CONCILIO VATICANO II
COSTITUZIONE DOGMATICA SU LA CHIESA
(LUMEN GENTIUM)
CAPITOLO I
IL MISTERO
DELLA CHIESA
1 - La Chiesa sacramento di Cristo
1. Cristo è la luce delle genti, e questo sacro concilio,
adunato nello Spirito santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo,
riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini annunziando il
vangelo a ogni creatura (cf. Mc. 16, 15). E siccome la Chiesa è in Cristo come
sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano, continuando l'insegnamento dei precedenti concili,
intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la
sua natura e la sua missione universale. Le condizioni del nostro tempo rendono
più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più
strettamente uniti da vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche
conseguire una piena unità in Cristo.
Il disegno salvifico universale del Padre
2. L'eterno Padre, con liberissimo e arcano disegno di
sapienza e di bontà, ha creato l'universo, ha decretato di elevare gli uomini
alla partecipazione della sua vita divina e, quando essi caddero in Adamo, non
li ha abbandonati, ma sempre ha prestato loro gli aiuti per salvarsi, in
considerazione di Cristo redentore, "il quale è l'immagine dell'invisibile
Dio, generato prima di ogni creatura" (Col. 1, 15). Tutti gli eletti il
Padre fino dall'eternità "li ha conosciuti nella sua prescienza e li ha
predestinati a essere conformi alla immagine del Figlio suo, affinché egli sia
il primogenito di una moltitudine di fratelli" (Rom. 8, 29). I credenti in
Cristo li ha voluti convocare nella santa Chiesa, la quale, già prefigurata
sino dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo
d'Israele e nell'antica alleanza e istituita " negli ultimi tempi", è
stata manifestata dall'effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla
fine dei secoli. Allora, come si legge nei santi padri, tutti i giusti, a
partire da Adamo, "dal giusto Abele fino all'ultimo eletto", saranno
riuniti presso il Padre nella Chiesa universale.
Missione e opera del Figlio
3. E' venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale
in lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci ha predestinati a
essere adottati in figli, perché in lui si compiacque di ricapitolare tutte le
cose (cf. Ef. 1, 4-5 e 10). Perciò Cristo, per adempiere la volontà del Padre,
ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ce ne ha rivelato il mistero, e con
la sua obbedienza ha operato la redenzione. La Chiesa, ossia il regno di Cristo
già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo.
Questo inizio e questa crescita sono simboleggiati dal sangue e dall'acqua che
uscirono dal costato aperto di Gesù crocifisso (cf. Gv. 19, 34), e sono
preannunziati dalle parole del Signore circa la sua morte in croce: "E io,
quando sarò levato in alto da terra, tutti attirerò a me" (Gv. 12, 32
gr.). Ogni volta che il sacrificio della croce, "col quale Cristo, nostro
agnello pasquale, è stato immo1ato" (1 Cor. 5, 7), viene celebrato
sull'altare, si effettua l'opera della nostra redenzione. E insieme, col
sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata e prodotta l'unità dei
fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cf. 1 Cor. 10, 17). Tutti
gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo;
da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti.
Lo Spirito santificatore della Chiesa
4. Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio
sulla terra (cf. Gv. 17, 4), il giorno di pentecoste fu inviato lo Spirito
santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così per
Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cf. Ef. 2, 18). Questi è lo spirito
che dà la vita, o la sorgente di acqua zampillante per la vita eterna (cf. Gv.
4, 14; 7, 38-39); per lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il
peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cf. Rom.
8, 10-11). Lo spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un
tempio (cf. 1 Cor. 3, 16; 6, 19) e in essi prega e rende testimonianza della
adozione filiale (cf. Gal. 4, 6; Rom. 8, 15-16 e 26). Egli guida la Chiesa
verso tutta intera la verità (cf. Gv. 16, 13), la unifica nella comunione e nel
servizio, la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, coi quali la
dirige, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef. 4, 11-12; 1 Cor. 12, 4; Ga1. 5,
22). Con la forza del vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la
rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo sposo. Poiché la Spirito e la
sposa dicono al Signore Gesù: Vieni: (cf. Ap. 22, 17).
Così la Chiesa universale si presenta come "un popolo
adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo".
Il regno di Dio
5. Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua
fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio alla sua Chiesa predicando
la buona novella,cioè la venuta del regno di Dio da secoli promesso nelle
scritture: "Il tempo è compiuto, e vicino è il regno di Dio" (Mc. 1,
15; cf. Mt. 4, 17). Questo regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle
parole, nelle opere e nella presenza di Cristo. La parola del Signore è
paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo (cf. Mc. 4, 14):
quelli che la ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo
(cf. Lc. 12, 32) hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù
propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto (cf. Mc. 4, 26-29). Anche
i miracoli di Gesù sono la prova che il regno è arrivato sulla terra: "se
è per il dito di Dio che io scaccio i demoni, allora certamente è già arrivato
tra voi il regno di Dio" (Lc. 11, 20; cf. Mt. 12, 28). Ma innanzi tutto il
regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, figlio di Dio e figlio
dell'uomo, il quale è venuto "a servire e a dare la sua vita in riscatto
per molti" (Mc. 10, 45).
Quando poi Gesù, dopo aver sofferto la morte in croce per
gli uomini, risorse, apparve quale Signore e messia e sacerdote in eterno (cf.
Atti 2, 36; Ebr. 5, 6; 7, 17-21) ed effuse sui suoi discepoli lo spirito
promesso dal Padre (cf. Atti 2, 33). La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo
fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, di umiltà e di
abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il
regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio.
Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le
sue forze spera e brama di unirsi col suo re nella gloria.
Le immagini della Chiesa
6. Come già nell'antico testamento la rivelazione del
regno viene spesso proposta con figure, così anche ora l'intima natura della
Chiesa ci si fa conoscere attraverso immagini varie, desunte sia dalla vita
pastorale o agricola, sia dalla costruzione di edifici o anche dalla famiglia e
dagli sponsali, e già preparate nei libri dei profeti.
Così la Chiesa è l'ovile, la cui porta unica e necessaria
è Cristo (cf. Gv. 10, 1-10). E' pure il gregge, di cui Dio stesso ha
preannunziato che sarebbe il pastore (cf. Iso 40, 11; Ez. 34, 11 ss.), e le cui
pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte
al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il pastore buono e il principe dei
pastori (cf. Gv. 10, 11; 1 Pt. 5, 4), il quale ha dato la sua vita per le
pecore (cf. Gv. 10, 11-15).
La Chiesa è il podere o campo di Dio (cf. 1 Cor. 3, 9). In
quel campo cresce l'antico olivo, la cui santa radice sono stati i patriarchi e
nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei giudei e delle genti (cf.
Rom. 11, 13-26). Essa è stata piantata dal celeste agricoltore come vigna scelta
(cf. Mt. 21, 33-43 par.; Is. 5, 1 ss.). Cristo è la vera vite, che dà vita e
fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui e
senza di lui nulla possiamo fare (cf. Gv. 15, 1-5).
Più spesso ancora la Chiesa è detta l'edificio di Dio (1
Cor. 3, 9). Il Signore stesso si è paragonato alla pietra che i costruttori
hanno rigettata, ma che è divenuta la pietra angolare (cf. Mt. 21, 42 par.; cf.
Atti 4, 11; 1 Pt. 2, 7; Sal. 117, 22). Sopra quel fondamento la Chiesa è stata
costruita dagli Apostoli (cf. 1 Cor. 3, 11) e da esso riceve stabilità e
coesione. Questa costruzione viene chiamata in varie maniere: casa di Dio (cfo
Tim. 3, 13), nella quale abita la sua famiglia, la dimora di Dio nello spirito
(cf. Ef. 2, 19-22), "la dimora di Dio con gli uomini" (Ap. 21, 3), e
soprattutto tempio santo, rappresentato da santuari di pietra, che è lodato dai
santi padri e che la liturgia giustamente paragona alla città santa, la nuova
Gerusalemme. In essa, infatti, quali pietre viventi, veniamo a formare su
questa terra, un tempio spirituale (cf. 1 Pt. 2, 5). E questa città santa
Giovanni la contempla mentre nel finale rinnovamento del mondo essa scende dal
cielo da presso Dio, "preparata come una sposa che si è ornata per il suo
sposo" (Ap. 21, 1 s.).
La Chiesa che è chiamata "Gerusalemme che è in
alto" e "madre nostra" (Gal. 4, 26; cf. Ap. 12, 17), viene pure
descritta come l'immacolata sposa dell'agnello immacolato (cf. Ap. 19, 7; 21, 2
e 9; 22, 17), sposa che Cristo "ha amato e per la quale ha dato se stesso,
al fine di renderla santa" (Ef. 5, 25-26), che si è associata con patto
indissolubile e che incessantemente "nutre e se ne prende cura" (Ef.
5, 29); che, dopo averla purificata, volle a sé congiunta e soggetta nell'amore
e nella fedeltà (cf. Ef. 5, 24) e che, infine, ha riempito per sempre di beni
celesti, per poter noi capire la carità di Dio e di Cristo verso di noi, carità
che sorpassa ogni conoscenza (cf. Ef. 3, 19). E mentre la Chiesa compie su
questa terra il suo pellegrinaggio lontana dal Signore (cf. 2 Cor. 5, 6), è
come una esule, che cerca e desidera le cose di lassù, dove Cristo siede alla
destra di Dio, dove la vita della Chiesa è nascosta con Cristo in Dio, fino a
che col suo sposo comparirà rivestita di gloria (cf. Col. 3, 14).
La Chiesa, corpo di Cristo
7. Il Figlio di Dio, nella natura umana che si era unita,
vincendo la morte con la sua morte e risurrezione, ha redento l'uomo e l' ha
trasformato in una nuova creatura (cf. Gal. 6, 15; Rom. 13; 2 Cor. 5, 17).
Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i
suoi fratelli, chiamati da tutte le genti.
In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti,
che attraverso i Sacramenti vengono uniti in modo arcano ma reale a Cristo che
ha sofferto ed è stato glorificato. Per mezzo del battesimo infatti siamo resi
conformi a Cristo: "Infatti noi tutti fummo battezzati in un solo Spirito
per costituire un solo corpo" (1 Cor. 12, 13). Con questo sacro rito viene
rappresentata e prodotta la nostra unione alla morte e alla risurrezione di
Cristo: "fummo infatti sepolti con lui col battesimo nella sua
morte"; e se "fummo innestati a lui in una morte simile alla
sua", ugualmente saremo anche in una risurrezione simile alla sua (Rom.
6,45). Nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al corpo
del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: "Perché
c'è un solo pane, un solo corpo siamo noi, quantunque molti, noi che
partecipiamo tutti a un unico pane" (1 Cor. 10, 17). Così noi tutti
diventiamo membra di quel corpo (cf. 1 Cor. 12, 27) " e siamo, ciascuno
per la sua parte, membra gli uni degli altri" (Rom. 12, 5).
Come tutte la membra del corpo umano, anche se numerose,
formano un solo corpo, così i fedeli in Cristo (cf. 1 Cor 12, 12). Anche nella
edificazione del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle
funzioni. Uno è la Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i
suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità
dei servizi (cf. 1 Cor. 12, 1-11). Fra questi doni viene al primo posto la
grazia degli Apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i
carismatici (cf. 1 Cor. 14). Ed è ancora lo Spirito stesso che, con la sua
forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità
tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre
membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra
(cf. 1 Cor. 12,26).
Capo di questo corpo è Cristo. Egli è l'immagine
dell'invisibile Dio, e in lui tutto è stato creato. Egli è innanzi a tutti e
tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del corpo, che è la Chiesa.
Egli è il principio, il primogenito dei redivivi, affinché in tutto abbia lui il
primato (cf. Co1. 1, 13-18). Con la grandezza della sua potenza domina sugli
esseri celesti e terrestri, e con la sovreminente perfezione e operazione sua
riempie delle ricchezze della sua gloria tutto il suo corpo (cf. Ef. 1, 18-23)
(7).
Tutte le membra devono a lui essere configurate, fino a
che Cristo non sia in esse formato (cf. Ga1. 4, 19). Per ciò siamo assunti ai
misteri della sua vita, resi conformi a lui, morti e risuscitati con lui,
finché con lui regneremo (cf. Fi1. 3, 21,; 2 Tim. 2, 11; Ef. 2, 6; Col. 2, 12
ecc.). Ancora pellegrinanti in terra mentre seguiamo le sue orme nella
tribolazione e nella persecuzione come il corpo al capo veniamo associati alle
sue sofferenze e soffriamo con lui per essere con lui glorificati (cf. Rom. 8.
17).
Da lui "tutto il corpo ben fornito e ben compaginato,
per mezzo di giunture e di legamenti, riceve l'aumento voluto da Dio"
(Col. 2, 19). Egli nel suo corpo, che è la Chiesa, continuamente dispensa i
doni dei ministeri, grazie ai quali, per sua virtù noi ci rendiamo vicendevole
servizio in ordine alla salvezza, affinché facendo la verità nella carità noi
andiamo in tutte le cose crescendo verso colui, che è il nostro capo (cf. Ef.
4, 11-16 gr.).
E perché ci rinnovassimo continuamente in lui (rf. Ef. 4,
23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel capo e nelle
membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il movimento, così che i santi
padri poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio
vitale, cioè l'anima nel corpo umano.
Cristo ama la Chiesa come sua sposa, e si è reso esempio
del marito che ama la sua moglie, come il suo proprio corpo (cf. Ef. 5, 25-28);
quanto alla Chiesa stessa, essa è soggetta al suo capo (ivi, 23-24). E poiché
"in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col.
2, 9), la sua pienezza riempie dei suoi doni divini la Chiesa, la quale è il
suo corpo e la sua pienezza (cf. Ef. 1, 22-23), affinché essa sia protesa e
pervenga a tutta la pienezza di Dio (cf. Ef. 3, 19).
Chiesa realtà visibile e spirituale
8. Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra la
sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, come un organismo
visibile; la sostenta incessantemente, e per essa diffonde su tutti la verità e
la grazia. La società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di
Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa della terra e
la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come
due realtà, ma formano una sola complessa realtà risultante di un elemento
umano e di un elemento divino. Per una non debole analogia, quindi, è
paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta è a
servizio del Verbo divino come vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente
unito, in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa è a servizio
dello Spirito di Cristo che lo vivifica, per la crescita del corpo (cf. Ef. 4,
16).
Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel simbolo
professiamo una, santa, cattolica e Apostolica, e che il salvatore nostro, dopo
la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro (cf. Gv. 21, 17), affidandone a
lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida (cf. Mt. 28, 18; ecc.), e
costituì per sempre la colonna e il sostegno della verità (cf. 1 Tim. 3, 15).
Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come una società,
sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dal
Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo visibile
si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni
propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica.
E come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione
attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a
prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù
Cristo "sussistendo nella natura di Dio spogliò se stesso, prendendo la
natura di un servo" (Fil. 2,6-7 ) e per noi "da ricco che egli era si
fece povero" (2 Cor. 8, 9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere
la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la
gloria della terra, bensì per far conoscere, anche col suo esempio, l'umiltà e
l'abnegazione. Cristo è stato inviato dal Padre "a dare la buona novella
ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito" (Lc. 4, 18),
"a cercare e salvare ciò che era perduto" (Lc. 19, 10): così pure la
Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza,
anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore povero
e sofferente, si premura di sollevarne l'indigenza, e in loro intende di
servire a Cristo. Ma mentre Cristo, "santo, innocente, immacolato"
(Ebr. 7, 26), non conobbe il peccato (cf. 2 Cor. 5,21), ma venne allo scopo di
espiare i soli peccati del popolo (cf. Ebr. 2, 17), la Chiesa che comprende nel
suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione,
incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento.
La Chiesa "prosegue il suo pellegrinaggio fra le
persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio", annunziando la passione
e la morte del Signore fino a che egli venga (cf. 1 Cor, 11, 26). Dalla forza
del Signore risuscitato trova forza per vincere con pazienza e amore le sue
interne ed esterne afflizioni e difficoltà, e per svelare al mondo, con
fedeltà, anche se sotto ombre, il mistero del Signore, fino a che alla fine dei
tempi sarà manifestato nella pienezza della sua luce.
Capitolo ii
Il popolo di dio
Nuova alleanza e nuovo popolo
9. In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio
chiunque lo teme e opera la sua giustizia (cf. Atti 10, 35). Tuttavia piacque a
Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun
legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse
nella verità e santamente lo servisse. Si scelse quindi per sé il popolo
israelita, stabilì con lui una alleanza, e lo formò progressivamente
manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per
sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e in figura di quella nuova e
perfetta alleanza che doveva concludersi in Cristo, e di quella più piena
rivelazione che doveva essere trasmessa dal Verbo stesso di Dio fattosi uomo "Ecco
verranno giorni, dice il Signore, nei quali io stringerò con Israele e con
Giuda un patto nuovo. Porrò la mia legge nella loro viscere e nei loro cuori
l'imprimerò; essi mi avranno per Dio e io li avrò per il mio popolo. Tutti
essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore" (Ger. 31,
31-34). Cristo istituì questo nuovo patto, cioè la nuova alleanza nel suo
sangue (cf. 1 Cor. 11, 25), chiamando gente dai giudei e dalle nazioni, perché
si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito, e costituisse il
nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non
di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, per la parola di Dio vivo (cf.
