, quia scilicet eas ratio adinvenit inter duas res intellectas. Sed relationes quae consequuntur operationem intellectus, quae sunt inter verbum intellectualiter procedens et illud a quo procedit, non sunt relationes rationis tantum, sed rei, quia et ipse intellectus et ratio est quaedam res, et comparatur realiter ad id quod procedit intelligibiliter, sicut res corporalis ad id quod procedit corporaliter. Et sic paternitas et filiatio sunt relationes reales in divinis.

 

[29620] Iª q. 28 a. 1 ad 4
4. Le relazioni che sorgono nelle cose dalle sole operazioni della mente, sono relazioni soltanto di ragione, perché poste dalla mente stessa nelle cose intese. Invece le relazioni che seguono le operazioni della mente e intercorrono tra il verbo mentale e il principio da cui procede, non sono soltanto di ragione ma reali; perché l'intelletto o ragione è qualcosa di reale che ha rapporto reale a ciò che procede mentalmente, come le cose corporali hanno relazione reale a ciò che procede materialmente [da esse]. E in questo senso la paternità e la filiazione sono realmente in Dio.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Le relazioni divine > Se la relazione in Dio sia identica alla sua essenza


Prima pars
Quaestio 28
Articulus 2

[29621] Iª q. 28 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod relatio in Deo non sit idem quod sua essentia. Dicit enim Augustinus, in V de Trin., quod non omne quod dicitur in Deo, dicitur secundum substantiam. Dicitur enim ad aliquid, sicut pater ad filium, sed haec non secundum substantiam dicuntur. Ergo relatio non est divina essentia.

 
Prima parte
Questione 28
Articolo 2

[29621] Iª q. 28 a. 2 arg. 1
SEMBRA che in Dio la relazione non sia identica alla sua essenza. Infatti:
1. S. Agostino dice: «Non tutto quello che si predica di Dio sta a indicare la sostanza, giacché alcune cose si dicono di lui in ordine ad altro, come si dice Padre in ordine al Figlio: ma queste [due espressioni] non stanno a indicare la di lui sostanza». Perciò la relazione non è l'essenza divina.

[29622] Iª q. 28 a. 2 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, VII de Trin., omnis res quae relative dicitur, est etiam aliquid excepto relativo; sicut homo dominus, et homo servus. Si igitur relationes aliquae sunt in Deo, oportet esse in Deo aliquid aliud praeter relationes. Sed hoc aliud non potest esse nisi essentia. Ergo essentia est aliud a relationibus.

 

[29622] Iª q. 28 a. 2 arg. 2
2. Lo stesso S. Agostino asserisce: «Nelle cose che sono denominate da una relazione, oltre questa, c'è in loro qualcos'altro, come nell'uomo-padrone e nell'uomo-servo». Se dunque in Dio ci sono delle relazioni, bisogna che in lui, oltre la relazione, ci sia anche qualche altra cosa. Ma quest'altra cosa non può essere che l'essenza. Quindi questa è altra cosa che le relazioni.

[29623] Iª q. 28 a. 2 arg. 3
Praeterea, esse relativi est ad aliud se habere, ut dicitur in praedicamentis. Si igitur relatio sit ipsa divina essentia, sequitur quod esse divinae essentiae sit ad aliud se habere, quod repugnat perfectioni divini esse, quod est maxime absolutum et per se subsistens, ut supra ostensum est. Non igitur relatio est ipsa essentia divina.

 

[29623] Iª q. 28 a. 2 arg. 3
3. L'essere di ogni cosa relativa è quello di riferirsi ad altro, come dice Aristotele. Se dunque la relazione fosse identica all'essenza, ne seguirebbe che l'essere dell'essenza divina sarebbe una semplice relazione; e questo ripugna alla perfezione dell'essere divino che è massimamente assoluto e sussistente, come si è già detto. Perciò la relazione non è l'essenza divina.

