Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Le relazioni divine > Se la relazione in Dio sia identica alla sua essenza
Prima pars
Quaestio 28
Articulus 2
[29621] Iª q. 28 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod relatio in Deo non sit idem quod sua essentia. Dicit enim Augustinus, in V de Trin., quod non omne quod dicitur in Deo, dicitur secundum substantiam. Dicitur enim ad aliquid, sicut pater ad filium, sed haec non secundum substantiam dicuntur. Ergo relatio non est divina essentia.
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Prima parte
Questione 28
Articolo 2
[29621] Iª q. 28 a. 2 arg. 1
SEMBRA che in Dio la relazione non sia identica alla sua essenza. Infatti:
1. S. Agostino dice: «Non tutto quello che si predica di Dio sta a indicare la sostanza, giacché alcune cose si dicono di lui in ordine ad altro, come si dice Padre in ordine al Figlio: ma queste [due espressioni] non stanno a indicare la di lui sostanza». Perciò la relazione non è l'essenza divina.
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[29622] Iª q. 28 a. 2 arg. 2 Praeterea, Augustinus dicit, VII de Trin., omnis res quae relative dicitur, est etiam aliquid excepto relativo; sicut homo dominus, et homo servus. Si igitur relationes aliquae sunt in Deo, oportet esse in Deo aliquid aliud praeter relationes. Sed hoc aliud non potest esse nisi essentia. Ergo essentia est aliud a relationibus.
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[29622] Iª q. 28 a. 2 arg. 2
2. Lo stesso S. Agostino asserisce: «Nelle cose che sono denominate da una relazione, oltre questa, c'è in loro qualcos'altro, come nell'uomo-padrone e nell'uomo-servo». Se dunque in Dio ci sono delle relazioni, bisogna che in lui, oltre la relazione, ci sia anche qualche altra cosa. Ma quest'altra cosa non può essere che l'essenza. Quindi questa è altra cosa che le relazioni.
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[29623] Iª q. 28 a. 2 arg. 3 Praeterea, esse relativi est ad aliud se habere, ut dicitur in praedicamentis. Si igitur relatio sit ipsa divina essentia, sequitur quod esse divinae essentiae sit ad aliud se habere, quod repugnat perfectioni divini esse, quod est maxime absolutum et per se subsistens, ut supra ostensum est. Non igitur relatio est ipsa essentia divina.
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[29623] Iª q. 28 a. 2 arg. 3
3. L'essere di ogni cosa relativa è quello di riferirsi ad altro, come dice Aristotele. Se dunque la relazione fosse identica all'essenza, ne seguirebbe che l'essere dell'essenza divina sarebbe una semplice relazione; e questo ripugna alla perfezione dell'essere divino che è massimamente assoluto e sussistente, come si è già detto. Perciò la relazione non è l'essenza divina.
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[29624] Iª q. 28 a. 2 s. c. Sed contra, omnis res quae non est divina essentia, est creatura. Sed relatio realiter competit Deo. Si ergo non est divina essentia, erit creatura, et ita ei non erit adoratio latriae exhibenda, contra quod in praefatione cantatur, ut in personis proprietas, et in maiestate adoretur aequalitas.
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[29624] Iª q. 28 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Tutto ciò che non è l'essenza divina è creatura. Ora, la relazione si attribuisce a Dio come cosa reale. Se dunque essa non si identifica con l'essenza divina, è qualcosa di creato: e come tale non meritevole di adorazione latreutica; contro quanto si canta nel Prefazio: «Si adori nelle Persone la proprietà e l'uguaglianza nella maestà».
