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DIO E’ UNO STRUMENTO UTILE

 

 

DIO E’ UNO STRUMENTO UTILE

 

Lettura chiara e distinta del discorso “eroico” di un grande Papa (filosofico)

 

di Lee Harris

 

 

Il 12 settembre 2006 il Papa Benedetto XVI ha pronunciato uno straordinario discorso all’Università di Regensburg. Intitolato “Fede, Ragione e l’Università”, è stato ampiamente discusso, ma ancora più ampiamente frainteso. Il New York Times, per esempio, ha intitolato l’articolo che vi è stato dedicato “Il Papa attacca il laicismo, con una postilla sul jihad”. La parola “laicismo” non compare nemmeno una volta nel discorso del Papa, il quale non attacca neppure la modernità o l’illuminismo. Afferma invece, e molto chiaramente, di voler fare “una critica della ragione moderna partendo dall’interno”, aggiungendo che questo progetto “non ha nulla a che fare con il tentativo di riportare indietro l’orologio ai tempi precedenti l’illuminismo e di rifiutare le conquiste dell’età moderna. Gli aspetti positivi della modernità devono essere riconosciuti senza riserve…”. Benedetto, in breve, non intende proporre un contemporaneo Sillabo degli Errori. Al contrario, chiede a tutti coloro che, in occidente, “condividono la responsabilità per l’uso della ragione” di ritornare al quella forma di esame autocritico delle proprie concezioni che è il segno caratteristico del miglior pensiero filosofico dell’antica Grecia. Lo spirito che anima il discorso di Benedetto non è lo spirito di Pio IX; è lo spirito di Socrate. Come Socrate, anche Benedetto esorta tutti noi a porci questa domanda: “Sappiamo veramente di cosa stiamo parlando quando parliamo di fede, ragione, Dio e comunità?”.

 A molti sembrerà paradossale che il pontefice romano abbia invocato lo spirito critico di Socrate. Il Papa, dopo tutto, è l’incarnazione della tradizionale autorità della Chiesa, e si suppone che la Chiesa abbia tutte le risposte. Tuttavia, Socrate è rimasto famoso come l’uomo che aveva tutte le domande. Ben lungi dal pretendere di essere infallibile, Socrate sosteneva che “una vita non sottoposta a un esame non è degna di essere vissuta”, e fu pronto a morire piuttosto che smettere il suo costante esame critico di se stesso. Socrate si rifiutava persino di definirsi “saggio”, affermando invece che si meritava al massimo il titolo di “amante della saggezza”.

Per spingere la gente a pensare, Socrate usava con grande abilità la tecnica del paradosso; eppure, persino lui stesso avrebbe potuto rimanere perplesso dal paradosso di un Papa cattolico che chiede di ritornare al dubbio e all’autocritica socratica. Benedetto è senza dubbio perfettamente consapevole di questo paradosso, e quindi dobbiamo ritenere che anche lui lo stia usando nello stesso modo in cui lo usava Socrate, e per la stessa ragione: per stupire i suoi ascoltatori e spingerli a riconsiderare ciò che pensavano di sapere già.

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Il Papa pone domande come faceva Socrate: sappiamo di cosa stiamo parlando quando parliamo di fede, ragione, Dio e comunità?

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Ma perché, proprio in questo momento storico, Benedetto XVI dovrebbe sentire il bisogno di sottolineare il ruolo svolto dalla ricerca filosofica greca nella “fondazione di quella che possiamo giustamente definire l’Europa”? L’Europa cristiana, dopo tutto, è nata dalla fusione di molti elementi diversi: la tradizione ebraica, l’esperienza della prima comunità cristiana, il genio romano per la legge, l’ordine e la gerarchia, l’amore dei barbari germanici per la libertà, e molte altre cose ancora. In questo amalgama culturale, la filosofia greca ha avuto certamente ruolo; tuttavia il suo contributo è stato fin dall’inizio oggetto di molte discussioni. Nel secondo secolo dopo Cristo l’autorevole teologo cristiano Tertulliano, che aveva studiato il diritto romano, chiese con tono sprezzante: “Che cosa ha a che fare Atene con Gerusalemme?”. Secondo Tertulliano, Atene era il simbolo di una speculazione filosofica vuota e incontrollata. Nella chiesa dei primi tempi molti altri furono d’accordo con lui, compresi coloro che fecero bruciare gli scritti del più brillante di tutti i teologi greci, Origene. Tuttavia, il discorso di Benedetto può esse-re compreso soltanto se inteso come un ritorno alla posizione dell’uomo che era stato il maestro di Origene, l’eruditissimo san Clemente di Alessandria.

Clemente sosteneva che la filosofia greca era stata data da Dio all’umanità come una seconda fonte delle verità, paragonabile alla rivelazione ebraica. A suo giudizio, Socrate e Platone non era­no dei pensatori pagani, ma preannun­ciavano il cristianesimo. A differenza di quanto credeva Tertulliano, il cristia­nesimo aveva bisogno non soltanto di Gerusalemme ma anche di Atene. Nel suo discorso, Papa Benedetto ha fatto un'affermazione molto simile: "L'incon­tro tra messaggio biblico e pensiero gre­co non è avvenuto per caso". Questo in­contro, secondo Benedetto, è stato un dono della provvidenza, esattamente co­me lo era stato per Clemente. Per di più, Benedetto sostiene che "la riconci­liazione interna fra fede biblica e ricer­ca filosofica greca è stato un evento di fondamentale importanza non soltanto per la storia della religione ma anche per la storia mondiale". Per Benedetto, comunque, questo evento non fa sem­plicemente parte della storia antica. E' un'eredità che tutti noi, in occidente, abbiamo il dovere di mantenere viva; ma è un'eredità che si trova sotto attac­co, sia da parte di chi non la condivide, ossia l'islam, sia da parte di chi ne è tra i principali beneficiari, ossia gli intel­lettuali occidentali.