1 Pt. 1, 23), non dalla carne ma dall'acqua e dallo Spirito santo (cf. Gv. 3,
5-6), costituiscono infine "una stirpe eletta, un Sacerdozio regale, una
gente santa, un popolo tratto in salvo... quello che un tempo era non-popolo,
ora invece è il popolo di Dio" (1 Pt. 2, 9-10).
Questo popolo messianico ha per capo Cristo " che è
stato dato a morte per i nostri peccati, ed è risuscitato per la nostra
giustificazione" (Rom. 4, 25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome
che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Questo popolo ha
per condizione la dignità e la libertà di figli di Dio, nel cuore dei quali
dimora lo Spirito santo come nel suo tempio. Ha per legge il nuovo precetto di
amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cf. Gv. 13, 34). E, finalmente, ha per
fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere
ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a
compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cf. Col. 3, 4) e "anche
le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare
alla gioiosa libertà dei figli di Dio" (Rom. 8, 21). Perciò il popolo
messianico, pur non comprendendo di fatto tutti gli uomini, e apparendo talora
come il piccolo gregge, costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di
unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione di
vita, di carità e di verità, è pure da lui preso per essere strumento della
redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf. Mt. 5,
12-16), è inviato a tutto il mondo.
Come già Israele secondo la carne, pellegrinante nel
deserto, viene chiamato la Chiesa di Dio (cf. 2 Esdra 13, 1; Num. 20, 4; Dt.
23, 1 ss.), così il nuovo Israele, che cammina nel secolo presente alla ricerca
della città futura e permanente (cf. Ebr. 13,14), si chiama pure la Chiesa di
Cristo (cf. Mt. 16,18) avendola egli acquistata con il suo sangue (cf. Atti
20,28) riempita del suo Spirito e fornita di mezzi adatti per l'unione visibile
e sociale. Dio ha convocato l'assemblea di coloro che guardano nella fede a
Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito
la Chiesa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di
questa unità salvifica. Dovendo estendersi a tutte le regioni essa entra nella
storia degli uomini, e insieme però trascende i tempi e le frontiere dei
popoli. Tra le tentazioni e le tribolazioni del cammino la Chiesa è sostenuta
dalla forza della grazia di Dio, promessale dal Signore, affinché per la umana
debolezza non venga meno la perfetta fedeltà, ma permanga degna sposa del suo
Signore, e non cessi, sotto l'azione dello spirito santo, di rinnovare se
stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto.
Il Sacerdozio comune
10. Cristo signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini
(cf. Ebr. 5, 1-5), fece del nuovo popolo " un regno e dei sacerdoti per
Dio, suo Padre" (Ap. 1, 6; cf. 5, 9-10). Infatti, per la rigenerazione e
l'unzione dello Spirito santo i battezzati vengono consacrati a formare una
dimora spirituale e un Sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le opere
del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che
dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce (cf. 1 Pt, 2, 4-10). Tutti
quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme
Dio (cf. Atti 2, 42-47), offrano se stessi come vittima - va, santa, gradevole
a Dio (cf, Rom. 12, 1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la
richieda, rendano ragione della speranza che è in loro della vita eterna (cf. 1
Pt. 3, 15).
Il Sacerdozio comune dei fedeli e il Sacerdozio
ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di
grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro; infatti l'uno e l'altro, ognuno
a suo proprio modo, partecipano all'unico Sacerdozio di Cristo. Il sacerdote
ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo
sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a
Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro Sacerdozio,
concorrono all'oblazione dell'eucaristia, ed esercitano il Sacerdozio con la
partecipazione ai Sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la
testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità.
L'esercizio del Sacerdozio comune nei Sacramenti
11. L'indole sacra e la struttura organica della comunità
sacerdotale vengono attuate per mezzo dei Sacramenti e delle virtù. I fedeli,
incorporati nella Chiesa col battesimo, sono deputati al culto della religione
cristiana dal carattere e, essendo rigenerati per essere figli di Dio, sono
tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa.
Col sacramento della confermazione vengono vincolati più perfettamente alla
Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito santo, e in questo
modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e
con l'opera le fede come veri testimoni di Cristo. Partecipando al sacrificio
eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana offrono a Dio le vittima
divina e se stessi con essa; così tutti, sia con l'oblazione che con la santa
comunione, compiono la propria parte nell'azione liturgica, non però
indistintamente, ma chi in un modo e chi di un altro. Cibandosi poi del corpo di
Cristo nella santa assemblea, mostrano concretamente la unità del popolo di
Dio, che da questo augustissimo sacramento è felicemente espressa e
mirabilmente prodotta.
Quelli che si accostano al sacramento della penitenza,
ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e
insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col
peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la
preghiera. Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei Presbiteri,
tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato,
perché alleggerisca le loro pene e li salvi (cf. Giac. 5, 14-16), anzi li
esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo (cf. Rom.
8, 17; Col. 1, 24; 2 Tim. 2, 11-12; 1 Pt. 4, 13), per contribuire così al bene
del popolo di Dio. Inoltre, quali tra di fedeli che vengono insigniti
dell'ordine sacro, sono posti in nome di Cristo a pascere le Chiesa con la
parola e la grazia di Dio. E infine, i coniugi cristiani, in virtù del
sacramento del matrimonio, col quale essi sono il segno del mistero di unità e
di fecondo onore che intercorre fra Cristo e la Chiesa, e vi partecipano (cf.
Ef. 5, 32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nelle vita
coniugale nell'accettazione e nell'educazione della prole, e hanno così, nel
loro stato di vita e nel loro ordine, il proprio dono in mezzo al popolo di
Dio. Da questo matrimonio infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i
nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito santo
sono elevati col battesimo allo stato di figli di Dio, per perpetuare
attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa
domestica, i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con
l'esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di
ognuno, e quella sacra di modo speciale.
Muniti di tanti e così mirabili mezzi di salvezza, tutti i
fedeli d'ogni stato e condizione sono chiamati dal signore, ognuno per la sua
via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste.
Il senso della fede e i carismi nel popolo di Dio
12. II popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione
profetica di Cristo, quando gli rende una viva testimonianza, soprattutto per
mezzo di una vita di fede e di carità e quando offre a Dio un sacrificio di
lode, il frutto di labbra acclamanti al suo nome (cf. Ebr. 13,15). La totalità
dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito santo (cf. 1 Gv. 2, 20 e
27) non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è
particolare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo,
quando "dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici" esprime
l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi. Infatti, per quel
senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il popolo
di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma,
accoglie con la parola degli uomini ma, qual è in realtà, la parola di Dio (cf.
1 Tess. 2, 13), aderisce indefettibilmente "alla fede una volta per tutte
trasmessa ai santi" (Giuda, 3), con retto giudizio penetra in essa più a
fondo e più pienamente l'applica nella vita.
Inoltre, lo stesso Spirito santo non solo per mezzo dei
Sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di
virtù, ma "distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui" (1
Cor. 12, 11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le
quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al
rinnovamento della Chiesa e allo sviluppo della sua costruzione, secondo quelle
parole: "A ciascuno... la manifestazione dello Spirito è data perché torni
a comune vantaggio" (1 Cor. 12, 7). E questi carismi, straordinari o anche
più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto appropriati e
utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e
consolazione. I doni straordinari però non si devono chiedere temerariamente,
né con presunzione si devono da essi sperare i frutti dei lavori Apostolici; ma
il giudizio sulla loro genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a
quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di
estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1
Tess. 5, 12 e 19-21).
Universalità dell'unico popolo di Dio
13. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo
popolo di Dio. Perciò questo popolo, restando uno e unico, si deve estendere a
tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della
volontà di Dio, il quale in principio ha creato la natura umana una, e vuole
radunare insieme infine i suoi figli, che si erano dispersi (cf. Gv. 11, 52). A
questo scopo Dio ha mandato il figlio suo, che ha costituito erede di tutte le
cose (cf. Ebr. 1, 2), perché fosse il maestro, il re e il sacerdote di tutti,
il capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio. Per questo pure ha
mandato Dio lo Spirito del Figlio suo, signore e vivificatore, il quale per
tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è il principio dell'unione e
dell'unità nell'insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nella frazione
del pane e nelle orazioni (cf. Atti 2, 42 gr.).
L'unico popolo di Dio è dunque presente in tutte le
nazioni della terra, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i suoi
cittadini, cittadini di un regno che per sua natura non è della terra, ma del
cielo. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli
altri nello Spirito santo, e così "chi sta in Roma sa che gli indi sono
sue membra". Ma come il regno di Cristo non è di questo mondo (cf. Gv. 18,
36), la Chiesa o popolo di Dio, che prepara la venuta di questo regno, nulla
sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e
accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini del popoli, nella
misura in cui sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e la eleva.
Essa infatti si ricorda bene di doversi riunire con quel Re, al quale sono
state date in eredità le genti (cf. Sal. 2, 8), e nella cui città portano i
loro doni e le loro offerte (cf. Sal. 71 (72), 10; Is. 60,4-7; Ap. 21,24).
Questo carattere di universalità che adorna il popolo di Dio, è un dono dello
stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste
tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo
nell'unità del suo Spirito.
In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i
propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, di maniera che il tutto e le
singole parti si accrescono con l'apporto di tutte, che sono in comunione le
une con le altre, e coi loro sforzi verso la pienezza dell'unità. Ne consegue
che ii popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma in se stesso
si sviluppa l'unione di vari ordini. Infatti fra i suoi membri c'è una
diversità sia per gli incarichi, quando alcuni sono impegnati nel sacro
ministero per il bene dei loro fratelli, sia per le condizioni e l'organizzazione
della vita, quando molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una
via più stretta, sono di stimolo ai fratelli con il loro esempio. Così pure,
nella comunione ecclesiastica, vi sono legittimamente delle chiese particolari,
che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della cattedra
di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità, tutela le
varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non
nuoccia all'unità, ma piuttosto le serva. E infine ne derivano, tra le diverse
parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa le ricchezze spirituali,
gli operai Apostolici e gli aiuti materiali. Poiché i membri del popolo di Dio
sono chiamati a condividere i beni, e valgono anche delle singole chiese le
parole dell'apostolo: "Da bravi amministratori della multiforme grazia di
Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il suo dono secondo che lo ha
ricevuto" (1 Pt. 4, 10)
Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica
unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla
quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia
gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini, che dalla grazia
di Dio sono chiamati alla salvezza.
I fedeli cattolici
14. Il santo concilio si rivolge dunque prima di tutto ai
fedeli cattolici. Esso insegna, appoggiandosi sulla sacra scrittura e sulla
tradizione, che questa Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti
solo Cristo, presente per noi nel suo corpo, che è la Chiesa, è il mediatore e
la via della salvezza; ora egli, inculcando espressamente la necessità della
fede e del battesimo (cf. Mc. 16, 16; Gv. 3, 5), ha insieme confermata la
necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesimo
come per la porta. Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non
ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo
fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa
perseverare.
Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa
quelli che, avendo lo spirito di Cristo, accettano integra la sua struttura e
tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e nel suo organismo visibile sono
uniti con Cristo - che la dirige mediante il sommo pontefice e i Vescovi - dai
vincoli della professione di fede, dei Sacramenti, del governo ecclesiastico e
della comunione. Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui
che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col
"corpo", ma non col "cuore". Si ricordino bene tutti i
figli della Chiesa che la loro esimia condizione non va ascritta ai loro
meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; se non vi corrispondono col
pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi
saranno più severamente giudicati.
I catecumeni, che per impulso dello Spirito santo
desiderano con volontà esplicita di essere incorporati alla Chiesa, vengono ad
essa uniti da questo stesso desiderio, e la madre Chiesa come già suoi li
ricopre del suo amore e delle sue cure.
La Chiesa e i cristiani non cattolici
15. Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome
cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l'unità della
comunione sotto il successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni
unita. Ci sono infatti molti che hanno in onore la sacra scrittura come norma
della fede e della vita, mostrano un sincero zelo religioso, credono con amore
in Dio Padre onnipotente e in Cristo, Figlio di Dio e salvatore, sono segnati
dal battesimo, col quale vengono uniti con Cristo; anzi riconoscono e accettano
nelle proprie chiese o comunità ecclesiali anche altri Sacramenti. Molti fra
loro hanno anche l'Episcopato, celebrano la sacra eucaristia e coltivano la
devozione alla vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la comunione di
preghiere e di altri benefici spirituali; anzi una certa vera unione nello
Spirito santo, poiché anche in loro lo spirito con la sua virtù santificante
opera per mezzo di doni e grazie, e ha fortificati alcuni di loro fino allo
spargimento del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo
il desiderio e l'azione, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito,
pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo pastore. E per
ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, ed
esorta i figli a purificarsi e rinnovarsi, perché il segno di Cristo risplenda
più chiaramente sul volto della Chiesa.
La Chiesa e i non cristiani
16. Infine, quelli che non hanno ancora ricevuto il
vangelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio. Per primo, quel popolo al
quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo
la carne (cf. Rom. 9, 4-5), popolo, in virtù della elezione, carissimo per
ragione dei suoi padri: perché i doni e la chiamata di Dio sono senza
pentimento (cf. Rom. 11, 28-29). Ma il disegno della salvezza abbraccia anche
coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i musulmani, i
quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico,
misericordioso, che giudicherà gli uomini nei giorno finale. E Dio stesso non è
lontano dagli altri che cercano un Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini,
poiché egli dà a tutti vita e respiro e ogni cosa (cf. Atti 17, 25-28), e come
salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvi (cf. 1 Tim. 2,4). Infatti,
quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e
tuttavia cercano sinceramente Dio; e sotto l'influsso della grazia si sforzano
di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame
della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina
Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che senza colpa da
parte loro non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si
sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto
ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione
al vangelo, e come dato da colei che illumina ogni uomo, affinché abbia
finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno
vaneggiato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la
menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cf. Rom. 1, 21 e 25),
oppure vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla
disperazione finale. Perciò per promuovere la gloria di Dio e la salvezza di
tutti costoro, la Chiesa, memore del comando del Signore che dice:
"Predicate il vangelo a ogni creatura" (Mc. 16, 15), promuove con
ogni cura le missioni.
Carattere missionario della Chiesa
17. Come infatti il Figlio è stato mandato dal Padre, egli
stesso ha mandato gli Apostoli (cf. Gv. 20, 21) dicendo: " Andate e
ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto quanto vi ho comandato.
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt. 28,
19-20). E questo solenne comando di Cristo di annunziare la verità della
salvezza, la Chiesa l'ha ricevuto dagli Apostoli per adempierlo sino all'ultimo
confine della terra (cf. Atti 1, 8). Essa fa quindi sue le parole
dell'apostolo: (Guai... a me se non predicassi il vangelo:" (1 Cor. 9,
16), e perciò continua a mandare ininterrottamente missionari, fino a che le
nuove chiese siano pienamente costituite e anch'esse continuino l'opera di
evangelizzazione. E' spinta infatti dallo Spirito santo a cooperare perché sia
mandato ad effetto il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di
salvezza per il mondo intero. Predicando il Vangelo, la Chiesa attira gli
uditori alla fede e alla professione della fede, li dispone al battesimo, li
toglie dalla schiavitù dell'errore e li incorpora a Cristo, affinché crescano
in lui per la carità fino alla pienezza. Con la sua attività essa fa in modo
che ogni germe di bene che si trova nel cuore e nella mente degli uomini o nei
riti e nelle culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia
purificato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio, per la confusione del
demonio e la felicità dell'uomo. A ogni discepolo di Cristo incombe il dovere
di diffondere, per parte sua, la fede. Ma se ognuno può battezzare i credenti,
è tuttavia proprio del sacerdote completare l'edificazione del corpo col
sacrificio eucaristico, adempiendo le parole dette da Dio per mezzo del
profeta: " Da dove sorge il sole fin dove tramonta, grande è il mio nome
tra le genti, e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome una pura
oblazione" (Mal. 1, 11). Così la Chiesa prega e lavora nello stesso tempo,
affinché la pienezza del mondo intero passi nel popolo di Dio, corpo del
Signore e tempio dello Spirito santo, e in Cristo, capo di tutti, sia reso ogni
onore e ogni gloria al Creatore e Padre dell'universo.
CAPITOLO III
COSTITUZIONE
GERARCHICA DELLA CHIESA
E IN
PARTICOLARE DELL’EPISCOPATO
La costituzione gerarchica della Chiesa: Proemio
18. Cristo signore, per pascere e sempre più accrescere il
popolo di Dio, ha istituito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al
bene di tutto il corpo. I ministri infatti, che sono dotati di sacra potestà,
sono a servizio dei loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo
di Dio, e perciò godono della vera dignità cristiana, aspirino tutti insieme
liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza.
Questo sacrosanto sinodo, seguendo le orme del concilio
Vaticano primo, insegna e dichiara con esso che Gesù Cristo, pastore eterno, ha
edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli come egli stesso era stato
mandato dal Padre (cf. Gv. 20, 21), e ha voluto che i loro successori, cioè i
Vescovi, fossero fino alla fine dei tempi pastori nella sua Chiesa. Affinché lo
stesso Episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri Apostoli il beato
Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile
dell'unità della fede e della comunione. Questa dottrina della istituzione,
della perpetuità, della forza e del carattere del sacro primato del romano
pontefice e del suo infallibile magistero, il santo concilio la propone di
nuovo a tutti i fedeli perché sia fermamente creduta e, proseguendo nella
stessa linea, decide di professare e di dichiarare pubblicamente la dottrina
sui Vescovi, successori degli Apostoli, i quali col successore di Pietro,
vicario di Cristo e capo visibile di tutta la Chiesa, reggono la casa del Dio
vivente.
