Dottrina e vita, fede e ragione,
per promuovere un cristianesimo autentico.
Il rischio del fideismo.
La “nuova evangelizzazione”
pretende cristiani liberi dallo “spirito del mondo”.
L’essenza del cristianesimo: un tema
ricorrente anche nei titoli di alcune opere di pensiero famose, da quella
dell'ateo Ludwig Feuerbach (Das Wesen des Christentum) a quella del cattolico
Romano Guardini (Das Wesen des Christentum), per finire con quella ultimamente
pubblicata in Italia da un noto teologo (Bruno Forte, L'essenza del
cristianesimo). Questi autori hanno affrontato il tema dal punto di vista
dottrinale, cercando cioè di dire qual è l'essenza della dottrina cristiana; ma il
tema deve essere affrontato
anche dal punto di vista esistenziale, cercando cioè di dire qual è l'essenza
della vita cristiana, tanto nella dimensione individuale quanto in quella
sociale. Questi punti di vista ‑ quello dottrinale e quello esistenziale
‑ sono ambedue "essenziali", ossia costituiscono l'essenza del
cristianesimo, giacché il senso profondo e determinante della dottrina cristiana
é appunto di promuovere la vita in Cristo in ogni singolo credente, di modo
che la grazia di Cristo operi nella coscienza individuale e nella società
umana, lì dove si realizza giorno per giorno la "storia della
salvezza".
Se qualcuno si domanda se la situazione attuale
faccia ben sperare per il futuro della cristianità, l'unica risposta saggia è
questa: prima bisogna fissare un criterio teologico preciso su che cosa sia
la vita cristiana, per poi tentare una valutazione sociologica sullo stato di
salute della comunità dei credenti.
Da un punto di vista logico (naturalmente,
all'interno di un discorso di fede, cioè all'interno della teologia, la vita
cristiana non è altro che la proiezione esistenziale della fede teologale: la
vita cristiana è fondamentalmente la vita di un credente, voglio dire un
credente sincero e coerente. Se una persona è davvero certa che Dio è la
Trinità e che la contemplazione amorosa della Trinità è il suo ultimo fine; se poi questa persona è certa che il
Verbo eterno di Dio si è fatto Uomo e ci ha redenti con la sua Passione e la
sua Resurrezione, e che la Redenzione operata da Cristo ci viene applicata nei
sacramenti della Chiesa; se infine questa persona ha anche la certezza che
nella Chiesa ogni battezzato è chiamato alla santità e all'apostolato, secondo
la sua specifica vocazione e i suoi carismi; se tutto questo, con la grazia di
Dio, è davvero una certezza solida e sempre rinnovata nell'intimo della
coscienza, allora ogni aspetto della vita di questa persona verrà informato da
questa fede autentica e forte: e si potrà parlare di "vita
cristiana" come vita di preghiera, come vita ascetica, come vita mistica,
come vita apostolica, come vita comunitaria, come vita consacrata, e così via.
Se invece la fede autentica in quella persona non c'è mai stata, oppure c'è
stata all'inizio e poi si è attenuata fino a dissolversi nel dubbio o a
capovolgersi nell'apostasia, allora queste manifestazioni della vita cristiana
non ci saranno più o saranno soltanto false apparenze.
In questo quadro, una forma non secondaria
di vita cristiana è la "vita della mente", come diceva Hannah Arendt.
ossia la cultura. La cultura cristiana è parte essenziale della vita cristiana,
perché un credente deve vivere come un uomo che crede, e un uomo è tale solo se
è guidato dalla ragione. La grazia divina fa sì che il credente abbia il dono
della fede, che illumina la ragione e la porta ad accettare anche l'oscurità
luminosa dei misteri soprannaturali rivelati da Dio in Cristo; ma la fede non è tale se non è accolta dalla
ragione, e sulla base di precise ragioni. La fede cristiana inizia e permane
solo se esistono e permangono, nella coscienza del credente, le "premesse
razionali' che rendono razionale la fede stessa. Il magistero della Chiesa lo
ha sempre ricordato ai fedeli, siano essi teologi o persone prive di istruzione
religiosa superiore; ai nostri giorni,
Papa Giovanni Paolo II lo ha vigorosamente ribadito dedicando all'argomento
tutta un'enciclica, la Fides et ratio,
dove tra l'altro riporta la celebre frase di sant'Agostino: “La fede se non è
pensata è nulla”. (n. 79). Purtroppo, però, l'insegnamento della Chiesa su
questa punto è stato gravemente disatteso da molti cristiani delle ultime
generazioni, e la situazione attuale è che la vita cristiana è molto carente
dal punto di vista dottrinale.
Mi si dirà che la cosa è risaputa, ed è
anche detta e ridetta. Può darsi (ma non mi pare che ci si dedichi molta
attenzione), ma ciò che intendo dire non è che manchi la cultura cosiddetta
“teologica”, che materialmente è oggi più diffusa di quanto non sia stata in
passato. Ma formalmente questa sovrabbondanza di temi e problemi proposti dalla
saggistica teologica non è stata capace di formare una cultura cattolica con
spessore teologico, perché questa scorpacciata di letture occasionali ed
eterogenee su argomenti di teologia dogmatica e morale e su questioni bibliche
e liturgiche, invece di alimentare la fede con la dottrina ha prodotto una vera
e propria indigestione intellettuale. E il motivo è che la cultura cristiana ha
bisogno sempre innanzitutto di una solida base "naturale", ossia di
una cultura che sia autentica sapienza, indipendentemente dalla possibilità di
esprimersi anche come filosofia. La cosiddetta “teologia” veicolata e diffusa
dalla pubblicistica corrente non è che cattiva filosofia, e la cattiva
filosofia produce nella cultura cristiana delle carenze assai dannose alla
fede, in quanto va a colpire, a minare e alla fine a distruggere quelle che prima denominavo
"premesse razionali della fede".
