FEDE
Secondo l’uso più comune questo termine significa la disposizione ad
accogliere come vere le informazioni di cui non si hanno prove personali. basandosi sull’autorità altrui (del sacerdote, del maestro,
dell’amico ecc.). Passando dal linguaggio comune alla teologia, nel
cristianesimo la fede è una delle tre virtù
teologali; essa dispone il credente ad abbandonarsi fiduciosamente nelle mani
di Dio e ad accettare umilmente la sua parola.
1. LO STUDIO DI
S. TOMMASO
Della fede, S. Tommaso si è occupato in
molti scritti: nel Commento alle
Sentenze, III, dd. 23-25; net De Veritate, q. 14, aa. 1-12; nella Lontra Gentile, I, c.
6, III, ecc. 152, 154; nel Commento al De Trinitate
di Boezio, q.
2.. DEFINIZIONE DELLA VIRTU'
DELLA FEDE
Nella
definizione della fede l’Angelico esalta lo spessore fortemente "teologico"
di questa virtù: essa procede da Dio (è un dono di Dio);
ha come oggetto Dio e ha ancora Dio come suo unico fine. Per questo si dice Credo Deum, Credo Deo e Credo in Deum (cfr. II-II, q.
Dio, precisa S. Tommaso, della
fede e sia oggetto materiale sia oggetto formale: "Se consideriamo la ragione formale
dell’oggetto, essa non ha altro oggetto che la prima Verità (nihil est aliud quam Veritas prima), poiché la fede di cui parliamo non accetta verità alcuna se
non in quanto è rivelata da Dio; perciò si appoggia alla verità divina come a
suo principio. Se invece consideriamo materialmente le cose accettate dalla
fede, oggetto di questa verità non è soltanto Dio, ma
molte altre cose. Queste però non vengono accettate dalla fede, se non in ordine a Dio: cioè solo in quanto l’uomo viene aiutato
nel cammino verso la fruizione di Dio dalle opere di lui. Perciò anche da
questo lato in qualche modo oggetto della fede è sempre la prima Verità, poiché
niente rientra nella fede, se non in ordine a Dio (nihil cadit sub fide nisi in ordine ad Deum): cioè
come la salute è oggetto della medicina, poiché niente è considerato dalla
medicina, se non in ordine alla salute" (II-II, q.
3.
Stabilito
che oggetto della fede è
Dalla
stessa definizione della fede e dalla sua caratterizzazione come
partecipazione alla scienza divina, già si evince quel carattere intellettivo
di questa virtù, che S. Tommaso non si stanca mai di sottolineare
nei suoi scritti. La fede è eminentemente atto
dell’intelletto: "Credere è direttamente atto dell’intelletto, in quanto
ha per oggetto il vero che propriamente appartiene all’intelligenza. Perciò è necessario che la fede, essendo principio di quest’atto, risieda nell’intelletto (II-II, q.
4.
Per
quanto l’oggetto della fede (
Approfondendo la
natura di questo assenso S. Tommaso mette in luce il
grande peso che ha la volontà nell’atto di fede. "L’intelletto di chi
crede viene determinato all’assenso non dalla ragione
ma dalla volontà. Ecco quindi che l’assenso si prende qui come atto
dell’intelletto in quanto determinato dalla volontà (assensus hic accipitur pro actu intellectus secundum quod a voluntate determinatur ad unum)""
(II-II, q.
Concludendo, secondo S. Tommaso l’atto di
fede appartiene sia all’intelletto sia alla volontà, ma non allo stesso modo:
formalmente è atto dell’intelletto perché riguarda la verità (che è l’oggetto
proprio dell’intelletto); effettivamente (ossia dal punto di vista della
causalità efficiente) è atto della volontà, perché è la volontà che muove
l’intelletto ad accogliere gli oggetti (verità) di fede, in quanto essi superano
il potere dell’intelletto, il quale si rifiuterebbe di accoglierli essendo
privi della necessaria evidenza, senza la spinta della volontà.
5. NECESSITA' DELLA
FEDE
S. Tommaso argomenta la necessità
della fede dal traguardo che Dio ha voluto assegnare alla vita umana, un
traguardo che va ben al di là dei poteri naturali
della ragione, e che tuttavia questa non può ignorare, se il conseguimento
del traguardo deve avvenire non in modo meccanico ma in modo confaciente alle creature intelligenti. Il traguardo soprannaturale che Dio ha prestabilito per l’uomo è la visione diretta della Trinità
e la partecipazione alla sua vita beatificante. "La perfezione della
creatura ragionevole non consiste soltanto in ciò che le compete secondo natura, ma anche in ciò che
le viene concesso da una partecipazione
soprannaturale della bontà divina. Per
questo sopra abbiamo detto che l’ultima beatitudine
dell’uomo consiste in una visione soprannaturale
di Dio. Visione alla
quale l’uomo non può arrivare se non come discepolo sotto il magistero di
Dio, secondo le parole evangeliche: “Chiunque ha udito il Padre e si è lasciato
ammaestrare da Lui viene a me” (Gv 6, 46) (...). Perciò affinché l’uomo raggiunga la visione
perfetta della beatitudine, si richiede che prima creda a Dio, come fa un
discepolo col suo maestro" (II-II, q.