[29624] Iª q. 28 a. 2 s. c.
Sed contra, omnis res quae non est divina essentia, est creatura. Sed relatio realiter competit Deo. Si ergo non est divina essentia, erit creatura, et ita ei non erit adoratio latriae exhibenda, contra quod in praefatione cantatur, ut in personis proprietas, et in maiestate adoretur aequalitas.

 

[29624] Iª q. 28 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Tutto ciò che non è l'essenza divina è creatura. Ora, la relazione si attribuisce a Dio come cosa reale. Se dunque essa non si identifica con l'essenza divina, è qualcosa di creato: e come tale non meritevole di adorazione latreutica; contro quanto si canta nel Prefazio: «Si adori nelle Persone la proprietà e l'uguaglianza nella maestà».

[29625] Iª q. 28 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod circa hoc dicitur Gilbertus Porretanus errasse, sed errorem suum postmodum in Remensi Concilio revocasse. Dixit enim quod relationes in divinis sunt assistentes, sive extrinsecus affixae. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod in quolibet novem generum accidentis est duo considerare. Quorum unum est esse quod competit unicuique ipsorum secundum quod est accidens. Et hoc communiter in omnibus est inesse subiecto, accidentis enim esse est inesse. Aliud quod potest considerari in unoquoque, est propria ratio uniuscuiusque illorum generum. Et in aliis quidem generibus a relatione, utpote quantitate et qualitate, etiam propria ratio generis accipitur secundum comparationem ad subiectum, nam quantitas dicitur mensura substantiae, qualitas vero dispositio substantiae. Sed ratio propria relationis non accipitur secundum comparationem ad illud in quo est, sed secundum comparationem ad aliquid extra. Si igitur consideremus, etiam in rebus creatis, relationes secundum id quod relationes sunt, sic inveniuntur esse assistentes, non intrinsecus affixae; quasi significantes respectum quodammodo contingentem ipsam rem relatam, prout ab ea tendit in alterum. Si vero consideretur relatio secundum quod est accidens, sic est inhaerens subiecto, et habens esse accidentale in ipso. Sed Gilbertus Porretanus consideravit relationem primo modo tantum. Quidquid autem in rebus creatis habet esse accidentale, secundum quod transfertur in Deum, habet esse substantiale, nihil enim est in Deo ut accidens in subiecto, sed quidquid est in Deo, est eius essentia. Sic igitur ex ea parte qua relatio in rebus creatis habet esse accidentale in subiecto, relatio realiter existens in Deo habet esse essentiae divinae, idem omnino ei existens. In hoc vero quod ad aliquid dicitur, non significatur aliqua habitudo ad essentiam, sed magis ad suum oppositum. Et sic manifestum est quod relatio realiter existens in Deo, est idem essentiae secundum rem; et non differt nisi secundum intelligentiae rationem, prout in relatione importatur respectus ad suum oppositum, qui non importatur in nomine essentiae. Patet ergo quod in Deo non est aliud esse relationis et esse essentiae, sed unum et idem.

 

