Bibbia a fumetti - Castigat ridendo mores - da Astrologia a Vita Sociale il dizionario dei problemi dell'uomo moderno

 

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Il testo su Papato e università che Benedetto XVI avrebbe letto alla Sapienza di Roma

 

Il testo su Papato e università che Benedetto XVI avrebbe letto alla Sapienza di Roma

 

Non vengo a imporre la fede

ma a sollecitare il coraggio per la verità

 

Magnifico Rettore,

Autorità politiche e civili,

Illustri docenti e personale tecnico amministrativo,

cari giovani studenti!

 

È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell'anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l'istituzione era alle dirette dipendenze dell'Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo. Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l'impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l'Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell'accoglienza e dell'organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".

 

Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l'invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda:  Che cosa può e deve dire un Papa in un'occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell'università "Sapienza", l'antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l'università del Papa, ma oggi è un'università laica con quell'autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all'autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l'università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un'istituzione del genere.

 

Ritorno alla mia domanda di partenza:  Che cosa può e deve dire il Papa nell'incontro con l'università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi:  Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora:  Qual è la natura e la missione dell'università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all'Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell'intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"- episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore:  egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all'insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell'insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l'interno della comunità credente. Il Vescovo - il Pastore - è l'uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù - e non soltanto indicata:  Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura - grande o piccola che sia - vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull'insieme dell'umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa - le sue crisi e i suoi rinnovamenti - agiscano sull'insieme dell'umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell'umanità.

 

Qui, però, emerge subito l'obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale:  Che cosa è la ragione? Come può un'affermazione - soprattutto una norma morale - dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l'altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l'esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell'umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell'umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.

 

Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l'intera umanità:  in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.

 

Ma ora ci si deve chiedere:  E che cosa è l'università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell'università stia nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l'interrogarsi di Socrate come l'impulso dal quale è nata l'università occidentale. Penso ad esempio - per menzionare soltanto un testo - alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda:  "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti ... Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b - c). In questa domanda apparentemente poco devota - che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino - i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d'uscita da desideri non appagati; l'hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore. Per questo, l'interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell'essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell'essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l'interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell'ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l'università.

 

È necessario fare un ulteriore passo. L'uomo vuole conoscere - vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia":  il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto - chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere:  la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell'interrogarsi socratico:  Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera:  è questo l'ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell'incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.



Nella teologia medievale c'è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire - una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l'università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell'universitas significava chiaramente che era collocata nell'ambito della razionalità, che l'arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all'ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca:  il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista. Ma qui emerge subito la domanda:  Come s'individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all'essere buono dell'uomo? A questo punto s'impone un salto nel presente:  è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell'uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell'opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell'umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti:  dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono - lo sappiamo - prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all'insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico.

 

Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato:  Che cos'è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda:  Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d'interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell'università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c'erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull'essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà:  essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l'uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda - in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta.

 

Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall'altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d'Aquino - di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico - di aver messo in luce l'autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s'interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell'università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato:  per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull'avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l'idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia:  filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione":  la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all'umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell'umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un'istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all'interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere  sempre  un  incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.

 

Ebbene, finora ho solo parlato dell'università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell'università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell'università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti:  innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l'uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all'umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell'uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell'uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato:  come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell'università:  esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa:  se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.



Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell'università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura  intrinseca  di  questo  ministero  pastorale  è  suo compito  mantenere  desta la sensibilità per la verità; invitare  sempre  di  nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.

 

Dal Vaticano, 17 gennaio 2008

 

Benedictus XVI



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

La lettera del segretario di Stato al rettore

Venuti meno i presupposti per un'accoglienza dignitosa

 

Dal Vaticano, 16 Gennaio 2008
Magnifico Rettore,
il Santo Padre aveva accolto volentieri l'invito da Lei rivoltoGli di compiere una visita a codesta Università degli Studi "La Sapienza", per offrire anche in questo modo un segno dell'affetto e dell'alta considerazione che Egli nutre verso codesta illustre Istituzione, che ebbe origine secoli or sono per volontà di un Suo venerato Predecessore.
Essendo purtroppo venuti meno, per iniziativa di un gruppo decisamente minoritario di Professori e di alunni, i presupposti per un'accoglienza dignitosa e tranquilla, è stato giudicato opportuno soprassedere alla prevista visita per togliere ogni pretesto a manifestazioni che si sarebbero rivelate incresciose per tutti. Nella consapevolezza tuttavia del desiderio sincero coltivato dalla grande maggioranza di Professori e studenti di una parola culturalmente significativa, da cui trarre indicazioni stimolanti nel personale cammino di ricerca della verità, il Santo Padre ha disposto che Le sia inviato il testo da Lui personalmente preparato per l'occasione. Mi faccio volentieri tramite della Superiore decisione, allegandoLe il discorso in parola, con l'auspicio che in esso tutti possano trovare spunti per arricchenti riflessioni ed approfondimenti.
Colgo volentieri l'occasione per porgerLe, con sensi di profonda deferenza, cordiali saluti.