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[29625] Iª q. 28 a. 2 co. Respondeo dicendum quod circa hoc dicitur Gilbertus Porretanus errasse, sed errorem suum postmodum in Remensi Concilio revocasse. Dixit enim quod relationes in divinis sunt assistentes, sive extrinsecus affixae. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod in quolibet novem generum accidentis est duo considerare. Quorum unum est esse quod competit unicuique ipsorum secundum quod est accidens. Et hoc communiter in omnibus est inesse subiecto, accidentis enim esse est inesse. Aliud quod potest considerari in unoquoque, est propria ratio uniuscuiusque illorum generum. Et in aliis quidem generibus a relatione, utpote quantitate et qualitate, etiam propria ratio generis accipitur secundum comparationem ad subiectum, nam quantitas dicitur mensura substantiae, qualitas vero dispositio substantiae. Sed ratio propria relationis non accipitur secundum comparationem ad illud in quo est, sed secundum comparationem ad aliquid extra. Si igitur consideremus, etiam in rebus creatis, relationes secundum id quod relationes sunt, sic inveniuntur esse assistentes, non intrinsecus affixae; quasi significantes respectum quodammodo contingentem ipsam rem relatam, prout ab ea tendit in alterum. Si vero consideretur relatio secundum quod est accidens, sic est inhaerens subiecto, et habens esse accidentale in ipso. Sed Gilbertus Porretanus consideravit relationem primo modo tantum. Quidquid autem in rebus creatis habet esse accidentale, secundum quod transfertur in Deum, habet esse substantiale, nihil enim est in Deo ut accidens in subiecto, sed quidquid est in Deo, est eius essentia. Sic igitur ex ea parte qua relatio in rebus creatis habet esse accidentale in subiecto, relatio realiter existens in Deo habet esse essentiae divinae, idem omnino ei existens. In hoc vero quod ad aliquid dicitur, non significatur aliqua habitudo ad essentiam, sed magis ad suum oppositum. Et sic manifestum est quod relatio realiter existens in Deo, est idem essentiae secundum rem; et non differt nisi secundum intelligentiae rationem, prout in relatione importatur respectus ad suum oppositum, qui non importatur in nomine essentiae. Patet ergo quod in Deo non est aliud esse relationis et esse essentiae, sed unum et idem.
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[29625] Iª q. 28 a. 2 co.
RISPONDO: È risaputo che Gilberto Porretano errò su questo argomento ma poi ritrattò il suo errore nel Concilio di Reims. Diceva infatti che le relazioni in Dio sono assistenti, ossia apposte dall'esterno.
Per chiarire questo punto è necessario badare che in ognuno dei nove generi di accidente si devono distinguere due elementi. Il primo è l'essere che conviene a ognuno di tali generi in quanto accidenti. E questo, comune a tutti [e nove], è l'essere nel soggetto, giacché l'essere dell'accidente è appunto l'essere in [un soggetto]. L'altro elemento a cui si deve badare è ciò che forma la ragione propria di ciascun genere e ne è l'elemento distinguente. Negli altri generi diversi dalla relazione, come nella quantità e nella qualità, anche questo elemento distinguente si prende in rapporto al soggetto: giacché la quantità è misura della sostanza e la qualità è una disposizione della sostanza. Invece l'elemento distinguente della relazione non si prende per rapporto al soggetto in cui si trova, ma a qualche cosa di esterno.
Se dunque anche nelle creature consideriamo le relazioni secondo ciò che loro compete di proprio, cioè come relazioni, si trova che sono assistenti, non intrinsecamente apposte; perché allora significano il rapporto che, in certo qual modo, parte dalla stessa cosa che viene riferita, per tendere verso un'altra. Se invece le stesse relazioni si considerano come accidenti, prese così, sono inerenti al soggetto ed hanno in esso un essere accidentale. Ma Gilberto Porretano considerò le relazioni solo nel primo modo.
Ora, tutto ciò che nelle creature ha un essere accidentale, trasferito a Dio ne acquista uno sostanziale; giacché in Dio non c'è nulla di accidentale, ma tutto ciò che è in lui è la sua stessa essenza. Così dunque la relazione che esiste realmente in Dio, da quel lato che nelle creature ha un essere accidentale, in Dio ha quello sostanziale della divina essenza, affatto identico ad essa. Invece dal lato specifico di relazione non indica nessun ordine all'essenza, ma piuttosto al suo correlativo. E così è chiaro che la relazione esistente realmente in Dio è realmente la stessa cosa che l'essenza; e non ne è distinta se non per una differenza concettuale, in quanto nella relazione è incluso l'ordine al termine correlativo; ordine che non è incluso nel concetto di essenza. E dunque evidente che in Dio l'essere della relazione non è diverso da quello dell'essenza, ma è la stessa e identica cosa.