[29625] Iª q. 28 a. 2 co.
RISPONDO: È risaputo che Gilberto Porretano errò su questo argomento ma poi ritrattò il suo errore nel Concilio di Reims. Diceva infatti che le relazioni in Dio sono assistenti, ossia apposte dall'esterno.
Per chiarire questo punto è necessario badare che in ognuno dei nove generi di accidente si devono distinguere due elementi. Il primo è l'essere che conviene a ognuno di tali generi in quanto accidenti. E questo, comune a tutti [e nove], è l'essere nel soggetto, giacché l'essere dell'accidente è appunto l'essere in [un soggetto]. L'altro elemento a cui si deve badare è ciò che forma la ragione propria di ciascun genere e ne è l'elemento distinguente. Negli altri generi diversi dalla relazione, come nella quantità e nella qualità, anche questo elemento distinguente si prende in rapporto al soggetto: giacché la quantità è misura della sostanza e la qualità è una disposizione della sostanza. Invece l'elemento distinguente della relazione non si prende per rapporto al soggetto in cui si trova, ma a qualche cosa di esterno. Se dunque anche nelle creature consideriamo le relazioni secondo ciò che loro compete di proprio, cioè come relazioni, si trova che sono assistenti, non intrinsecamente apposte; perché allora significano il rapporto che, in certo qual modo, parte dalla stessa cosa che viene riferita, per tendere verso un'altra. Se invece le stesse relazioni si considerano come accidenti, prese così, sono inerenti al soggetto ed hanno in esso un essere accidentale. Ma Gilberto Porretano considerò le relazioni solo nel primo modo.
Ora, tutto ciò che nelle creature ha un essere accidentale, trasferito a Dio ne acquista uno sostanziale; giacché in Dio non c'è nulla di accidentale, ma tutto ciò che è in lui è la sua stessa essenza. Così dunque la relazione che esiste realmente in Dio, da quel lato che nelle creature ha un essere accidentale, in Dio ha quello sostanziale della divina essenza, affatto identico ad essa. Invece dal lato specifico di relazione non indica nessun ordine all'essenza, ma piuttosto al suo correlativo. E così è chiaro che la relazione esistente realmente in Dio è realmente la stessa cosa che l'essenza; e non ne è distinta se non per una differenza concettuale, in quanto nella relazione è incluso l'ordine al termine correlativo; ordine che non è incluso nel concetto di essenza. E dunque evidente che in Dio l'essere della relazione non è diverso da quello dell'essenza, ma è la stessa e identica cosa.

[29626] Iª q. 28 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verba illa Augustini non pertinent ad hoc, quod paternitas, vel alia relatio quae est in Deo, secundum esse suum non sit idem quod divina essentia; sed quod non praedicatur secundum modum substantiae, ut existens in eo de quo dicitur, sed ut ad alterum se habens. Et propter hoc dicuntur duo tantum esse praedicamenta in divinis. Quia alia praedicamenta important habitudinem ad id de quo dicuntur, tam secundum suum esse, quam secundum proprii generis rationem, nihil autem quod est in Deo, potest habere habitudinem ad id in quo est, vel de quo dicitur, nisi habitudinem identitatis, propter summam Dei simplicitatem.

 

[29626] Iª q. 28 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino con quelle parole non vuol dire che la paternità, o altra relazione non sia identica nel suo essere all'essenza divina; ma soltanto che non si predica come sostanza, cioè come esistente nel soggetto cui si attribuisce, bensì in quanto si riferisce ad un altro termine. - E per questo si dice che in Dio non ci sono che due predicamenti. Perché gli altri importano un ordine al soggetto di cui si predicano, tanto secondo il loro essere quanto secondo la loro ragione specifica: nulla però di quanto è in Dio, data la sua somma semplicità, può avere altro rapporto col soggetto in cui si trova che quello di identità.

[29627] Iª q. 28 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut in rebus creatis, in illo quod dicitur relative, non solum est invenire respectum ad alterum, sed etiam aliquid absolutum, ita et in Deo, sed tamen aliter et aliter. Nam id quod invenitur in creatura praeter id quod continetur sub significatione nominis relativi, est alia res, in Deo autem non est alia res, sed una et eadem, quae non perfecte exprimitur relationis nomine, quasi sub significatione talis nominis comprehensa. Dictum est enim supra, cum de divinis nominibus agebatur, quod plus continetur in perfectione divinae essentiae, quam aliquo nomine significari possit. Unde non sequitur quod in Deo, praeter relationem, sit aliquid aliud secundum rem; sed solum considerata nominum ratione.

