|
|
|
|
|
CONGREGAZIONE PER DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS" CIRCA L'UNICITÀ E L'UNIVERSALITÀ SALVIFICA
INTRODUZIONE
1. Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi
discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare
tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo,
ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto
ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8). La missione
universale della Chiesa nasce dal mandato di Gesù
Cristo e si adempie nel corso dei secoli nella proclamazione del mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e del mistero
dell'incarnazione del Figlio, come evento di salvezza per tutta l'umanità.
Sono questi i contenuti fondamentali della professione di fede cristiana: «
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo
in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio
di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio
vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo
del quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e per la
nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è
incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto
uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, patì, fu sepolto e il terzo giorno risuscitò
secondo le Scritture, salì al cielo, siede alla destra del Padre, verrà di
nuovo con gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la
vita, e procede dal Padre. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo 2. Prendendo in
considerazione i valori che esse testimoniano ed offrono all'umanità, con un
approccio aperto e positivo, 3. Nella pratica e nell'approfondimento
teorico del dialogo tra la fede cristiana e le altre tradizioni religiose
sorgono domande nuove, alle quali si cerca di far fronte percorrendo nuove
piste di ricerca, avanzando proposte e suggerendo comportamenti, che
abbisognano di accurato discernimento. In questa
ricerca la presente Dichiarazione interviene per richiamare ai Vescovi, ai
teologi e a tutti i fedeli cattolici alcuni contenuti dottrinali
imprescindibili, che possano aiutare la riflessione
teologica a maturare soluzioni conformi al dato di fede e rispondenti alle
urgenze culturali contemporanee. Il linguaggio
espositivo della Dichiarazione risponde alla sua finalità, che non è quella
di trattare in modo organico la problematica relativa all'unicità
e universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo
e della Chiesa, né quella di proporre soluzioni alle questioni teologiche
liberamente disputate, ma di riesporre la dottrina della fede cattolica al
riguardo, indicando nello stesso tempo alcuni problemi fondamentali che
rimangono aperti a ulteriori approfondimenti, e di confutare determinate
posizioni erronee o ambigue. Per questo 4. Il perenne annuncio missionario della
Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di
tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non
solo de facto ma anche de iure (o di principio). Di conseguenza, si ritengono
superate verità come, ad esempio, il carattere definitivo e completo della
rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede
cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato
dei libri della Sacra Scrittura, l'unità personale tra il Verbo eterno e Gesù di Nazareth, l'unità dell'economia del Verbo
incarnato e dello Spirito Santo, l'unicità e l'universalità salvifica del
mistero di Gesù Cristo, la mediazione salvifica
universale della Chiesa, l'inseparabilità, pur nella distinzione, tra il
Regno di Dio, Regno di Cristo e Le radici di queste
affermazioni sono da ricercarsi in alcuni presupposti, di natura sia
filosofica, sia teologica, che ostacolano l'intelligenza
e l'accoglienza della verità rivelata. Se ne possono segnalare alcuni: la
convinzione della inafferrabilità e inesprimibilità della verità divina, nemmeno da parte
della rivelazione cristiana; l'atteggiamento relativistico nei confronti
della verità, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri; la
contrapposizione radicale che si pone tra mentalità logica occidentale e
mentalità simbolica orientale; il soggettivismo di chi, considerando la
ragione come unica fonte di conoscenza, diventa « incapace di sollevare lo
sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere»;8
la difficoltà a comprendere e ad accogliere la presenza di eventi definitivi
ed escatologici nella storia; lo svuotamento metafisico dell'evento
dell'incarnazione storica del Logos eterno, ridotto a mero apparire di Dio
nella storia; l'eclettismo di chi, nella ricerca teologica, assume idee
derivate da differenti contesti filosofici e religiosi, senza badare né alla
loro coerenza e connessione sistematica, né alla loro compatibilità con la
verità cristiana; la tendenza, infine, a leggere e interpretare In
base a tali
presupposti, che si presentano con sfumature diverse, talvolta come affermazioni
e talvolta come ipotesi, vengono elaborate alcune proposte teologiche, in cui
la rivelazione cristiana e il mistero di Gesù
Cristo e della Chiesa perdono il loro carattere di verità assoluta e di
universalità salvifica, o almeno si getta su di essi un'ombra di dubbio e di
insicurezza. I. PIENEZZA E DEFINITIVITÀ 5. Per porre rimedio a questa mentalità
relativistica, che si sta sempre più diffondendo, occorre ribadire
anzitutto il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo. Deve essere, infatti, fermamente creduta
l'affermazione che nel mistero di Gesù Cristo,