Card. TARCISIO BERTONE
Segretario di Stato

 


L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

La paura della verità

 

Quello che era inimmaginabile è accaduto:  la visita di Benedetto XVI alla Sapienza in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico non si terrà. La notizia ha scosso l'Italia e ha poi cominciato a fare il giro del mondo, mentre cresce la marea delle reazioni, sincere o strumentali:  incredule, addolorate, indignate, enfatiche, in alcuni casi persino più o meno soddisfatte. L'ondata decrescerà, naturalmente, ma resta il fatto grave che il Papa ha dovuto rinunciare a recarsi nella prima università di Roma, la città di cui è vescovo, nell'ateneo più grande del Paese del quale è primate. Perché si è arrivati a tanto? La risposta è semplice:  a causa dell'intolleranza, radicalmente antidemocratica, di pochi, anzi di pochissimi.
E ora, come nella favola dell'apprendista stregone, tra quanti, a diversi livelli, hanno lasciato, in modo irresponsabile, che montasse questa opposizione preconcetta e ottusa - che va distinta da possibili dissensi, ovviamente legittimi quando siano espressi in modi civili e con metodi democratici - alla visita papale, vi è addirittura chi si preoccupa e rammarica. Dopo aver osservato nei giorni precedenti un silenzio pressoché totale. E la gravità del fatto, senza precedenti nella storia della Repubblica italiana, è confermata dalla lettera al Papa del capo dello Stato, un gesto sincero e nobile che attenua in parte l'incidente.
L'intenzione di Benedetto XVI era evidente:  dimostrare interesse e simpatia nei confronti della più vasta comunità accademica italiana, da decenni afflitta da molteplici problemi e che vive in questi ultimi tempi la crisi più ampia delle istituzioni universitarie, in Italia e più in generale nel contesto europeo. Per dire la sua sul ruolo dell'università, certo, ma con una chiarezza ragionevole e desiderosa di confronto che si accompagna a una mitezza fuori del comune. Da teologo e pastore quale è sempre stato. Senza dimenticare la statura intellettuale e accademica, di respiro davvero internazionale, in genere riconosciutagli anche dai suoi avversari.
Per di più in una istituzione laica e autonoma la cui storia secolare è profondamente intrecciata a quella del papato - sin dalla fondazione nel 1303 da parte di Bonifacio VIII, e con benemerenze culturali indubbie - e dove i successori di Pietro si sono di conseguenza sentiti quasi come a casa propria, come sottolineò il 15 marzo 1964 durante la sua visita Paolo VI, antico studente nell'ateneo romano, e come mostrò il 19 aprile 1991 Giovanni Paolo II, quel giorno ospite dell'antico studium urbis.
In continuità con i suoi predecessori, Benedetto XVI avrebbe voluto tornare in un luogo dov'era già stato da cardinale il 15 febbraio 1990 per sostenere la necessità di una dialettica positiva tra fede e ragione, ma ha dovuto rinunciare. Già Paolo VI, avvertendo l'atteggiamento oppositorio fondato su luoghi comuni e toni polemici di quanti mantengono occhi chiusi e animo ostile, volle rassicurarli:  il Papa - disse - non forzerà il loro raziocinio chiuso, non scardinerà alcuna porta e starà fuori a bussare, come il "testimone" descritto dall'Apocalisse (3, 20), dicendo a chi non apre:  studia, capisci te stesso, leggi nella tua anima, guarda l'esperienza autentica che il nostro tempo sta vivendo proprio nella negazione dei valori religiosi e delle verità trascendenti, e troverai, in così diffuso tormento, un numero ingente di paurose rovine; a cominciare dalla più ampia e desolata:  la disperazione, l'assurdo, l'arido nulla.
Ora anche Benedetto XVI bussa senza stancarsi alla porta di ogni essere umano, fiducioso che la ragione non vorrà chiudersi alla fede, all'incontro con Cristo. Davvero c'è qualcuno che onestamente può considerare questo atteggiamento oscurantista, prevaricatore, nemico della scienza? Chi può davvero temere quest'uomo mite e ragionevole, questo pastore che appena eletto alla sede di Roma ha dichiarato di avere assunto il suo ministero nella consapevolezza di non essere solo? E il Papa non è solo:  tutta la Chiesa oggi prega per lui, come pregava per Pietro a Gerusalemme, e sono moltissimi anche i non cattolici e i non cristiani che gli sono vicini. Senza paura di confrontarsi con la verità.