 

[29627] Iª q. 28 a. 2 ad 2
2. Nelle creature che sono denominate da una relazione, non c'è soltanto questa relazione, ma anche qualcos'altro di assoluto: lo stesso, sebbene in modo differente, avviene in Dio. Nelle creature infatti ciò che è significato dal nome relativo è tutt'altra cosa; in Dio invece è la stessa e identica cosa, cioè la sostanza divina, la quale però non è perfettamente espressa dal nome relativo, siccome quella che non è limitata al significato di tal nome. Si è detto infatti, parlando dei nomi divini, che in Dio vi è assai più di quanto si possa esprimere con qualsiasi nome. Perciò non segue che in Dio, oltre le relazioni, vi sia in realtà qualche altra cosa; ma c'è soltanto se si considera la natura propria dei nomi.

[29628] Iª q. 28 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, si in perfectione divina nihil plus contineretur quam quod significat nomen relativum, sequeretur quod esse eius esset imperfectum, utpote ad aliquid aliud se habens, sicut si non contineretur ibi plus quam quod nomine sapientiae significatur, non esset aliquid subsistens. Sed quia divinae essentiae perfectio est maior quam quod significatione alicuius nominis comprehendi possit, non sequitur, si nomen relativum, vel quodcumque aliud nomen dictum de Deo, non significat aliquid perfectum, quod divina essentia habeat esse imperfectum, quia divina essentia comprehendit in se omnium generum perfectionem, ut supra dictum est.

 

[29628] Iª q. 28 a. 2 ad 3
3. Se la perfezione divina non contenesse nulla di più di quanto è significato dal nome relativo, il suo essere sarebbe imperfetto perché consisterebbe nella semplice relazione; a quel modo che non sarebbe sussistente se non contenesse nulla di più di quanto vien significato col nome di sapienza. Ma essendo la perfezione dell'essenza divina maggiore di quanto possa esprimersi a parole, non ne segue che se un nome relativo, o un altro qualunque, non significa qualcosa di perfetto, l'essenza divina sia imperfetta perché, come si è detto, essa racchiude in se stessa ogni genere di perfezione.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Le relazioni divine > Se le relazioni esistenti in Dio siano distinte realmente tra loro


Prima pars
Quaestio 28
Articulus 3

[29629] Iª q. 28 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod relationes quae sunt in Deo, realiter ab invicem non distinguantur. Quaecumque enim uni et eidem sunt eadem, sibi invicem sunt eadem. Sed omnis relatio in Deo existens est idem secundum rem cum divina essentia. Ergo relationes secundum rem ab invicem non distinguuntur.

 
Prima parte
Questione 28
Articolo 3

[29629] Iª q. 28 a. 3 arg. 1
SEMBRA che le relazioni esistenti in Dio non siano distinte realmente tra loro. Infatti:
1. Più cose identiche ad una medesima cosa sono identiche tra loro. Ma ogni relazione esistente in Dio è realmente la stessa cosa con la sostanza divina. Dunque coteste relazioni non si distinguono realmente tra loro.

[29630] Iª q. 28 a. 3 arg. 2
Praeterea, sicut paternitas et filiatio secundum nominis rationem distinguuntur ab essentia divina, ita et bonitas et potentia. Sed propter huiusmodi rationis distinctionem non est aliqua realis distinctio bonitatis et potentiae divinae. Ergo neque paternitatis et filiationis.

 

[29630] Iª q. 28 a. 3 arg. 2
2. La paternità e la filiazione si distinguono dall'essenza divina solo per il proprio concetto espresso dai nomi, come si distinguono la bontà e la potenza. Ma la bontà e la potenza in Dio non sono realmente distinte per questa distinzione concettuale. Perciò neppure la paternità e la filiazione sono distinte.

[29631] Iª q. 28 a. 3 arg. 3
Praeterea, in divinis non est distinctio realis nisi secundum originem. Sed una relatio non videtur oriri ex alia. Ergo relationes non distinguuntur realiter ab invicem.

