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Se la penitenza restituisca un uomo alla dignità precedente
Tertia pars
Quaestio 89
Articulus 3
[51489] IIIª q. 89 a. 3 arg. 1 Ad tertium sic proceditur. Videtur quod per poenitentiam non restituatur homo in pristinam dignitatem. Quia super illud Amos V, virgo Israel cecidit, dicit Glossa, non negat ut resurgat, sed ut resurgere virgo possit, quia semel oberrans ovis, etsi reportetur in humeris pastoris, non habet tantam gloriam quantam quae nunquam erravit. Ergo per poenitentiam non recuperat homo pristinam dignitatem.
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Terza parte
Questione 89
Articolo 3
[51489] IIIª q. 89 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la penitenza non restituisca l'uomo alla dignità precedente. Infatti:
1. A commento delle parole di Amos, "La vergine d'Israele è caduta", la Glossa spiega: "Il profeta non nega che essa possa risorgere, ma che possa risorgere vergine: perché la pecora una volta smarrita, anche se riportata sulle spalle del Pastore, non ha mai tanta gloria, quanta ne ha quella che non si smarrì". Dunque con la penitenza non si può ricuperare la dignità antecedente.
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[51490] IIIª q. 89 a. 3 arg. 2 Praeterea, Hieronymus dicit, quicumque dignitatem divini gradus non custodiunt, contenti fiant animam salvare, reverti enim in pristinum gradum difficile est. Et Innocentius Papa dicit quod apud Nicaeam constituti canones poenitentes etiam ab infimis clericorum officiis excludunt. Non ergo per poenitentiam homo recuperat pristinam dignitatem.
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[51490] IIIª q. 89 a. 3 arg. 2
2. S. Girolamo afferma: "Coloro che non hanno custodito la dignità della loro vita divina, si contentino di salvare la loro anima: poiché tornare al grado di prima è cosa difficile". - E il Papa Innocenzo I scrive, che "i canoni di Nicea escludono i penitenti anche dagli uffici più umili dei chierici". Perciò con la penitenza l'uomo non può ricuperare la dignità che aveva in precedenza.
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[51491] IIIª q. 89 a. 3 arg. 3 Praeterea, ante peccatum potest aliquis ad maiorem gradum ascendere. Non autem hoc post peccatum conceditur poenitenti, dicitur enim Ezech. XLIV, Levitae qui recesserunt a me, nunquam appropinquabunt mihi, ut sacerdotio fungantur. Et, sicut habetur in decretis, dist. l, in Hilerdensi Concilio legitur, hi qui sancto altario deserviunt, si subito flenda debilitate carnis corruerint, et, domino respiciente, poenituerint, officiorum suorum loca recipiant, nec possint ad altiora officia ulterius promoveri. Non ergo poenitentia restituit hominem in pristinam dignitatem.
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[51491] IIIª q. 89 a. 3 arg. 3
3. Prima del peccato uno ha la possibilità di salire a un grado superiore. Ma questo non si concede al penitente dopo il peccato; poiché in Ezechiele si legge: "I leviti che hanno disertato da me non si accosteranno a me per fungere da sacerdoti". Di qui la disposizione del Concilio di Lerida I inserita nei canoni del Decreto: "Coloro che addetti al servizio dell'altare hanno ceduto d'improvviso alla fragilità della carne, e per la misericordia di Dio se ne sono pentiti, riprendano i loro posti nelle funzioni sacre, però non vengano promossi ad uffici superiori". Quindi la penitenza non restituisce l'uomo alla sua dignità precedente.
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[51492] IIIª q. 89 a. 3 s. c. Sed contra est quod, sicut in eadem distinctione legitur, Gregorius, scribens Secundino, dixit, post dignam satisfactionem, credimus hominem posse redire ad suum honorem. Et in Concilio Agathensi legitur, contumaces clerici, prout dignitatis ordo permiserit, ab episcopis corrigantur, ita ut, cum eos poenitentia correxerit, gradum suum dignitatemque recipiant.