Vocazione e istituzione dei Dodici
19. Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a
sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui, e per
mandarli a predicare il regno di Dio (cf. Mc. 3, 13-19; Mt. 10, 1-42); e questi
li costituì Apostoli (cf. Lc. 6, 13) sotto la forma di un collegio o di un
gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cf. Gv.
21,15-17). Li mandò prima ai figli d'Israele e poi a tutte le genti (cf. Rom.
1, 16) affinché, partecipi della sua potestà, rendessero tutti di popoli suoi
discepoli, li santificassero e li governassero (cf. Mt. 28, 16-20); Mc. 16, 15;
Lc. 24,45-48; Gv. 20,21-23), e così diffondessero la Chiesa e la pascessero
esercitando il loro ministero, sotto la guida del Signore, tutti i giorni sino
alla fine del mondo (cf. Mt. 28,20). E in questa missione furono pienamente
confermati il giorno di pentecoste (cf. Atti 2, 1-36) secondo la promessa del
Signore: "Riceverete la forza dello Spirito santo che scenderà su di voi e
mi sarete testimoni, sia in Gerusalemme, come in tutta la Giudea e la Samaria,
e sino alla estremità della terra" (Atti 1, 8). E gli Apostoli, predicando
dovunque il vangelo (cf. Mc. 16, 20), accolto dagli uditori sotto l'azione
dello Spirito santo, radunano la Chiesa universale, che il Signore ha fondato
sugli Apostoli e ha edificato sul beato Pietro, loro capo, mentre Gesù Cristo
stesso ne è la pietra maestra angolare (cf. Ap. 21, 14; Mt. 16, 18; Ef. 2, 20.
I Vescovi, successori degli Apostoli
20. Quella missione divina, affidata da Cristo agli
Apostoli, dovrà durare fino alla fine dei secoli (cf. Mt. 28, 20), poiché il
vangelo che essi devono trasmettere è per la Chiesa principio di tutta la sua
vita in ogni tempo. Per questo gli Apostoli, in questa società gerarchicamente
ordinata, ebbero cura di costituirsi dei successori.
Infatti, non solo ebbero vari collaboratori nel ministero,
ma perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte,
lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori l'incarico di
completare e consolidare l'opera da essi. incominciata, raccomandando loro di
attendere a tutto il gregge, nel quale lo Spirito santo li aveva posti per
pascere la Chiesa di Dio (cf. Atti 20, 28). Essi stabilirono dunque questi
uomini e in seguito diedero disposizione che, quando essi fossero morti, altri
uomini provati prendessero la successione del loro ministero. Fra i vari
ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa. secondo la
testimonianza della tradizione tiene il primo posto l'ufficio di quelli che,
costituiti nell'Episcopato, per successione che risale all'origine, possiedono
i tralci del seme Apostolico. Così, come attesta S. Ireneo, per mezzo di coloro
che gli Apostoli costituirono Vescovi e dei loro successori fino a noi, la
tradizione Apostolica in tutto il mondo è manifestata e custodita.
I Vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della
comunità con l'aiuto dei Presbiteri e dei Diaconi, presiedendo in luogo di Dio
al gregge, di cui sono i pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del
sacro culto, ministri del governo. Come quindi permane l'ufficio dal Signore
concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai
suoi successori, così permane l'ufficio degli Apostoli di pascere la Chiesa, da
esercitarsi ininterrottamente dal sacro ordine dei Vescovi. Perciò il sacro
concilio, insegna che i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto
degli Apostoli, quali pastori della Chiesa: chi li ascolta, ascolta Cristo, chi
li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo (cf. Lc. 10, 16).
La sacramentalità dell'Episcopato
21. Nei Vescovi, quindi, assistiti dai Presbiteri, è
presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Sedendo
infatti alla destra di Dio Padre non cessa di essere presente alla comunità dei
suoi pontefici, ma in primo luogo per mezzo del loro ministero esimio predica
la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i
Sacramenti della fede; per la loro cura paterna (cf. 1 Cor. 4, 15) nuove membra
incorpora, con una nuova nascita, al suo corpo; e infine, per la loro sapienza
e prudenza, dirige e conduce il popolo del nuovo testamento nel suo
pellegrinare verso l'eterna beatitudine. Questi pastori, eletti per pascere il
gregge del Signore, sono i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di
Dio (cf. 1 Cor. 4, 1), ai quali è stata affidata la testimonianza del vangelo
della grazia di Dio (cf. Rom. 15, 16; Atti 20,24) e il servizio dello Spirito e
della giustizia nella gloria (cf. 2 Cor. 3, 8-9).
Per adempiere a uffici così grandi, gli Apostoli sono
stati arricchiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito santo
discendente su loro (cf. Atti 1, 8; 2, 4; Gv. 20, 22-23), ed essi stessi con la
imposizione delle mani hanno trasmesso questo dono dello Spirito ai loro
collaboratori (cf. 1 Tim. 4, 14; 2 Tim. 1, 6-7), dono che è stato trasmesso
fino a noi nella consacrazione episcopale. Insegna il santo concilio che con la
consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento
dell'ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla
voce dei santi padri viene chiamata il sommo Sacerdozio, il vertice del sacro
ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l'ufficio di
santificare, gli uffici di insegnare e di governare, che però, per loro natura,
non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con
le membra dei collegio. Dalla tradizione infatti, quale risulta specialmente
dai riti liturgici e dall'usanza della Chiesa sia d'oriente che d'occidente,
consta chiaramente che con l'imposizione delle mani e con le parole della
consacrazione la grazia dello Spirito santo viene conferita, e viene impresso un
sacro carattere, in maniera che i Vescovi, in modo eminente e visibile,
sostengono le parti dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e
agiscono di sua persona. E' proprio dei Vescovi assumere, col sacramento
dell'ordine, nuovi eletti nel corpo episcopale.
22 - Il collegio dei Vescovi e il suo capo
Come san Pietro e gli altri Apostoli costituirono, per
istituzione del Signore, un unico collegio Apostolico, similmente il romano
pontefice, successore di Pietro, e di Vescovi, successori degli Apostoli, sono
fra loro uniti. Già l'antichissima disciplina, secondo cui i Vescovi di tutto
il mondo comunicavano fra di loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell'unità,
della carità e della pace; come pure il riunirsi di concili per decidere in
comune anche delle questioni più importanti, dopo aver ponderato ed esaminato
il parere di molti, stanno a significare il carattere e la natura collegiale
dell'ordine episcopale; i concili ecumenici celebrati lungo i secoli comprovano
apertamente tale natura, che è del resto già suggerita dall'antico uso di far
partecipare più Vescovi all'elevazione di un nuovo candidato al ministero del
sommo Sacerdozio. Uno viene costituito membro del corpo episcopale in virtù
della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del
collegio e con i membri.
Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se
non lo si concepisce insieme con il romano pontefice, successore di Pietro,
quale suo capo, che conserva integralmente il suo potere primaziale su tutti,
pastori e fedeli. Infatti il romano pontefice, in virtù del suo ufficio di
vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà
piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. L'ordine
dei Vescovi, che succede al collegio degli Apostoli nel magistero e nel governo
pastorale, nel quale anzi si perpetua ininterrottamente il corpo Apostolico, è
pure, insieme con il suo capo il romano pontefice, e mai senza di esso,
soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa: potestà che non può
essere esercitata se non con il consenso del romano pontefice. Il Signore ha
posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa (cf. Mt. 16, 18-19), e
lo ha costituito pastore di tutto il gregge (cf. Gv. 21, 15 ss.); ma l'incarico
di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro (cf. Mt. 16, 19), risulta
essere stato pure concesso ai collegio degli Apostoli, unito col suo capo (cf.
Mt. 18, 18; 28, 16-20). Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime
la varietà e l'universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo
capo, esprime l'unità del gregge di Cristo. In esso i Vescovi, rispettando
fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, godono di un potere che è
loro proprio, per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, di cui lo
Spirito santo costantemente consolida la struttura organica e la concordia. La
suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa è esercitata in
modo solenne nel concilio ecumenico. Mai si ha concilio ecumenico, che come
tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è
prerogativa del romano pontefice convocare questi concili, presiederli e
confermarli. La stessa potestà collegiale può essere esercitata insieme col
papa dai Vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami a
un atto collegiale, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta
dei Vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.
Relazioni dei Vescovi in seno al collegio
23. L'unione collegiale appare anche nelle mutue relazioni
dei singoli Vescovi con le chiese particolari e con la Chiesa universale. Il
romano pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile
principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei
fedeli. I Vescovi, invece, singolarmente presi, sono il principio visibile e il
fondamento dell'unità nelle loro chiese particolari, formate a immagine della
Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica
Chiesa cattolica. Perciò i singoli Vescovi rappresentano la propria Chiesa, e
tutti insieme col papa rappresentano tutta la Chiesa nel vincolo di pace, di
amore e di unità.
I singoli Vescovi, che sono preposti alle chiese
particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo
di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre chiese né sopra la Chiesa
universale. Ma in quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori
degli Apostoli, i singoli Vescovi sono tenuti, per istituzione e precetto di
Cristo, ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non
esercitata con atto di giurisdizione, sommamente contribuisce tuttavia al bene
della Chiesa universale. Tutti i Vescovi, infatti, devono promuovere e difendere
l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli
all'amore di tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra
povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia
(cf. Mt. 5, 10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa,
specialmente nel procurare che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la
luce della piena verità. Del resto è una verità che, reggendo bene la propria
Chiesa come porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi
efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpo fatto di
chiese.
La cura di annunziare in ogni parte della terra il vangelo
appartiene al corpo dei pastori, ai quali tutti in comune Cristo diede il mandato,
imponendo un comune ufficio, come già papa Celestino raccomandò al padri del
concilio di Efeso. Quindi i singoli Vescovi, per quanto lo permette l'esercizio
del particolare loro ufficio, sono tenuti a collaborare tra di loro e col
successore di Pietro, al quale in modo speciale fu affidato l'alto ufficio di
propagare il nome cristiano. Con tutte le forze essi devono fornire alle
missioni non solo gli operai della messe, ma anche aiuti spirituali e
materiali, sia da sé direttamente, sia suscitando la fervida cooperazione dei
fedeli. I Vescovi, infine, nella universale comunione della carità, offrano
volentieri un fraterno aiuto alle altre chiese, specialmente alle più vicine e
più povere, seguendo in questo il venerando esempio dell'antica Chiesa.
Per divina provvidenza è avvenuto che varie chiese, in
vari luoghi fondate dagli Apostoli e dai loro successori, durante i secoli si
sono costituite in molti gruppi, organicamente uniti, i quali, salva restando
l'unità della fede e l'unica divina costituzione della Chiesa universale,
godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio
teologico e spirituale proprio. Alcune fra esse, soprattutto le antiche chiese
patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre che sono come
loro figlie, con le quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto
vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e
dei doveri. Questa varietà di chiese locali, fra loro concordi, dimostra con
maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa. In modo simile le
conferenze episcopali possono oggi portare un molteplice e fecondo contributo
perché lo spirito collegiale passi a concrete applicazioni.
Il ministero dei Vescovi
24. I Vescovi, quali successori degli Apostoli, ricevono
dal Signore, cui è data ogni potestà in cielo e in terra, la missione di
insegnare a tutte le genti e di predicare il vangelo a ogni creatura, affinché
tutti gli uomini, per mezzo della fede, del battesimo e dell'osservanza dei comandamenti,
ottengano la salvezza (cf. Mt. 28, 18.20; Mc. 16, 15-16; Atti 26 17 ss.). Per
compiere questa missione, Cristo signore promise agli Apostoli lo Spirito santo
e il giorno di Pentecoste lo mandò dal cielo, perché con la forza di questo
Spirito gli fossero testimoni fino alla estremità della terra, davanti alle
nazioni e ai popoli e al re (cf. Atti 1, 8; 2, 1 ss.; 9, 15). Questo ufficio
che il Signore ha affidato ai pastori del suo popolo è un vero servizio, che
nella sacra scrittura è chiamato significativamente " Diaconia" o
ministero (cf. Atti 1, 17 e 25; 21, 19; Rom. 11, 13; 1 Tim. 1, 12).
La missione canonica dei Vescovi può essere fatta per
mezzo delle legittime consuetudini, non revocate dalla suprema e universale
potestà della Chiesa, o per mezzo delle leggi fatte dalla stessa autorità o da
essa riconosciute, oppure direttamente dallo stesso successore di Pietro; che
se questi si oppone o rifiuta la comunione Apostolica, i Vescovi non possono
essere assunti all'ufficio.
La funzione dottrinale
25. Tra le funzioni principali dei Vescovi eccelle la
predicazione del vangelo. I Vescovi, infatti, sono gli araldi della fede, che
portano a Cristo nuovi discepoli, sono i dottori autentici, cioè rivestiti
dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da
credere e da applicare nella pratica della vita, che illustrano questa fede
alla luce dello Spirito santo, traendo fuori dal tesoro della rivelazione cose
nuove e vecchie (cf. Mt. 13, 52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere
lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cf. 2 Tim. 4, 1-4). I
Vescovi quando insegnano in comunione col romano pontefice devono essere da
tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica
verità; e i fedeli devono accordarsi col giudizio dal loro vescovo dato a nome
di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi col religioso ossequio
dello spirito. Ma questo religioso ossequio della volontà e dell'intelligenza
lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano
pontefice, anche quando non parla " ex cathedra", così che il suo
supremo magistero sia con riverenza riconosciuto, e con sincerità si aderisca
alle sentenze che egli esprime, secondo che fa conoscere la sua intenzione e la
sua volontà, che si palesano specialmente sia dalla natura dei documenti, sia
dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione
verbale.
Quantunque i singoli Vescovi non godano della prerogativa
dell'infallibilità, quando tuttavia anche dispersi per il mondo, ma conservanti
il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, nel loro
insegnamento autentico circa materie di fede e di morale s'accordano su una
dottrina da ritenersi come definitiva propongono infallibilmente la dottrina di
Cristo. E questo è ancora più manifesto quando, radunati in concilio ecumenico,
sono per tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale; e alle
loro definizioni si deve aderire in una sottomissione di fede.
Questa infallibilità, della quale il divino Redentore ha
voluto provvedere la sua Chiesa quando essa definisce la dottrina della fede e
della morale, si estende tanto quanto il deposito della divina rivelazione, che
deve essere scrupolosamente custodito e fedelmente esposto. Di questa
infallibilità il romano pontefice, capo del collegio dei Vescovi, fruisce in
virtù del suo ufficio quando, quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli
che conferma nella fede i suoi fratelli (cf. Lc. 22, 32), proclama con un atto
definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale. Perciò le sue
definizioni giustamente sono dette irreformabili per sé stesse e non per il
consenso della Chiesa, perché esse sono pronunziate con l'assistenza dello
Spirito santo, promessagli nel beato Pietro, per cui esse non abbisognano di
alcuna approvazione di altri né ammettono appello alcuno a un altro giudizio.
Infatti allora il romano pontefice pronunzia la sentenza non come persona
privata, ma quale supremo maestro della Chiesa universale, singolarmente
insignito dal carisma dell'infallibilità della stessa Chiesa, espone o difende
la dottrina della fede cattolica. L'infallibilità promessa alla Chiesa risiede
pure nel corpo episcopale, quando questi esercita il supremo magistero col
successore di Pietro. E a queste definizioni non può mai mancare l'assenso
della Chiesa, per l'azione dello stesso Spirito santo che conserva e fa
progredire nella unità della fede tutto il gregge di Cristo.
Quando sia il romano pontefice sia il corpo dei Vescovi
con lui definiscono un punto di dottrina, lo fanno secondo la stessa
rivelazione, cui tutti devono stare e conformarsi, e che, per via di scrittura
o di tradizione, è integralmente trasmessa dalla legittima successione dei
Vescovi e specialmente dalla cura dello stesso pontefice romano, e viene nella
Chiesa gelosamente conservata e fedelmente esposta sotto la luce dello Spirito
di verità. Perché la rivelazione sia penetrata esattamente e sia espressa in
termini adeguati, il romano pontefice e i Vescovi in virtù del loro ufficio e
secondo l'importanza della cosa, prestano la loro vigile opera usando di mezzi
convenienti; però non ricevono una nuova rivelazione pubblica come appartenente
al divino deposito della fede.
La funzione di santificare
26. Il vescovo, insignito della pienezza del sacramento
dell'ordine, è "il distributore della grazia del supremo Sacerdozio",
specialmente nell'eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire, e della quale
la Chiesa continuamente vive e cresce. Questa Chiesa di Cristo è veramente
presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli, le quali, aderendo
ai loro pastori, sono anche esse chiamate chiese del nuovo testamento. Esse
infatti sono, nella loro sede, il popolo nuovo chiamato da Dio, nello Spirito
santo e in una totale pienezza (cf. 1 Tess. 1, 5). In esse con la predicazione
del vangelo di Cristo vengono radunati i fedeli e si celebra il mistero della
cena del Signore, " affinché per mezzo della carne e del sangue del
Signore sia strettamente unita tutta la fraternità del corpo". In ogni
comunità che partecipa all'altare, sotto il ministero sacro del vescovo, viene
offerto il simbolo di quella carità e " unità del corpo mistico, senza la
quale non può esserci salvezza". In queste comunità, sebbene spesso
piccole e povere o che vivono nella dispersione, è presente Cristo, per virtù
del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e Apostolica. Infatti
" la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo altro non fa, se non
che ci mutiamo in ciò che prendiamo".
