Forma
E' uno dei concetti fondamentali
della metafisica aristotelica, dove designa "l’essenza di ogni cosa e la
sostanza prima", oppure "l’atto primo di un corpo". Secondo Aristotele
tutte le cose materiali sono costituite di due elementi o princìpi fondamentali:
la materia che è il principio passivo e la forma che è il principio attivo. La forma
come atto della sostanza materiale, può assumere due modalità nettamente
distinte: una modalità permanente e fondamentale che pone la sostanza dentro
una determinata specie, allora si tratta di una forma sostanziale (per es.
l’anima per l’uomo o per il cane); oppure una modalità variabile e transeunte
(per es. la statura, il colore, il peso, la posizione ecc.), allora si tratta
di una forma accidentale. Per Aristotele è chiara la priorità della forma
sostanziale su quella accidentale: infatti è la forma sostanziale che rende
intelligibile una sostanza. Secondo lo Stagirita la forma sostanziale è unica:
per es. nell’uomo che, oltre che ragionevole è anche senziente e vivente, non
ci sono tre forme ma una solamente, quella razionale, la quale ha il potere di
svolgere le funzioni anche delle forme inferiori.
S. Tommaso riprende integralmente
la dottrina aristotelica della forma e ne ribadisce il valore su tutti i punti
fondamentali, pur aggiustandola alle nuove esigenze della sua filosofia dell’essere.
La forma viene definita come atto
della materia: "Forma nihil aliud est
quam actus materiae"(I. q. 105, a. 1); ma viene precisato che non si
tratta di un atto qualsiasi. bensì dell’atto primo, non degli atti
secondi, che sono quelli delle operazioni: "Forma est actus primus, operatio est actus
secundus, tamquam perfectio et finis operantis. Et hoc est verum tam in
corporalibus quam in spiritualibus, puta in habitibus animae, et tam in naturalibus
quam in artificialibus" (In II De Coel.,
lect. 4, n. 334).
Compete alla forma
fissare la sostanza in un genere o in una specie. "Tutto ciò che ha
l’esistenza o è la forma stessa oppure ha una forma; poiché ciascun essere è
collocato nel genere o nella specie dalla forma. La forma, poi, come tale, ha
ragione di bene, essendo sorgente dell’attività, termine ultimo voluto da chi
opera, e realtà (actus) per
cui è resa perfetta da chi la possiede"(C. G., III, c. 7). Tuttavia nelle cose materiali la forma da sola
non costituisce l’essenza di una cosa ma soltanto in unione con la materia. "Delle
sostanze composte ci sono noti i componenti, ossia la materia e la forma, come
nell’uomo il
corpo e
l’anima. Ora non si può dire che l’essenza sia solo uno di questi componenti. E
che l’essenza di una cosa non sia solo la materia è evidente, perché è per
mezzo della essenza che una cosa è conoscibile e viene classificata in una
specie o genere, mentre la materia non è principio di conoscibilità né di
classificazione in un genere o specie, ma questa determinazione proviene da ciò
per cui una cosa è in atto. E neppure si può dire che l’essenza della sostanza
composta sia solo la forma, come alcuni si sforzano di stabilire. Da quanto
infatti si è detto risulta che l’essenza è ciò che viene espresso mediante la
definizione della cosa; ora la definizione delle sostanze naturali non comprende
solo la forma ma anche la materia, altrimenti le definizioni naturali non
differirebbero dalle definizioni matematiche. E nemmeno si può dire che la
materia sia introdotta nella definizione
della sostanza naturale come qualche cosa di aggiunto o d’estraneo alla sua essenza,
perché questo modo di definizione è proprio degli accidenti che, non avendo una
essenza perfetta, devono includere nella loro definizione un soggetto estraneo
al loro genere. E chiaro dunque che l’essenza comprende sia la materia sia la
forma"(De Ent. et Ess., c.
2).
Ci sono due tipi di forma,
sostanziali e accidentali. S. Tommaso chiarisce ciò
che le caratterizza e le distingue nel modo seguente: ("La forma sostanziale
e quella accidentale in parte si rassomigliano e in parte differiscono. Si rassomigliano
nell’essere ambedue atto e quindi nel rendere attuale una cosa. Differiscono
invece sotto due aspetti. Primo, perché la forma sostanziale dà l’essere in
modo assoluto (simpliciter) e
il suo subietto (cioè la materia) è un essere soltanto in potenza. Invece la
forma accidentale non dà l’essere in modo assoluto (simpliciter) ma una qualità o una quantità o altre
modalità dell’essere; poiché il suo subietto è un ente già in atto. Quindi è chiaro che l’attualità si trova prima nella forma
sostanziale che nel suo subietto. Viceversa, l’attualità si trova nel subietto
della forma accidentale prima che nella forma accidentale stessa: perciò l’attualità
della forma accidentale è causata dal soggetto. Cosicché il soggetto, in quanto
è in potenza, diviene il soggetto della forma accidentale; ma in quanto è in
atto la produce. Questo vale per gli accidenti propri e connaturali; perché se
parliamo degli accidenti estrinseci, allora il subietto ha soltanto la capacità
di riceverli; poiché chi li produce è un agente estrinseco. In secondo luogo,
la forma sostanziale e quella accidentale differiscono anche in questo, che la
materia è ordinata alla forma sostanziale, mentre la forma accidentale è ordinata alla
perfezione del soggetto; perché ciò che è meno importante è sempre ordinato a ciò che è principale" (I, q.
