[28318] Iª q. 2 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod Deum esse quinque viis probari potest. Prima autem et manifestior via est, quae sumitur ex parte motus. Certum est enim, et sensu constat, aliqua moveri in hoc mundo. Omne autem quod movetur, ab alio movetur. Nihil enim movetur, nisi secundum quod est in potentia ad illud ad quod movetur, movet autem aliquid secundum quod est actu. Movere enim nihil aliud est quam educere aliquid de potentia in actum, de potentia autem non potest aliquid reduci in actum, nisi per aliquod ens in actu, sicut calidum in actu, ut ignis, facit lignum, quod est calidum in potentia, esse actu calidum, et per hoc movet et alterat ipsum. Non autem est possibile ut idem sit simul in actu et potentia secundum idem, sed solum secundum diversa, quod enim est calidum in actu, non potest simul esse calidum in potentia, sed est simul frigidum in potentia. Impossibile est ergo quod, secundum idem et eodem modo, aliquid sit movens et motum, vel quod moveat seipsum. Omne ergo quod movetur, oportet ab alio moveri. Si ergo id a quo movetur, moveatur, oportet et ipsum ab alio moveri et illud ab alio. Hic autem non est procedere in infinitum, quia sic non esset aliquod primum movens; et per consequens nec aliquod aliud movens, quia moventia secunda non movent nisi per hoc quod sunt mota a primo movente, sicut baculus non movet nisi per hoc quod est motus a manu. Ergo necesse est devenire ad aliquod primum movens, quod a nullo movetur, et hoc omnes intelligunt Deum. Secunda via est ex ratione causae efficientis. Invenimus enim in istis sensibilibus esse ordinem causarum efficientium, nec tamen invenitur, nec est possibile, quod aliquid sit causa efficiens sui ipsius; quia sic esset prius seipso, quod est impossibile. Non autem est possibile quod in causis efficientibus procedatur in infinitum. Quia in omnibus causis efficientibus ordinatis, primum est causa medii, et medium est causa ultimi, sive media sint plura sive unum tantum, remota autem causa, removetur effectus, ergo, si non fuerit primum in causis efficientibus, non erit ultimum nec medium. Sed si procedatur in infinitum in causis efficientibus, non erit prima causa efficiens, et sic non erit nec effectus ultimus, nec causae efficientes mediae, quod patet esse falsum. Ergo est necesse ponere aliquam causam efficientem primam, quam omnes Deum nominant. Tertia via est sumpta ex possibili et necessario, quae talis est. Invenimus enim in rebus quaedam quae sunt possibilia esse et non esse, cum quaedam inveniantur generari et corrumpi, et per consequens possibilia esse et non esse. Impossibile est autem omnia quae sunt, talia esse, quia quod possibile est non esse, quandoque non est. Si igitur omnia sunt possibilia non esse, aliquando nihil fuit in rebus. Sed si hoc est verum, etiam nunc nihil esset, quia quod non est, non incipit esse nisi per aliquid quod est; si igitur nihil fuit ens, impossibile fuit quod aliquid inciperet esse, et sic modo nihil esset, quod patet esse falsum. Non ergo omnia entia sunt possibilia, sed oportet aliquid esse necessarium in rebus. Omne autem necessarium vel habet causam suae necessitatis aliunde, vel non habet. Non est autem possibile quod procedatur in infinitum in necessariis quae habent causam suae necessitatis, sicut nec in causis efficientibus, ut probatum est. Ergo necesse est ponere aliquid quod sit per se necessarium, non habens causam necessitatis aliunde, sed quod est causa necessitatis aliis, quod omnes dicunt Deum. Quarta via sumitur ex gradibus qui in rebus inveniuntur. Invenitur enim in rebus aliquid magis et minus bonum, et verum, et nobile, et sic de aliis huiusmodi. Sed magis et minus dicuntur de diversis secundum quod appropinquant diversimode ad aliquid quod maxime est, sicut magis calidum est, quod magis appropinquat maxime calido. Est igitur aliquid quod est verissimum, et optimum, et nobilissimum, et per consequens maxime ens, nam quae sunt maxime vera, sunt maxime entia, ut dicitur II Metaphys. Quod autem dicitur maxime tale in aliquo genere, est causa omnium quae sunt illius generis, sicut ignis, qui est maxime calidus, est causa omnium calidorum, ut in eodem libro dicitur. Ergo est aliquid quod omnibus entibus est causa esse, et bonitatis, et cuiuslibet perfectionis, et hoc dicimus Deum. Quinta via sumitur ex gubernatione rerum. Videmus enim quod aliqua quae cognitione carent, scilicet corpora naturalia, operantur propter finem, quod apparet ex hoc quod semper aut frequentius eodem modo operantur, ut consequantur id quod est optimum; unde patet quod non a casu, sed ex intentione perveniunt ad finem. Ea autem quae non habent cognitionem, non tendunt in finem nisi directa ab aliquo cognoscente et intelligente, sicut sagitta a sagittante. Ergo est aliquid intelligens, a quo omnes res naturales ordinantur ad finem, et hoc dicimus Deum.
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[28318] Iª q. 2 a. 3 co.
RISPONDO: Che Dio esista si può provare per cinque vie. La prima e la più evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia potenziale rispetto al termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto è in atto. Perché muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere che è già in atto. P. es., il fuoco che è caldo attualmente rende caldo in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e così lo muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può essere soltanto sotto diversi rapporti: così ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme freddo in potenza. È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un altro. Se dunque l'essere che muove è anch'esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma non si trova, ed è impossibile, che una cosa sia causa efficiente di se medesima; ché altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo all'infinito nelle cause efficienti è assurdo. Perché in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia, e l'intermedia è causa dell'ultima, siano molte le intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neppure l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente; e così non avremo neppure l'effetto ultimo, né le cause intermedie: ciò che evidentemente è falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.
La terza via è presa dal possibile (o contingente) e dal necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere e non essere; infatti alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere, un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose (esistenti in natura sono tali che) possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque, se non c'era ente alcuno, è impossibile che qualche cosa cominciasse ad esistere, e così anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso. Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in altro essere oppure no. D'altra parte, negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito, come neppure nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato. Dunque bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.
La quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nelle cose. È un fatto che nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che esse si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; così più caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente caldo. Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perché, come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore, come dice il medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.
La quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio.
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