Ogni legittima celebrazione dell'eucaristia è diretta dal
vescovo, al quale è affidato l'incarico di presentare il culto della religione
cristiana alla divina maestà e di regolarlo secondo i precetti del Signore e le
leggi della Chiesa, dal suo particolare giudizio ulteriormente determinate per
la sua diocesi.
In questo modo i Vescovi, con la preghiera e il lavoro per
il popolo, in varie forme effondono abbondantemente la pienezza della santità
di Cristo. Col ministero della parola comunicano ai credenti la virtù di Dio
per la loro salvezza (cf. Rm. 1, 16), e con i Sacramenti, dei quali con la loro
autorità organizzano la regolare e fruttuosa distribuzione, santificano i
fedeli. Essi dirigono il conferimento del battesimo, col quale è concesso
partecipare al regale Sacerdozio di Cristo. Essi sono i ministri originari
della confermazione, i dispensatori degli ordini sacri e quelli che regolano la
disciplina penitenziale, e con sollecitudine esortano e istruiscono il loro
popolo, affinché esso nella liturgia e specialmente nel santo sacrificio della
messa compia la sua parte con fede e devozione. Devono, infine, con l'esempio
della loro vita, aiutare quelli a cui presiedono, serbando i loro costumi
immuni da ogni male e, per quanto possono, con l'aiuto di Dio mutandoli in
bene, onde possano, insieme col gregge loro affidato, giungere alla vita
eterna.
La funzione di governare
27. I Vescovi reggono le chiese particolari a loro
affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione,
l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si
servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità,
ricordandosi che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo e colui
che governa, come colui che serve (cf. Lc. 22,26-27). Questa potestà, che
personalmente esercitano in nome di Cristo, è proprio, ordinario e immediato,
quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità
della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell'utilità della Chiesa o dei
fedeli, possa essere circoscritto. In virtù di questo potere i Vescovi hanno il
sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di
giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato.
Ad essi è pienamente affidato l'incarico pastorale ossia
l'abituale e quotidiana cura del loro gregge, né devono essere considerati i
vicari dei romani pontefici, perché esercitano una potestà che è loro propria e
con tutta verità sono detti sovrintendenti dei popoli che governano. La loro
potestà quindi non è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da
essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché lo Spirito santo conserva
invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa.
Il vescovo, mandato dal Padre di famiglia a governare la
sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l'esempio del buon pastore, che è venuto
non per essere servito ma per servire (cf. Mt. 20, 28; Mc. 10, 45) e dare la
sua vita per le pecore (cf. Gv. 10, 11). Preso di mezzo agli uomini e soggetto
a debolezze, egli può compatire a quelli che sono nell'ignoranza o nell'errore
(cf. Ebr. 5, 1-2). Non rifugga dall'ascoltare i sudditi che cura come veri
figli suoi e che esorta a cooperare alacremente con lui. Dovendo render conto a
Dio delle loro anime (cf. Ebr. 13, 17), con la preghiera, la predicazione e
ogni opera di carità abbia cura di loro, e anche di quelli che non sono ancora
dell'unico gregge, che deve considerare come affidati a sé nel Signore. Poiché
egli, come l'apostolo Paolo, è debitore a tutti, sia pronto ad annunziare il
vangelo a tutti (cf. Rom. 1, 14-15) e a esortare i suoi fedeli all'attività
Apostolica e missionaria. I fedeli poi devono aderire al vescovo come la Chiesa
a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano
d'accordo nella unità, e crescano per la gloria di Dio (cf. 2 Cor. 4, 15).
I Presbiteri: relazioni con Cristo, con i Vescovi e il
popolo
28. Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre (cf.
Gv. 10,36), per mezzo dei suoi Apostoli ha reso partecipi della sua
consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i Vescovi, i quali
hanno legittimamente affidato, secondo diversi gradi, l'ufficio del loro
ministero a vari soggetti nella Chiesa. Così il ministero ecclesiastico di
istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già
anticamente sono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi. I Presbiteri, pur non
possedendo il vertice del Sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell'esercizio
della loro potestà sono tuttavia a loro uniti nell'onore sacerdotale e in virtù
del sacramento dell'ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote
(cf. Ebr. 5, 1-10; 7, 24; 9, 11-28, sono consacrati per predicare il vangelo,
pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del nuovo
testamento. Partecipando, secondo il grado proprio del loro ministero, alla
funzione dell'unico mediatore Cristo (cf. 1 Tim. 2, 5), essi annunziano a tutti
la divina parola. Ma soprattutto esercitano la loro funzione sacra nel culto o
assemblea eucaristica, dove agendo in persona di Cristo, e proclamando il suo
mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel
sacrificio della messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del
Signore (cf. 1 Cor. 11, 26), l'unico sacrificio del nuovo testamento, il
sacrificio cioè di Cristo che una volta per tutte si offre al Padre quale
vittima immacolata (cf. Ebr. 9, 11-28). Essi esercitano al massimo grado il
ministero della riconciliazione e del conforto per i fedeli penitenti o
ammalati, e portano a Dio Padre le necessità e le preghiere dei fedeli (cf.
Ebr. 5, 1-4). Esercitando, per la loro parte di autorità, l'ufficio di Cristo,
pastore e capo, raccolgono la famiglia di Dio, come una fraternità animata
dallo spirito d'unità, e per mezzo di Cristo nello Spirito la portano a Dio
Padre. In mezzo al loro gregge lo adorano in spirito e verità (cf. Gv. 4, 24).
Infine, si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento (cf. 1 Tim. 5, 17),
credendo ciò che hanno letto e meditato nella legge del Signore, insegnando ciò
che hanno creduto, vivendo ciò che hanno insegnato.
I Presbiteri, saggi collaboratori dell'ordine episcopale e
suo aiuto e strumento, chiamati al servizio del popolo di Dio, costituiscono
col loro vescovo un unico Presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi.
Nelle singole comunità locali i fedeli rendono, per così dire, presente il
vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le
sue funzioni e la sua sollecitudine e li esercitano con dedizione quotidiana.
Essi, sotto l'autorità del vescovo santificano e governano la porzione di
gregge del Signore loro affidata, nella loro sede rendono visibile la Chiesa
universale e lavorano efficacemente all'edificazione di tutto il corpo di
Cristo (cf. Ef. 4, 12). Sempre intenti al bene dei figli di Dio, cerchino di
portare il loro contributo al lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi, di
tutta la Chiesa. E a ragione di questa loro partecipazione nel Sacerdozio e
nella missione, i Presbiteri riconoscano nel vescovo il loro padre e gli
obbediscano con rispetto. E il vescovo consideri i sacerdoti suoi cooperatori
come figli e amici, come Cristo che chiama i suoi discepoli non servi, ma amici
(cf. Gv. 15, 15). Per ragione quindi dell'ordine e del ministero, tutti i
sacerdoti, sia diocesani che religiosi, sono associati al corpo episcopale e,
secondo la loro vocazione e la loro grazia, sono al servizio del bene di tutta
la Chiesa.
In virtù della comune sacra ordinazione e della missione
tutti i Presbiteri sono fra loro legati da un'intima fraternità, che deve
spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e
materiale, pastorale e personale, nelle diverse riunioni e nella comunione di
vita di lavoro e di carità.
Abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che
hanno spiritualmente generato col battesimo e l'insegnamento (cf. 1 Cor. 4, 15;
1 Pt. 1, 23). Divenuti generosamente modelli del gregge (cf. 1 Pt. 5, 3),
presiedano alla loro comunità locale e siano al suo servizio, in modo che essa
possa degnamente essere chiamata col nome che onora l'unico popolo di Dio e
l'onora tutto intero, cioè Chiesa di Dio (cf. 1 Cor. 1, 2; 2 Cor. 1, 1; e
altrove). Si ricordino, nella loro quotidiana condotta e sollecitudine di
presentare ai fedeli e agli infedeli, ai cattolici e ai non cattolici,
l'immagine di un ministero veramente sacerdotale e pastorale, e che devono
rendere a tutti la testimonianza della verità e della vita e, come buoni
pastori, ricercare anche quelli (cf. Lc. 15, 4-7) che, sebbene battezzati nella
Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica dei Sacramenti, o persino la
fede.
Siccome oggi l'umanità va sempre più organizzandosi in
unità civile, economica e sociale, tanto più bisogna che i sacerdoti,
consociando il loro zelo e il loro lavoro sotto la guida dei Vescovi e del
sommo pontefice, sopprimano ogni causa di dispersione, affinché tutto il genere
umano sia ricondotto alla unità della famiglia di Dio.
I Diaconi
29. In un grado inferiore della gerarchia stanno di
Diaconi, ai quali sono imposte le mani " non per il Sacerdozio, ma per il
servizio". Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nel servizio
(Diaconia) della liturgia, della parola e della carità sono al servizio del
popolo di Dio, in comunione col vescovo e il suo Presbiterio. Appartiene al
diacono, conforme gli sarà stato assegnato dalla competente autorità,
amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l'eucaristia,
in nome della Chiesa assistere e benedire il matrimonio, portare il viatico ai
moribondi, leggere la sacra scrittura ai fedeli, istruire ed esortare ii
popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i
sacramentali presiedere al rito del funerale e della sepoltura. Dediti alle
opere di carità e di assistenza, i Diaconi si ricordino del monito del beato
Policarpo: " Siano misericordiosi, attivi e camminino nella verità del
Signore, il quale si è fatto il servo di tutti".
E siccome queste funzioni, sommamente necessarie alla vita
della Chiesa, nella disciplina oggi vigente della Chiesa latina in molte
regioni difficilmente possono essere esercitate, il diaconato potrà in futuro
essere restaurato come un grado proprio e permanente della gerarchia. Spetterà
poi alle diverse competenti assemblee episcopali territoriali decidere, con
l'approvazione dello stesso sommo pontefice, se e dove sia opportuno che tali
Diaconi siano istituiti per il bene delle anime. Col consenso del romano
pontefice questo diaconato potrà essere conferito a uomini di più matura età
anche viventi nel matrimonio, e così pure a giovani idonei, per i quali però
deve rimanere ferma la legge del celibato.
CAPITOLO IV
I LAICI
I laici nella Chiesa
30. Il santo concilio, dopo aver illustrate le funzioni
della gerarchia, con piacere rivolge il pensiero allo stato di quei fedeli, che
si chiamano laici. Sebbene tutto quanto fu detto del popolo di Dio sia
ugualmente diretto ai laici, ai religiosi e al clero, ai laici tuttavia, sia
uomini che donne, per la loro condizione e missione, si riferiscono in
particolare alcuni punti; le circostanze speciali del nostro tempo domandano
che se ne analizzino più accuratamente i fondamenti. I sacri pastori, infatti,
sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno
di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione
della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il
loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e
i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura,
all'opera comune. Infatti bisogna che tutti " operando conforme alla
verità andiamo in ogni modo crescendo nella carità verso colui, che è il capo,
Cristo; da lui tutto il corpo, ben connesso e solidamente collegato, attraverso
tutte le giunture che l'azionano secondo l'attività proporzionata a ciascun
membro, opera il suo accrescimento e si va edificando nella carità" (Ef.
4, 15-16).
Natura e missione dei laici
31. Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli a
esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto
dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col
battesimo e costituiti popolo di Dio, e nella loro misura, resi partecipi della
funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte compiono,
nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano.
Il carattere secolare è proprio e particolare ai laici.
Infatti i membri dell'ordine sacro, sebbene talora possano attendere ad affari
secolari, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro
speciale vocazione sono ordinati principalmente e propriamente (ex professo) al
sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo
splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio
senza lo spirito delle beatitudini. Per loro vocazione è proprio dei laici
cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio.
Essi vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli
affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale,
di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a
contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del
mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello
spirito evangelico, e in questo modo, a rendere visibile Cristo agli altri,
principalmente con la testimonianza della loro vita e col fulgore della fede,
della speranza e della carità. A loro quindi particolarmente spetta di
illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali essi sono
strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano
e siano di lode al Creatore e al Redentore.
Dignità dei laici nel popolo di Dio
32. La santa Chiesa è, per divina istituzione, organizzata
e diretta con una mirabile varietà. " A quel modo, infatti, che in uno
stesso corpo abbiamo molte membra, e nessun membro ha la stessa funzione; così
tutti insieme formiamo un solo corpo in Cristo, essendo, ciascuno per parte
sua, membra gli uni degli altri" (Rom. 12, 4-5)
Uno solo è quindi il popolo eletto di Dio: " un solo
Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef. 4,5); comune è la dignità
dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli,
comune la vocazione alla perfezione, una sola la salvezza, una sola la
speranza, e una unità senza divisione. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e
nella Chiesa per riguardo alla stirpe o alla nazione, alla condizione sociale o
al sesso, poiché "non c'è né giudeo, né greco, non c'è né schiavo né
libero, non c'è né uomo né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù"
(Gal. 3, 28 gr.; cf. Col. 3,11).
Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa
via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto una fede per la
giustizia di Dio (cf. 2 Pt. 1, 1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo
siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri,
tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione
comune a tutti i fedeli per l'edificazione del corpo di Cristo. La distinzione
infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio
include l'unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra loro da un
comune necessario rapporto: i pastori della Chiesa sull'esempio del Signore
siano al servizio gli uni degli altri e degli altri fedeli, e questi alla loro
volta prestino volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai dottori. Così
nella varietà tutti danno la testimonianza della mirabile unità nel corpo di
Cristo: poiché la stessa diversità di grazie, di servizi e di attività
raccoglie in un solo corpo i figli di Dio, dato che "tutte queste cose
opera un unico e medesimo Spirito" (1 Cor. 12, 11).
I laici, quindi, come per condiscendenza divina hanno per
fratello Cristo, il quale, pur essendo il Signore di tutte le cose, è venuto
non per essere servito ma per servire (cf. Mt. 20, 28); così anche hanno per
fratelli coloro che, posti nel sacro ministero, insegnando e santificando e
reggendo con l'autorità di Cristo la famiglia di Dio, la pascono in modo che
sia da tutti adempiuto il nuovo precetto della carità. A questo proposito dice
molto bene sant'Agostino: " Se mi atterrisce l'essere per voi, mi consola
l'essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è
il nome di una carica, questo di una grazia; quello è il nome di un pericolo,
questo della salvezza".
L'apostolato dei laici
33. I laici, radunati nel Popolo di Dio e costituiti
nell'unico corpo di Cristo sotto un solo capo, chiunque essi siano, sono
chiamati come membra vive a contribuire con tutte le loro forze, ricevute dalla
bontà del Creatore e dalla grazia del Redentore, all'incremento della Chiesa e
alla sua ininterrotta santificazione.
L'apostolato dei laici è la partecipazione alla stessa
salvifica missione della Chiesa, e a questo apostolato sono tutti deputati dal
Signore stesso per mezzo del battesimo e della confermazione. Dai Sacramenti, e
specialmente dalla sacra eucaristia, viene comunicata e alimentata quella
carità verso Dio e gli uomini, che è l'anima di tutto l'apostolato. Ma i laici
sono particolarmente chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei
luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra
se non per loro mezzo. Così ogni laico, per ragione degli stessi doni ricevuti,
è il testimonio e insieme lo strumento vivo della missione della Chiesa stessa
" secondo la misura dei doni di Cristo" (Ef. 4, 7).
Oltre a questo apostolato, che spetta assolutamente a
tutti i fedeli, i laici possono anche essere chiamati in diversi modi a
collaborare più immediatamente con l'apostolato della gerarchia, alla maniera
di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano l'apostolo Paolo nel vangelo,
faticando molto per il Signore (cf. Fil. 4, 3; Rom. 16, 3 ss). Hanno inoltre
l'attitudine a essere assunti dalla gerarchia per esercitare, per un fine
spirituale, alcune funzioni ecclesiastiche.
Grava quindi su tutti i laici il glorioso peso di
lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno più tutti
gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra. Sia perciò loro aperta
qualunque via affinché, secondo le loro forze e le necessità dei tempi,
anch'essi attivamente partecipino all'opera salvifica della Chiesa.
Funzione sacerdotale e cultuale
34. Gesù Cristo, sommo ed eterno sacerdote, volendo anche
attraverso i laici continuare la sua testimonianza e il suo servizio, li
vivifica col suo Spirito e incessantemente li spinge a ogni opera buona e
perfetta.
A essi infatti, che intimamente congiunge alla sua vita e
alla sua missione, concede anche una parte della sua funzione sacerdotale per
esercitare un culto spirituale, affinché sia glorificato Dio e gli uomini siano
salvati. Perciò i laici, essendo dedicati a Cristo e consacrati dallo Spirito
santo, son in modo mirabile chiamati e istruiti perché lo Spirito produca in
essi frutti sempre più copiosi. Tutte infatti le loro opere, le preghiere e le
iniziative Apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero,
il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino
le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali
sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cf. 1 Pt. 2, 5); e queste cose nella
celebrazione dell'eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme
all'oblazione del corpo del Signore. Così anche i laici, operando santamente
dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso.
Funzione profetica e testimonianza
35. Cristo, il grande profeta, che con la testimonianza
della sua vita e con la virtù della sua parola ha proclamato il regno del
Padre, adempie la sua funzione profetica fino alla piena manifestazione della
gloria, non solo per mezzo della gerarchia, la quale insegna in nome e con il
potere di lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi
testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola (cf.
