ESSERE
Termine
fondamentale d’ogni metafisica, è allo stesso tempo un termine assai flessibile
che può variare da un minimo di comprensione, quando si limita a
significare la presenza o posizione di una cosa, fino a una
comprensione sconfinata che abbraccia tutte le perfezioni e tutti i modi di
essere.
La
metafisica di S. Tommaso è essenzialmente metafisica dell’essere (vedi: METAFISICA) non metafisica delle Idee
(Platone), delle forme e delle sostanze (Aristotele), dell’Uno (Plotino), della Verità (Agostino), del Bene (Pseudo Dionigi) ecc. Ma la metafisica dell’essere di S.
Tommaso non è una semplice riedizione della metafisica di Parmenide,
il grande filosofo dell’essere, e questo perché il concetto che l’Aquinate ha dell’essere è toto coelo diverso
da quello del filosofo di Elea. Questi ha dell’essere un concetto
univoco e monistico (che esclude il divenire e la
partecipazione). Invece S. Tommaso ha un concetto analogico e pluralistico,
che riconosce la creazione e la partecipazione.
S. Tommaso non ha
mai svolto un discorso sistematico ed esauriente intorno alla sua concezione
dell’Essere, ma non è difficile ricostruire in modo articolato i punti
fondamentali della sua dottrina. E' quanto ci proponiamo di fare in questa
voce.
1. L’USO DEL TERMINE IN S. TOMMASO
S. Tommaso osserva,
come aveva già fatto Aristotele molto prima di lui, che il termine essere è plurisemantico: "Il termine “essere” ha vari
significati. In primo luogo si
chiama essere l’essenza stessa della cosa. In secondo luogo il termine “essere” si adopera per
esprimere l’atto dell’essenza (actus essentiae); così come “vivere”, che è l’essere proprio
del viventi. si adopera per esprimere l’atto dell’anima (non l’atto secondo,
che è un’operazione, ma l’atto primo). In
terzo luogo esso esprime la verità della sintesi proposizionale;
per cui l’essere (in questo contesto) si chiama copula. Questo tipo di essere
ha per sede l’intelletto componente e dividente, però si fonda sull’essere
della cosa, ossia sull’atto del1’essenza" (I Sent., d. 33, q.
Ma nello stesso
esse inteso come actus entis o actus essentiae
(che è la seconda delle tre accezioni del termine ricordate nel Commento alle
Sentenze) S. Tommaso pone una distinzione che nella sua metafisica gioca un
ruolo capitale:è la distinzione tra esse
commune o esse
universale e esse absolutum
o esse divinum.
Nel primo senso designa un minimo di realtà, quel minimo indispensabile a tutte
le cose per uscire dalle tenebre del nulla e appartenere all’ordine degli
enti. Nel secondo senso esprime l’intensità massima di realtà, intensità tale
per cui ogni perfezione vi è racchiusa. Ecco alcuni testi in cui l’Angelico
propone questa distinzione fondamentale. L’occasione gli viene quasi sempre
offerta da chi gli obietta che non è corretto definire Dio come essere e quindi
identificare la sua essenza con l’essere S. Tommaso replica che ci sono due
concetti di essere: l’essere comune che e il concetto più astratto di tutti,
che è indifferente a tutte le aggiunte, ma è suscettibile di qualsiasi aggiunta,
e l’essere specialissimo che già include tutte le determinazioni e pertanto
esclude qualsiasi aggiunta. Ora è nel secondo senso che si definisce Dio come
essere e si identifica in lui l’essenza con l’essere ((L'espressione “qualche
cosa cui non si può aggiungere niente” si può intendere in due maniere. Prima
maniera: qualche cosa che (positivamente) di sua natura importi l’esclusione
di aggiunte (o determinazioni).. Seconda maniera: qualche cosa che non riceva
aggiunte o determinazioni, perché di suo non le include (né le esclude) (..). Essere senza aggiunte nella prima maniera è proprio dell’essere divino:
invece essere senza aggiunte nella seconda maniera è proprio dell’essere comune
(primo igitur
modo, esse sine additione,
est esse divinum; secundo
modo, esse sine additione,
est esse commune)" (I, q.