         Cominciamo prendendo in conside­razione l'idea, espressa da Benedetto nel suo discorso, di voler fare "una cri­tica della ragione moderna partendo dall'interno". Benedetto non si avvale della sua autorità di pontefice per at­taccare la ragione moderna dal punto di vista della chiesa. Il suo approccio non è dogmatico, è puramente dialetti­co. Si presenta davanti al suo colto pub­blico non come il Papa, ma semplice­mente come Joseph Ratzinger, un uomo intelligente e riflessivo, che non pre­tende di avere alcuna autorità privile­giata in fatto di conoscenza. Come So­crate, non vuole predicare o fare ser­moni, ma sfidare i suoi ascoltatori con delle domande.

E proprio come Socrate, Joseph Rat­zinger è preoccupato dal fatto che oggi quasi tutte le persone colte sembrano convinte di conoscere perfettamente ciò di cui parlano, anche quando si tratti di concetti molto complessi, come la ra­gione e la fede. La ragione, sostengono, è la ragione moderna. Ma, come osserva Ratzinger, il concetto moderno di ragío­ne è molto più limitato e ristretto di quello che ne avevano gli antichi greci. Cominciamo prendendo in conside­razione l'idea, espressa da Benedetto nel suo discorso, di voler fare "una cri­tica della ragione moderna partendo dall'interno". Benedetto non si avvale della sua autorità di pontefice per at­taccare la ragione moderna dal punto di vista della chiesa. Il suo approccio non è dogmatico, è puramente dialetti­co. Si presenta davanti al suo colto pub­blico non come il Papa, ma semplice­mente come Joseph Ratzinger, un uomo intelligente e riflessivo, che non pre­tende di avere alcuna autorità privile­giata in fatto di conoscenza. Come So­crate, non vuole predicare o fare ser­moni, ma sfidare i suoi ascoltatori con delle domande. E proprio come Socrate, Joseph Rat­zinger è preoccupato dal fatto che oggi quasi tutte le persone colte sembrano convinte di conoscere perfettamente ciò di cui parlano, anche quando si tratti di concetti molto complessi, come la ra­gione e la fede. La ragione, sostengono, è la ragione moderna. Ma, come osserva Ratzinger, il concetto moderno di ragío­ne è molto più limitato e ristretto di quello che ne avevano gli antichi greci.

I greci sentivano di poter ragionare su ogni cosa: sull'immortalità dell'anima, la metempsicosi, la natura di Dio, il ruo­lo della ragione nell'universo, e così via.

La ragione moderna, a partire da Kant, ha rifiutato questo genere di ragione speculativa senza freni.

Per la ragione moderna, non ha nessun significato por­si domande di quel tipo, perché non è possibile darvi una risposta scientifica.

La ragione moderna, dopo Kant, è stata identificata con ciò che fa la scienza mo­derna.

La quale usa la matematica e il metodo sperimentale per scoprire ve­rità di cui possiamo essere assoluta­mente certi: tali verità sono dette verità scientifiche.

 Il compito della ragione moderna consiste nel limitare scrupo­losamente la propria attività alla sco­perta di tali verità, e di tenersi lontana da una pura attività spe-culativa.

Ratzinger, è importante sottolinearlo, non ha alcun problema con le verità ri­velate dalla scienza moderna. Le accet­ta in pieno. Non ha da intavolare nessu­na polemica con Darwin, Einstein o Heisenberg. Ciò che lo infastidisce è l'dea che la ragione scientifica sia la sola forma di ragione, e che qualsiasi cosa che non sia scientificamente dimostra­bile debba essere esclusa dall'universo della ragione.

Secondo Ratzinger, la conseguenza di questa "moderna auto­limitazione della ragione" è duplice. Primo, "le scienze umane, come la sto­ria, la psicologia, la sociologia e la filo­sofia cercano di conformarsi a questo canone di scientificità". Secondo, "per sua stessa natura, il metodo scientifico esclude la questione di Dio, facendola apparire come una questione non scientifica o pre-scientifica".

Si potrebbe pensare che, facendo quest’affermazione su Dio, Joseph Rat­zinger, il pensatore critico, sia rientra­to nella parte del Papa Benedetto XVI, il difensore dell'ortodossia cristiana. I sostenitori della ragione e della scien­za moderne possono semplicemente in­fischiarsene della sua obiezione sulla loro esclusione di Dio proclamando: "Ovvio, alla questione di Dio la scienza non può dare una risposta. Era proprio questa la tesi portante della `Critica della Ragion Pura' di Kant. La scienza non può né dimostrare l'esistenza di Dio, né tantomeno la sua non esistenza. Per di più, introducendo la questione di Dio, avete violato le vostre stesse regole fondamentali. Avete affermato di voler fare una critica della ragione moderna dall’interno, ma calando Dio nella discussione, state criticando la ragione moderna dal punto di vista di un cristiano osservante. State semplicemente dicendo che la ragione moderna esclude Dio. Noi, i sostenitori della ragione moderna, ne siamo perfettamente consapevoli. Forse questo, come cristiani, vi potrà inquietare; ma per noi non è affatto un problema. Per quanto ci riguarda, non c’è alcuna necessità di parlare della questione di Dio. Quando Napoleone gli domandò come si inserisse Dio nella sua Meccanica Celeste, il fisico francese Laplace gli rispose nello stesso modo in cui noi intendiamo rispondere a voi:Noi non abbiamo bisogno di questa ipotesi’. In poche parole, voi state giocando in modo scorretto. Affermate di fare una critica della ragione moderna partendo dal suo inter-no, e invece la attaccate dall’esterno – anzi da distanze molto remote!”.