 

[29631] Iª q. 28 a. 3 arg. 3
3. In Dio non c'è distinzione reale se non per l'origine. Ma una relazione non scaturisce dall'altra. Perciò le relazioni non sono distinte realmente tra loro.

[29632] Iª q. 28 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicit Boetius, in libro de Trin., quod substantia in divinis continet unitatem, relatio multiplicat Trinitatem. Si ergo relationes non distinguuntur ab invicem realiter, non erit in divinis Trinitas realis, sed rationis tantum, quod est Sabelliani erroris.

 

[29632] Iª q. 28 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Dice Boezio, «in Dio la sostanza mantiene l'unità, mentre la relazione moltiplica la trinità». Se dunque le relazioni non si distinguono realmente, in Dio non si avrà una trinità reale, ma solo di ragione; e questo è l'errore di Sabellio.

[29633] Iª q. 28 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod ex eo quod aliquid alicui attribuitur, oportet quod attribuantur ei omnia quae sunt de ratione illius, sicut cuicumque attribuitur homo, oportet quod attribuatur ei esse rationale. De ratione autem relationis est respectus unius ad alterum, secundum quem aliquid alteri opponitur relative. Cum igitur in Deo realiter sit relatio, ut dictum est, oportet quod realiter sit ibi oppositio. Relativa autem oppositio in sui ratione includit distinctionem. Unde oportet quod in Deo sit realis distinctio, non quidem secundum rem absolutam, quae est essentia, in qua est summa unitas et simplicitas; sed secundum rem relativam.

 

[29633] Iª q. 28 a. 3 co.
RISPONDO: Per ciò stesso che ad un soggetto si attribuisce qualcosa, gli si deve anche attribuire tutto quello che è incluso in tale concetto; così a chiunque si attribuisce l'umanità, si deve anche attribuire la razionalità. Ora, nel concetto di relazione è incluso il rapporto di una cosa ad un'altra relativamente opposta. In Dio, essendovi delle relazioni reali, come si è detto, ci deve anche essere una reale opposizione. E tale opposizione include nel suo concetto la distinzione. Perciò in Dio vi deve essere una distinzione reale, non già in quello che c'è in lui di assoluto, cioè nell'essenza, che è somma unità e semplicità; ma in ciò che è relativo.

[29634] Iª q. 28 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, secundum philosophum in III Physic., argumentum illud tenet, quod quaecumque uni et eidem sunt eadem, sibi invicem sunt eadem, in his quae sunt idem re et ratione, sicut tunica et indumentum, non autem in his quae differunt ratione. Unde ibidem dicit quod, licet actio sit idem motui, similiter et passio, non tamen sequitur quod actio et passio sint idem, quia in actione importatur respectus ut a quo est motus in mobili, in passione vero ut qui est ab alio. Et similiter, licet paternitas sit idem secundum rem cum essentia divina, et similiter filiatio, tamen haec duo in suis propriis rationibus important oppositos respectus. Unde distinguuntur ab invicem.

 

[29634] Iª q. 28 a. 3 ad 1
tamen haec duo in suis propriis rationibus important oppositos respectus. Unde distinguuntur ab invicem.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'assioma aristotelico, se due cose sono identiche ad una terza sono identiche anche tra loro, vale per quelle cose che sono identiche tanto nella realtà quanto nel concetto, come, p. es., abito e vestito: non vale invece per quelle che sono diverse per il concetto. Per cui lo stesso Filosofo dice che, sebbene l'azione si identifichi col moto, e così pure la passione, non ne segue però che l'azione sia identica alla passione: perché nell'azione è incluso un riferimento del moto al principio da cui proviene, mentre nella passione è incluso [il riferimento] al soggetto nel quale il moto è ricevuto. Allo stesso modo, sebbene la paternità sia realmente identica all'essenza divina, e così pure la filiazione, tuttavia queste due cose nei loro concetti includono rapporti opposti. Perciò sono distinte l'una dall'altra.