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[29626] Iª q. 28 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod verba illa Augustini non pertinent ad hoc, quod paternitas, vel alia relatio quae est in Deo, secundum esse suum non sit idem quod divina essentia; sed quod non praedicatur secundum modum substantiae, ut existens in eo de quo dicitur, sed ut ad alterum se habens. Et propter hoc dicuntur duo tantum esse praedicamenta in divinis. Quia alia praedicamenta important habitudinem ad id de quo dicuntur, tam secundum suum esse, quam secundum proprii generis rationem, nihil autem quod est in Deo, potest habere habitudinem ad id in quo est, vel de quo dicitur, nisi habitudinem identitatis, propter summam Dei simplicitatem.
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[29626] Iª q. 28 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino con quelle parole non vuol dire che la paternità, o altra relazione non sia identica nel suo essere all'essenza divina; ma soltanto che non si predica come sostanza, cioè come esistente nel soggetto cui si attribuisce, bensì in quanto si riferisce ad un altro termine. - E per questo si dice che in Dio non ci sono che due predicamenti. Perché gli altri importano un ordine al soggetto di cui si predicano, tanto secondo il loro essere quanto secondo la loro ragione specifica: nulla però di quanto è in Dio, data la sua somma semplicità, può avere altro rapporto col soggetto in cui si trova che quello di identità.
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[29627] Iª q. 28 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod, sicut in rebus creatis, in illo quod dicitur relative, non solum est invenire respectum ad alterum, sed etiam aliquid absolutum, ita et in Deo, sed tamen aliter et aliter. Nam id quod invenitur in creatura praeter id quod continetur sub significatione nominis relativi, est alia res, in Deo autem non est alia res, sed una et eadem, quae non perfecte exprimitur relationis nomine, quasi sub significatione talis nominis comprehensa. Dictum est enim supra, cum de divinis nominibus agebatur, quod plus continetur in perfectione divinae essentiae, quam aliquo nomine significari possit. Unde non sequitur quod in Deo, praeter relationem, sit aliquid aliud secundum rem; sed solum considerata nominum ratione.
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[29627] Iª q. 28 a. 2 ad 2
2. Nelle creature che sono denominate da una relazione, non c'è soltanto questa relazione, ma anche qualcos'altro di assoluto: lo stesso, sebbene in modo differente, avviene in Dio. Nelle creature infatti ciò che è significato dal nome relativo è tutt'altra cosa; in Dio invece è la stessa e identica cosa, cioè la sostanza divina, la quale però non è perfettamente espressa dal nome relativo, siccome quella che non è limitata al significato di tal nome. Si è detto infatti, parlando dei nomi divini, che in Dio vi è assai più di quanto si possa esprimere con qualsiasi nome. Perciò non segue che in Dio, oltre le relazioni, vi sia in realtà qualche altra cosa; ma c'è soltanto se si considera la natura propria dei nomi.
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[29628] Iª q. 28 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod, si in perfectione divina nihil plus contineretur quam quod significat nomen relativum, sequeretur quod esse eius esset imperfectum, utpote ad aliquid aliud se habens, sicut si non contineretur ibi plus quam quod nomine sapientiae significatur, non esset aliquid subsistens. Sed quia divinae essentiae perfectio est maior quam quod significatione alicuius nominis comprehendi possit, non sequitur, si nomen relativum, vel quodcumque aliud nomen dictum de Deo, non significat aliquid perfectum, quod divina essentia habeat esse imperfectum, quia divina essentia comprehendit in se omnium generum perfectionem, ut supra dictum est.
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[29628] Iª q. 28 a. 2 ad 3
3. Se la perfezione divina non contenesse nulla di più di quanto è significato dal nome relativo, il suo essere sarebbe imperfetto perché consisterebbe nella semplice relazione; a quel modo che non sarebbe sussistente se non contenesse nulla di più di quanto vien significato col nome di sapienza. Ma essendo la perfezione dell'essenza divina maggiore di quanto possa esprimersi a parole, non ne segue che se un nome relativo, o un altro qualunque, non significa qualcosa di perfetto, l'essenza divina sia imperfetta perché, come si è detto, essa racchiude in se stessa ogni genere di perfezione.
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