2. DIVISIONE
Già studiando
l’uso
3. ANALOGIA
S. Tommaso dice
esplicitamente che quella dell’essere è una realtà
analoga. "Il creatore e la creatura sono ricondotti all’unità, non con la
comunanza dell’univocità ma della analogia. Ma tale comunanza può essere
duplice. O perché delle cose partecipano allo stesso elemento secondo un
ordine di priorità e posteriorità, come, per es., la
potenza e l’atto partecipano al concetto di ente e similmente la sostanza e
l’accidente, oppure perché una cosa riceve da un’altra sia l’essere sia la
definizione (esse et
rationem ab altero recipit). L’analogia tra la creatura e il Creatore è
di questo secondo tipo; infatti la creatura non possiede l’essere (non habet esse)
se non perché discende dal primo ente, e non viene chiamata ente se non perché
imita il primo ente. Altrettanto accade per i nomi di sapienza e di ogni altra
cosa che viene detta delle creature" (I Sent., Prol., q.
Il primo modo, secondo l’intenzione e non secondo l’essere
(secundum intentionem et non secundum esse)..
Il secondo modo, secondo l’essere e non secondo
l’intenzione (secundum esse et non secundum intentionem) ..
Il terzo modo, sia secondo l’intenzione sia secondo
l’essere (secundum intentionem et secundum esse).
Per il primo caso S. Tommaso adduce l’esempio di "sano";
per il secondo
quello di "corpo",
per il terzo quello di
"ente".
Come risulta da questo celebre testo del
quale si è servito il Gaetano per la sua
ricostruzione della dottrina tomistica dell’analogia, l’analogia dell’essere si può realizzare in due modi distinti, o a livello
esclusivamente ontologico (é il caso di corpo, che a livello logico è univoco
mentre è analogo a livello ontologico, data la differenza
esistente tra i corpi viventi e non viventi, i corpi celesti e i corpi
terrestri); oppure sia a livello ontologico sia a livello logico (secundum esse et secundum rationem): è il caso
dell’essere che è analogo ossia simile e non identico sia nel concetto sia
nella realtà (vedi: ANALOGIA).
4. IL CONCETTO
INTENSIVO
Come abbiamo
notato, l’originalità metafisica di S. Tommaso sta tutta nella sua scoperta
del concetto intensivo di essere: dell’essere inteso non come perfezione comune
bensì come perfezione assoluta; non come perfezione minima a cui si possono
aggiungere tutte le altre perfezioni, e neppure semplicemente come perfezione
somma (come Platone poteva concepire la bellezza, Plotino
l’unità, Dionigi l’areopagita la bontà) bensì come
perfezione piena e intensissima che racchiude tutte le altre. Per definire
questo nuovo concetto di essere, S. Tommaso si avvale di frasi vigorose e
scultoree nelle quali mette in luce tre verità fondamentali: a) il primato
assoluto dell’atto dell’essere; b) la ricchezza strepitosa dell’essere; c)
l’intimità dell’essere.
a) Primato assoluto dell’atto dell’essere. Diversamente
dalla forma che certamente è atto, ma che non può mai sussistere per conto
proprio, neppure nelle sostanze separate, gli angeli, che sono pure forme,
l’atto dell’essere è singolarissimo, in quanto può sussistere per conto
proprio; esso è atto per essenza e non per partecipazione. "L’atto primo è
l’essere sussistente per conto proprio (primus autem actus est esse subsistens per se). Perciò
ogni cosa riceve l’ultimo completamento mediante la partecipazione all’essere.
Quindi l’essere è il completamento d’ogni forma. Infatti la forma arriva alla
completezza solo quando ha l’essere, e ha l’essere solo quando è in atto.