[29635] Iª q. 28 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod potentia et bonitas non important in suis rationibus aliquam oppositionem, unde non est similis ratio.

 

[29635] Iª q. 28 a. 3 ad 2
2. La potenza e la bontà non includono nel loro concetto alcuna opposizione: perciò il paragone non regge.

[29636] Iª q. 28 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quamvis relationes, proprie loquendo, non oriantur vel procedant ab invicem, tamen accipiuntur per oppositum secundum processionem alicuius ab alio.

 

[29636] Iª q. 28 a. 3 ad 3
3. Sebbene, propriamente parlando, le relazioni non nascano o procedano l'una dall'altra, tuttavia sorgono dagli opposti termini della [stessa] processione di una cosa dall'altra.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Le relazioni divine > Se in Dio vi siano soltanto quattro relazioni reali, cioè la paternità, la filiazione, la spirazione e la processione


Prima pars
Quaestio 28
Articulus 4

[29637] Iª q. 28 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in Deo non sint tantum quatuor relationes reales, scilicet paternitas, filiatio, spiratio et processio. Est enim considerare in Deo relationes intelligentis ad intellectum, et volentis ad volitum, quae videntur esse relationes reales, neque sub praedictis continentur. Non ergo sunt solum quatuor relationes reales in Deo.

 
Prima parte
Questione 28
Articolo 4

[29637] Iª q. 28 a. 4 arg. 1
SEMBRA che in Dio non vi siano soltanto quattro relazioni reali, cioè la paternità, la filiazione, la spirazione e la processione. Infatti:
1. Si deve tener conto in Dio anche delle relazioni esistenti tra l'intelletto e la cosa intesa, e tra la volontà e l'oggetto voluto: relazioni, queste, che paiono anch'esse reali, ne sono comprese tra le precedenti. Perciò in Dio non ci sono solo quelle quattro relazioni.

[29638] Iª q. 28 a. 4 arg. 2
Praeterea, relationes reales accipiuntur in Deo secundum processionem intelligibilem verbi. Sed relationes intelligibiles multiplicantur in infinitum, ut Avicenna dicit. Ergo in Deo sunt infinitae relationes reales.

 

[29638] Iª q. 28 a. 4 arg. 2
2. Le relazioni reali in Dio sorgono dalla processione intellettuale del verbo. Ma secondo Avicenna le relazioni mentali si moltiplicano all'infinito. Quindi in Dio c'è un numero infinito di relazioni.

[29639] Iª q. 28 a. 4 arg. 3
Praeterea, ideae sunt in Deo ab aeterno, ut supra dictum est. Non autem distinguuntur ab invicem nisi secundum respectum ad res, ut supra dictum est. Ergo in Deo sunt multo plures relationes aeternae.

 

[29639] Iª q. 28 a. 4 arg. 3
3. Come si è detto sopra, in Dio da tutta l'eternità ci sono le idee [archetipe], le quali, come pure si è detto, si distinguono tra loro solo per il diverso ordine alle creature. Perciò in Dio c'è un numero molto maggiore di relazioni che non le quattro suddette.

[29640] Iª q. 28 a. 4 arg. 4
Praeterea, aequalitas et similitudo et identitas sunt relationes quaedam; et sunt in Deo ab aeterno. Ergo plures relationes sunt ab aeterno in Deo, quam quae dictae sunt.

 

[29640] Iª q. 28 a. 4 arg. 4
4. L'uguaglianza, la somiglianza e l'identità sono anch'esse relazioni, ed esistono in Dio da tutta l'eternità. Quindi da tutta l'eternità ci sono in Dio più relazioni che le [quattro] suddette.

[29641] Iª q. 28 a. 4 s. c.
Sed contra, videtur quod sint pauciores. Quia secundum philosophum, in III Physic., eadem via est de Athenis ad Thebas, et de Thebis ad Athenas. Ergo videtur quod pari ratione eadem sit relatio de patre ad filium, quae dicitur paternitas, et de filio ad patrem, quae dicitur filiatio. Et sic non sunt quatuor relationes in Deo.