Atti 2, 17-18; Ap. 19, 10), perché la forza del vangelo risplenda nella vita
quotidiana, familiare e sociale. Essi si mostrano come i figli della promessa,
se forti nella fede e nella speranza mettono a profitto il tempo presente (cf.
Ef. 5, 16; Col. 4, 5) e nella pazienza aspettano la gloria futura (cf. Rom.
25). E questa speranza non la nascondano nell'interno del loro animo, ma con
una continua conversione e con la lotta " contro i dominatori di questo
mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni" (Ef. 6, 12) la esprimano
anche attraverso le strutture della vita secolare.
Come i Sacramenti della nuova legge, alimento della vita e
dell'apostolato dei fedeli, prefigurano il cielo nuovo e la nuova terra (cf.
Ap. 21, 1), così i laici sono gli araldi efficaci della fede nelle realtà che
speriamo (cf. Ebr. 11, 1), se senza incertezze uniscono alla professione della
fede una vita ispirata dalla fede. Questa evangelizzazione o annunzio di Cristo,
fatto con la testimonianza della vita e con la parola, acquista una certa nota
specifica e una particolare efficacia, dal fatto che viene compiuta nelle
comuni condizioni del secolo.
In questa funzione appare di grande valore quello stato di
vita, che è santificato da uno speciale sacramento: la vita coniugale e
familiare. Ivi si ha l'esercizio e un'eccellente scuola di apostolato dei
laici, dove la religione cristiana permea tutta la condotta della vita e ogni
giorno più la trasforma. Là i coniugi hanno la propria vocazione, per essere
uno all'altro e ai figli i testimoni della fede e dell'amore di Cristo. La
famiglia cristiana proclama ad alta voce le virtù presenti del regno di Dio e
la speranza della vita beata. Così col suo esempio e con la sua testimonianza
essa accusa il mondo di peccato e illumina quelli che cercano la verità.
I laici quindi, anche quando sono occupati in cure
temporali, possono e devono esercitare una preziosa azione per
l'evangelizzazione del mondo. Se alcuni di loro, in mancanza di sacri ministri
o essendo questi impediti in regime di persecuzione, suppliscono alcune
funzioni sacre nella misura delle loro facoltà; e se pure molti di loro
spendono tutte le loro forze nel lavoro Apostolico, bisogna tuttavia che tutti
cooperino alla dilatazione e all'incremento del regno di Cristo nel mondo.
Perciò i laici si applichino con diligenza all'approfondimento della verità
rivelata e impetrino insistentemente da Dio il dono della sapienza.
Funzione regale
36. Cristo, che si è fatto obbediente fino ella morte e
perciò è stato esaltato dal Padre (cf. Fil. 2, 8-9), è entrato nella gloria del
suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al
Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti (cf. 1
Cor. 15, 27-28). Questo potere egli l' ha comunicato ai discepoli, perché
anch'essi siano costituiti nella libertà regale e con l'abnegazione di sé e la
vita santa vincano in se stessi il regno del peccato (cf. Rom. 6, 12), anzi
servendo a Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro
fratelli al re, servire al quale è regnare. Il Signore infatti desidera
dilatare anche per mezzo dei fedeli laici il suo regno, regno "di verità e
di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, d'amore e di
pace"; e in questo regno anche la creazione stessa sarà liberata dalla
schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di
Dio (cf. Rom. 8, 21). Certamente una grande promessa e un grande comandamento è
dato ai discepoli: "Infatti tutto è vostro, voi siete di Cristo, e Cristo
è di Dio" (1 Cor. 3, 23).
I fedeli perciò devono riconoscere la natura intima di
tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio, e
aiutarsi a vicenda a una vita più santa anche con le opere secolari, così che
il mondo sia imbevuto dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il
suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace. Nel compiere nella sua
universalità questo dovere i laici hanno il posto di primo piano. Con la loro
competenza quindi nelle profane discipline e con la loro attività, elevata
intrinsecamente dalla grazia di Cristo, portino efficacemente l'opera loro,
perché i beni creati, secondo l'ordine del Creatore e la luce del suo Verbo,
siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica e dalla cultura per
l'utilità di tutti assolutamente gli uomini, e siano tra loro più giustamente
distribuiti e, nella loro misura, contribuiscano al progresso universale nella
libertà umana e cristiana. Così Cristo per mezzo dei membri della Chiesa
illuminerà sempre di più con la sua luce salvifica l'intera società umana.
Inoltre i laici, anche mettendo in comune la loro forza,
risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che
spingono i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme
della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù.
Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell'uomo. In
questo modo il campo del mondo sarà meglio preparato per il seme della parola
divina, e insieme più aperte saranno le porte della Chiesa, perché vi entri
l'annunzio della pace nel mondo.
IL DISEGNO
SALVIFICO UNIVERSALE DEL PADRE
36 - Funzione regale
A causa dell'economia stessa imparino i fedeli a
distinguere accuratamente fra i diritti e i doveri, che loro incombono in
quanto sono aggregati alla Chiesa, e quelli che loro competono in quanto membri
della società umana. Cerchino di metterli in armonia fra loro ricordandosi che in
ogni cosa temporale devono essere guidati dalla coscienza cristiana, poiché
nessuna attività umana, neanche in materia temporale, può essere sottratta al
dominio di Dio. Nell'epoca nostra è sommamente necessario che questa
distinzione e nello stesso tempo questa armonia risplendano nel modo più chiaro
possibile nella maniera di agire dei fedeli, affinché la missione della Chiesa
possa pienamente rispondere alle particolari condizioni del mondo moderno. Come
infatti si deve riconoscere che la città terrena, a ragione dedita alle cure
secolari, è retta da propri principi, così a ragione è rigettata la funesta
dottrina, che pretende di costruire la società senza tenere alcun conto della
religione, e impugna e sopprime la libertà religiosa dei cittadini.
Relazioni con la gerarchia
37. I laici, come tutti i fedeli, hanno il diritto di
ricevere abbondantemente dai sacri pastori i beni spirituali della Chiesa,
soprattutto gli aiuti della parola di Dio e dei Sacramenti; ai pastori quindi
manifestino le loro necessità e i loro desideri, con quella libertà e fiducia,
che si addice a figli di Dio e a fratelli in Cristo. Nella misura della
scienza, della competenza e del prestigio di cui godono, essi hanno il diritto,
anzi anche il dovere di far conoscere il loro parere su ciò che riguarda il
bene della Chiesa. Se occorra, si faccia questo attraverso le istituzioni
stabilite a questo scopo dalla Chiesa, e sempre con verità, fortezza e
prudenza, con rispetto e carità verso coloro che per ragione delle loro
funzioni sacre rappresentano Cristo.
I laici, come tutti i fedeli, con cristiana obbedienza
prontamente accettino ciò che i pastori, quali rappresentanti di Cristo,
stabiliscono come maestri e capi nella Chiesa, seguendo in ciò l'esempio di
Cristo, il quale con la sua obbedienza fino alla morte ha aperto a tutti gli
uomini la via beata della libertà dei figli di Dio. Né tralascino di
raccomandare a Dio nelle loro preghiere i loro superiori, che vegliano su di
essi come dovendo rendere conto delle nostre anime, perché lo facciano con
gioia e non gemendo (cf. Ebr. 13, 17)
D'altra parte i sacri pastori riconoscano a promuovano la
dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del
loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli incarichi per il
servizio della Chiesa e lascino loro libertà e campo di agire, anzi li
incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa.
Considerino attentamente in Cristo e con paterno affetto le iniziative, le
richieste e i desideri proposti dai laici. Con rispetto poi i pastori
riconosceranno quella giusta libertà, che a tutti compete nella città
terrestre.
Da questi familiari rapporti tra laici e pastori si devono
attendere molti vantaggi per la Chiesa: in questo modo infatti è fortificato
nei laici il senso della loro responsabilità, ne è favorito lo slancio e le
loro forze più facilmente vengono associate all'opera dei pastori. E questi,
aiutati dall'esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e più
giustamente sia in materia spirituale che temporale; così che tutta la Chiesa,
sostenuta da tutti i suoi membri, possa compiere con maggiore efficacia la sua
missione per la vita del mondo.
I laici, anima del mondo
38. Ogni laico deve essere davanti al mondo il testimone
della resurrezione e della vita del Signore Gesù e il segno del Dio vivo. Tutti
insieme, e ognuno per la sua parte, devono alimentare il mondo con i frutti
spirituali (cf. Gal. 5, 22) e in esso diffondere lo spirito, da cui sono
animati i poveri, i miti e i pacifici, che il Signore nel vangelo proclamò
beati (cf. Mt. 5, 3-9). In una parola: "ciò che l'anima è nel corpo,
questo siano nel mondo i cristiani".
CAPITOLO V
UNIVERSALE
VOCAZIONE ALLA SANTITÀ NELLA CHIESA
La santità nella Chiesa
39. Noi crediamo che la Chiesa, il cui mistero è esposto
nel sacro concilio, è indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio,
il quale col Padre e lo Spirito è proclamato "il solo santo", ha
amato la Chiesa come sua sposa e ha dato se stesso per essa, al fine di
santificarla (cf. Ef. 5, 25-26), e l' ha unita a sé come suo corpo e l' ha
riempita col dono dello Spirito santo, per la gloria di Dio. Perciò tutti nella
Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia sia che da essa siano diretti, sono
chiamati alla santità, secondo il detto dell'apostolo: "La volontà di Dio
è questa, che vi santifichiate" (1 Tess. 4, 3; cf. Ef. 1, 4). Questa
santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei
frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli; si esprime in varie
forme presso i singoli, i quali, nella vita che è loro propria, giungono alla
perfezione della carità edificando gli altri; in un modo tutto suo proprio si
manifesta nella pratica dei consigli che si sogliono chiamare evangelici.
Questa pratica dei consigli, abbracciata da molti cristiani per impulso dello
Spirito santo, sia privatamente che in una condizione o in uno stato sanzionato
dalla Chiesa, porta e deve portare nel mondo una testimonianza e un esempio
splendidi della sua santità.
Vocazione universale alla santità
40. Il signore Gesù, maestro e modello divino di ogni
perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha
predicato la santità della vita, di cui egli stesso è l'autore e il
perfezionatore: " Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre
celeste" (Mt. 5, 48). Ha mandato infatti a tutti lo Spirito santo, che li
muovesse dall'interno ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con
tutta la mente, con tutte le forze (cf. Mc. 12, 30), e ad amarsi a vicenda come
Cristo ha amato loro (cf. Gv. 13, 34; 15, 12). I seguaci di Cristo, chiamati da
Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e
giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti
veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente
santi. Essi quindi devono, con l'aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e
perfezionare la santità che hanno ricevuta. Li ammonisce l'apostolo che vivano
" come si conviene ai santi" (Ef. 5, 3), e si rivestano, "come
si conviene a eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di
bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza" (Col. 3, 12), e abbiano i
frutti dello Spirito per la santità (cf. Gal. 5, 22; Rom. 6, 22). E poiché
tutti commettiamo falli in molte cose (cf. Giac. 3, 2), abbiamo continuamente
bisogno della misericordia di Dio e dobbiamo ogni giorno pregare: "E
rimetti a noi i nostri debiti" (Mt. 6, 12).
E' chiaro dunque a tutti che tutti i fedeli di qualsiasi
stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla
perfezione della carità: da questa santità è promosso, anche nella società
terrena, un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione, i fedeli
usino le forze ricevute secondo la misura di doni di Cristo, affinché, seguendo
il suo esempio e fattisi conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla
volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e
al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà apportando
frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della Chiesa,
dalla vita di tanti santi.
Multiforme esercizio dell'unica santità
41. Nei vari generi di vita e nelle varie professioni
un'unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di
Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adorando in spirito e verità Dio Padre,
seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere
partecipi della sua gloria. Ognuno secondo i propri doni e le proprie funzioni
deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la
speranza e opera per mezzo della carità.
In primo luogo i pastori del gregge di Cristo devono, a
immagine del sommo ed eterno sacerdote, pastore e vescovo delle anime nostre,
compiere con santità e slancio, con umiltà e fortezza il proprio ministero, il
quale, così adempiuto, sarà anche per loro un eccellente mezzo di
santificazione. Eletti alla pienezza del Sacerdozio, è loro data la grazia
sacramentale affinché, pregando, sacrificando, e predicando, con ogni forma
della cura e del servizio episcopale esercitino l'ufficio perfetto della carità
pastorale, non temano di dare la propria vita per le pecore e, fattisi il
modello del gregge (cf. 1 Pt. 5, 3), spingano anche col proprio esempio la
Chiesa a una santità ogni giorno più grande.
I Presbiteri, a somiglianza dell'ordine dei Vescovi, dei
quali formano la corona spirituale, partecipando alla grazia del loro incarico
per mezzo di Cristo, eterno e unico mediatore, mediante il quotidiano esercizio
del proprio ufficio crescano nell'amore di Dio e del prossimo, conservino il
vincolo della comunione sacerdotale, abbondino in ogni bene spirituale e diano
a tutti la viva testimonianza di Dio, emuli di quei sacerdoti che, nel corso
dei secoli, in un servizio spesso umile e nascosto hanno lasciato uno splendido
esempio di santità. La loro lode risuona nella Chiesa di Dio. Pregando e
offrendo il sacrificio, in virtù della loro carica, per il loro popolo e per
tutto il popolo di Dio, riconoscendo ciò che fanno e imitando ciò che
amministrano, anziché essere ostacolati dalle cure Apostoliche, dai pericoli e
dalle tribolazioni, ascendano piuttosto per mezzo di esse a una maggiore
santità, nutrendo e dando slancio con l'abbondanza della contemplazione alla
propria attività, per il conforto di tutta la Chiesa di Dio. Tutti i sacerdoti,
e specialmente quelli che per lo speciale titolo della loro ordinazione sono
detti sacerdoti diocesani, ricordino quanto contribuiscano alla loro
santificazione la fedele unione e la generosa cooperazione col proprio vescovo.
Della missione e della grazia del sacerdote supremo
partecipano in una maniera particolare anche i ministri di un ordine inferiore,
e prima di tutto i Diaconi, i quali, essendo al servizio dei misteri di Dio e
della Chiesa, devono mantenersi puri da ogni vizio e piacere a Dio e studiarsi
di fare ogni genere di opere buone davanti agli uomini (cf. 1 Tit. 3, 8-10 e
12-13). I chierici che, chiamati dal Signore e segregati per essere la sua
parte, sotto la vigilanza dei pastori si preparano alle funzioni dei ministri,
sono tenuti a conformare le loro menti e i loro cuori a una così eccelsa
elezione: assidui nell'orazione, ferventi nella carità, intenti a quanto è
vero, giusto ed è di buona riputazione, tutto operando per la gloria e l'onore
di Dio. A questi si aggiungono quei laici eletti da Dio, i quali sono chiamati
dal vescovo perché si diano più completamente alle opere Apostoliche, e che nel
campo del Signore lavorano con molto frutto.
I coniugi e i genitori cristiani, seguendo la loro propria
via, devono con un amore fedele sostenersi a vicenda nella grazia per tutta la
Vita e istruire nella dottrina cristiana e nelle virtù evangeliche la prole,
che hanno con amore ricevuto da Dio. Così infatti offrono a tutti l'esempio di
un amore instancabile e generoso, edificano una fraternità di carità e
diventano i testimoni e i cooperatori della fecondità della madre Chiesa, in
segno e in partecipazione di quell'amore, col quale Cristo ha amato la sua
sposa e si è dato per lei. Un simile esempio è offerto in altro modo dalle
persone vedove e da quelle non sposate, le quali pure possono contribuire non
poco alla santità e alla operosità della Chiesa. Quelli poi che sono dediti
alle fatiche, spesso dure, devono con le opere umane perfezionare se stessi,
aiutare i concittadini e far progredire tutta la società e la creazione verso
uno stato migliore, ma anche, con una carità operosa, lieti nella speranza e
portando gli uni i pesi degli altri, imitare Cristo, le cui mani si
esercitarono in lavori di carpentiere e che sempre opera col Padre alla
salvezza di tutti, e infine con lo stesso loro quotidiano lavoro ascendere a
una più alta santità anche sotto la forma Apostolica.
E sappiano che sono pure uniti in modo speciale a Cristo,
che soffre per la salvezza del mondo, quelli che sono oppressi dalla povertà,
dalla debolezza, dalla malattia e dalle varie tribolazioni, o soffrono
persecuzione per la giustizia: il Signore nel vangelo li ha proclamati beati, e
il "Dio... di ogni grazia, che ci ha chiamati all'eterna sua gloria in
Cristo Gesù, dopo un pò di patire, li condurrà egli stesso a perfezione e li
renderà stabili e sicuri" (1 Pt. 5, 10)
Tutti i fedeli quindi nelle loro condizioni di vita, nei
loro lavori o circostanze, e per mezzo di tutte queste cose, saranno ogni
giorno più santificati se tutto prendono con fede dalla mano del Padre celeste,
e cooperano con la volontà divina, manifestando a tutti, nello stesso servizio
temporale, la carità con la quale Dio ha amato il mondo.
Vie e mezzi della santità
42. " Dio è amore e chi sta fermo nell'amore, sta in
Dio e Dio in lui" (1 Gv. 4, 16). Ora Dio ha largamente diffuso il suo
amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci fu dato (cf. Rom.