Joseph Ratzinger, il pensatore critico, è in grado di replicare a questa obiezione? Sì, e lo ha fatto. La sua risposta è contenuta nella sua discussione del jihad. A differenza di quanto ha riferito il New York Times, Ratzinger non ha offerto una semplice “postilla sul jihad”, priva di qualsiasi legame con il messaggio centrale del suo discorso. Come ha detto lui stesso, il tema del jihad costituisce il “punto di partenza” per la sua riflessione sulla fede e la ragione. In breve, Ratzinger usa il concetto islamico di jihad come strumento della sua critica dall’interno della ragione moderna.

           Secondo i suoi sostenitori, l’etica, la religione e Dio non rientrano nel campo di indagine della ragione moderna. Poiché non esiste un metodo scientifico per mezzo del quale si possa dare una risposta alle domande che pongono, la ragione moderna non può occuparsene, né deve tentare di farlo. Dal punto di vista della ragione moderna, tutte le fedi religiose sono ugualmente irrazionali, tutti i sistemi etici sono ugualmente inverificabili, tutti i concetti di Dio escludono ugualmente ogni possibilità di critica razionale. Ma se le cose stanno così, che cosa può dire la ragione moderna quando si trova di fronte a un Dio che ordina ai suoi fedeli di usare la violenza e perfino la minaccia di morte per convertire gli infedeli, compresi quelli che, come Laplace, non sentivano alcun bisogno dell’ipotesi di Allah?

Se la ragione moderna non può occuparsi della questione di Dio, non può nemmeno sostenere che un Dio il quale ordina il jihad sia migliore o peggiore di un Dio che ci ordina di non ricorrere al-la violenza per imporre ad altri la nostra fede religiosa. Per l’ateo moderno, entrambi gli dèi sono allo stesso  modo  creazioni  dell’immaginazione, e di  conseguenza sarebbe ridicolo mettersi a discutere

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A Benedetto non dà fastidio la scienza, dà fastidio che la ragione, dopo Kant, sia stata identificata con ciò che fa la scienza moderna

 

sui loro meriti rispettivi. I sostenitori della ragione moderna, per-tanto, non possono nemmeno immaginarsi di partecipare a un dibattito per stabilire se il cristianesimo sia la religione più ragionevole oppure se lo sia l’islam, in quanto, a loro giudizio, lo stesso concetto di “religione ragionevole” è una contraddizione in termini.

Ratzinger vuole sfidare questo concetto non dal punto di vista di un cristiano osservante, ma da quello della stessa ragione moderna. A tal fine, ha richiamato l’attenzione del suo colto pubblico su una “conversazione avvenuta – probabilmente nell’inverno del 1391 nelle caserme vicino ad Ankara – tra l’erudito imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un altrettanto erudito persiano sul tema del cristianesimo e dell’islam, e sulla verità di entrambi”. In particolare, Ratzinger si concentra su un passaggio di questa conversazione, in cui l’imperatore “si volta verso il suo interlocutore ponendogli in modo piuttosto brusco la questione centrale del rapporto tra religione e violenza…Mostrami ciò che Maometto ha portato di nuovo, e non vi troverai altro che cose malvage e inumane, come il suo comando di diffondere con la spada la sua fede”.

L’uso, coraggioso da parte di Ratzinger, di questa provocatoria citazione non aveva lo scopo di far infuriare i musulmani.

Intendeva invece usare la questione posta dall’imperatore per lanciare una radicale sfida dall’interno alla ragione moderna. La ragione moderna può davvero tenersi in disparte di fronte allo scontro tra una religione che ordina il jihad e una religione che proibisce la conversione con mezzi violenti? Può un ateo convinto evitare di prendere le parti di Manuele II Paleologo, il quale a un certo pun-to della conversazione dichiara: “A Dio non è gradito il sangue, e agire irrazionalmente è cosa contraria alla natura di Dio… Chiunque voglia convertire una persona alla fede deve sa-per parlare bene e ragionare in modo appropriato, e non deve ricorrere a violenze o minacce. Per convincere un’anima ragionevole, non c’è bisogno di un braccio robusto, di un’arma o di qualsiasi altro mezzo con il quale minacciare di morte una persona…”.

La scienza moderna non può dirci che l’imperatore ha ragione nella sua controversia con il persiano riguardo a ciò che è o non è contrario alla natura di Dio. La ragione moderna proclama, molto giustamente, che a tali questioni la scienza non può dare risposta.

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Alla base della razionalità occidentale c’è una comunità di uomini ragionevoli. Bisogna porsi la domanda: come si è formata?