Figlio di Dio incarnato, il quale è « la via, la
verità e la vita » (Gv 14,6), si dà la rivelazione
della pienezza della verità divina: « Nessuno conosce il Figlio se non il
Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
lo voglia rivelare » (Mt 11,27); « Dio nessuno l'ha
mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato
» (Gv 1,18); « È in Cristo che abita corporalmente
tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza »
(Col 2,9‑10). Fedele alla parola di
Dio, il Concilio Vaticano II insegna: « La profonda verità, poi, sia su Dio
sia sulla salvezza dell'uomo, risplende a noi per mezzo di questa rivelazione
nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la
pienezza di tutta la rivelazione ».9 E ribadisce: « Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come “uomo
agli uomini”, “parla le parole di Dio” (Gv 3,34) e
porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cf. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede il Padre (cf. Gv 14,9), col fatto
stesso della sua presenza e manifestazione di Sé, con le parole e con le opere,
con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e con la
gloriosa risurrezione dai morti e, infine, con l'invio dello Spirito di
verità compie e completa la rivelazione e la conferma con la testimonianza
divina [...]. L'economia cristiana, dunque, in quanto è l'alleanza nuova e
definitiva, non passerà mai, e non si dovrà attendere alcuna nuova
rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cf. 1 Tm 6,14 e Tt
2,13) ».10 Per questo
l'enciclica Redemptoris missio
ripropone alla Chiesa il compito di proclamare il
Vangelo, come pienezza della verità: « In questa Parola definitiva della sua
rivelazione, Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno: egli ha detto
all'umanità chi è. E questa autorivelazione
definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui 6. È quindi contraria alla fede della Chiesa
la tesi circa il carattere limitato, incompleto e imperfetto della
rivelazione di Gesù Cristo, che sarebbe
complementare a quella presente nelle altre religioni. La ragione di fondo di questa asserzione pretenderebbe di fondarsi
sul fatto che la verità su Dio non potrebbe essere colta e manifestata nella
sua globalità e completezza da nessuna religione storica, quindi neppure dal
cristianesimo e nemmeno da Gesù Cristo. Questa posizione
contraddice radicalmente le precedenti affermazioni di fede, secondo le quali
in Gesù Cristo si dà la piena e completa
rivelazione del mistero salvifico di Dio. Pertanto, le parole, le opere e
l'intero evento storico di Gesù, pur essendo
limitati in quanto realtà umane, tuttavia, hanno come soggetto 7. La risposta adeguata alla rivelazione di
Dio è «l'obbedienza della fede (cf. Rm 1,5; Rm 16,26; 2 Cor 10,5-6), per la quale l'uomo si abbandona
a Dio tutto intero liberamente, prestando il “pieno ossequio dell'intelletto
e della volontà a Dio che rivela” e dando il proprio assenso volontario alla
rivelazione fatta da lui».15 La fede è un dono di grazia:
«Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che
previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale
muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla
verità”».16 L'obbedienza della
fede comporta l'accoglienza della verità della rivelazione di Cristo,
garantita da Dio, che è Deve essere, quindi,
fermamente ritenuta la distinzione tra la fede teologale e la credenza nelle
altre religioni. Se la fede è l'accoglienza nella grazia della verità
rivelata, «che permette di entrare all'interno del mistero, favorendone la
coerente intelligenza»,21 la credenza
nelle altre religioni è quell'insieme di esperienza
e di pensiero, che costituiscono i tesori umani di saggezza e di religiosità,
che l'uomo nella sua ricerca della verità ha ideato e messo in atto nel suo
riferimento al Divino e all'Assoluto.22 Non sempre tale
distinzione viene tenuta presente nella riflessione
attuale, per cui spesso si identifica la fede teologale, che è accoglienza
della verità rivelata da Dio Uno e Trino, e la credenza nelle altre
religioni, che è esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità
assoluta e priva ancora dell'assenso a Dio che si rivela. Questo è uno dei
motivi per cui si tende a ridurre, fino talvolta ad
annullarle, le differenze tra il cristianesimo e le altre religioni. 8. Si avanza anche l'ipotesi
circa il valore ispirato dei testi sacri di altre religioni. Certo, bisogna
riconoscere come alcuni elementi presenti in essi
siano di fatto strumenti, attraverso i quali moltitudini di persone, nel
corso dei secoli, hanno potuto e ancora oggi possono alimentare e conservare
il loro rapporto religioso con Dio. Per questo, considerando i modi di agire,
i precetti e le dottrine delle altre religioni, il Concilio Vaticano II — come è stato sopra ricordato — afferma che, «quantunque in
molti punti differiscano da quanto essa [ La tradizione della
Chiesa, però, riserva la qualifica di testi ispirati ai
libri canonici dell'Antico e del Nuovo Testamento, in quanto ispirati dallo Spirito
Santo.24 Raccogliendo questa tradizione,
Tuttavia, volendo
chiamare a sé tutte le genti in Cristo e volendo comunicare loro la pienezza
della sua rivelazione e del suo amore, Dio non manca di rendersi presente in
tanti modi « non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le
loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale
espressione, pur contenendo “lacune, insufficienze ed errori”».27
Pertanto, i libri sacri di altre religioni, che di