Di fatto le grandi verità che Dio
ha insegnato all’umanità e che tutti sono tenuti a credere sono due: la prima
in ordine temporale (ma in ordine logico è la seconda) è l’incarnazione, passione e morte del Figlio di Dio: "Come
sopra abbiamo spiegato, ciò che è indispensabile all’uomo per raggiungere la beatitudine appartiene propriamente ed
essenzialmente all’oggetto della fede. Ora la via per cui
gli uomini possono raggiungere la beatitudine è il mistero della incarnazione
e passione di Cristo (via autem hominibus veniendi ad beatitudinem est mysterium incarnationis et passionis Christi);
poiché sta scritto: “Non c’è alcun altro nome dato agli uomini, dal quale
possiamo aspettarci d’essere salvati”. Perciò era
necessario che il mistero dell’incarnazione di Cristo in qualche modo fosse
creduto da tutti in tutti i tempi: però diversamente secondo le diversità dei
tempi e delle persone" (II-II, q.
6. FEDE IMPLICITA ED ESPLICITA
Occupandosi della delicata
questione della necessità della fede, S. Tommaso introduce alcune
distinzioni di capitale importanza: tra fede implicita ed esplicita, verità
primarie e secondarie, conoscenza dei dotti e conoscenza delle persone
semplici. Poste queste distinzioni l’Angelico afferma che si
richiede da tutti indistintamente una fede esplicita
nei due misteri fondamentali dell’Incarnazione e
della Trinità.
Per il resto,
alla gente semplice può bastare
una fede implicita; mentre dai dotti si
esige una fede esplicita anche riguardo alle verità secondarie.
"Non tutti sono tenuti a credere esplicitamente tutte le cose che sono
di fede, ma soltanto coloro che sono chiamati
a diventare maestri
della fede, come nel caso dei
prelati e di coloro che sono
in cura d’anime (...). Nel tempo
della grazia sia i dotti sia i semplici sono tenuti ad avere una fede esplicita
nella Trinità e nel Redentore (tempore gratiae omnes, maiores et minores,
de Trinitate et de Redemptore tenentur explicitam fidem habere). Però la gente semplice non è tenuta a credere tutto ciò che appartiene alla fede circa
Altrove S. Tommaso è meno
categorico sulla esplicitazione
formale degli articoli di fede e ammette che la fede implicita possa praticamente
estendersi agli stessi misteri fondamentali, purché esista quella
disponibilità alla divina rivelazione che è implicita nella fede nella
provvidenza divina. Così S. Tommaso può ammettere che sono
stati salvati (e si possono salvare) molti Gentili, anche se ovviamente
sono tutti salvati grazie all’unico salvatore, Gesù
Cristo: "Tuttavia anche se alcuni si salvarono senza codeste rivelazioni,
non si salvarono senza la fede nel Mediatore. Perché anche se non ne ebbero una fede esplicita, ebbero però una fede implicita
nella divina provvidenza, credendo che Dio sarebbe stato il redentore degli
uomini nel modo che a lui sarebbe piaciuto, e secondo la rivelazione da lui
fatta a quei pochi sapienti che erano nella verità " (II-II, q.
7.
La fede è un dono
dato primieramente alla Chiesa; solo in essa non viene
mai meno; solo in essa la fede non è mai "informe", bensì sempre
"formata"" cioè viva e animata dalla carità (II-II, q.
In ultima analisi
il problema della fede diventa il problema della
Chiesa. La vera fede si trova nell’autentica Chiesa. Ogni singolo credente
deve misurarsi con quella fede-matrice, non solo
quanto alla dottrina contenuto, bensì anche quanto alla fede-atteggiamento,
alla fede-docilità, tensione alla visione, disponibilità a Dio, amore e abbandono
all’amore.
Le distinzioni
poste da S. Tommaso tra fede implicita ed esplicita, tra verità primarie e
secondane, tra fede "dotta" e "semplice", e il suo
insegnamento sul carattere essenzialmente ecclesiale della fede sono pietre
miliari da tener sempre presenti da chi svolge attività ecumenica, specialmente quando questa ha luogo tra le Chiese cristiane,
ma anche quando gli interlocutori appartengono a religioni differenti.
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Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico
del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano,
Bologna.