 

Ma la ragione moderna può sperare di sopravvivere proprio nella sua essenza di ragione se insiste nel voler ridurre il campo dell’indagine razionale alla sola sfera della ricerca scientifica? Se in questo dibattito la ragione moderna non è in grado di schierarsi al fianco dell’imperatore bizantino, non può neppure rendersi conto che la sua religione è più ragionevole della religione di coloro che predicano e praticano il jihad; se non è in grado di condannare come irragionevole una religione che costringe gli atei e gli infedeli a fare una scelta tra la loro integrità intellettuale e la morte, allora la ragione moderna potrà anche essere moderna, ma ha cessato di essere una ragione.

La soluzione classica che offre la ragione moderna per i problemi dell’etica e della religione è piuttosto semplice: lasciare che ogni individuo decida autonomamente su tali questioni, in qualsiasi modo desideri. Se un individuo preferisce l’islam al cristia-nesimo, o il jainismo al metodismo, si tratta di un fatto che riguarda esclusivamente lui. Tutte queste scelte, da punto di vista della ragione moderna, sono allo stesso modo slanci della fede, o semplicemente questioni di gusto: di conseguenza sono tutte ugualmente irrazionali. Ratzinger è consapevole di questa presunta soluzione, ma ne riconosce la fatale debolezza. La ragione moderna afferma che le questioni etiche e religiose “non hanno posto nella sfera della ragione collettiva quale è stata definita dalla ‘scienza’, e devono pertanto essere collocate nella sfera del soggettivo. E’ il soggetto che decide, sulla base delle sue esperienze, ciò che considera plausibile nelle questioni religiose, e la ‘coscienza’ soggettiva diventa la sola arbitra di ciò che è etico. In questo modo, però, l’etica e la religione perdono la propria capacità di legare la comunità e diventano un fatto esclusivamente individuale. Questa è una situazione pericolosa per l’umanità, come dimostrano le inquietanti patologie della religione e della ragione che si diffondono necessariamente quando il campo di indagine della ragione viene talmente ristretto che le questioni etiche e religiose cessano di riguardarla”.

Proviamo a riformulare quest’osservazione nei termini della conversazione svoltasi tra l’imperatore bizantino e l’erudito persiano. Supponiamo che l’imperatore, dopo avere osservato che la violenza e la minaccia della morte non sono dei metodi di persuasione appropriati, avesse aggiunto il seguente commento: “Naturalmente, si tratta soltanto della mia opinione personale. Ad alcuni piacciono le sardine, altri le detestano. Io, come mezzo di persuasione, preferisco semplicemente la ragione alla violenza. Se ad altre persone capita di preferire il contrario, per me va benissimo. Non voglio imporre i miei valori ad altre persone. Se tu trovi giusto il jihad, nessun problema. Dacci pure dentro!”.

Se il problema è posto in questi termini, possiamo riconoscere immediatamente il punto che Ratzinger ha voluto sottolineare. Se l’individuo è libero di scegliere tra la violenza e la ragione, proprio come è libero di scegliere tra le sardine e le acciughe, diventa impossibile creare una comunità nella quale tutti i membri si limitino a usare soltanto la ragione per raggiungere i propri obiettivi. Se l’uso della violenza o della ragione viene lasciato interamente alla scelta soggettiva dell’individuo, allora coloro che scelgono la violenza distruggeranno inevitabilmente la comunità di coloro che hanno scelto la ragione. Peggio ancora: coloro che scelgono la violenza possono esse-re anche una piccola minoranza della comunità e ciononostante riuscire a distruggere la possibilità stessa dell’esistenza di una comunità di uomini ragionevoli: la forza bruta e il terrore fan-no rapidamente scomparire il dialogo e il dibattito razionale.

 La ragione moderna sostiene che tutte le scelte di carattere etico siano soggettive e al di

fuori del campo della ragione.

Ma se le cose stanno così, un uomo che desidera vivere in una comunità formata da uomini ragionevoli sta semplicemente facendo una scelta soggettiva e personale – una scelta che non è in sé stessa più ragionevole di quella di un uomo che desidera vivere in una comunità governata dalla forza bruta. Ma se l’uomo ragionevole è veramente ragionevole, deve riconoscere che la stessa ragione moderna può sopravvivere soltanto in una comunità formata da altri uomini ragionevoli. Poiché essere un uomo ragionevole implica il desiderio di vivere in una comunità formata da altri uomini ragionevoli, ne consegue che un uomo ragionevole non può permettere che la scelta tra ragione e violenza sia lasciata interamente al gusto personale o al capriccio intellettuale di ogni singolo individuo. Lasciare che ciò accada sarebbe un tradimento della ragione.

La ragione moderna, senza dubbio, non può dimostrare scientificamente che una comunità di uomini ragionevoli sia moralmente superiore a una comunità governata da uomini violenti. Ma una critica dall’interno della ragione moderna deve riconoscere il fat-to che una comunità di uomini ragionevoli è il presupposto necessario per la stessa esistenza della ragione moderna. Chi vuole mantenere e preservare i risultati ottenuti dalla ragione moderna deve anche voler vivere in una comunità formata da uomini ragionevoli che non ricorrono alla violenza per imporre i propri valori e le proprie idee. Una comunità di questo tipo è il fondamento etico a priori del-la ragione moderna. Quindi, la ragione moderna, malgrado la sua pretesa di non poter dare risposte scientifiche

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Un uomo ragionevole non può lasciare che la scelta tra ragione e violenza sia demandata al capriccio intellettuale del singolo

 

sull’etica e la religione, deve rendersi conto del fatto che la sua stessa esistenza e la sua sopravvivenza dipendono da un postulato etico e da un postulato religioso. Il primo è questo: fare tutto il possibile per creare una comunità di uomini ragionevoli che si astengono dalla violenza e preferiscano usare la ragione. Ed ecco il secondo: se avete la possibilità di scegliere tra diverse religioni, scegliete sempre quella che contribuisce di più a creare una comunità di uomini ragionevoli, anche se voi stessi non avete fede in essa.