fatto alimentano e guidano l'esistenza dei loro seguaci, ricevono dal mistero
di Cristo quegli elementi di bontà e di grazia in essi presenti. II. IL LOGOS INCARNATO 9. Nella riflessione teologica contemporanea
spesso emerge un approccio a Gesù di Nazaret, considerato come una figura storica particolare,
finita, rivelatrice del divino in misura non esclusiva, ma
complementare ad altre presenze rivelatrici e salvifiche. L'Infinito,
l'Assoluto, il Mistero ultimo di Dio si manifesterebbe così all'umanità in
tanti modi e in tante figure storiche: Gesù di Nazaret sarebbe una di esse. Più
concretamente, egli sarebbe per alcuni uno dei tanti
volti che il Logos avrebbe assunto nel corso del tempo per comunicare salvificamente con l'umanità. Inoltre, per
giustificare, da una parte, l'universalità della salvezza cristiana, e,
dall'altra, il fatto del pluralismo religioso, viene
proposta una economia del Verbo eterno, valida anche al di fuori della Chiesa
e senza rapporto con essa, e una economia del Verbo incarnato. La prima
avrebbe un plusvalore di universalità rispetto alla
seconda, limitata ai soli cristiani, anche se in essa la presenza di Dio
sarebbe più piena. 10. Queste tesi contrastano profondamente con
la fede cristiana. Deve essere, infatti, fermamente creduta la dottrina di
fede che proclama che Gesù di Nazaret,
figlio di Maria, e solamente lui, è il Figlio e il
Verbo del Padre. Il Verbo, che «era in principio presso Dio» (Gv 1,2), è lo stesso « che si è fatto
carne» (Gv 1,14). In Gesù
«il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16) «
abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2,9). Egli è «il
Figlio unigenito, che è nel seno del Padre» (Gv
1,18), il suo « Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione
[...]. Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui
riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua croce le
cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col
1,13-14.19-20). Fedele alla Sacra
Scrittura e rifiutando
interpretazioni erronee e riduttive, il primo Concilio di Nicea
definì solennemente la propria fede in «Gesù
Cristo, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè
dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state
create tutte le cose in cielo e in terra. Egli per noi uomini e per la nostra
salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risorto
il terzo giorno, è risalito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti».28
Seguendo gli insegnamenti dei Padri, anche il Concilio di Calcedonia
professò « che l'unico e identico Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, è egli stesso perfetto in divinità e
perfetto in umanità, Dio veramente e uomo veramente [...], consustanziale al
Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l'umanità [...],
generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità
e, negli ultimi giorni, egli stesso per noi e per la nostra salvezza, da Maria, la vergine Madre di Dio, secondo l'umanità ».29
Per questo, il
Concilio Vaticano II afferma che Cristo, « nuovo Adamo », « immagine
dell'invisibile Dio » (Col 1,15), « è l'uomo perfetto, che ha restituito ai
figli d'Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a
causa del peccato [...]. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente
ci ha meritato la vita, e in lui Dio ci ha riconciliati
con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del
peccato; così che ognuno di noi può dire con l'apostolo: il Figlio di Dio “ha
amato me e ha sacrificato se stesso per me” (Gal 2,20) ».30 A
tale riguardo, Giovanni Paolo II ha esplicitamente dichiarato: « È contrario
alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo [...]: Gesù è il
Verbo incarnato, persona una e indivisibile [...]. Cristo non è altro che Gesù di Nazaret, e questi è il
Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti [...]. Mentre andiamo
scoprendo e valorizzando i doni di ogni genere,
soprattutto le ricchezze spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo, non
possiamo disgiungerli da Gesù Cristo, il quale sta
al centro del piano divino di salvezza ».31 E pure contrario alla fede
cattolica introdurre una separazione tra l'azione salvifica del Logos in
quanto tale e quella del Verbo fatto carne. Con l'incarnazione, tutte le
azioni salvifiche del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura
umana che egli ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini. L'unico
soggetto che opera nelle due nature, umana e divina, è l'unica
persona del Verbo.32 Pertanto non è
compatibile con la dottrina della Chiesa la teoria
che attribuisce un'attività salvifica al Logos come tale nella sua divinità,
che si eserciterebbe « oltre » e « al di là » dell'umanità di Cristo, anche
dopo l'incarnazione.33 11. Similmente, deve essere
fermamente creduta la dottrina di fede circa l'unicità dell'economia
salvifica voluta da Dio Uno e Trino, alla cui fonte e al cui centro c'è il
mistero dell'incarnazione del Verbo, mediatore della grazia divina sul piano
della creazione e della redenzione (cf. Col
1,15-20), ricapitolatore di ogni
cosa (cf. Ef 1,10), «diventato per noi, sapienza, giustizia, santificazione e
redenzione» (1 Cor 1,30). Infatti il mistero
di Cristo ha una sua intrinseca unità, che si estende dalla elezione eterna
in Dio alla parusia: «In lui [il Padre] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e
immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,4).