5, 5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo
Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Dio. Ma perché la carità come un
buon seme cresca nell'anima e vi fruttifichi, ogni fedele deve ascoltare
volentieri la parola di Dio e, coll'aiuto della sua grazia, compiere con le
opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai Sacramenti, soprattutto
all'eucaristia e alla santa liturgia; applicarsi costantemente alla preghiera,
all'abnegazione di se stesso, al servizio attivo dei fratelli e all'esercizio
di ogni virtù. La carità, infatti, vincolo della perfezione e compimento della
legge (cf. Col. 3, 14; Rom. 13, 10), dirige tutti i mezzi di santificazione, dà
loro forma e li conduce al loro fine. Perciò il vero discepolo di Cristo si
caratterizza dalla carità sia verso Dio che verso il prossimo.
Avendo Gesù, Figlio di Dio, manifestato la sua carità
dando per noi la sua vita, nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua
vita per lui e per i suoi fratelli (cf. 1 Gv. 3, 10; Gv. 15, 13). Già fino dai
primi tempi, quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e lo saranno sempre,
a rendere questa massima testimonianza d'amore davanti a tutti, e specialmente
davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso
simile al maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e
a lui si conforma nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come il
dono eccezionale e la suprema prova della carità. Che se a pochi il martirio è
concesso, devono però tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli
uomini, e a seguirlo sulla via della croce attraverso le persecuzioni, che non
mancano mai alla Chiesa.
La santità della Chiesa è ancora in modo speciale favorita
dai molteplici consigli di cui il Signore nel vangelo propone l'osservanza ai
suoi discepoli. Tra essi eccelle questo prezioso dono della grazia divina, dato
dal Padre ad alcuni (cf. Mt. 19, 11; 1 Cor. 7, 7) di votarsi a Dio solo più
facilmente e con un cuore senza divisioni (cf. 1 Cor. 7, 32-34) nella verginità
e nel celibato. Questa perfetta continenza per il regno dei cieli è sempre
stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, come un segno e uno stimolo della
carità e come una speciale sorgente di spirituale fecondità nel mondo.
La Chiesa ripensa anche al monito dell'apostolo, il quale
incitando i fedeli alla carità, li esorta ad avere in sé i sentimenti, che
erano in Cristo Gesù, il quale "spogliò se stesso, prendendo la natura di
un servo... facendosi obbediente fino alla morte" (Fil. 2, 7-8), e per noi
"da ricco che egli era si fece povero" (2 Cor. 8, 9). Pur dovendo
sempre i discepoli manifestare l'imitazione e la testimonianza di questa carità
e umiltà di Cristo, si rallegra la madre Chiesa di trovare nel suo seno molti
uomini e donne, che seguono più da vicino questo annientamento del Salvatore e
più chiaramente lo mostrano, abbracciando la povertà nella libertà dei figli di
Dio e rinunciando alla propria volontà: essi cioè, in ciò che riguarda la
perfezione, si sottomettono a un uomo per Dio al di là della stretta misura del
precetto, al fine di conformarsi più pienamente a Cristo obbediente.
Tutti i fedeli quindi sono invitati e tenuti a tendere
alla santità e alla perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di
rettamente dirigere i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo
mondo e dall'attaccamento alle ricchezze, contrario allo spirito della povertà
evangelica, non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce
infatti l'apostolo: "Quelli che si servono di questo mondo non vi si
adagino poiché passa la figura di questo mondo (cf. 1 Cor. 7, 31 gr.).
capitolo vi
I RELIGIOSI
I consigli evangelici nella Chiesa
43. I consigli evangelici della castità consacrata a Dio,
della povertà e dell'obbedienza, fondati sulle parole e sugli esempi del
Signore e raccomandati dagli Apostoli, dai padri, dai dottori e dai pastori
della Chiesa, sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e
che con la sua grazia sempre conserva. Ora l'autorità della Chiesa, sotto la
guida dello Spirito santo, si è data cura di interpretarli, di regolarne la
pratica e anche di stabilire, a partire da essi, forme stabili di vita. Avvenne
quindi che, come in un albero piantato da Dio e in un modo mirabile e
molteplice ramificatosi nel campo del Signore, sono cresciute varie forme di
vita solitaria o comune e varie famiglie, che si sviluppano sia per il profitto
dei loro membri, sia per il bene di tutto il corpo di Cristo. Quelle famiglie
infatti forniscono ai loro membri gli aiuti di una maggiore stabilità nel modo
di vivere, di una dottrina approvata per il conseguimento della perfezione,
della comunione fraterna nella milizia di Cristo, di una libertà fortificata
dall'obbedienza, così che possano adempiere con sicurezza e custodire con
fedeltà la loro professione religiosa, e progredire gioiosi di spirito nella
via della carità.
Un simile stato, se si tiene conto della divina e
gerarchica costituzione della Chiesa, non è intermedio tra la condizione dei
chierici e quella dei laici, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono
chiamati da Dio a godere di questo speciale dono della vita della Chiesa e ad
aiutare, ciascuno a suo modo, la missione salvifica di essa.
Natura a importanza dello stato religioso
44. Con i voti o con altri sacri legami, secondo il loro
modo proprio assimilati ai voti, con i quali il fedele si obbliga
all'osservanza dei tre predetti consigli evangelici, egli si dona totalmente a
Dio sommamente amato, così da essere con nuovo e speciale titolo destinato al
servizio e all'onore di Dio. Col battesimo è morto al peccato e consacrato a
Dio; ma per potere raccogliere un frutto più copioso della grazia battesimale,
con la professione dei consigli evangelici nella Chiesa intende liberarsi dagli
impedimenti, che potrebbero ritardarlo nel fervore della carità e nella
perfezione del culto divino, e viene consacrato più intimamente al servizio di
Dio. Questa consacrazione sarà tanto più perfetta, quanto più solidi e stabili
sono i vincoli, con i quali è rappresentato Cristo indissolubilmente unito alla
Chiesa sua sposa.
Ma poiché i consigli evangelici, per mezzo della carità
alla quale conducono, uniscono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al
suo mistero, la loro vita spirituale deve pure essere consacrata al bene di
tutta la Chiesa. Di qui ne deriva il dovere di lavorare, secondo le loro forze
e il genere della propria vocazione, sia con la preghiera, sia anche con
l'opera attiva, a radicare e consolidare negli animi il regno di Cristo e a
dilatarlo in ogni parte della terra. E per questo anche la Chiesa difende e
sostiene il carattere proprio dei vari istituti religiosi.
La professione dei consigli evangelici appare dunque come
un segno, che può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a
compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana. Poiché infatti il
popolo di Dio non ha qui città permanente, ma va in cerca della futura, lo
stato religioso, che rende più liberi i suoi seguaci dalle cure terrene, rende
visibile per tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni
celesti, meglio testimonia la vita nuova ed eterna, acquistata dalla redenzione
di Cristo, e meglio preannunzia la futura ressurrezione e la gloria del regno
celeste. Parimenti lo stato religioso più fedelmente imita e continuamente
rappresenta nella Chiesa la forma di vita, che il Figlio di Dio prese quando
venne nel mondo per fare la volontà del Padre e che propose ai discepoli che lo
seguivano. Infine, in un modo speciale manifesta l'elevatezza del regno di Dio
sopra tutte le cose terrestri e le sue esigenze supreme; dimostra pure a tutti
gli uomini la preminente grandezza della virtù di Cristo regnante e la infinita
potenza dello Spirito santo, mirabilmente operante nella Chiesa.
Importanza dello
stato religioso
Lo stato dunque, che è costituito dalla professione dei
consigli evangelici, pur non appartenendo alla struttura gerarchica della
Chiesa, interessa tuttavia indiscutibilmente alla sua vita e alla sua santità.
Autorità della Chiesa e stato religioso
45. Essendo il compito della gerarchia ecclesiastica
pascere il popolo di Dio e condurlo a pascoli ubertosi (cf. Ez. 34, 14), spetta
ad essa di regolare sapientemente con le sue leggi la pratica dei consigli
evangelici, dai quali la perfezione della carità verso Dio e verso il prossimo
è in modo singolare aiutata. Essa inoltre, docilmente seguendo gli impulsi
dello Spirito santo, accoglie le regole proposte da eminenti uomini e donne e
quando sono state ulteriormente ordinate, le approva autorevolmente. Con la sua
volontà vigile e protettrice essa viene pure in aiuto agli istituti, dovunque
eretti per l'edificazione del corpo di Cristo, perché abbiano in ogni modo a
crescere e fiorire secondo lo spirito dei fondatori.
Perché poi sia meglio provveduto alle necessità
dell'intero gregge del Signore, ogni istituto di perfezione e i singoli membri
possono dal romano pontefice, per il suo primato su tutta la Chiesa, in vista
della comune utilità, essere esentati dalla giurisdizione degli ordinari del
luogo ed essere sottoposti a lui solo. Similmente possono essere lasciati o
affidati alle rispettive autorità patriarcali. Gli stessi membri nel compiere,
secondo il loro speciale genere di vita, il loro compito verso la Chiesa,
devono, conforme alle leggi canoniche, prestare riverenza e obbedienza ai
Vescovi, a causa della loro autorità pastorale nelle chiese particolari e per
l'unità e la concordia necessarie nel lavoro Apostolico.
La Chiesa non solo erige con la sua sanzione la
professione religiosa alla dignità di uno stato canonico, ma anche con la sua
azione liturgica la presenta come stato consacrato a Dio. La stessa Chiesa
infatti, con l'autorità affidatale da Dio, riceve i voti di quelli che fanno la
professione, per loro impetra da Dio con la sua preghiera pubblica i soccorsi
della sua grazia, li raccomanda a Dio e impartisce loro la benedizione
spirituale, associando la loro oblazione al sacrificio eucaristico.
Grandezza della consacrazione religiosa
46. I religiosi pongano ogni cura, affinché per loro mezzo
la Chiesa ogni giorno meglio presenti Cristo ai fedeli e agli infedeli, o
mentre egli contempla sul monte, o annunzia il regno di Dio alle turbe, o
risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i
fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che
lo ha mandato.
Tutti infine abbiano ben chiaro che la professione dei
consigli evangelici, quantunque comporti la rinunzia di beni certamente molto
apprezzabili, non si oppone al vero sviluppo della persona umana, ma per la sua
stessa natura gli è di grandissimo giovamento. Infatti i consigli, abbracciati
volontariamente secondo la personale vocazione di ognuno, aiutano non poco alla
purificazione del cuore e alla libertà spirituale, tengono continuamente acceso
il fervore della carità e, come è comprovato dall'esempio di tanti santi
fondatori, hanno soprattutto la forza di maggiormente conformare il cristiano
al genere di vita verginale e povera, che Cristo Signore si scelse per sé e che
la vergine Madre sua abbracciò. Né pensi alcuno che i religiosi con la loro
consacrazione diventino o estranei agli uomini o inutili nella città terrena.
Poiché, anche se talora non sono direttamente presenti ai loro contemporanei,
li tengono tuttavia presenti in modo più profondo nel cuore di Cristo e con
essi collaborano spiritualmente, affinché la costruzione della città terrena
sia sempre fondata nel Signore e a lui diretta, né avvenga che lavorino invano
quelli che la stanno costruendo.
Perciò il sacro concilio conferma e loda gli uomini e le
donne, i fratelli e le sorelle, i quali nei monasteri, o nelle scuole e negli
ospedali, o nelle missioni, con perseverante e umile fedeltà alla predetta
consacrazione, onorano la sposa di Cristo e a tutti gli uomini prestano
generosi e diversissimi servizi.
Esortazione alla perseveranza
47. Ognuno poi, che è chiamato alla professione dei
consigli, ponga ogni cura nel perseverare e maggiormente eccellere nella
vocazione a cui Dio l' ha chiamato, per la più grande santità della Chiesa e
per la maggior gloria della Trinità una e indivisa, la quale in Cristo e per
mezzo di Cristo è la fonte e l'origine di ogni santità.
CAPITOLO VII
INDOLE
ESCATOLOGICA DELLA CHIESA PEREGRINANTE
E SUA
UNIONE CON LA CHIESA CELESTE
Indole escatologica
della nostra vocazione
48. La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo
Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non
avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo
della restaurazione di tutte le cose (Atti 3, 21), e quando col genere umano
anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l'uomo e per mezzo di
lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo (cf. Ef. 1,
10; Col. 1, 20; 2 Pt. 3, 10-13).
Cristo, quando fu levato in alto da terra, attirò tutti a
sé (cf. Gv. 12, 32 gr.); risorgendo dai morti (cf. Rom. 6, 9) immise negli
Apostoli il suo Spirito vivificante, per mezzo del quale costituì il suo corpo,
che è la Chiesa, come un sacramento universale di salvezza; sedendo alla destra
del Padre opera continuamente nel mondo per condurre gli uomini alla Chiesa e
attraverso di essa unirli più strettamente a sé e, col nutrimento del proprio
corpo e del proprio sangue, renderli partecipi della sua vita gloriosa. Quindi
la promessa restaurazione che aspettiamo è già incominciata in Cristo, è
portata innanzi nella missione dello Spirito santo e per mezzo di lui continua
nella Chiesa, nella quale siamo dalla fede istruiti anche sul senso della
nostra vita temporale, mentre portiamo a termine con la speranza dei beni
futuri, l'opera a noi affidata nel mondo dal Padre e diamo compimento alla
nostra salvezza (cf. Fil. 2, 12).
Già dunque è arrivata a noi l'ultima fase dei tempi (cf. 1
Cor. 10, 1) e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in
un certo modo realmente è anticipata in questo mondo: difatti la Chiesa già
sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta. Ma fino a che
non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua
dimora (cf. 2 Pt. 3, 13), la Chiesa pellegrinante, nel suo Sacramenti e nelle
sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di
questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio
del parto sino ad ora e sospirano la manifestazione dei figli di Dio (cf. Rom.
8, 19-22).
Uniti dunque a Cristo nella Chiesa e segnati dal sigillo
dello Spirito santo "che è caparra della nostra eredità" (Ef. 1, 14),
con verità siamo chiamati, e lo siamo, figli di Dio (cf. 1 Gv. 3, 1), ma non
siamo ancora apparsi con Cristo nella gloria (cf. Col. 3, 4), nella quale
saremo simili a Dio, perché lo vedremo qual è (cf. 1 Gv. 3, 2). Pertanto,
" finché abitiamo in questo corpo siamo esuli lontani dal Signore" (2
Cor. 5, 6) e avendo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi (cf. Rom.
8, 23) e bramiamo di essere con Cristo (cf. Fil. 1, 23). Dalla stessa carità
siamo spronati a vivere più intensamente per Lui, che per noi è morto e
risuscitato (cf. 2 Cor. 5, 15). E per questo ci sforziamo di essere in tutto
graditi al Signore (cf. 2 Cor. 5, 9) e indossiamo l'armatura di Dio per potere
star saldi contro gli agguati del diavolo e tener fronte nel giorno cattivo
(cf. Ef. 6, 11-13). Siccome poi non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna,
come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico
corso della nostra vita terrena (cf. Ebr. 9, 27), meritiamo con lui di entrare
al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati (cf. Mt. 25, 31-46), né
ci si comandi, come a servi cattivi e pigri (cf. Mt. 25, 26), di andare al
fuoco eterno (cf. Mt. 25, 41), nelle tenebre esteriori dove "ci sarà
pianto e stridore di denti" (Mt. 22, 23 e 25, 30). Prima infatti di
regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo "davanti al tribunale
di Cristo, perché ciascuno ritrovi ciò che avrà fatto quando era nel suo corpo,
sia in bene che in male" (2 Cor 5, 10), e alla fine del mondo "ne
usciranno, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il
reale a risurrezione di condanna" (Gv. 5, 29; cf. Mt. 25, 46). Stimando
dunque che " le sofferenze del tempo presente non sono adeguate alla
futura gloria, che si manifesterà in noi" (Rom. 8, 18; cf. 2 Tim. 2,
11-12), forti nella fede aspettiamo "la beata speranza e la manifestazione
gloriosa del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" (Tito 2, 13),
"il quale trasformerà allora il nostro misero corpo, rendendolo conforme
al suo corpo glorioso" (Fil. 3, 21), e verrà " per essere glorificato
nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che avranno creduto" (2 Tess. 1,
10).
Comunione della Chiesa celeste con la Chiesa pellegrinante
49. Fino a che dunque il Signore non verrà nella sua
gloria e tutti gli angeli con lui (cf. Mt. 25, 31) e, distrutta la morte, non
gli saranno sottomesse tutte le cose (cf. 1 Cor. 15, 26-27), alcuni dei suoi
discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita
stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando
"chiaramente Dio uno e trino, qual è"; tutti però, sebbene in grado e
modo diverso, comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo e cantiamo
al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Tutti quelli che sono di Cristo,
infatti, avendo il suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in
lui (cf. Ef. 4, 16). L'unione quindi di coloro che sono in cammino coi fratelli
morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne
fede della Chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali. A
causa infatti della loro più intima comunione con Cristo i beati rinsaldano
tutta la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in
terra e in molteplici maniere contribuiscono a una sua più ampia edificazione
(cf. 1 Cor. 12, 12-27). Perché, ammessi nella patria e presenti davanti al
Signore (cf. 2 Cor. 5, 8), per mezzo di lui, con lui e in lui non cessano di
intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra
mediante Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1 Tim. 2, 5),
servendo al Signore in ogni cosa e dando compimento nella loro carne, a ciò che
manca alle sofferenze di Cristo per il suo corpo, che è la Chiesa (cf. Col. 1,
24). La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna
sollecitudine.