Sicché non esiste nessuna forma se non mediante l’essere. Per questo affermo
che l’essere sostanziale di una cosa non è un?accidente, ma è l’attualità
d’ogni forma esistente (actualitas cuiuslibet formae existentis) tanto
dotata quanto priva di materia" (Quodl., XII, q.
b) Pregnanza
singolarissima dell’essere: l’essere non è soltanto perfezione somma ma è
anche il ricettacolo di tutte le perfezioni, per cui tutte le costellazioni di
perfezioni che riempiono l’universo non sono altro che irradiazioni della
stessa e unica perfezione dell’essere, "Tra tutte le cose l’essere è la
più perfetta (esse est inter omnia perfectissimum).
Ciò risulta dal fatto che l’atto è sempre più perfetto della potenza. Ora
qualsiasi forma particolare si trova in atto solo se le si aggiunge l’essere.
Infatti l’umanità o l’igneità possono considerarsi come esistenti o nella
potenza della materia o nella capacità dell’agente, oppure nella mente: ma ciò
che possiede l’essere diviene attualmente esistente. Conseguentemente ciò che
chiamo essere è l’attualità d’ogni atto e quindi la perfezione di qualsiasi
perfezione (esse est actualitas
omnium actuum et propter hoc est perfectio omnium perfectionum" (De Pot., q.
c) Intimità
dell’essere. Una terza
proprietà che
Talvolta S. Tommaso
ricava l’eccellenza dell’essere anche dal fatto che non solo esso rappresenta
la sorgente di tutti gli enti, ma anche il loro traguardo finale:
"l’essere è il fine ultimo d’ogni azione" (Sub. Sep.,
c. 7, n. 16). "Ogni azione e movimento sono ordinati in qualche maniera
all’essere sia allo scopo che esso venga conservato nella specie o
nell’individuo, oppure perché venga acquistato di nuovo" (C. G., III, c.
2). ((L’atto ultimo è l’essere, ed essendo il divenire un passaggio dalla
potenza all’atto, è necessario che l’essere sia l’ultimo atto verso cui tende
qualsiasi divenire, e poiché il divenire naturale tende verso ciò che
naturalmente si desidera, occorre che esso, l’essere sia l’atto ultimo cui ogni
cosa anela" (Comp. Theol., I, c. 11. n. 21).
5.
La scoperta del
concetto intensivo di essere fu il risultato di un lungo processo filosofico.
S. Tommaso stesso in varie occasioni ne indica, in modo assai sintetico, le
tappe più significative, che sono tre:
a) La prima
è quella dei presocratici: "Essendo, per così
dire, piuttosto grossolani, essi credevano che non esistessero altro che corpi
sensibili. Quelli che tra essi accettavano il moto non lo consideravano che
sotto certi aspetti accidentali, come sarebbe la rarefazione e la
condensazione, l’associazione e la dissociazione. E supponendo che Ia sostanza
stessa dei corpi fosse increata, si limitarono a
stabilire delle cause per codeste trasformazioni accidentali, quali
l’amicizia, la lite, l’intelligenza o altre cose del genere" (I, q.
b) La seconda
tappa è quella marcata da Platone e Aristotele: "Essi distinsero razionalmente
la forma sostanziale dalla materia che ritenevano increata;
e capirono che nei corpi avvengono delle trasformazioni di forme sostanziali.
Di queste trasformazioni stabilirono delle cause universali, cioè il circolo
obliquo per Aristotele e le Idee per Platone (..). Tuttavia entrambi
considerarono l’ente sotto un aspetto particolare (utrique igitur consideraverunt ens particulari quadam consideratione) o in quanto appartenente a una determinata specie o in quanto determinato
dai suoi accidenti. Quindi essi assegnarono alle cose solamente delle cause
efficienti particolari" (I, q.
c) La terza
tappa è quella percorsa dallo stesso S. Tommaso (il quale, però, si guarda bene
dall’attribuirsi questo merito): è la tappa che concerne la scoperta del
principio unico e universale di tutte le cose, l’essere stesso. "Essendo necessario che esista un principio
primo semplicissimo, il suo modo di essere non va concepito come qualcosa che
partecipi all’essere, bensì come quello dell’essere sussistente stesso (quasi ipsum esse existens). E poiché l’essere sussistente non può essere
che uno solo, ne consegue che tutte le altre cose che traggono origine da esso,
esistano come partecipanti all’essere. Occorre pertanto una risoluzione comune
per tutte le forme di divenire (accidentale, sostanziale, esistenziale), dato
che tutte implicano nel loro concetto due elementi, l’essenza e l’essere. E
quindi oltre al modo di divenire della materia col sopraggiungere della forma,
occorre riconoscere in precedenza un’altra origine delle cose, grazie alla
quale l’essere viene dato a tutto l’universo reale dall’ente primo, che si
identifica con l’essere" (Sub. sep., c. 9, n.