La ragione moderna non può sperare di dimostrare questi postulati come scientificamente veri. Ma deve riconoscere che il rifiuto di adottarli e di agire sulla base di essi è destinato a minacciare la sua stessa sopravvivenza. E’ proprio questo ciò che Ratzinger intendeva sottolineare quando ha detto che “l’occidente è ormai da molto tempo minacciato dalla sua avversione nei confronti delle questioni che stanno alla base della sua razionalità, e questa avversione gli provocherà enormi danni”. Poiché, in ultima analisi, ciò che sta alla base della razionalità occidentale è appunto una comunità di uomini ragionevoli, la ragione moderna rischia di suicidarsi se non affronta con decisione la seguente questione: come si è formata questa comunità di uomini ragionevoli? Per quale miracolo gli uomini hanno rinunciato alla forza bruta e hanno deciso di ragionare insieme?

E’ importante sottolineare che Joseph Ratzinger non rifiuta l’esame critico della ragione avviato da Kant. Tutt’altro: ci esorta a esaminare le condizioni storiche e culturali che hanno reso possibile la nascita della ragione moderna. Prima che potesse emergere in occidente, la ragione moderna ha avuto bisogno di una preesistente comunità di uomini ragionevoli. Di conseguenza, la ragione moderna non ha potuto creare da se stessa le condizioni storiche e culturali che ne hanno re-so possibile l’esistenza. Ma, in questo caso, la ragione moderna deve porsi la seguente domanda: che cosa ha creato quelle comunità di uomini ragionevoli che alla fine hanno reso possibile la nascita della ragione moderna?

 A questa domanda  cercò di rispondere uno dei più illustri e brillanti discepoli di Kant,

Johann Herder. Herder in un primo tempo  accettò Kant e l’illuminismo;

       ma successivamente si pose la fondamentale questione kantiana: quali erano i presupposti necessari dell’illuminismo europeo? Quale tipo di cultura era necessaria per produrre un pensatore critico come lo stesso Immanuel Kant? Quando Kant, nella ‘Critica della Ragion Pura’, ha metodicamente demolito tutte le prove tradizionali dell’esistenza di Dio, perché non è stato fatto a pezzi da indignati fedeli nelle strade di Königsburg, ma invece salutato come uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi?

Ecco la risposta di Herder: in Europa, e soltanto in Europa, gli esseri umani avevano creato ciò che lui stesso definiva una “cultura della ragione”. Nel suo grandioso e pionieristico esame della storia mondiale e delle sue culture, Herder era stato colpito dal fatto che nella stragrande maggioranza delle società umane la ragione aveva poco o nessun posto. Gli uomini erano governati o da una cieca adesione alla tradizione oppure dalla forza bruta. Soltanto tra gli antichi greci si affermò quell’ideale della ragione al quale si richiama l’imperatore bizantino nella sua discussione con l’erudito persiano.

Cultura della ragione è quella cultura in cui l’ideale del dialogo socratico è diventato il fondamento dell’intera comunità. In una cultura della ragione, tutti concordano nel considerare la violenza un metodo illegittimo per far cambiare idea alla gente. Il solo metodo legittimo per farlo è con le parole e il ragionamento. Inoltre, una cultura della

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La ragione moderna deve rendersi conto che la sua esistenza dipende da un postulato etico e da un postulato religioso

 

 ragione promuove lo spirito di ricerca filosofica degli antichi filosofi greci: incoraggia gli uomini a pensare con la propria testa, proprio come fece Socrate. Insomma, la cultura della ragione è quella in cui Socrate è considerato come il modello dell’uomo ragionevole.

Secondo Herder, la moderna ragione scientifica era il frutto delle culture della ragione europee; ma queste seppur rare culture erano a loro volta il frutto di una veramente miracolosa convergenza di tradizioni, sulla quale Ratzinger ha richiamato la nostra attenzione e sottolineando come essa rappresenti il fondamento stesso dell’Europa: l’incontro, di portata storica mondiale, fra la fede biblica e la ricerca filosofica greca, “con la successiva aggiunta dell’eredità romana”. Così, per Herder, la moderna ragione scientifica e critica, se esamina veramente sé stessa in modo scientifico e critico, sarà costretta a riconoscere che non avrebbe mai potuto nascere se non fosse per la “provvidenziale” o magari semplicemente fortuita convergenza di queste tre grandi tradizioni. La ragione moderna è un fenomeno culturale al pari di ogni altro: non è caduta improvvisamente giù dal cielo. Non implica nessuna speciale creazione. Al contrario, si è evoluta esclusivamente da quella fusione di tradizioni culturali al quale diamo il nome di cristianità.

Una critica della ragione moderna fatta dall’interno deve essere consapevole delle radici culturali e storiche che questa ragione ha nell’eredità cristiana. In particolare, deve riconoscere il proprio debito al caratteristico concetto di Dio che si è elaborato attraverso la convergenza delle tradizioni ebraiche, greche e romane. Per riconoscere questo debito, tuttavia, non c’è bisogno di credere che questo Dio esista effettivamente (fatto che non può mai essere ripetuto abbastanza).