Relazioni della Chiesa pellegrinante con la Chiesa celeste
50. La Chiesa di quelli che sono in cammino, riconoscendo
benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai
primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la
memoria dei defunti) e, poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare
per i defunti perché siano assolti dai peccati" (2 Mac. 12, 46), ha
offerto per loro anche i suoi suffragi. Che gli Apostoli e i martiri di Cristo,
i quali con l'effusione del loro sangue avevano dato la suprema testimonianza
della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti in Cristo, la
Chiesa lo ha sempre creduto, e li ha con un particolare affetto venerati
insieme con la beata vergine Maria e i santi angeli, e ha pienamente implorato
l'aiuto della loro intercessione. A questi in breve furono aggiunti anche
altri, che avevano più da vicino imitato la verginità e povertà di Cristo, e
infine gli altri, il cui singolare esercizio delle virtù cristiane e i divini
carismi li raccomandavano alla pia devozione e all'imitazione dei fedeli.
Mentre infatti consideriamo la vita di coloro che hanno
seguito fedelmente Cristo, per un motivo in più ci sentiamo spinti a cercare la
città futura (cf. Ebr. 13, 14 e 11, 10) e insieme ci è insegnata la via
sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo, potremo arrivare alla
perfetta unione con Cristo, cioè alla santità, secondo lo stato e la condizione
propria di ciascuno. Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra
natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di
Cristo (cf. 2 Cor. 3, 18), Dio manifesta vividamente agli uomini la sua
presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci mostra il
segno del suo regno, verso il quale, avendo davanti a noi un tal nugolo di
testimoni (cf. Ebr. 12, 1) e una tale affermazione della verità del vangelo,
siamo potentemente attirati.
Però non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo
d'esempio, ma più ancora perché l'unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia
consolidata dall'esercizio della fraterna carità (cf. Ef. 4, l-6). Poiché come
la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a
Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla
fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo
di Dio. E' quindi sommamente giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù
Cristo e anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che per essi rendiamo le
dovute grazie a Dio, che "rivolgiamo loro supplici preghiere e ricorriamo
alle loro preghiere e al loro potente aiuto per impetrare grazie da Dio
mediante il figlio suo Gesù Cristo, signore nostro, il quale solo è il nostro
Redentore e Salvatore". Infatti ogni nostra autentica attestazione di
amore fatta ai santi per sua natura tende e termina a Cristo che è "la
corona di tutti i santi", e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi e
in essi è glorificato.
La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera
nobilissima, quando, specialmente nella sacra liturgia, nella quale la virtù
dello Spirito santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in comune
esultanza cantiamo le lodi della divina maestà, e tutti, di ogni tribù e
lingua, di ogni popolo e nazione, riscattati col sangue di Cristo (cf. Ap. 5,
9) e radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifichiamo Dio
uno e trino. Perciò quando celebriamo il sacrificio eucaristico ci uniamo in
sommo grado al culto della Chiesa celeste comunicando con essa e venerando la
memoria soprattutto della gloriosa sempre vergine Maria, ma anche del beato
Giuseppe e dei beati Apostoli e martiri e di tutti i santi.
51. Questa veneranda fede dei nostri padri circa la nostra
vitale unione con i fratelli che sono nella gloria celeste o che ancora dopo la
morte stanno purificandosi, questo sacrosanto concilio la riceve con grande
pietà e nuovamente propone i decreti dei sacri concili Niceno II, Fiorentino e
Tridentino. E insieme in ragione della sua pastorale sollecitudine, esorta
tutti quelli a cui spetta, perché, se si fossero infiltrati qua e là abusi,
eccessi o difetti, si adoperino per toglierli e correggerli e tutto restaurino
per una più piena lode di Cristo e di Dio. Insegnino dunque ai fedeli che il
culto autentico dei santi non consiste tanto nella molteplicità degli atti
esteriori quanto piuttosto nell'intensità del nostro amore attivo, col quale,
per il maggiore bene nostro e della Chiesa, cerchiamo "dalla vita dei
santi l'esempio, dalla comunione con loro la partecipazione, e dalla loro
intercessione l'aiuto". E d'altra parte insegnino ai fedeli che il nostro
rapporto con i beati, purché lo si concepisca a una più piena luce della fede,
non diminuisce affatto il culto latreutico, dato a Dio Padre mediante Cristo
nello Spirito, ma, anzi lo intensifica.
Tutti, infatti, quanti siamo figli di Dio e costituiamo in
Cristo una sola famiglia (cf. Ebr. 3, 6), mentre comunichiamo tra di noi nella
mutua carità e nell'unica lode della Trinità santissima, corrispondiamo
all'intima vocazione della Chiesa e pregustando partecipiamo alla liturgia
della gloria eterna. Infatti quando Cristo apparirà e vi sarà la gloriosa
risurrezione dei morti, lo splendore di Dio illuminerà la città celeste e la
sua lucerna sarà l'Agnello (cf. Ap. 21, 23). Allora tutta la Chiesa dei santi
nella suprema felicità dell'amore adorerà Dio e "l'Agnello che è stato
ucciso" (Ap. 5, 12), esclamando a una sola voce: "A colui che siede
sul trono e all'Agnello va la benedizione, l'onore, la gloria e il dominio per
tutti i secoli" (Ap. 5, 13).
CAPITOLO VIII
LA BEATA
MARIA VERGINE MADRE DI DIO
NEL MISTERO
DI CRISTO E DELLA CHIESA
I - PROEMIO
Maria nel mistero di Cristo
52. Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere
la redenzione del mondo, "quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo
figlio, fatto da una donna... affinché ricevessimo l'adozione in
figliuoli" (Gal. 4, 4-5). Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è
disceso dal cielo e si incarnò per opera dello Spirito santo da Maria
vergine". Questo divino mistero della salvezza ci è rivelato ed è
continuato nella Chiesa, che il Signore ha costituito quale suo corpo e nella
quale i fedeli che aderiscono a Cristo capo e sono in comunione con tutti i
suoi santi, devono pure venerare la memoria "innanzi tutto della gloriosa
sempre vergine Maria, madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo".
Maria e la Chiesa
53. Infatti la vergine Maria, che all'annunzio dell'angelo
accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è
riconosciuta e onorata come la vera madre di Dio e del Redentore. Redenta in
modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo e a lei unita da uno
stretto e indissolubile vincolo, è insignita della somma carica e della dignità
di madre del Figlio di Dio, e perciò è la figlia prediletta del Padre e il
tempio dello Spirito santo; per questo dono di una grazia eminente precede di
molto tutte le altre creature, celesti e terrestri. Insieme però è unita, nella
stirpe di Adamo, con tutti gli uomini bisognosi di salvezza, anzi è
"veramente madre delle membra (di Cristo)... perché... ha cooperato con la
sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali di quel capo sono lo
membra". Per questo è anche riconosciuta quale sovranamente e del tutto
singolare membro della Chiesa e sua immagine ed eccellentissimo modello nella
fede e nella carità, e la Chiesa cattolica, edotta dallo Spirito santo, con affetto
di pietà filiale la venera come una madre amatissima.
L'intenzione del concilio
54. Perciò il santo concilio, mentre espone la dottrina
riguardante la Chiesa, nella quale il divino Redentore opera la salvezza,
intende illustrare attentamente sia la funzione della beata Vergine nel mistero
del Verbo incarnato e del corpo mistico, sia i doveri degli uomini redenti
verso la madre di Dio, madre di Cristo e madre degli uomini, specialmente dei
fedeli, pur senza aver in animo di proporre una dottrina esauriente su Maria,
né di dirimere questioni che il lavoro dei teologi non ha ancora pienamente
illustrato. Permangono quindi nel loro diritto le opinioni, che nelle scuole
cattoliche vengono liberamente proposte circa colei, che nella Chiesa santa
occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi.
55. I libri dell'antico e del nuovo testamento e la
veneranda tradizione mostrano in modo sempre più chiaro la funzione della madre
del Salvatore nella economia della salvezza, e per così dire la propongono alla
nostra considerazione. I libri dell'antico testamento descrivono la storia
della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo
nel mondo. E questi primitivi documenti, come sono letti nella Chiesa e sono
capiti alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre
più chiaramente in luce la figura della donna, madre del Redentore. Sotto
questa luce ella viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai
progenitori caduti nel peccato, circa la vittoria sul serpente (cf. Gen. 3,
15). Parimenti, ella è la vergine che concepirà e partorirà un figlio, il cui
nome sarà Emanuele (cf. Is. 7, 14; Mt. 5, 2-3; Mt. 1, 22-23). Ella primeggia
tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono
da lui la salvezza. E infine con lei, la eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga
attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova economia,
quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana, per liberare coi
misteri della sua carne l'uomo dal peccato.
Maria nell'annunciazione
56. Volle il Padre delle misericordie che l'accettazione
di colei che era predestinata a essere la madre precedesse l'incarnazione,
perché così, come la donna aveva contribuito a dare la morte, la donna
contribuisse a dare la vita. E questo vale in modo straordinario della madre di
Gesù, la quale ha dato al mondo la vita stessa, che tutto rinnova, e da Dio è
stata arricchita di doni degni di una così grande carica. Nessuna meraviglia
quindi se presso i santi padri invalse l'uso di chiamare la madre di Dio la
tutta santa, immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito santo quasi
plasmata e resa una nuova creatura. Adornata fin dal primo istante della sua
concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare, la Vergine di
Nazaret è, per ordine di Dio, salutata dall'angelo dell'annunciazione come
"piena di grazia" (cf. Lc. 1, 28) e al celeste messaggero ella
risponde: "Ecco la serva del Signore, si faccia in me secondo la tua
parola" (Lc. 1, 38). Così Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla
parola divina, è diventata madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e
senza essere ritardata da alcun peccato, la volontà divina di salvezza, si è
offerta totalmente come la serva del Signore alla persona e all'opera del
Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione sotto di lui e
con lui, con la grazia di Dio onnipotente. Giustamente quindi i santi padri
ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma
che cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come
dice s. Ireneo, ella "obbedendo divenne causa della salvezza per sé e per
tutto il genere umano". Onde non pochi antichi padri nella loro
predicazione volentieri affermano che "il nodo della disobbedienza di Eva
ha avuto la sua soluzione con l'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva
aveva legato con la sua incredulità, la vergine Maria l' ha sciolto con la sua
fede", e fatto il paragone con Eva, chiamano Maria " la madre dei
viventi", e affermano spesso: "la morte per mezzo di Eva, la vita per
mezzo di Maria".
57. Questa unione della Madre col Figlio nell'opera della
redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino
alla morte di lui. E prima di tutto quando Maria, recandosi frettolosa a
visitare Elisabetta, è da questa proclamata beata per la sua fede nella
salvezza promessa e il precursore ha trasalito nel seno della madre (cf. Lc. 1,
41-45); nella natività, quando la Madre di Dio mostrò lieta al pastori e ai
magi il Figlio suo primogenito, il quale non ha diminuito la sua verginale
integrità, ma l'ha consacrata. E quando lo presentò al Signore nel tempio con
l'offerta dei poveri, udì Simeone preannunciare a un tempo che il Figlio
sarebbe divenuto un segno di contraddizione e che una spada avrebbe trafitto
l'anima della madre, perché fossero svelati i pensieri intimi di un gran numero
di cuori (cf. Lc. 2, 34-35). Dopo avere perduto il fanciullo Gesù e averlo
cercato con angoscia, suoi genitori lo
trovarono nel tempio occupato nelle cose del Padre suo, e non compresero le
parole del loro Figlio. E la madre sua conservava tutte queste cose e le
meditava in cuor suo (cf. Lc. 2, 41-51).
Maria e la vita pubblica di Gesu'
58. Nella vita pubblica di Gesù, la madre sua appare in
modo caratteristico, fin dal principio, quando alle nozze di Cana di Galilea,
mossa a compassione con la sua intercessione diede inizio ai segni di Gesù
messia (cf. Gv. 2, 1-11). Durante la predicazione del Figlio raccolse le
parole, con le quali egli, esaltando il regno al di sopra delle condizioni e
dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e
custodiscono la parola di Dio (cf. Mc. 3,35 par.; Lc. 11, 27-28), come ella
stessa fedelmente faceva (cf. Lc. 2, 19 e 51). Così anche la beata Vergine ha
avanzato nel cammino della fede e ha conservato fedelmente la sua unione col
Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette ritta
(cf. Gv. 19, 25), soffrì profondamente col suo Figlio unigenito e si associò
con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente
all'immolazione della vittima da lei generata; e finalmente, dallo stesso
Cristo Gesù morente in croce fu data come madre al discepolo con queste parole:
Donna, ecco il tuo figlio (cf. Gv. 19, 26-27).
Maria dopo l'ascensione
59. Essendo piaciuto a Dio di non manifestare solenne
mente il mistero della salvezza degli uomini prima dell'effusione dello Spirito
promesso da Cristo, vediamo gli Apostoli prima del giorno della Pentecoste
"perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria, la
madre di Gesù, e i fratelli di lui" (Atti 1, 14); e anche Maria implorava
con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l'aveva già presa sotto la sua
ombra nell'annunciazione. Infine, l'immacolata Vergine, preservata immune da
ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu
assunta alla celeste gloria col suo corpo e con la sua anima, e dal Signore
esaltata come la regina dell'universo, perché fosse più pienamente conformata
al Figlio suo, il Signore dei dominanti (cf. Ap. 19, 16), il vincitore del
peccato e della morte.
60. Uno solo è il nostro mediatore secondo le parole
dell'apostolo: "Infatti non vi è che un solo Dio, e uno solo anche è il
mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, uomo lui stesso, che per tutti ha
dato se stesso come riscatto" (1 Tim. 2, 5-6). Ora la funzione materna di
Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica
mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Poiché ogni salutare influsso
della Beata Vergine verso gli uomini non nasce da vera necessità, ma dal
beneplacito di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si
fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la
sua efficacia; non impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con
Cristo, anzi la facilita.
Cooperazione alla redenzione
61- La beata Vergine, insieme con l'incarnazione del Verbo
divino predestinata fino dall'eternità a essere madre di Dio, per una
disposizione della divina provvidenza è stata su questa terra l'alma madre del
divino Redentore, la compagna generosa del tutto eccezionale e l'umile serva
del Signore. Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre
nel tempio, soffrire col figlio suo morente sulla croce, ella ha cooperato in
modo tutto speciale all'opera del Salvatore, con l'obbedienza, la fede, la
speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime.
Per questo è stata per noi la madre nell'ordine della grazia.
Funzione salvifica subordinata
62. E questa maternità di Maria nell'economia della grazia
perdura senza soste dal momento del consenso prestato nella fede al tempo
dell'annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al
perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti, assunta in cielo ella non ha
deposto questa missione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione
continua a ottenerci i doni della salvezza eterna. Nella sua materna carità si
prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora pellegrinanti e posti in mezzo a
pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata. Per
questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata,
ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice. Questo però va inteso in modo, che
nulla detragga o aggiunga alla dignità e alla efficacia di Cristo, unico
mediatore.
Nessuna creatura infatti può mai essere paragonata col
Verbo incarnato e Redentore; ma come il Sacerdozio di Cristo è in vari modi
partecipato dai sacri ministri e dal popolo fedele, e come l'unica bontà di Dio
è realmente diffusa in vari modi nelle creature, così anche l'unica mediazione del
Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione
partecipata dall'unica fonte.
E questo compito subordinato di Maria la Chiesa non dubita
di riconoscerlo apertamente, continuamente lo sperimenta e lo raccomanda al
cuore dei fedeli, perché, sostenuti da questo materno aiuto, essi più
intimamente aderiscano col Mediatore e Salvatore.
Maria vergine e madre, modello della Chiesa
63. La beata Vergine per il dono e la carica della divina
maternità che la unisce col Figlio redentore, e per le sue grazie e le sue
funzioni singolari è pure intimamente unita alla Chiesa: la madre di Dio è la
figura (typus) della Chiesa, come già insegnava sant'Ambrogio, nell'ordine cioè
della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel
mistero della Chiesa la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la
beata vergine Maria è la prima, dando in maniera eminente e singolare l'esempio
della vergine e della madre. Per la sua fede e la sua obbedienza ella generò
sulla terra lo stesso Figlio del Padre, senza conoscere uomo, ma sotto l'ombra
dello Spirito santo, come una Eva novella credendo non all'antico serpente, ma
al messaggero di Dio, con una fede che non era alterata da nessun dubbio. Ella
ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto il primogenito di una moltitudine
di fratelli (cf. Rom. 8, 29), cioè dei fedeli, e alla cui nascita e formazione
ella coopera con amore di madre.
La Chiesa vergine e madre
64. Ora la Chiesa, contemplando l'arcana santità di Maria,
imitandone la carità e adempiendone fedelmente la volontà del Padre, per mezzo
della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre, poiché con la
predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli,
concepiti ad opera dello Spirito santo e nati da Dio. Essa pure è la Vergine
che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo, e a imitazione della
madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito santo, conserva verginalmente
integra la fede, solida la speranza, sincera la carità.