«In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il
piano di colui che tutto opera efficacemente
conforme alla sua volontà» (Ef 1,11). «Poiché
quelli che egli [il Padre] da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché
egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li
ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli
che ha giustificati li ha anche glorificati» (Rm
8,29-30). Il Magistero della
Chiesa, fedele alla rivelazione divina, ribadisce
che Gesù Cristo è il mediatore e il redentore
universale: «Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, è
diventato egli stesso carne, per operare, lui,
l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il
Signore [...] è colui che il Padre ha risuscitato da
morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei
vivi e dei morti».34 Questa mediazione salvifica implica anche
l'unicità del sacrificio redentore di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote (cf. Eb 6,20; 9,11; 10,12-14). Il Concilio Vaticano
II ha richiamato alla coscienza di fede della Chiesa questa verità
fondamentale. Nell'esporre il piano salvifico del Padre riguardo a tutta
l'umanità, il Concilio connette strettamente sin dagli inizi il mistero di
Cristo con quello dello Spirito.35 Tutta
l'opera di edificazione della Chiesa, da parte di Gesù Cristo Capo, nel corso dei secoli, è vista come una
realizzazione che egli fa in comunione col suo Spirito.36
Inoltre, l'azione
salvifica di Gesù Cristo, con e per il suo Spirito,
si estende, oltre i confini visibili della Chiesa, a tutta l'umanità.
Parlando del mistero pasquale, nel quale Cristo già ora associa a sé vitalmente nello Spirito il credente e gli dona la speranza
della risurrezione, il Concilio afferma: «E ciò non
vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona
volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo
è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo
Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che
Dio conosce, col mistero pasquale».37 È chiaro, quindi, il
legame tra il mistero salvifico del Verbo incarnato e quello dello Spirito,
che non fa che attuare l'influsso salvifico del Figlio fatto uomo nella vita
di tutti gli uomini, chiamati da Dio ad un'unica mèta, sia che
abbiano preceduto storicamente il Verbo fatto uomo, sia che vivano dopo la
sua venuta nella storia: di tutti loro è animatore lo Spirito del Padre, che
il Figlio dell'uomo dona liberalmente (cf. Gv 3,34). Per questo il recente
Magistero della Chiesa ha richiamato con fermezza e chiarezza la verità di
un'unica economia divina: «La presenza e l'attività dello Spirito non toccano
solo gli individui, ma anche la società e la storia, i popoli, le culture, le
religioni [...]. Il Cristo risorto opera nel cuore degli uomini con la virtù
del suo Spirito [...]. È ancora lo Spirito che sparge i “semi del Verbo”,
presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo».38
Pur riconoscendo la funzione storico-salvifica dello Spirito in tutto
l'universo e nell'intera storia dell'umanità,39
esso, tuttavia, ribadisce: «Questo Spirito è lo stesso che ha operato
nell'incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù
e opera nella Chiesa. Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una
specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci
tra Cristo e il Logos. Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella
storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione
evangelica e non può non avere riferimento a Cristo, Verbo fatto carne per
l'azione dello Spirito, “per operare lui, l'Uomo perfetto, la salvezza di
tutti e la ricapitolazione universale”».40 In conclusione,
l'azione dello Spirito non si pone al di fuori o accanto a quella di Cristo.
Si tratta di una sola economia salvifica di Dio Uno e Trino, realizzata nel
mistero dell'incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio, attuata
con la cooperazione dello Spirito Santo ed estesa nella sua portata salvifica
all'intera umanità e all'universo: «Gli uomini non possono entrare in
comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l'azione dello Spirito».41
III. UNICITÀ E UNIVERSALITÀ 13. È anche ricorrente la tesi che nega
l'unicità e l'universalità salvifica del mistero di Gesù
Cristo. Questa posizione non ha alcun fondamento biblico. Infatti, deve
essere fermamente creduta, come dato perenne della fede della Chiesa, la
verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore e
unico salvatore, che nel suo evento di incarnazione,
morte e risurrezione ha portato a compimento la storia della salvezza, che ha
in lui la sua pienezza e il suo centro. Le testimonianze
neotestamentarie lo attestano con chiarezza: «Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo» (1 Gv 4,14); «Ecco l'agnello di Dio, colui
che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29).