 

[29641] Iª q. 28 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sembra invece che ce ne siano di meno di quelle quattro perché, come dice Aristotele, «è la stessa la strada da Atene a Tebe e da Tebe ad Atene». Per la medesima ragione pare che sia la stessa relazione quella del padre al figlio, detta paternità, e quella del figlio al padre, detta filiazione. E così non sono quattro le relazioni in Dio.

[29642] Iª q. 28 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, secundum philosophum, in V Metaphys., relatio omnis fundatur vel supra quantitatem, ut duplum et dimidium; vel supra actionem et passionem, ut faciens et factum, pater et filius, dominus et servus, et huiusmodi. Cum autem quantitas non sit in Deo (est enim sine quantitate magnus, ut dicit Augustinus). Relinquitur ergo quod realis relatio in Deo esse non possit, nisi super actionem fundata. Non autem super actiones secundum quas procedit aliquid extrinsecum a Deo, quia relationes Dei ad creaturas non sunt realiter in ipso, ut supra dictum est. Unde relinquitur quod relationes reales in Deo non possunt accipi, nisi secundum actiones secundum quas est processio in Deo, non extra, sed intra. Huiusmodi autem processiones sunt duae tantum, ut supra dictum est, quarum una accipitur secundum actionem intellectus, quae est processio verbi; alia secundum actionem voluntatis, quae est processio amoris. Secundum quamlibet autem processionem oportet duas accipere relationes oppositas, quarum una sit procedentis a principio, et alia ipsius principii. Processio autem verbi dicitur generatio, secundum propriam rationem qua competit rebus viventibus. Relatio autem principii generationis in viventibus perfectis dicitur paternitas, relatio vero procedentis a principio dicitur filiatio. Processio vero amoris non habet nomen proprium, ut supra dictum est, unde neque relationes quae secundum ipsam accipiuntur. Sed vocatur relatio principii huius processionis spiratio; relatio autem procedentis, processio; quamvis haec duo nomina ad ipsas processiones vel origines pertineant, et non ad relationes.

 

[29642] Iª q. 28 a. 4 co.
RISPONDO: Secondo il Filosofo ogni relazione si fonda o sulla quantità, come il doppio, la metà, ecc.; oppure sopra l'azione e la passione, come quella che c'è tra chi fa e ciò che è fatto tra padre e figlio, tra padrone e servo e simili. Ma non essendovi in Dio quantità, (giacché egli, come dice S. Agostino, è «grande ma non in estensione») ne segue che ogni relazione reale che c'è in lui non può avere altro fondamento che l'azione, e non già quella da cui procede qualcosa al di fuori di lui; poiché come si è detto prima, le relazioni di Dio alle creature non sono realmente in lui. Quindi non possono esserci relazioni reali in Dio che per quelle azioni in virtù delle quali si hanno processioni non al di fuori ma dentro Dio stesso.
Ora, come si è detto, queste processioni sono soltanto due: una per l'azione dell'intelletto, ed è la processione del verbo; l'altra per l'azione della volontà, ed è la processione dell'amore. Ad ognuna di queste processioni poi corrispondono due relazioni opposte: una del procedente dal suo principio, e l'altra del principio stesso. Ora, la processione del verbo si chiama generazione, nel significato rigoroso con cui si attribuisce agli esseri viventi. Nei viventi di vita perfetta la relazione che conviene al principio di generazione si dice paternità, e la relazione di chi procede per generazione dal principio si dice filiazione. Invece la processione dell'amore, come si è detto, non ha nome proprio: e quindi neppure hanno nome proprio le relazioni che ne seguono. Ma si chiama spirazione la relazione del principio di questa processione; e [si chiama] processione la relazione del procedente; benché questi due nomi appartengano alle processioni od origini, anziché alle relazioni.