Le virtu' di Maria che la Chiesa deve imitare
65. Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima
Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga (cf. Ef. 5, 27),
i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato; e
per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come il modello della
virtù davanti a tutta la comunità degli eletti. La Chiesa pensando a lei
piamente e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, penetra con
venerazione e più profondamente nell'altissimo mistero dell'incarnazione e si
va ognor più conformando col suo Sposo. Maria, infatti, che è entrata
intimamente nella storia della salvezza, riunisce in sé in qualche modo e
riverbera i massimi dati della fede; così quando la si predica e la si onora,
ella chiama i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all'amore del Padre.
A sua volta la Chiesa, mentre persegue la gloria di Cristo, diventa più simile
al suo così alto modello (typus), progredendo continuamente nella fede, nella
speranza e nella carità e in ogni cosa cercando e seguendo la divina volontà.
Onde anche nella sua opera Apostolica la Chiesa giustamente guarda a colei che
generò Cristo, il quale fu concepito da Spirito santo e nacque dalla Vergine,
per poter poi nascere e crescere per mezzo della Chiesa anche nel cuore dei
fedeli. La Vergine infatti nella sua vita fu il modello di quell'amore materno,
del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione Apostolica
della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini.
IV IL CULTO
DELLA BEATA VERGINE MARIA
Natura e fondamento del culto di Maria
66. Maria, esaltata per la grazia di Dio, dopo suo Figlio,
al di sopra di tutti gli angeli e gli uomini, perché è la madre santissima di
Dio, che ha preso parte ai misteri di Cristo, viene dalla Chiesa giustamente
onorata con culto speciale. In verità dai tempi più antichi la beata Vergine è
venerata col titolo di "madre di Dio", sotto il cui presidio i fedeli
pregandola si rifugiano in tutti i loro pericoli e le loro necessità.
Soprattutto a partire dal concilio di Efeso, il culto del popolo di Dio verso
Maria crebbe mirabilmente in venerazione e in amore, in invocazione e in
imitazione, secondo le sue stesse profetiche parole: "Tutte le generazioni
mi chiameranno beata, perché grandi cose mi ha fatto l'onnipotente" (Lc.
1, 48). Questo culto, quale sempre fu nella Chiesa, sebbene del tutto
singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione, prestato al Verbo
incarnato come al Padre e allo Spirito santo, e particolarmente lo promuove.
Infatti le varie forme di devozione verso la madre di Dio, che la Chiesa ha
approvato, entro i limiti di una dottrina sana e ortodossa, secondo le
circostanze di tempo e di luogo e l'indole e la mentalità dei fedeli, fanno sì
che, mentre è onorata la madre, il Figlio, per il quale esistono tutte lo cose
(cf. Col. 1, 15-16) nel quale "piacque all'eterno Padre di far risiedere
tutta la pienezza" (Col. 1, 19), sia debitamente conosciuto, amato,
glorificato, e siano osservati i suoi comandamenti.
Norme pastorali
67. Il sacrosanto concilio espressamente insegna questa
dottrina cattolica, e insieme esorta tutti i figli della Chiesa, perché
generosamente promuovano il culto, specialmente liturgico, verso la beata
Vergine, abbiano in grande stima le pratiche e gli esercizi di pietà verso di
lei, raccomandati lungo i secoli dal magistero, e scrupolosamente osservino
quanto in passato è stato sancito circa il culto delle immagini di Cristo, della
beata Vergine e dei santi. Esorta inoltre caldamente i teologi e i predicatori
della parola divina ad astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione,
come pure da una eccessiva ristrettezza di mente nel considerare la singolare
dignità della Madre di Dio. Con lo studio della sacra scrittura, dei santi
padri e dottori e delle liturgie della Chiesa, condotto sotto la guida del
magistero, illustrino rettamente i compiti e i privilegi della beata Vergine,
che sempre hanno per fine Cristo, origine di ogni verità, santità e devozione.
Sia nelle parole che nei fatti evitino diligentemente ogni cosa che possa
indurre in errore i fratelli separati o qualunque altra persona, circa la vera
dottrina della Chiesa. I fedeli a loro volta si ricordino che la vera devozione
non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana
credulità, ma bensì procede della fede vera, dalla quale siamo portati a
riconoscere la preminenza della Madre di Dio e siamo spinti a un amore filiale
verso la Madre nostra e all'imitazione delle sue virtù.
V - MARIA
SEGNO DI CERTA SPERANZA E DI CONSOLAZIONE
PER IL PEREGRINANTE POPOLO DI DIO
Maria segno del popolo di Dio
68. La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel
corpo e nell'anima, è l'immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il
suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla come un segno di sicura
speranza e di consolazione per il popolo di Dio in marcia, fino a quando non
verrà il giorno del Signore (cf. 2 Pt. 3, 10).
Maria interceda per l'unione dei cristiani
69. Per questo santo concilio è di grande gioia e
consolazione che vi siano anche tra i fratelli separati di quelli che tributano
il debito onore alla Madre del Signore e Salvatore, specialmente presso gli
orientali, i quali concorrono nel venerare la Madre di Dio, sempre vergine, con
ardente slancio e animo devoto. Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere
alla Madre di Dio e madre degli uomini, perché ella, che con le sue preghiere
aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo esaltata sopra tutti i beati
e gli angeli, nella comunione di tutti i santi interceda presso il Figlio suo,
finché tutte lo famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome cristiano,
sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, nella pace e nella concordia
siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio, a gloria della santissima e
indivisibile Trinità. Tutte e singole le cose, stabilite in questa costituzione
dogmatica, sono piaciute ai padri del sacro concilio. E noi, in virtù della
potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai venerabili padri, nello
Spirito santo le approviamo, le decretiamo e stabiliamo; e quanto è stato così
sinodalmente stabilito, comandiamo che sia promulgato a nome di Dio. Roma,
presso S. Pietro, 21 novembre 1964. Io Paolo vescovo della Chiesa cattolica
(Seguono le firme dei padri)
Notificazioni del segretario del concilio
E' stato chiesto quale debba essere la qualificazione
teologica della dottrina esposta nello schema sulla Chiesa e sottoposta alla
votazione. La commissione dottrinale ha dato al quesito sulla valutazione dei
modi riguardanti il capitolo terzo dello schema sulla Chiesa questa risposta:
"Come consta di per sé, il testo del concilio deve sempre essere
interpretato secondo le regole generali, da tutti conosciute". In pari
tempo la commissione dottrinale rimanda alla sua Dichiarazione del 6 marzo
1964, di cui trascriviamo il testo: " Conformemente al costume dei concili
e alla finalità pastorale del presente concilio, questo santo sinodo definisce
come vincolante la Chiesa solo ciò che, in materia di fede e di costumi, esso
avrà esplicitamente dichiarato tale. Le altre cose che il s. sinodo propone, in
quanto dottrina del magistero supremo della Chiesa, tutti e singoli i fedeli
devono accoglierle e ritenerle secondo la mente dello stesso sacro sinodo, la
quale si manifesta sia dalla materia trattata sia dal tenore dell'espressione
verbale, conforme alle norme d'interpretazione teologica".
LA CHIESA
(LUMEN GENTIUM)
Notificazioni
del segretario del concilio
Per mandato della superiore autorità viene poi comunicata
ai padri una nota esplicativa previa ai modi circa il capo terzo dello schema
sulla Chiesa: secondo la mente e la sentenza di questa nota deve essere
spiegata e intesa la dottrina esposta nello stesso capo terzo.
LA CHIESA (LUMEN GENTIUM)
Nota
esplicativa previa
"La commissione ha stabilito di premettere all'esame
dei modi le seguenti osservazioni generali. 1) "Collegio" non si
intende in senso "strettamente giuridico", cioè di un gruppo di
eguali, i quali abbiano demandato il loro potere al loro preside, ma di un
gruppo stabile, la cui struttura e autorità devono essere dedotte dalla rivelazione.
Perciò nella risposta al Modo 12 si dice esplicitamente dei Dodici che il
Signore li costituì "a modo di collegio o gruppo (coetus) stabile".
Cf. anche il Modo 53, c. - Per la stessa ragione, per il collegio dei Vescovi
si usano con frequenza anche le parole "ordine" (ordo) o
"corpo" (corpus). Il parallelismo fra Pietro e gli altri Apostoli da
una parte, e il sommo pontefice e i Vescovi dall'altra, non implica la
trasmissione del potere straordinario degli Apostoli ai loro successori, né,
com'è chiaro, "uguaglianza" (aequalitatem) tra il capo e le membra
del collegio, ma solo "proporzionalità" (proportionalitatem) fra la
prima relazione (Pietro Apostoli) e l'altra (papa Vescovi). perciò la
commissione ha stabilito di scrivere nel n. 22 non "medesimo" (eadem
ratione) ma "simile" (pari) modo. Cf. Modo 57.
2) Uno diventa "membro del collegio" in virtù
della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del
collegio e con le membra. Cf. n. 22, & 1, in fine.
Nella consacrazione è data una "ontologica"
partecipazione dei sacri "uffici", come indubbiamente consta dalla
tradizione, anche liturgica. Volutamente è usata la parola "uffici"
(munerum), e non "potestà" (potestatum), perché quest'ultima voce
potrebbe essere intesa come di potestà "liberamente esercitabile" (ad
actum expedita). Ma perché si abbia tale libera potestà, deve accedere la
canonica o "giuridica determinazione" (iuridica determinatio) da
parte dell'autorità gerarchica. E questa determinazione del potere può
consistere nella concessione di un particolare ufficio o nell'assegnazione dei
sudditi, ed è concessa secondo le "norme" approvate dalla suprema
autorità. Una siffatta ulteriore norma è richiesta dalla natura della cosa (ex
natura rei), trattandosi di incarichi che devono essere esercitati da "più
soggetti", per volontà di Cristo gerarchicamente cooperanti. E' evidente
che questa "comunione" "nella vita" della Chiesa è stata
applicata, secondo le circostanze dei tempi, prima di essere per così dire
codificata "nel diritto".
Perciò è detto espressamente che è richiesta la
"gerarchica" comunione col capo della Chiesa e con le membra.
"Comunione" è un concetto tenuto in grande onore nell'antica Chiesa
(e anche oggi, specialmente in oriente). Per essa non s'intende un certo vago
"affetto", ma una "realtà organica", che richiede forma
giuridica e insieme è animata della carità. La commissione quindi, quasi
d'unanime consenso, stabilì che si scrivesse: nella "gerarchica"
comunione. Cf. Modo 40 e anche quanto è detto della "missione
canonica", sotto il n. 24.
I documenti dei recenti romani pontefici circa la
giurisdizione dei Vescovi si devono interpretare di questa necessaria
determinazione dei poteri.
3) Il collegio, che non si dà senza il capo, è detto
"essere anch'esso soggetto di supremo e pieno potere sulla Chiesa
universale". Il che si deve necessariamente ammettere, per non porre in
pericolo la pienezza del potere del romano pontefice. Infatti il collegio
necessariamente e sempre cointende il suo capo, "il quale nel collegio
conserva integro l'incarico di vicario di Cristo e pastore della Chiesa
universale". In altre parole: la distinzione non è tra il romano pontefice
e i Vescovi presi insieme, ma tra il romano pontefice separatamente e il romano
pontefice insieme con i Vescovi. Ma siccome il romano pontefice è il
"capo" del collegio, può da solo fare alcuni atti, che non competono
in nessun modo ai Vescovi, come convocare e dirigere il collegio, approvare le
norme dell'azione, ecc. Cf. Modo 81. Al giudizio del sommo pontefice, cui è affidata
la cura di tutto il gregge di Cristo, spetta secondo le neccessità della
Chiesa, che variano nel corso dei secoli, determinare il modo col quale questa
cura conviene sia attuata, sia in modo personale, sia in modo collegiale. Il
romano pontefice nell'ordinare, promuovere, approvare l'esercizio collegiale,
procede secondo la propria discrezione, avendo di mira il bene della Chiesa.
4) Il sommo pontefice, quale pastore supremo della Chiesa,
può esercitare la sua potestà in ogni tempo a suo piacimento come è richiesto
dallo stesso suo incarico. Ma il collegio, pur esistendo sempre, non per questo
permanentemente agisce con azione "strettamente" collegiale, come
appare dalla tradizione della Chiesa. In altre parole: non sempre è "in atto
pieno", anzi, con atto strettamente collegiale, non agisce se non a
intervalli e "col consenso del capo". Si dice "col consenso del
capo", perché non si pensi a una "dipendenza" per così dire da
un'"estraneo"; il termine "consenso" richiama, al
contrario, la "comunione" tra il capo e le membra e implica la
necessità dell'"atto", il quale propriamente compete al capo. La cosa
è esplicitamente affermata nel n. 22, & 2 ed è ivi spiegata, in fine. La
formula negativa "se non" (nonnisi) comprende tutti i casi, per cui è
evidente che le "norme" approvate dalla suprema autorità devono
sempre osservarsi. Cf. Modo 84.
Dovunque appare che si tratta di "unione" dei
Vescovi "col loro capo", e mai di azione dei Vescovi
"indipendentemente" dal papa. Nel qual caso, venendo a mancare l'azione
del capo, i Vescovi non possono agire come collegio, come appare dalla nozione
di "collegio". Questa gerarchica comunione di tutti i Vescovi col
sommo pontefice è un dato certamente importante nella tradizione.
N. B. - Senza la comunione gerarchica l'ufficio
sacramentale-ontologico, che si deve distinguere dall'aspetto
canonico-giuridico, "non può" essere esercitato. La commissione ha
pensato bene di non dover entrare in questioni di "liceità" e
"validità", le quali sono lasciate alla discussione dei teologi,
specialmente per ciò che riguarda il potere che di fatto è esercitato presso
gli orientali separati, e della cui spiegazione vi sono varie sentenze".
Pericle Felici, arcivescovo tit. di Samosata, segretario generale del ss.
concilio.
CAPITOLO I
IL MISTERO DELLA CHIESA
La Chiesa
sacramento di Cristo
Il disegno
salvifico universale del Padre
Missione e
opera del Figlio
Lo Spirito
santificatore della Chiesa
Il regno di
Dio
Le immagini
della Chiesa
La Chiesa,
corpo di Cristo
Chiesa
realtà visibile e spirituale
Capitolo ii - Il
popolo di dio
Nuova
alleanza e nuovo popolo
Il
Sacerdozio comune
L'esercizio
del Sacerdozio
comune nei
Sacramenti
Il senso
della fede e i carismi nel popolo di Dio
Universalità
dell'unico popolo di Dio
I fedeli
cattolici
La Chiesa e
i cristiani non cattolici
La Chiesa e
i non cristiani
Carattere
missionario della Chiesa
CAPITOLO III
COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA
E IN PARTICOLARE DELL’EPISCOPATO
La
costituzione gerarchica della Chiesa: Proemio
Vocazione e
istituzione dei Dodici
I Vescovi,
successori degli Apostoli
La
sacramentalità dell'Episcopato
Il collegio
dei Vescovi e il suo capo
Relazioni
dei Vescovi in seno al collegio
Il ministero
dei Vescovi
La funzione
dottrinale
La funzione
di santificare
La funzione
di governare
I
Presbiteri: relazioni con Cristo,
con i Vescovi e il popolo
I Diaconi
CAPITOLO IV
- I LAICI
I laici
nella Chiesa
Natura e
missione dei laici
Dignità dei
laici nel popolo di Dio
L'apostolato
dei laici
Funzione
sacerdotale e cultuale
Funzione
profetica e testimonianza
Funzione
regale
Il disegno salvifico universale del padre
Funzione
regale
Relazioni
con la gerarchia
I laici,
anima del mondo
CAPITOLO V
UNIVERSALE VOCAZIONE ALLA SANTITÀ
NELLA CHIESA
La santità
nella Chiesa
Vocazione
universale alla santità
Multiforme
esercizio dell'unica santità
Vie e mezzi
della santità
capitolo vi - I RELIGIOSI
I consigli
evangelici nella Chiesa
Natura a
importanza dello stato religioso
Importanza
dello stato religioso
Autorità
della Chiesa e stato religioso
Grandezza
della consacrazione religiosa
CAPITOLO VII
INDOLE ESCATOLOGICA
DELLA CHIESA PEREGRINANTE
E SUA UNIONE CON LA CHIESA CELESTE
Indole escatologica della nostra vocazione
Comunione
della Chiesa celeste
con la Chiesa pellegrinante
Relazioni
della Chiesa pellegrinante
con la Chiesa celeste
Relazioni
della Chiesa pellegrinante
con la Chiesa celeste
Disposizioni
pastorali del concilio
CAPITOLO VIII
LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO
NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA
Proemio
Maria nel
mistero di Cristo
Maria e la
Chiesa
L'intenzione
del concilio
II funzione della beata vergine nell’economia
della salute
La madre del
Messia nell'antico testamento
Maria nell'annunciazione
Maria e
l'infanzia di Gesu
Maria e la
vita pubblica di Gesu'
Maria dopo
l'ascensione
Cooperazione
alla redenzione
Funzione
salvifica subordinata
Maria
vargine e madre, modello della Chiesa
La Chiesa
vergine e madre
Le virtu' di
Maria che la Chiesa deve imitare
IV - Il
culto della beata vergine Maria
Natura e
fondamento del culto di Maria
Norme
pastorali
V - Maria segno di certa speranza e di
consolazione per il peregrinante popolo di Dio
Maria segno
del popolo di Dio
Maria
interceda per l'unione dei cristiani
Notificazioni
del segretario del concilio
Nota esplicativa previa
Fonte: Enchiridion
Vaticanum Vol. 1 - Doc. Concilio Vaticano II (1962-1965)
Autore: Concilio
Vaticano II
Luogo: Roma (S.
Pietro), 21 novembre 1964