Nel suo discorso davanti al sinedrio, Pietro, per giustificare la guarigione
dell'uomo storpio fin dalla nascita, avvenuta nel nome di Gesù
(cf. At 3,1-8), proclama:
«In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti
altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale dobbiamo essere salvati»
(At 4,12). Lo stesso apostolo aggiunge inoltre che Gesù
Cristo «è il Signore di tutti»; «è il giudice dei vivi e dei morti costituito
da Dio»; per cui «chiunque crede in lui ottiene la
remissione dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,36.42.43). Paolo, rivolgendosi
alla comunità di Corinto, scrive: « In realtà anche se ci sono cosiddetti dèi
sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e signori, per noi
c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi siamo per lui; e
c'è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del
quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie
a lui » (1 Cor 8,5-6). Anche l'apostolo Giovanni afferma: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo,
ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui » (Gv
3,16-17). Nel Nuovo Testamento, la volontà salvifica universale di Dio viene strettamente collegata all'unica mediazione di
Cristo: «[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla
conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra
Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù,
che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm
2,4-6). È su questa coscienza
del dono di salvezza unico e universale offerto dal
Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito (cf. Ef 1,3-14), che i primi
cristiani si rivolsero a Israele, mostrando il
compimento della salvezza che andava oltre 14. Deve essere, quindi, fermamente creduto
come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio Uno
e Trino è offerta e compiuta una volta per sempre nel mistero dell'incarnazione,
morte e risurrezione del Figlio di Dio. Tenendo conto di
questo dato di fede, la teologia oggi, meditando sulla presenza di altre esperienze religiose e sul loro significato nel
piano salvifico di Dio, è invitata ad esplorare se e come anche figure ed
elementi positivi di altre religioni rientrino nel piano divino di salvezza.
In questo impegno di riflessione la ricerca
teologica ha un vasto campo di lavoro sotto la guida del Magistero della
Chiesa. Il Concilio Vaticano II, infatti, ha affermato che « l'unica
mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia
cooperazione, che è partecipazione dell'unica fonte ».43 È da
approfondire il contenuto di questa mediazione partecipata, che deve restare
pur sempre normata dal principio dell'unica
mediazione di Cristo: «Se non sono escluse mediazioni
partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e
valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come
parallele e complementari».44 Risulterebbero, tuttavia, contrarie
alla fede cristiana e cattolica quelle proposte di soluzione, che
prospettassero un agire salvifico di Dio al di fuori dell'unica mediazione di
Cristo. 15. Non rare volte si propone di evitare in
teologia termini come « unicità », « universalità », « assolutezza », il cui uso darebbe l'impressione di enfasi eccessiva circa il
significato e il valore dell'evento salvifico di Gesù
Cristo nei confronti delle altre religioni. In realtà, questo linguaggio
esprime semplicemente la fedeltà al dato rivelato, dal
momento che costituisce uno sviluppo delle fonti stesse della fede.
Fin dall'inizio, infatti, la comunità dei credenti ha riconosciuto a Gesù una valenza salvifica tale, che Lui solo, quale
Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, per
missione ricevuta dal Padre e nella potenza dello Spirito Santo, ha lo scopo
di donare la rivelazione (cf. Mt
11,27) e la vita divina (cf. Gv 1,12; 5,25-26; 17,2)
all'umanità intera e a ciascun uomo. In questo senso si
può e si deve dire che Gesù
Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia,
singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto. Gesù è, infatti, il Verbo di Dio fatto uomo per la
salvezza di tutti. Raccogliendo questa coscienza di fede, il Concilio
Vaticano II insegna: «Infatti il Verbo di Dio, per
mezzo del quale tutto è stato creato, è diventato egli stesso carne, per
operare, lui l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione
universale. Il Signore è il fine della storia umana, “il punto focale dei
desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano, la gioia
d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui
che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua
destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti».45 «È proprio
questa singolarità unica di Cristo che a lui conferisce un significato
assoluto e universale, per cui, mentre è nella
storia, è il centro e il fine della stessa storia: “Io sono l'Alfa e l'Omega,
il primo e l'ultimo, il principio e la fine” (Ap
22,13)».46 IV. UNICITÀ
E UNITÀ DELLA CHIESA 16. Il Signore Gesù, unico Salvatore, non stabilì una semplice comunità
di discepoli, ma costituì Perciò, in connessione con l'unicità e
l'universalità della mediazione salvifica di Gesù
Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica
l'unicità della Chiesa da lui fondata. Così come c'è un
solo Cristo, esiste un solo suo Corpo, una sola sua Sposa: « una sola
Chiesa cattolica e apostolica ».51 Inoltre, le promesse del
Signore di non abbandonare mai la sua Chiesa (cf. Mt 16,18; 28,20) e di guidarla con il suo Spirito (cf. Gv 16,13) comportano che,
secondo la fede cattolica, l'unicità e l'unità, come tutto quanto appartiene
all'integrità della Chiesa, non verranno mai a mancare.52
I fedeli sono tenuti
a professare che esiste una continuità storica — radicata nella successione