77, a. 6).
Contro alcuni filosofi del suo tempo che
insegnavano la teoria della pluralità delle forme (Ruggero Bacone e
Bonaventura), S. Tommaso ribadisce la dottrina aristotelica dell’unicità della
forma sostanziale. "Una cosa non ha che un solo essere sostanziale. Ma ciò
che dà l’essere sostanziale è la forma sostanziale. Perciò un’unica cosa non
può avere che una sola forma sostanziale (...). Per averne l’evidenza dobbiamo considerare che la
forma sostanziale differisce da quella accidentale in questo, che la forma
accidentale non dà l’essere in senso assoluto (simpliciter), ma l’essere in una determinata maniera; il
calore, per es., non dà l’esistenza assoluta al suo soggetto, ma solo lo fa
essere caldo (...). La
forma sostanziale invece conferisce l’essere in senso assoluto; quindi alla sua
venuta si dice che un soggetto è generato in senso assoluto; e al suo
scomparire si dice che perisce, sempre in senso assoluto (...). Pertanto, se prima
dell’anima intellettiva fosse presente nella materia una qualsiasi altra forma
sostanziale che attuasse il corpo subietto dell’anima, ne verrebbe che
l’anima non darebbe l’essere in senso assoluto; per conseguenza non sarebbe
una forma sostanziale; e al suo sopraggiungere non si avrebbe una generazione
in senso assoluto, come pure al suo dipartirsi non si avrebbe una corruzione in
senso assoluto, ma soltanto relativo. Tutte cose
manifestamente false. Dobbiamo dunque
affermare che nell’uomo non vi è altra forma
sostanziale fuori dell’anima intellettiva; e che essa come contiene virtualmente
l’anima sensitiva e vegetativa, così contiene pure virtualmente tutte le forme
inferiori, facendo da sé sola tutto quello che le forme meno perfette fanno
negli altri esseri.
Parimenti dobbiamo affermare la stessa cosa dell’anima
sensitiva negli animali, di quella vegetativa nelle piante, e universalmente di tutte le
forme più perfette rispetto a quelle meno perfette"" (I, q. 76, a.
4).
Ma, come s’è detto, S. Tommaso
adegua la teoria aristotelica alle esigenze della sua filosofia dell’essere. E lo fa su due punti. Anzitutto, nella gerarchia degli
atti (v. ATTO), dove la forma non viene più a occupare come nella metafisica aristotelica il posto supremo, ma
il penultimo posto: il vertice della filosofia di S. Tommaso viene preso dall’essere
(v. ESSERE), che diventa una
quasi-forma, anzi una super-forma, in quanto perfezione assoluta, actualitas
omnium actuum. In secondo
luogo, posto l’essere come perfezione assoluta e radicale, S. Tommaso può
concepire delle forme pure non eterne (come invece insegnava Aristotele
rispetto a tutte le forme immateriali) ma anche esse possibili
e contingenti, in
quanto non si identificano con l’essere ma hanno l’essere per partecipazione. Concependo
le forme immateriali come essenze possibili S Tommaso è in grado di spiegare la
finitudine degli angeli senza ricorrere alla teoria dell’ilemorfismo universale
alla maniera di S. Bonaventura e Ruggero Bacone. La finitudine degli angeli è spiegata da S. Tommaso mediante
la dottrina della distinzione reale tra essenza e atto d’essere (v. ESSENZA). "E così una forma
sussistente in sé stessa diviene partecipe dell’essere immediatamente e direttamente,
in sé stessa e non all’interno di un soggetto (...). Dal che
risulta come differisce la potenza che si trova nelle sostanze spirituali
dalla potenza che si registra nella materia. Infatti la potenza delle sostanze
spirituali si riferisce solamente e direttamente all’essere; invece la potenza
della materia si riferisce sia alla forma sia all’essere. Se qualcuno vuole
usare per entrambi i casi (di potenzialità) la parola “materia” è evidente che
egli adopera il termine “materia” in maniera equivoca"(De sub. Sep.,
C. 8).
S. Tommaso fa largo uso
della teoria della forma nella sua speculazione filosofica e teologica; in modo
particolare, in cosmologia se ne serve per definire la struttura (essenza)
delle cose materiali; in antropologia per spiegare il rapporto dell’anima col
corpo (l’anima è la forma del corpo); in teologia la utilizza per definire la
natura dei sacramenti: ogni singolo sacramento possiede una sua materia e una
sua forma.
(Vedi: MATERIA, POTENZA, ATTO, SOSTANZA,
ESSENZA, ACCIDENTE, SACRAMENTI)
_____________________________________________________
Battista Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio
Domenicano, Bologna.