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[51492] IIIª q. 89 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Nella medesima distinzione del Decreto (di Graziano) viene riferito il testo seguente di S. Gregorio: "Dopo una degna soddisfazione, crediamo che uno possa riprendere la sua dignità". E nel Concilio di Agde fu decretato: "I chierici contumaci devono essere puniti dai loro vescovi avendo riguardo alla loro dignità; cosicché dopo essere stati corretti dalla penitenza, rientrino in possesso del loro grado e dignità".
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[51493] IIIª q. 89 a. 3 co. Respondeo dicendum quod homo per peccatum duplicem dignitatem amittit, unam quantum ad Deum, aliam vero quantum ad Ecclesiam. Quantum autem ad Deum, amittit duplicem dignitatem. Unam principalem, qua scilicet computatus erat inter filios Dei per gratiam. Et hanc dignitatem recuperat per poenitentiam. Quod significatur Luc. XV de filio prodigo, cui pater poenitenti iussit restitui stolam primam et anulum et calceamenta. Aliam vero dignitatem amittit secundariam, scilicet innocentiam, de qua, sicut ibidem legitur, gloriabatur filius senior, dicens, ecce, tot annis servio tibi, et nunquam mandatum tuum praeterivi. Et hanc dignitatem poenitens recuperare non potest. Recuperat tamen quandoque aliquid maius. Quia, ut Gregorius dicit, in homilia de centum ovibus, qui errasse a Deo se considerant, damna praecedentia lucris sequentibus recompensant. Maius ergo gaudium de eis fit in caelo, quia et dux in praelio plus eum militem diligit qui post fugam reversus hostem fortiter premit, quam illum qui nunquam terga praebuit et nunquam aliquid fortiter fecit. Dignitatem autem ecclesiasticam homo per peccatum perdit, qui indignum se reddit ad ea quae competunt dignitati ecclesiasticae exercenda. Quam quidem recuperare prohibentur, uno modo, quia non poenitent. Unde Isidorus ad Misianum episcopum scribit, sicut in eadem distinctione legitur, cap. domino, illos ad pristinos gradus canones redire praecipiunt quos poenitentiae praecessit satisfactio, vel condigna peccatorum confessio. At contra hi qui a vitio corruptionis non emendantur, nec gradum honoris, nec gratiam recipiunt communionis. Secundo, quia poenitentiam negligenter agunt. Unde in eadem distinctione, cap. si quis diaconus, dicitur, cum in aliquibus nec compunctio humilitatis, nec instantia orandi appareat, nec ieiuniis vel lectionibus eos vacare videamus, possumus agnoscere, si ad pristinos honores redirent, cum quanta negligentia permanerent. Tertio, si commisit aliquod peccatum habens irregularitatem aliquam admixtam. Unde in eadem distinctione, ex Concilio Martini Papae, dicitur, si quis viduam, vel ab alio relictam duxerit, non admittatur ad clerum. Quod si irrepserit, deiiciatur. Similiter si homicidii aut facto aut praecepto aut consilio aut defensione, post Baptismum, conscius fuerit. Sed hoc non est ratione peccati, sed ratione irregularitatis. Quarto, propter scandalum. Unde in eadem distinctione legitur, cap. de his vero, Rabanus dicit, hi qui deprehensi vel capti fuerint publice in periurio, furto aut fornicatione, et ceteris criminibus, secundum canonum sacrorum instituta a proprio gradu decidant, quia scandalum est populo Dei tales personas superpositas habere. Qui autem de praedictis peccatis absconse a se commissis sacerdoti confitentur, si se per ieiunia et eleemosynas vigiliasque et sacras orationes purgaverint, his etiam, gradu proprio servato, spes veniae de misericordia Dei promittenda est. Et hoc etiam dicitur extra, de qualitate Ordinand., cap. quaesitum, si crimina ordine iudiciario comprobata, vel alias notoria non fuerint, praeter reos homicidii, post poenitentiam in susceptis vel iam suscipiendis ordinibus impedire non possunt.
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[51493] IIIª q. 89 a. 3 co.