apostolica53 — tra 17. Esiste quindi un'unica Chiesa di Cristo,
che sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai
Vescovi in comunione con lui.58 Le
Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con Invece le comunità
ecclesiali che non hanno conservato l'Episcopato valido e la genuina e
integra sostanza del mistero eucaristico,61
non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati in queste comunità
sono dal Battesimo incorporati a Cristo e, perciò, sono in una certa
comunione, sebbene imperfetta, con « Non possono,
quindi, i fedeli immaginarsi La mancanza di unità tra i cristiani è certamente una ferita per V. CHIESA, REGNO
DI DIO E REGNO DI CRISTO 18. La missione della Chiesa è « di annunciare
il regno di Cristo e di Dio e di instaurarlo tra tutte le genti; di questo
Regno essa costituisce sulla terra il germe e l'inizio ».68 Da un
lato, Dai testi biblici e
dalle testimonianze patristiche, così come dai documenti del Magistero della
Chiesa, non si deducono significati univoci per le espressioni Regno dei
Cieli, Regno di Dio e Regno di Cristo né del loro rapporto con 19. Affermare l'inscindibile rapporto tra
Chiesa e Regno non significa però dimenticare che il Regno di Dio, anche se
considerato nella sua fase storica, non si identifica
con Nel considerare i
rapporti tra Regno di Dio, Regno di Cristo e Chiesa è comunque
necessario evitare accentuazioni unilaterali, come è il caso di quelle «
concezioni che di proposito pongono l'accento sul Regno e si qualificano come
“regnocentriche”, le quali danno risalto
all'immagine di una Chiesa che non pensa a se stessa, ma è tutta occupata a
testimoniare e a servire il Regno. È una “Chiesa per gli
altri”, si dice, come Cristo è l'“uomo per gli altri” [...]. Accanto
ad aspetti positivi, queste concezioni ne rivelano
spesso di negativi. Anzitutto, passano sotto silenzio
Cristo: il Regno, di cui parlano, si fonda su un “teocentrismo”,
perché — dicono — Cristo non può essere compreso da chi non ha la fede
cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare
nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso
motivo esse privilegiano il mistero della creazione,
che si riflette nella diversità delle culture e credenze ma tacciono sul
mistero della redenzione. Inoltre, il Regno, quale essi lo intendono, finisce
con l'emarginare o sottovalutare VI. 20. Da quanto è stato sopra ricordato, derivano
anche alcuni punti necessari per il tracciato che la riflessione teologica
deve percorrere per approfondire il rapporto della Chiesa e delle religioni
con la salvezza. Innanzitutto, deve essere fermamente creduto
che la « Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti
solo Cristo è il mediatore e la via della salvezza; ed egli si rende presente
a noi nel suo Corpo che è 21. Circa il modo in cui la grazia salvifica di
Dio, che è sempre donata per mezzo di Cristo nello Spirito ed ha un
misterioso rapporto con Certamente, le varie
tradizioni religiose contengono e offrono elementi di religiosità, che procedono da Dio,85 e che fanno parte di
«quanto opera lo Spirito nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli,
nelle culture e nelle religioni».86 Di fatto alcune preghiere e
alcuni riti delle altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione
evangelica, in quanto sono occasioni o pedagogie in cui i cuori degli uomini
sono stimolati ad aprirsi all'azione di Dio.87
Ad essi tuttavia non può essere attribuita l'origine divina e l'efficacia
salvifica ex opere operato, che è propria dei sacramenti cristiani.88 D'altronde non si può ignorare che altri
riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori (cf. 1 Cor 10,20-21),
costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza.89
22. Con la venuta di Gesù
Cristo salvatore, Dio ha voluto che La missione ad gentes anche nel dialogo
interreligioso « conserva in pieno, oggi come sempre, la sua validità e
necessità ».95 In effetti, « Dio “vuole che tutti gli uomini siano
salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm
2,4): vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La
salvezza si trova nella verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello
Spirito di verità sono già sul cammino della
salvezza; ma CONCLUSIONE 23. La presente Dichiarazione, nel riproporre e
chiarire alcune verità di fede, ha inteso seguire l'esempio dell'Apostolo
Paolo ai fedeli di Corinto: « Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che
anch'io ho ricevuto » (1 Cor 15,3). Di fronte ad
alcune proposte problematiche o anche erronee, la riflessione teologica è
chiamata a riconfermare la fede della Chiesa e a dare ragione della sua
speranza in modo convincente ed efficace. I Padri del Concilio
Vaticano II, trattando il tema della vera religione, affermarono: « Noi
crediamo che questa unica vera religione sussiste
nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato il compito di diffonderla tra tutti gli
uomini, dicendo agli apostoli: “Andate dunque, ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). E tutti quanti gli
uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che riguarda Dio
e la sua Chiesa e, una volta conosciuta, ad abbracciarla e custodirla ».99
La rivelazione di
Cristo continuerà ad essere nella storia « la vera stella di
orientamento » 100 dell'umanità intera: « Il Sommo Pontefice
Giovanni Paolo II, nell'Udienza concessa il giorno 16 giugno 2000 al
sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per Dato a Roma, dalla sede della Congregazione per Joseph Card. Ratzinger
Tarcisio Bertone, S.D.B.
NOTE (1) Conc. di Costantinopoli I, Symbolum Constantinopolitanum:
Denz., n. 150. (2) Cf. Giovanni
Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris missio, n. 1: AAS 83 (1991) 249-340.