94).
La singolarità del
concetto di essere era già stata rilevata da S. Agostino quando aveva notato
che Dio l’aveva scelto come suo nome proprio, ma nella speculazione dell’Ipponate non c’è ancora la scoperta della densità
semantica dell’esse e tanto meno una filosofia dell’essere Questo passo l’ha
compiuto l’Aquinate scrutando l’ente non soltanto
sotto qualche aspetto particolare (i suoi rapporti con l’essenza, con la
sostanza, con gli accidenti, con la materia, con la forma ecc.) ma proprio in
quanto ente, ossia in quanto partecipe della perfezione dell’essere (essendo
l’ente ciò che ha l’essere). Fu proprio in quel momento che egli colse il
valore singolarissimo dell’essere: che è solo l’essere a fare dell’ente qualche
cosa di reale, di attuale; che è solo l’essere a conferire attualità, nobiltà,
perfezione, dinamismo all’ente. In conclusione, fu una più attenta e più
accurata indagine dell’ente in direzione dell’essere a condurre S. Tommaso alla
scoperta del concetto intensivo di essere e a metterlo alla base del suo
edificio metafisico.
6.
Sappiamo che S.
Tommaso distingue due concetti di essere, quello comune che è il concetto più
astratto e più generico, quello intensivo che è il concetto più concreto e più
determinato in quanto abbraccia tutte le determinazioni (tutte le
determinazioni in assoluto quando si tratta dell’esse per essentiam; tutte le
determinazioni di un ente particolare, quando si tratta di un esse per participationem.).
Il concetto comune,
generico, sta alla base di tutta la conoscenza ed entra nell’apprensione di
ogni altra idea; ma per quanto primario e immediato, neppure il concetto di esse commune,
nella gnoseologia di S. Tommaso. può essere colto intuitivamente, perché l’Aquinate esclude nella conoscenza umana qualsiasi forma di
intuizione intellettiva: tutta la conoscenza intellettiva deve passare attraverso
i "fantasmi" che a loro volta raccolgono i dati dei sensi esterni;
perciò tutto quanto l’intelletto conosce, anche l’idea elementarissima
di essere e di ente, è il risultato del procedimento astrattivo.
Certo nel caso dell’esse commune e dell’ens si tratta di un’astrazione
peculiare che viene chiamata astrazione precisiva in
quanto non esclude ulteriori determinazioni ma soltanto prescinde da esse.
Ma al concetto intensivo di essere che è più ricco, più
denso, più elevato di tutti gli altri concetti come si arriva? In quanto è un
concetto che è ricavato dagli enti ma che allo stesso tempo oltrepassa tutte
le limitazioni e determinazioni degli enti stessi, si deve dire che è il frutto
sia di un processo astrattivo sia di un processo
riflessivo, in altre parole di un processo altamente speculativo. Riflettendo
sugli enti, su ciò che li costituisce come enti, ma che non si lascia mai
catturare dagli enti, perché tutte le essenze sono ricettacoli troppo piccoli
per abbracciarlo interamente, è necessario lasciare in disparte gli enti (le
loro qualità, la loro sostanza, la loro forma, la loro essenza) e andare oltre
gli enti stessi: verso l’esse nella
pienezza e ricchezza del suo infinito dominio. "Il percorso da fare qui è
caratterizzato da un approfondimento progressivo d’atto in atto, dall’atto
accidentale all’atto sostanziale, e dall’atto formale all’esse autentico che è l’actus essendi, atto
ultimo" (C. Fabro). Si tratta di quel processo astrattivo-risolutivo che corrisponde al terzo grado di
astrazione (vedi: ASTRAZIONE), che è il procedimento proprio della metafisica.