 Per esempio, il filosofo tedesco del XIX secolo Arthur Schopenhauer era ateo; ciononostante, nella sua critica della ragione moderna   ha fatto un’osservazione molto sottile, un’osser-vazione che lo stesso Ratzinger avrebbe potuto fare. La moderna ragione scientifica sostiene che l’universo è governato da precise leggi in tutte le sue parti; anzi, lo scopo della ragione moderna è proprio quello di scoprire queste leggi attraverso la ricerca scientifica. Tuttavia, domanda Schopenhauer, da dove nasce questo concetto di un universo governato da leggi? Nessuno scienziato potrebbe sostenere con sicurezza che la scienza ha dimostrato che l’universo è governato da leggi in tutto il suo infinito spazio o che lo sia stato o lo sarà per tutta la durata della sua esistenza. Come ha sottolineato Kant nella sua ‘Critica del Giudizio’, gli scienziati devono partire dal presupposto teorico che la natura sia razionale: è un’ipotesi necessaria per qualsiasi tipo di ricerca scientifica. Ma, ancora una volta, da dove deriva quest’ipotesi, così importante per la scienza?

Essendo uno studioso delle religioni indiane, Schopenhauer sapeva perfettamente che non c’era nulla che potesse far apparire l’ipotesi di un cosmo razionale come particolarmente naturale o ovvia. Nell’induismo il cosmo non è razionale; viene semplicemente all’esistenza. Persino Aristotele non pensò mai, nemmeno per un momento, che l’universo fosse un tutto razionale e intelligibile: le cose accadevano continuamente per nessuna ragione in particolare. Secondo Aristotele, per esempio, si generavano spontaneamente dal nulla. Per lui sarebbe stato assurdo chiedere, a proposito di un qualsiasi evento: “Che cosa lo ha causato?”. Anzi, nessuna delle famose quattro “cause” di Aristotele corrisponde al concetto di causa che sta al-la base della moderna ragione scientifica. Perciò, domanda ancora Schopenhauer, da dove ha tratto la scienza europea questo specifico modello dell’universo, inteso come un tutto governato dalle medesime leggi, fino all’ultimo microbo e alla più piccola parti-cella subatomica?

La risposta, secondo Schopenhauer, era questa: la moderna ragione scientifica derivava il proprio modello dell’universo dal concetto cristiano di Dio, inteso quale creatore razionale che aveva creato l’universo ex nihilo progettandolo in tutti i suoi dettagli. E’ stato questo mito cristiano di Dio a permettere agli europei di credere che l’universo fosse un cosmo razionale. Poiché erano cresciuti immaginandosi l’universo come la creazione di un’intelligenza razionale, gli europei giunsero naturalmente alla conclusione che si sarebbe potuto trovare le prove di questa intelligenza in qualsiasi direzione si cercasse – e, cosa abbastanza sorprendente, queste prove le trovarono.

Nel suo discorso Ratzinger ha richiamato la nostra attenzione anche sui famosi versi iniziali del Vangelo di Giovanni, in cui il Dio biblico, il creatore dell’universo, è identificato con il concetto greco di logos, che significa al-lo stesso tempo “parola, discorso” e “ragione” – “una ragione creativa e capace di comunicare con se stessa, proprio in quanto ragione”. Sebbene Ratzinger non la menzioni espressamente, anche la tradizione romana ha un ruolo importante in questo nuovo e rivoluzionario concetto di Dio: infatti il Dio cristiano, proprio come ogni buon imperatore romano, è un appassionato amante dell’ordine, della legge e della gerarchia. Questo Dio non si limita a creare l’universo per mezzo del-la ragione, ma lo sottopone anche a leggi precise, stabilisce un ordine in ogni sua parte e costituisce delle gerarchie che ci permettono di comprenderlo: il nostro gatto appartiene alla specie dei gatti; la specie dei gatti appartiene all’ordine dei mammiferi; a loro volta, tutti i mammiferi sono animali, e questi sono forme di vita. Qua-le legione romana ha mai avuto un’organizzazione migliore di questa?

Per Schopenhauer, che era ateo, il Creatore intelligente e razionale adorato dai cristiani era una costruzione immaginaria, al pari di tutti gli altri dèi. Per Joseph Ratzinger, in quanto fedele cristiano, questa costruzione immaginaria è invece un’approssimazione alla realtà di Dio; ma per Joseph Ratzinger, il pensatore critico, non c’è alcuna necessità di fare quest’affermazione di fede. Per offrire la sua “critica dall’interno della ragione moderna”, gli è sufficiente sottolineare quanto questa costruzione immaginaria di Dio sia radicalmente diversa non solo dalle costruzioni immaginarie di altre religioni ma anche da quelle che hanno concepito molti pensatori che rientrano a pieno titolo all’interno della tradizione cristiana.

           Per esempio, Ratzinger osserva come all’interno della stessa tradizione scolastica siano emersi pensatori come Duns Scoto, la cui costruzione immaginaria di Dio ha frantumato “la sintesi tra lo spirito greco e quello cristiano”. Per Scoto era del tutto ammissibile che Dio “avrebbe potuto fare esattamente l’opposto di ciò che ha fatto in realtà”. Se Dio avesse voluto creare un universo senza armonia e senza ragione, un universo assolutamente incomprensibile all’intelligenza umana, avrebbe potuto farlo benissimo. Se avesse deciso di emanare comandamenti che imponevano agli uomini di sacrificare i propri figli, uccidere i propri vicini o saccheggiarne le proprietà, l’umanità sarebbe stata obbligata a ubbidire a questi comandamenti e gli esseri umani non avrebbero posseduto alcuna

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La moderna ragione scientifica derivava il proprio modello dell’universo dal concetto cristiano di Dio quale creatore razionale

 

“ragione” per mezzo della quale metterli in dubbio o addirittura rifiutarli. Per Scoto e per tutti i suoi sostenitori, la sola e definitiva ragione che sta dietro l’universo è il libero e illimitabile arbitrio di Dio. Ma, domanda Ratzinger, una simile concezione di Dio non conduce inevitabilmente alla “immagine di un Dio capriccioso, in alcun modo vincolato alla verità e alla bontà?”. La risposta è: sì.