(3) Cf. Conc.
Vaticano II, Decr. Ad
gentes e Dich. Nostra aetate; Paolo VI, Es. Apost. Evangelii nuntiandi:
AAS 68 (1976) 5-76; Giovanni Paolo II,
Lett. Enc. Redemptoris missio. (4) Conc. Vaticano II, Dich. Nostra aetate, n. 2. (5) Pont. Cons.
per il Dialogo Interreligioso e Congr.
per l'Evangelizzazione dei Popoli, Istr. Dialogo e annuncio, n. 29: AAS 84 (1992) 414-446; cf. Conc. Vaticano
II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22. (6) Cf. Giovanni
Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris missio, n. 55. (7) Cf. Pont. Cons. per il Dialogo Interreligioso e Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, Istr.
Dialogo e annuncio, n. 9. (8) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 5: AAS 91
(1999) 5-88. (9) Conc. Vaticano II, Cost.
dogm. Dei verbum, n. 2. (10) Conc. Vaticano II, Cost.
dogm. Dei verbum, n. 4. (11) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 5. (12) Eiusdem, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 14. (13) Conc. di Calcedonia, Symbolum Chalcedonense: Denz., n.
301. Cf. S.
Atanasio di Alessandria, De Incarnatione,
54, 3: SC 199, 458. (14) Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Dei verbum, n. 4. (15) Ibid., n.
5. (16) Ibid. (17) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n.
144. (18) Ibid., n.
150. (19) Ibid., n.
153. (20) Ibid., n. 178. (21) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 13. (22) Cf. ibid., nn. 31-32. (23) Conc. Vaticano II, Dich. Nostra aetate, n. 2. Cf. anche Decr. Ad gentes, n. 9, dove si parla
di elementi di bene presenti « negli usi e civiltà particolari di popoli »;
Cost. dogm. Lumen gentium, n. 16, dove si accenna ad elementi di bene e di
vero presenti tra i non cristiani, che possono essere considerati una
preparazione all'accoglienza del Vangelo. (24) Cf. Conc. di Trento, Decr. de libris
sacris et de traditionibus recipiendis: Denz.,
n. 1501; Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius,
cap. 2: Denz.,
n. 3006. (25) Conc. Vaticano II, Cost.
dogm. Dei verbum, n. 11. (26) Ibid. (27) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 55. Cf. anche
n. 56. Paolo VI, Es. Apost. Evangelii
nuntiandi, n. 53. (28) Conc. di Nicea I, Symbolum Nicaenum: Denz., n.
125. (29) Conc. di Calcedonia, Symbolum Chalcedonense: Denz., n.
301. (30) Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22. (31) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 6. (32) Cf. S.
Leone Magno, Tomus ad
Flavianum: Denz.,
n. 294. (33) Cf. Eiusdem,
Lettera « Promisisse me memini
» ad Leonem I imp.: Denz., n.
318: « In tantam unitatem
ab ipso conceptu Virginis deitate et humanitate conserta, ut nec sine homine
divina, nec sine Deo agerentur humana ». Cf. anche ibid.: Denz., n.
317. (34) Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 45. Cf. anche Conc. di Trento, Decr. De peccato originali, n.
3: Denz., n. 1513. (35) Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 3-4. (36) Cf. ibid., n. 7. Cf. S. Ireneo, il quale affermava
che nella Chiesa « è stata deposta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo » (Adversus
Haereses III, 24, 1: SC 211, 472). (37) Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22. (38) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 28. Per i « semi del
Verbo » cf. anche S.
Giustino, 2 Apologia 8, 1-2; 10, 1-3; 13, 3-6: ed. E.J. Goodspeed, p. 84;
85; 88-89. (39) Cf. Giovanni
Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris missio, nn. 28-29. (40) Ibid., n. 29. (41) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio,
n. 5. (42) Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 10. Cf. S. Agostino, il quale afferma che fuori di Cristo, « via universale
di salvezza che non è mai mancata al genere umano, nessuno è mai stato
liberato, nessuno viene liberato, nessuno sarà
liberato »: De Civitate Dei 10, 32, 2: CCL 47, 312.
(43) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium,
n. 62. (44) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio,
n. 5. (45) Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 45. La necessaria e assoluta
singolarità e universalità di Cristo nella storia umana è
bene espressa da S. Ireneo nel contemplare la preminenza di Gesù come Primogenito: « Nei cieli come primogenito del
pensiero del Padre, il Verbo perfetto dirige personalmente ogni cosa e
legifera; sulla terra come primogenito della Vergine, uomo giusto e santo,
servo di Dio, buono accetto a Dio, perfetto in tutto; infine salvando dagli
inferi tutti coloro che lo seguono, come primogenito dei morti è capo e
sorgente della vita di Dio » (Demonstratio, 39: SC
406, 138). (46) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio,
n. 6. (47) Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 14. (48) Cf. ibid., n. 7. (49) Cf. S.