Che tale sia la traiettoria che segue la nostra
intelligenza quando va alla conquista del concetto intensivo dell’essere, S.
Tommaso non lo dice mai esplicitamente, e questo giustifica la notevole varietà
di opinioni tra i tomisti su questo argomento. Tuttavia che tale sia l’insegnamento
dell’Angelico lo si può evincere da testi come i seguenti: "L’intelletto
umano non acquista subito alla prima apprensione una conoscenza perfetta
dell’oggetto; ma da principio ne percepisce un aspetto, mettiamo l’essenza,
che è l’oggetto primario e proprio dell’intelligenza, e in seguito conosce le
proprietà, gli accidenti e le relazioni che ricoprono la quiddità. Si trova
così costretto a raffrontare e a contrapporre, a comporre e a scomporre e
passare da una composizione o divisione a ulteriori composizioni o divisioni,
cioè a ragionare" (I, q.
Pertanto l’essere in senso intensivo non è il risultato di un’intuizione (come vuole Maritain) ma neppure di un giudizio (come sostiene Gilson), bensì di un laborioso processo speculativo che
implica senz’altro sia giudizi sia ragionamenti. Il processo si conclude con
l’acquisizione di un "concetto" singolare per il quale può essere
valida la denominazione di concetto
riflessivo (mentre quello dell’essere comune è un concetto precisivo).
Molti studiosi di
S. Tommaso sostengono che l’esse è oggetto del giudizio e a sostegno di questa tesi possono addurre numerosi
testi dell’Angelico, in cui si ripete regolarmente che l’oggetto della prima
operazione della mente (l’apprensione) è l’essenza o quiddità della cosa;
mentre l’oggetto della seconda (il giudizio) è l’essere della cosa (esse rei): "Prima quidem operatio
respicit ipsam naturam rei (..) Secunda operatio respicit
ipsum esse rei" (In De Trin., lect. 2, q.
Ma, a nostro avviso, è necessario distinguere tra l’espressione
dell’essere e la sua apprensione. Certo, l’espressione generalmente avviene
nel giudizio: è il giudizio che rispecchia l’actus essendi e non la definizione. Ma l’elaborazione del
concetto intensivo dell’essere non è frutto del giudizio, quanto di una lunga e
laboriosa riflessione comparativa e risolutiva.
7. RAPPORTO
DELL’ESSERE CON L’ESSENZA
L’essere in senso intensivo, di per sé, dice perfezione assoluta, senza
restrizioni ne delimitazioni; l’essere intensivo è di diritto essere
sussistente, illimitato, infinito. Ma allora a che
cosa si deve
che l’actus essendi degli enti
è invece sempre limitato, finito, partecipato? S. Tommaso risolve questo problema assegnando
all’essenza il ruolo e la funzione di potenza, ossia di ricettacolo che,
ricevendolo, delimita e circoscrive l’essere Le essenze, spiega S. Tommaso,
sono come dei recipienti e contengono tanto di essere quanto ne comporta la
loro capacità: "L’essere che in sé stesso è infinito può essere
partecipato da infiniti enti e in infiniti modi. Se dunque l’essere di qualche
ente è finito, bisogna che esso sia limitato da qualche altra cosa, che sia in
una certa guisa presente nell’ente come suo principio" (C. G., I, c. 43). Tale è il ruolo dell’essenza (vedi: ESSENZA). Ovviamente nel caso in cui
l’essere non subisca nessuna restrizione, nessuna limitazione, ma si realizzi
nella sua infinita perfezione: allora, la sua essenza è semplicemente quella
di essere sussistente: l’essere è la sua essenza. E' esattamente quanto
succede in Dio: "In solo Deo suum esse est sua quidditas vel natura; in omnibus autem aliis esse est praeter quidditatem, cui
esse acquiritur" (II Sent., d. 3, q.