Cartesio, nel “Discorso sul metodo”, affronta proprio questo problema quando prende in considerazione l’inquietante possibilità che l’universo possa essere stato effettivamente creato da un Dio capriccioso di questo genere, da un demone malvagio, che si compiace di ingannarci maliziosamente sulla natura della realtà. Anzi, Cartesio, per molti versi il padre della ragione moderna, riconobbe che prima di poter dirsi certa di qualsiasi cosa, la ragione moderna doveva convincersi che il Dio creatore dell’universo non era il Dio capriccioso di Scoto, ma un Dio il quale voleva che l’uomo fosse in grado di raggiungere una vera conoscenza dell’universo per mezzo della ragione e dei sensi che gli aveva dona-to. Questo concetto di Dio fu condiviso da tutti i più grandi pensatori che contribuirono in modo decisivo allo sviluppo della ragione moderna, Newton e Leibniz compresi. Tutti hanno creduto che l’universo fosse stato organizzato in modo da avere senso per noi: per trovare la verità, bisognava soltanto cercarla con impegno e diligenza.

Strettamente connesso al concetto di Dio come Creatore razionale che ha inteso darci i mezzi per comprendere la ragione che sta a fondamento dell’universo è il concetto di un Dio che si comporta in modo ragionevole nei nostri confronti. Questo Dio non si compiace nel vederci prostrati davanti a Lui, né ci richiede di adorarlo “tremando pieni di paura”. Al contrario, è un Dio che da noi preferisce la reverenza e la gratitudine. E’ un mentore, proprio come Socrate.

Ratzinger sottolinea che la missione di Socrate fu quella di sfidare e criticare i miti sugli dèi greci dominanti a

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La modernità ha prodotto il proprio universo cieco in cui non esiste alcuna mente. Ma senza mente può esserci ragione?

 

 quel tempo. Questi dèi si comportavano non soltanto in modo capriccioso, ma spesso anche malvagio e crudele. I famosi versi del Re Lear riassumono perfettamente questa concezione degli dèi: “Per gli dèi noi siamo quello che sono le mosche per i monelli: ci uccidono per passatempo”. Ma, domanda Socrate, dèi di questo genere si meritano di essere adorati da uomini ragionevoli, da uomini liberi? Certo, possiamo provare un assoluto terrore di fronte a loro; ma dovremmo mostrare venerazione nei loro confronti per il semplice fatto che hanno il potere di danneggiarci? Nell’Eutifrone, Socrate cita un poeta greco, Stasino, il quale, parlando di Zeus, diceva: “Dove sta la paura, là si trova anche la venerazione”, ma al solo scopo di dissentire con la sua concezione di Dio. “Non credo che laddove sta la paura stia anche la venerazione; infatti, molti di coloro che temono le malattie e la povertà e altre cose di questo genere mi sembra che abbiano effettivamente paura di queste cose ma non certo che le venerino”. Per Socrate era ovvio che il bene non equivaleva a tutto ciò che Dio scegliesse capricciosamente di fare; il bene era ciò che Dio era obbligato a fare dalla sua stessa natura. Socrate sarebbe stato d’accordo con le già citate parole dell’imperatore bizantino: “A Dio non è gradito il sangue, e agire irrazionalmente è cosa contraria alla natura di Dio”.

Supponiamo che qualcuno avesse fatto a Socrate la seguente domanda: “Adoriamo tutti lo stesso Dio? Prendiamo ad esempio te, Socrate: adori lo stesso Zeus che adora Stasino? Oppure adorate due dèi diversi? Certo, potete usare lo stesso nome, Zeus. Ma Stasino ha paura di Zeus, mentre tu continui a ripetere, a chi ha la pazienza di ascoltarti,Cosa posso dire per convincerti che gli dèi ci amano e si preoccupano di noi?’. Nel qual caso, com’è possibile che tu e Stasino adoriate lo stesso Dio?”.

Si può perdonare l’imperatore Manuele II Paleologo per avere riflettuto sulle medesime questioni nella sua conversazione con l’erudito persiano. Come può un Dio che comanda la conversione con la spada essere lo stesso Dio dell’imperatore – un Dio che vuole convertire gli uomini soltanto con la parola e la ragione? Se Allah si compiace ad accogliere convertiti che temono per la loro vita, con una spada che gli incombe sopra il collo, sarà certamente un Dio di cui avere paura ma non un Dio che si meriti la venerazione. Può rappresentare una costruzione immaginaria di Dio adatta a degli schiavi, ma non sarà mai un’immagine di Dio degna di essere adorata da un Socrate o da qualsiasi uomo dotato di ragione.

