Finalismo
Concezione filosofica che riconosce la presenza di orientamenti tesi a scopi (fini) ben precisi anche in settori della realtà inferiori a quello umano. Secondo S. Tommaso qualsiasi agente, sia che sia dotato di intelligenza sia che ne sia privo, agisce per un fine: «Omne agens habet aliquam intentionem et desiderium finis»» (I Sent., d. 35, q. 1, a. 1, sol.).
Nella filosofia greca, il riconoscimento dell’ importanza del finalismo (cioè della causa finale) per una adeguata spiegazione di quanto accade nell'universo infrarazionale è merito di Aristotele. Questi nella Fisica elabora la teoria del finalismo in alternativa all'ipotesi di Empedocle di un'evoluzione biologica retta dal caso, e ne individua la testimonianza decisiva nel fenomeno della permanenza delle specie viventi. La finalità, secondo Aristotele, è l'unica alternativa al caso.
Col cristianesimo la spiegazione del finalismo diventa più completa in quanto esso riceve un adeguato fondamento nella creazione: opera di un Dio generoso e provvidente, che produce ogni cosa per il con-seguimento del suo bene, ossia perché possa raggiungere la massima perfezione, e ciò vale tanto per le creature razionali quanto per quelle irrazionali.
Con S. Tommaso la concezione cristiana del finalismo trova la sua sistemazione definitiva, una sistemazione in cui tutto quanto c'era di valido nelle filosofie di Aristotele, dei Neoplatonici e dei Padri della Chiesa viene preservato con cura e fuso genialmente con la dottrina della creazione libera da parte di Dio. Però l'Aquinate non si accontenta di ripetere in forma eclettica l'insegnamento dei pensatori che l'avevano preceduto. Anche alla dottrina del finalismo egli riesce a dare un volto nuovo considerandola dalla prospettiva della sua nuova concezione dell’essere, actualitas omnium actuum et perfectio omnium perfectionum. «Il merito del-l'ontologia tomistica, rispetto a quella di Aristotele, è quello d'aver trovato nella struttura profonda dell'essere la spiegazione del desiderio. Discernendo mediante la sua sottile analisi il valore e le implicazioni dell'esse, S. Tommaso ha messo in evidenza il legame che mancava alle essenze dell'universo peripatetico» (J. De Finance). Infatti, fine ultimo dell'attività dell'ente, secondo S. Tommaso, non è la preservazione della specie, bensì il raggiungimento pieno del proprio essere. «L'atto ultimo è l'essere. Perciò, essendo il divenire un passaggio dalla potenza all'atto, è necessario che l'essere sia l'ultimo atto verso cui tende qualsiasi divenire; e poiché il divenire naturale tende verso ciò che naturalmente si desidera, occorre che esso, l'essere, sia l'atto ultimo cui ogni cosa anela» (Comp. Theol., I, c. 11, n. 21). Senonché qualsiasi essere creato, essendo un essere per partecipazione, non può conseguire il suo ultimo completamento che facendo ritorno alla sua sorgente, ossia all'Esse ipsum subsistens. L'essere sussistente che è la fonte prima della realtà, della bontà, della verità, della sostanzialità, dell'attività dell'ente, è anche il termine ultimo, il fine supremo verso cui l'ente tende nel suo agire, nel suo evolversi, nel suo divenire. «Poiché Dio è principio e fine d'ogni cosa, Egli ha con le creature un duplice rapporto: quello secondo cui tutte le cose arrivano all'essere per causa sua, e quello secondo cui tutte le cose si dirigono verso di Lui a loro ultimo fine. Questo secondo rapporto (quello finalistico) si realizza diversamente nelle creature irrazionali che in quelle razionali: nelle prime si attua mediante la rassomiglianza; nelle seconde mediante la conoscenza della divina essenza oltre che mediante la rassomiglianza» (De Ver., q. 20, a. 4). «E’ pertanto evidente che anche gli enti privi di intelligenza possono operare per il fine, desiderare il bene con tendenza naturale, desiderare la somiglianza divina e la propria perfezione. Non v'è differenza a dire l'una o l'altra cosa; poiché essi tendono alla propria perfezione appunto perché tendono al bene, essendo buona ogni cosa appunto secondo il grado della sua perfezione. Ma col tendere al bene, tendono pure alla divina rassomiglianza, perché a Dio si rassomiglia una cosa in quanto è buona; e questo o quel bene particolare sono desiderabili in quanto hanno somiglianza con la bontà di Dio. Per conseguenza ogni ente tende al proprio bene, perché tende alla somiglianza divina e non viceversa. Così è evidente che tutti gli enti desiderano la somiglianza divina come ultimo fine» (C. G., III, c. 24, n. 2051).
Sul fenomeno del finalismo, S. Tommaso fonda la quinta via: l'ordine meraviglioso che regna nell'universo esige l'esistenza di un ordinatore supremo, Dio (ctr. I, q. 2, a. 3).
(Vedi: DIO, METAFISICA)
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Battista
Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.