8. RISOLUZIONE
DELL’ESSERE PARTECIPATO NELL’ESSERE
SUSSISTENTE
La
riflessione sulla natura dell’ente ne rivela la partecipazione alla perfezione
dell’essere. Questo è un rilievo più di ordine logico che ontologico, che
conduce alla elaborazione del concetto intensivo dell’essere ma non alla dimostrazione
della sua sussistenza.
Per
provare la sussistenza effettiva dell’essere occorre
partire dall’ente reale e non da concetti: da aspetti (fenomeni) reali di enti
reali. E precisamente quanto fa S. Tommaso. Sono tre
aspetti di contingenza negli enti che esistono di fatto e che noi
quotidianamente sperimentiamo, che lo inducono, dopo la scoperta del concetto
intensivo dell’essere, a provare la sua sussistenza effettiva, cioè l’esistenza
dell’esse ipsum.
I tre aspetti (fenomeni) della contingenza dell’ente sono: la partecipazione,
la composizione reale (tra essenza e atto d’essere) e la gradazione della
perfezione dell’essere negli enti. Ecco le tre argomentazioni di S. Tommaso
ridotte all’osso.
a) Dal
fenomeno della partecipazione: "Tutto ciò che è qualcosa per
partecipazione rimanda a un altro che sia la stessa cosa per essenza, come a
suo principio supremo (..). Ora, dato che tutte le cose che
sono, partecipano all’essere e sono enti
per partecipazione, occorre che in cima a tutte le cose ci sia qualcosa
che sia essere in virtù della sua stessa
essenza, ossia tale che la sua essenza sia l’essere stesso" (In Ioan., Prol.,
n. 5;
lo stesso argomento lo si trova, in nuce, nel Commento alle Sentenze II, d. 1,
q.
b) Dal fenomeno della distinzione
(composizione) reale tra essenza ed essere:
".. E' necessario che ogni cosa in cui l’essere
è diverso dalla sua natura (essenza), abbia l’essere da un altro. E poiché tutto
ciò che è in virtù di un altro esige come
causa prima ciò che è per sé, vi deve essere qualche cosa che sia causa
dell’essere in tutte le altre, appunto perché essa è soltanto essere;
diversamente si andrebbe all’infinito nelle cause, avendo ogni cosa che non è
solo essere una causa" (De Ent. et Ess., c. 4, n. 27).
c) Dalla
gradualità della perfezione dell’essere negli enti: "L’essere è
presente in tutte le cose, in alcune in modo più perfetto, in altre in modo
meno perfetto; però non è mai presente in modo così perfetto da identificarsi
con la loro essenza, altrimenti l’essere farebbe parte della definizione
dell’essenza di ogni cosa, il che è evidentemente falso, giacché l’essenza di
qualsiasi cosa è concepibile anche prescindendo dall’essere. Pertanto occorre
concludere che le cose ricevono l’essere da altri e (retrocedendo nella serie
delle cause) è necessario che si arrivi a qualche cosa la cui essenza sia
costituita dall’essere stesso, altrimenti si dovrebbe andare indietro all’infinito" (II Sent., d. 1, q.
Da
quanto siamo andati esponendo risulta chiaramente che l’essere concepito
intensivamente e indubbiamente il cardine fondamentale di tutta la metafisica
di S. Tommaso. Muovendo da tale concetto egli opera quella risoluzione di
tutta la realtà contingente (in divenire) nel suo ultimo sicuro, solidissimo
fondamento, l’essere: quella risoluzione da egli stesso invocata nell’opuscolo De substantiis
separatis (c. 9, n. 94): "Oportet igitur communem quamdam resolutionem
in omnibus huiusmodi fieri (c’è bisogno di una risoluzione universale di tutto ciò che è soggetto
al divenire)". Si tratta sicuramente di una risoluzione metafisica e non
semplicemente logica, perché per risalire
all’Esse ipsum si prende il via da un fenomeno concreto, realissimo: la
condizione di contingenza dell’essere negli
enti.
E poiché quello di esse ipsum subsistens è anche il nome più proprio di Dio (cfr. I, q.
(Vedi: ENTE, ESSENZA, ESISTENZA, ATTO, POTENZA, DIO)
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Battista Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.