Il risultato è che la maggioranza dei
cristiani è, con categorie filosofiche (metafisiche, morali e religiose)
incompatibili con la fede cattolica. Anche se professata con la bocca, la fede
nella rivelazione divina non può essere vissuta
davvero nella coscienza e con il cuore quando l'intelletto non riesce a
comprendere e pertanto ad accettare le verità rivelate per via delle categorie
filosofiche imposte dalla cultura dominante, di stampo pragmatistico e
relativistico, basata sui presupposti dello scetticismo. E chi non vive la fede
con quella fermezza intellettuale che deriva dalla coscienza delle premesse
razionali della fede stessa, poi non è capace nemmeno di dialogo apostolico con
gli uomini del proprio tempo, non è in grado di evangelizzare il proprio
ambiente.
L'essenza del cristianesimo e la fede, che
è anzitutto certezza che la Parola di Dio è la verità, la verità definitiva e
assoluta, l'unica verità che salva. Non è veramente cristiano se non chi ha
saputo e ha creduto che Gesù è davvero “la Via, la Verità, la Vita”. Se uno è
davvero cristiano, a ogni svolta della sua vita, rivolgendosi a Gesù nella
preghiera del cuore, ripeterà con assoluta convinzione le parole di Pietro:
“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”(Gv 6,88). Poi, nel
rivolgersi agli altri (catechesi, evangelizzazione) ripeterà quelle altre parole di Pietro dopo la
Pentecoste: “Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel
quale sia stabilito che possiamo essere salvativi” (Atti 4,12).
Se invece il comportamento dei presunti
cristiani risponde a ben altre logiche, si ha il diritto di pensare (senza
giudicare mai le intenzioni, che solo Dio conosce) che non si tratti di
cristiani che vivono di fede e che possano propagare il Vangelo.
I rilevamenti sociologici fanno pensare che la tendenza
dei cristiani sia di mettere sempre più in dubbio le ragioni della fede per
accettare in modo sempre più acritico l'irrazionalismo insito nella teologia di
stampo fideistico. Ritengo che il fideismo sia l'eresia cattolica più
insidiosa, perché usa il linguaggio ingannevole della pseudomistica. Il suo
messaggio, almeno implicito, è che la fede non ha bisogno di un retroterra di
cultura metafisica, ossia di certezze naturali sul mondo, sull'uomo e su Dio (i
“preambula fidei”, secondo la dottrina di Tommaso d'Aquino). Il risultato è che
così si pretende che la nostra società secolarizzata ‑ la società dei
consumi e dello spettacolo, della ubriacatura tecnologica e del fanatismo
politico ‑ passi senza alcuna ragione dall'ateismo e dal materialismo
alla fede in Cristo salvatore e alla speranza della vita eterna. Invece di
aiutare gli uomini del nostro tempo a considerare quello che il cardinal Carlo
Maria Martini chiama “d caso seno della fede”, molti intellettuali cattolici
aiutano gli uomini a ritenere che il loro indifferentismo sia “vero” perché condiviso dalla maggioranza (almeno
quella visibile); e non si pensa che una voce di dissenso che venisse da parte
dei credenti, una denuncia delle contraddizioni della civiltà materialistica
che venisse da parte degli intellettuali cattolici sarebbero l'unico modo per
mettere in crisi l’indifferentismo, per avviare un salutare processo di
riflessione e di autocritica.
Non ritengo pertanto che sia un'azione
pastorale illuminata ‑ tantomeno un'azione divinamente ispirata ‑
quella di molti pastori e di molti teologi che, invece di curare la formazione
culturale dei cristiani sulla base della retta ragione e di una fede
consapevole delle proprie ragioni, appaltano l'educazione delle intelligenze e
delle coscienze alle agenzie ideologiche più alla moda, che poi sono quelle più
nocive alla fede. Il Papa ha dato delle direttive pastorali ben chiare nella
Fides et ratio, ma non si vedono segni di una ricezione docile e convinta agli
appelli dell'enciclica a favore di una rifondazione metafisica
della dottrina cristiana.
Il problema non sta solo nelle ideologie
mondane, ossia nello "spirito del mondo", oggi (come ieri e come
sempre) refrattario alla verità del Vangelo per opera del "principe di
questo mondo": il problema sta anche e soprattutto nella vita di fede dei
cristiani che si sono mondanizzati e si vanno convertendo al secolarismo ateo e
materialistico. Non è certamente da questi cristiani che ci si potrà aspettare
la “nuova evangelizzazione” chiesta da Giovanni Paolo II per il terzo millennio
dell'era cristiana. È vero che la Chiesa e indefettibile, che la Parola di Dio è
invincibile; è vero che il seme (la Parola di Dio) viene seminato generosamente
dal Seminatore divino: ma lì dove il terreno è arido e sassoso, lì dove per
l'incuria degli uomini crescono solo i rovi, sappiamo che non potrà attecchire
il seme della Parola di Dio.
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“La "coscienza di verità", la
consapevolezza cioè di essere portatori della verità che salva, è fattore essenziale del dinamismo missionario dell'intera comunità ecclesiale, come testimonia l'esperienza fatta dalla
Chiesa fin dallesue origini. Oggi, in una situazione nella quale è urgente por mano quasi ad una
nuova implantatio evangelica
anche in un Paese come l'Italia, una
forte e diffusa coscienza di verità appare particolarmente necessaria,
(Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti
al convegno ecclesiale a Loreto, n. 4)
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