RISPONDO: L'uomo col peccato viene a perdere due tipi di dignità: il primo presso Dio, il secondo presso la Chiesa. Presso Dio egli perde una duplice dignità. Una dignità principale, per cui "era computato tra i figli di Dio" mediante la grazia. E questa viene recuperata dalla penitenza. A ciò si accenna nella parabola evangelica del figliol prodigo, allorché dopo il pentimento il padre comanda di restituire "la veste più preziosa, l'anello e i calzari". - Perde poi una dignità secondaria, cioè l'innocenza: di cui nella parabola evangelica ricordata, si gloriava il figlio maggiore con quelle parole: "Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando". E questa dignità il penitente non può ricuperarla. - Talora però egli ricupera qualche cosa di più grande. Poiché, come scrive S. Gregorio, "coloro i quali considerano le proprie defezioni da Dio, ricompensano con i guadagni successivi le perdite precedenti. Ecco perché di essi si fa più festa in cielo: perché il comandante ama di più nel combattimento quel soldato che, tornato indietro dopo aver tentato la fuga, incalza coraggiosamente il nemico, piuttosto che quello il quale, senza aver mai voltato le spalle al nemico, non compie mai un grande atto di coraggio".
Inoltre col peccato un uomo può perdere la sua dignità presso la Chiesa, rendendosi indegno di esercitare quei compiti che sono inerenti alla dignità ecclesiastica. Ebbene, questa è proibito riacquistarla per vari motivi. Primo, perché alcuni non fanno penitenza. Di qui le parole di S. Isidoro, riferite dal Decreto (di Graziano): "I canoni prescrivono di riabilitare nel loro grado gerarchico coloro che hanno soddisfatto per le loro colpe, e che le hanno confessate. Coloro invece che non si sono emendati dal peccato non devono ottenere né il loro grado né la grazia della comunione ecclesiastica". - Secondo, perché alcuni ne fanno penitenza con poco impegno. Di qui le parole dei Canoni: "Quando nei chierici penitenti non si riscontra né la compunzione dell'umiltà, né l'assiduità nella preghiera, nei digiuni o nelle buone letture, possiamo arguire con quanta negligenza si comporterebbero, se tornassero alle loro dignità precedenti". - Terzo, nel caso che uno abbia commesso un peccato cui è annessa qualche irregolarità. Di qui il canone del Concilio tenuto dal Papa Martino: "Se uno ha sposato una vedova o una donna lasciata da altri, non venga ammesso nel clero. E se vi si è intruso, venga espulso. Lo stesso si faccia qualora dopo il battesimo uno si sia reso responsabile di omicidio, o col fatto, o col comando, o col consiglio, anche se per difesa". In quest'ultimo caso l'esclusione non è dovuta al peccato, ma all'irregolarità. - Quarto, a motivo dello scandalo. Ecco perché nella stessa distinzione del Decreto si leggono le seguenti espressioni di Rabano Mauro: "Coloro che pubblicamente sono stati convinti di spergiuro, di furto, di fornicazione o di altri crimini, vengano degradati a norma dei canoni: poiché è uno scandalo per il popolo di Dio avere sopra di sé siffatte persone. A coloro invece che confessano al sacerdote peccati di codesto genere da loro commessi segretamente, se son disposti a farne penitenza mediante digiuni, elemosine, veglie e preghiere, si deve promettere la speranza del perdono per la misericordia di Dio". Nei Canoni inoltre si legge: "Se i crimini non sono stati provati per una sentenza giudiziaria, e non sono altrimenti notori, all'infuori del caso di omicidio, dopo la penitenza non possono impedire di esercitare gli ordini ricevuti e di riceverli".
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[51494] IIIª q. 89 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod eadem ratio est de recuperatione virginitatis et de recuperatione innocentiae, quae pertinet ad secundariam dignitatem quoad Deum.
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[51494] IIIª q. 89 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La verginità al pari dell'innocenza è irreparabile, rientrando essa nella dignità secondaria che è possibile avere di fronte a Dio.