Il New York Times ha espresso la propria costernazione per il fatto che il Papa Benedetto XVI, con la semplice citazione delle parole dell’imperatore bizantino, ha in questo modo tradito la tradizione ecumenica di Giovanni Paolo II, il quale aveva ribadito con decisione che tutti noi, cristiani e musulmani compresi, adoriamo lo stesso Dio. In molti si sono uniti alle critiche del Times sul discorso di Regensburg. Joseph Ratzinger, nella sua qualità di pontefice, si è scusato del fatto di poter avere offeso i musulmani. Probabilmente, essendo il Papa, ha fatto bene a scusarsi. Ma Joseph Ratzinger, l’uomo di ragione, il pensatore critico, non deve fornire nessuna scusa. Ha espresso il suo pensiero e ha sfidato i suoi ascoltatori e il mondo intero a riflettere su questioni che hanno profondamente interessato gli uomini fin dal tempo della filosofia greca. Ha lanciato un’enorme sfida alla ragione moderna e al mondo moderno. E’ davvero una questione di scelta soggettiva se gli uomini seguono una religione che rispetta la ragione umana e si rifiuta di ricorrere alla violenza per fare nuovi convertiti? Persino l’ateo più convinto può davvero rimanere indifferente di fronte agli dèi immaginari che gli altri membri della sua comunità continuano ad adorare? Se la ragione moderna non è in grado di persuadere gli uomini a difendere la propria comunità di ragione contro l’esplosione di “inquietanti patologie della religione e della ragione”, che cosa allora può essere in grado di convincerli?

Gli esseri umani continueranno ad avere i propri dèi – e la ragione moderna non può fare nulla per impedirlo. Anzi, la ragione moderna ha prodotto il proprio ersatz Gott – un universo cieco e capriccioso dentro il quale l’uomo si è ritrovato inspiegabilmente inserito. E’ un universo in cui tutta la libertà umana è un’illusione, perché tutto ciò che facciamo o pensiamo è stato determinato nel momento del Big Bang. E’ un universo nel quale non esiste alcuna mente, ma soltanto materia. Ma senza una mente, come può esserci la ragione? Senza il libero arbitrio, come può darsi la possibilità di fare scelte razionali? Senza la possibilità di scelte razionali, come potrebbero esistere uomini ragionevoli? E senza questi ultimi, come potrebbero esistere comunità nelle quali la dignità umana viene difesa dall’umiliazione della violenza e della forza bruta?

            Socrate ha sacrificato la sua vita per convincere gli uomini che non era la forza bruta ad avere l’ultima parola nell’esistenza umana. C’era un giudice più alto: la ragione. Prima di abbandonare definitivamente la terra, Socrate passò le sue ultime ore di vita discutendo con i suoi amici sulla immortalità dell’anima umana. Vicino a Socrate c’era un giovane ragazzo di nome Fedone – menzionato anche da Ratzinger nel suo discorso. Socrate aveva incontrato Fedone nella piazza del mercato di Atene, dove stava per esse-re venduto come schiavo. Angosciato per il destino che avrebbe dovuto subire questo affascinante e intelligente ragazzo, Socrate chiese aiuto ai suoi amici ricchi e raccolse abbastanza denaro per comprare il ragazzo, al quale diede immediatamente la libertà. La liberazione di Fedone fu il simbolo della missione terrena di Socrate.

Socrate odiava anche solo l’idea del-la schiavitù – della schiavitù di altri uomini, ma anche della schiavitù di semplici opinioni, la schiavitù della paura,

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Il destino della ragione sarà determinato dal modo in cui oggi l’occidente risponderà alle domande poste da Ratzinger

 

la schiavitù dei desideri più bassi, e la schiavitù delle nostre più sfrenate ambizioni. Credeva che la ragione potesse liberare l’uomo da tutte le forme di schiavitù che caratterizzavano la condizione umana. Socrate avrebbe protestato appassionatamente contro l’idea di un Dio che si compiace di conversioni fatte con la violenza, o di sentire i suoi adoratori definirsi orgogliosamente suoi schiavi. Avrebbe combattuto con tutte le sue forze contro chi insegnasse che l’universo è indifferente, che la libertà è un’illusione e che la nostra mente è un fantasma. Alla fine, probabilmente, Socrate non avrebbe visto nessuna differenza tra chi si china tremante davanti a un Dio irrazionale e chi si sottomette a un universo completamente indifferente.

Nel suo commovente ed eroico discorso, Joseph Ratzinger ha scelto di recitare la parte di Socrate: non ha voluto darci risposte dogmatiche ma stuzzicarci con domande stimolanti. Dobbiamo abbandonare l’alta e nobile concezione della ragione in nome della quale Socrate ha sacrificato la propria vita? Dobbiamo illuderci che la ragione possa sopravvivere senza l’aiuto del coraggio e del carattere? Dobbiamo accontentarci di una vita che rifiutiamo di indagare a fondo, perché una tale indagine ci impone di porre questioni alle quali la scienza non è in grado di dare una risposta definitiva?

Il destino della ragione sarà determinato dal modo in cui l’occidente moderno risponderà a queste domande. L’umanità esisteva ormai da milioni e milioni di anni quando i greci hanno scoperto la ragione; potrebbe benissimo viverne altri milioni e milioni dopo che ogni ricordo di questa scoperta sarà sparito. Gli uomini continueranno a vivere e morire, i figli continueranno a nascere e il ciclo del-la vita proseguirà. Ma chi mai, in un mondo derubato della ragione, potrebbe sperare di vivere una vita degna di essere vissuta?

 

 

DA IL FOGLIO QUOTIDIANO

GIOVEDÌ 21 SETTEMBRE 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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