Agostino, Enarrat. in
Psalmos, Ps. 90, Sermo 2,1: CCL 39, 1266; S. Gregorio Magno, Moralia in Iob, Praefatio, 6, 14: PL 75, 525; S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae,
III, q. (50) Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 6. (51) Symbolum
fidei: Denz., n. 48. Cf. Bonifacio VIII, Bolla Unam Sanctam: Denz., nn. 870-872; Conc.
Vaticano II, Cost. dogm.
Lumen gentium, n.
8. (52) Cf. Conc.
Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 4;
Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Ut unum sint, n.
11: AAS 87 (1995) 921-982. (53) Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium,
n. 20; cf. anche S.
Ireneo, Adversus Haereses,
III, 3, 1-3: SC 211, 20-44; S.
Cipriano, Epist. 33, 1: CCL 3B, 164-165; (54) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 8. (55) Ibid.; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 13. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 15 e Decr. Unitatis redintegratio, n. 3.
(56) È perciò contraria al significato autentico del testo conciliare
l'interpretazione di coloro che dalla formula subsistit
in ricavano la tesi secondo la quale l'unica Chiesa di Cristo potrebbe pure
sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche. « Il Concilio
aveva invece scelto la parola “subsistit” proprio
per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre
fuori della sua compagine visibile esistono solo “elementa
Ecclesiae”, che — essendo elementi della stessa
Chiesa — tendono e conducono verso (57) Conc. Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 3. (58) Cf. Congr.
per (59) Cf. Conc.
Vaticano II, Decr. Unitatis
redintegratio, nn. 14 e
15; Congr. per (60) Cf. Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus: Denz., nn. 3053-3064; Conc.
Vaticano II, Cost. dogm.
Lumen gentium, n.
22. (61) Cf. Conc.
Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio,
n. 22. (62) Cf. ibid., n. 3. (63) Cf. ibid., n. 22. (64) Congr. per (65) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 14. (66) Conc. Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 3. (67) Congr. per (68) Conc. Vaticano
II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 5. (69) Ibid., n.
1. (70) Ibid., n. 4.
Cf. S. Cipriano, De Dominica oratione 23: CCL 3A,
105. (71) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium,
n. 3. (72) Cf. ibid., n. 9. Cf. anche la preghiera rivolta a
Dio, che si legge nella Didaché 9, 4: SC 248, 176:
« La tua Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno », e ibid., 10, 5: SC 248, 180: «
Ricordati, Signore, della tua Chiesa... e, santificata, raccoglila insieme
dai quattro venti nel tuo regno che per lei preparasti ». (73) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 18; cf.
Es. Apost. Ecclesia in Asia, n. 17, in: « L'Osservatore Romano », 7-11-1999.
Il Regno è talmente inseparabile da Cristo che, in un certo senso, si identifica con Lui (cf. Origene, In Mt. Hom., 14, 7: PG 13, 1197; Tertulliano,
Adversus Marcionem,
IV, 33, 8: CCL 1, 634). (74) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 18. (75) Ibid., n. 15. (76) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio,
n. 17. (77) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium,
n. 14. Cf. Decr. Ad gentes,
n. 7; Decr. Unitatis redintegratio,
n. 3. (78) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 9. Cf.
Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 846-847. (79) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium,
n. 48. (80) Cf. S. Cipriano, De catholicae
ecclesiae unitate, 6: CCL
3, 253-254; S. Ireneo, Adversus Haereses, III, 24, 1:
SC 211, 472-474. (81) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 10. (82) Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes,
n. 2. Nel senso qui spiegato deve essere interpretata la nota formula extra Ecclesiam nullus omnino salvatur (cf. Conc.
Lateranense IV, Cap. 1. De fide catholica: Denz., n.
802). Cf. anche Lettera del Sant'Offizio
all'Arcivescovo di Boston: Denz., nn. 3866-3872. (83) Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes,
n. 7. (84) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 18. (85) Sono i semi del Verbo divino (semina Verbi), che (86) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 29. (87) Cf. Giovanni
Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris missio, n. 29; Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 843. (88) Cf. Conc.
di Trento, Decr. De sacramentis,
can. 8, de sacramentis in genere: Denz., n.
1608. (89) Cf. Giovanni
Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris missio, n. 55. (90) Cf. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 17; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 11. (91) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 36. (92) Cf. Pio
XII, Lett. Enc. Mystici corporis: Denz., n.
3821. (93) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium,
n. 14. (94) Eiusdem, Dich. Nostra aetate, n. 2. (95) Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes,
n. 7. (96) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 851; cf.
anche nn. 849-856. (97) Cf. Giovanni
Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris missio,
n. 55; Es. Apost. Ecclesia in Asia, n. 31. (98) Cf. Conc.
Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1. (99) Conc. Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1. (100) Cf. Giovanni
Paolo II, Lett. Enc.
Fides et ratio, n.
15. (101) Ibid., n. 92. (102) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et Ratio, n. 70. |
|