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[51495] IIIª q. 89 a. 3 ad 2 Ad secundum dicendum quod Hieronymus in verbis illis non dicit esse impossibile, sed dicit esse difficile hominem recuperare post peccatum pristinum gradum, quia hoc non conceditur nisi perfecte poenitenti, ut dictum est. Ad statuta autem canonum qui hoc prohibere videntur, respondet Augustinus, Bonifacio scribens, ut constitueretur in Ecclesia ne quisquam post alicuius criminis poenitentiam clericatum accipiat, vel ad clericatum redeat, vel in clericatu maneat, non desperatione indulgentiae, sed rigore factum est disciplinae. Alioquin contra claves datas Ecclesiae disputabitur, de quibus dictum est, quaecumque solveritis super terram, erunt soluta et in caelo. Et postea subdit, nam et sanctus David de criminibus egit poenitentiam, et tamen in honore suo perstitit. Et beatum Petrum, quando amarissimas lacrimas fudit, utique dominum negasse poenituit, et tamen apostolus permansit. Sed non ideo putanda est supervacua posteriorum diligentia, qui, ubi saluti nihil detrahebatur, humilitati aliquid addiderunt, experti, ut credo, aliquorum fictas poenitentias per affectatas honorum potentias.
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[51495] IIIª q. 89 a. 3 ad 2
2. S. Girolamo nelle parole riferite non dice che è impossibile, ma che è difficile che uno dopo il peccato riacquisti il grado di prima: perché questo non viene concesso, come abbiamo visto nell'articolo, se non a chi compie una perfetta penitenza.
Alle prescrizioni dei Canoni che sembrano proibire questa riabilitazione, S. Agostino fa il seguente commento: "La disposizione presa dalla Chiesa di vietare lo stato clericale, di tornare ad esso o di rimanervi dopo aver espiato un crimine con la penitenza, non si deve alla mancanza di fiducia nel perdono, ma al rigore della disciplina. Altrimenti si metterebbe in discussione il potere delle chiavi dato alla Chiesa con quelle parole: "Qualunque cosa scioglierete sulla terra sarà sciolta anche nei cieli"". E poco dopo aggiunge: "Infatti anche il santo re David fece penitenza dei suoi delitti; e tuttavia rimase nella sua dignità. E S. Pietro, dopo aver versato amarissime lacrime ed essersi pentito di aver rinnegato il Signore, rimase pur sempre Apostolo. Tuttavia non si deve reputare inutile il rigore degli antichi, i quali, senza togliere nulla alla certezza della salute, aggiunsero qualche cosa a vantaggio dell'umiltà: sapendo essi per esperienza, così io penso, che alcuni fingono delle penitenze per il miraggio degli onori".
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[51496] IIIª q. 89 a. 3 ad 3 Ad tertium dicendum quod illud statutum intelligitur de illis qui publicam poenitentiam agunt, qui postmodum non possunt ad maiorem provehi gradum. Nam et Petrus post negationem pastor ovium Christi constitutus est, ut patet Ioan. ult. Ubi dicit Chrysostomus quod Petrus post negationem et poenitentiam ostendit se habere maiorem fiduciam ad Christum. Qui enim in cena non audebat interrogare, sed Ioanni interrogationem commisit, huic postea et praepositura fratrum credita est, et non solum non committit alteri interrogare quae ad ipsum pertinent, sed de reliquo ipse pro Ioanne magistrum interrogat.
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[51496] IIIª q. 89 a. 3 ad 3
3. Le norme ricordate si riferiscono solo a coloro che sono stati assoggettati a una penitenza pubblica, e quindi non possono essere promossi a un grado superiore. Infatti S. Pietro fu costituito pastore del gregge di Cristo dopo il suo rinnegamento, come narra S. Giovanni. Cosicché il Crisostomo scrive, che "Pietro dopo il rinnegamento e il pentimento mostrò di avere maggiore confidenza con Cristo. Egli infatti, che nell'ultima cena non aveva osato interrogarlo, ma aveva di ciò incaricato Giovanni, dopo aver ricevuto la presidenza sui fratelli, non solo non incarica un altro di interrogarlo su quanto riguardava lui, ma direttamente interroga il Maestro per Giovanni".
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