[29643] Iª q. 28 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in his in quibus differt intellectus et intellectum, volens et volitum, potest esse realis relatio et scientiae ad rem scitam, et volentis ad rem volitam. Sed in Deo est idem omnino intellectus et intellectum, quia intelligendo se intelligit omnia alia, et eadem ratione voluntas et volitum. Unde in Deo huiusmodi relationes non sunt reales, sicut neque relatio eiusdem ad idem. Sed tamen relatio ad verbum est realis, quia verbum intelligitur ut procedens per actionem intelligibilem, non autem ut res intellecta. Cum enim intelligimus lapidem, id quod ex re intellecta concipit intellectus, vocatur verbum.

 

[29643] Iª q. 28 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Negli esseri in cui l'intelletto e il suo oggetto, la volontà e ciò che è voluto, sono cose diverse, la relazione della cognizione all'oggetto e del volere alla cosa voluta è reale. Non così però in Dio nel quale è assolutamente la stessa cosa l'intelletto e l'oggetto, la volontà e la cosa voluta, perché egli intendendo se medesimo intende tutte le cose; e lo stesso vale per la volontà e la cosa voluta. Perciò in Dio queste relazioni non sono reali, come non è reale la relazione di una cosa a se stessa. Tuttavia è reale la relazione al verbo: poiché il verbo va inteso come il termine che procede dall'azione intelligibile e non come la cosa intesa. Infatti quando intendiamo, p. es., una pietra, si dice verbo l'idea che di essa si forma l'intelletto.

[29644] Iª q. 28 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod in nobis relationes intelligibiles in infinitum multiplicantur, quia alio actu intelligit homo lapidem, et alio actu intelligit se intelligere lapidem, et alio etiam intelligit hoc intelligere, et sic in infinitum multiplicantur actus intelligendi, et per consequens relationes intellectae. Sed hoc in Deo non habet locum, quia uno actu tantum omnia intelligit.

 

[29644] Iª q. 28 a. 4 ad 2
2. In noi le relazioni di ordine intellettuale possono moltiplicarsi all'infinito, perché l'uomo con un atto intende la pietra e con un altro intende di averla intesa; e così all'infinito si moltiplicano gli atti dell'intendere, e conseguentemente le relazioni intese. Questo però non ha luogo in Dio che tutto intende con un unico atto.

[29645] Iª q. 28 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod respectus ideales sunt ut intellecti a Deo. Unde ex eorum pluralitate non sequitur quod sint plures relationes in Deo, sed quod Deus cognoscat plures relationes.

 

[29645] Iª q. 28 a. 4 ad 3
3. Le relazioni delle idee alle cose esistono in quanto oggetto della cognizione di Dio. Perciò dalla loro pluralità non segue che in Dio ci siano più relazioni, ma solo che egli conosce più relazioni.

[29646] Iª q. 28 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod aequalitas et similitudo in Deo non sunt relationes reales, sed rationis tantum, ut infra patebit.

 

[29646] Iª q. 28 a. 4 ad 4
4. Le relazioni di uguaglianza e di somiglianza in Dio non sono relazioni reali, ma soltanto di ragione, come verrà spiegato in seguito.

[29647] Iª q. 28 a. 4 ad 5
Ad quintum dicendum quod via est eadem ab uno termino ad alterum, et e converso; sed tamen respectus sunt diversi. Unde ex hoc non potest concludi quod eadem sit relatio patris ad filium, et e converso, sed posset hoc concludi de aliquo absoluto, si esset medium inter ea.

 

[29647] Iª q. 28 a. 4 ad 5
5. La strada da un luogo ad un altro e viceversa è bensì la stessa; però i rapporti sono diversi. Perciò da tale identità [della strada] non si può concludere che sia la stessa anche la relazione di padre a figlio e di figlio a padre. Si potrebbe giungere a quella conclusione [se si trattasse] di una realtà assoluta, frapposta tra loro.

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