g.m.v.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

All'udienza generale il Papa parla dell'attualità della fede predicata da Agostino

Se il mondo invecchia
Cristo è sempre giovane

 

"Se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane":  è questa l'attualità della fede predicata da sant'Agostino che Benedetto XVI ha evocato all'udienza generale di mercoledì 16 gennaio. Incontrando i fedeli convenuti nell'Aula Paolo VI, il Papa ha proseguito il ciclo di riflessioni dedicato al vescovo di Ippona, inaugurato la settimana scorsa.

 

Cari fratelli e sorelle!
Oggi, come mercoledì scorso, vorrei parlare del grande Vescovo di Ippona, sant'Agostino. Quattro anni prima di morire, egli volle nominare il successore. Per questo, il 26 settembre 426, radunò il popolo nella Basilica della Pace, ad Ippona, per presentare ai fedeli colui che aveva designato per tale compito. Disse:  "In questa vita siamo tutti mortali, ma l'ultimo giorno di questa vita è per ogni individuo sempre incerto. Tuttavia nell'infanzia si spera di giungere all'adolescenza; nell'adolescenza alla giovinezza; nella giovinezza all'età adulta; nell'età adulta all'età matura; nell'età matura alla vecchiaia. Non si è sicuri di giungervi, ma si spera. La vecchiaia, al contrario, non ha davanti a sé alcun altro periodo da poter sperare; la sua stessa durata è incerta... Io per volontà di Dio giunsi in questa città nel vigore della mia vita; ma ora la mia giovinezza è passata e io sono ormai vecchio" (Ep 213, 1). A questo punto Agostino fece il nome del successore designato, il prete Eraclio. L'assemblea scoppiò in un applauso di approvazione ripetendo per ventitré volte:  "Sia ringraziato Dio! Sia lodato Cristo!". Con altre acclamazioni i fedeli approvarono, inoltre, quanto Agostino disse poi circa i propositi per il suo futuro:  voleva dedicare gli anni che gli restavano a un più intenso studio delle Sacre Scritture (cfr Ep 213, 6).
Di fatto, quelli che seguirono furono quattro anni di straordinaria attività intellettuale:  portò a termine opere importanti, ne intraprese altre non meno impegnative, intrattenne pubblici dibattiti con gli eretici - cercava sempre il dialogo - intervenne per promuovere la pace nelle province africane insidiate dalle tribù barbare del sud. In questo senso scrisse al conte Dario, venuto in Africa per comporre il dissidio tra il conte Bonifacio e la corte imperiale, di cui stavano profittando le tribù dei Mauri per le loro scorrerie:  "Titolo più grande di gloria - affermava nella lettera - è proprio quello di uccidere la guerra con la parola, anziché uccidere gli uomini con la spada, e procurare o mantenere la pace con la pace e non già con la guerra. Certo, anche quelli che combattono, se sono buoni, cercano senza dubbio la pace, ma a costo di spargere il sangue. Tu, al contrario, sei stato inviato proprio per impedire che si cerchi di spargere il sangue di alcuno" (Ep 229, 2). Purtroppo, la speranza di una pacificazione dei territori africani andò delusa:  nel maggio del 429 i Vandali, invitati in Africa per ripicca dallo stesso Bonifacio, passarono lo stretto di Gibilterra e si riversarono nella Mauritania. L'invasione raggiunse rapidamente le altre ricche province africane. Nel maggio o nel giugno del 430 "i distruttori dell'impero romano", come Possidio qualifica quei barbari (Vita, 30, 1), erano attorno ad Ippona, che strinsero d'assedio.
In città aveva cercato rifugio anche Bonifacio, il quale, riconciliatosi troppo tardi con la corte, tentava ora invano di sbarrare il passo agli invasori. Il biografo Possidio descrive il dolore di Agostino:  "Le lacrime erano, più del consueto, il suo pane notte e giorno e, giunto ormai all'estremo della sua vita, più degli altri trascinava nell'amarezza e nel lutto la sua vecchiaia" (Vita, 28, 6). E spiega:  "Vedeva infatti, quell'uomo di Dio, gli eccidi e le distruzioni delle città; abbattute le case nelle campagne e gli abitanti uccisi dai nemici o messi in fuga e sbandati; le chiese private dei sacerdoti e dei ministri, le vergini sacre e i religiosi dispersi da ogni parte; tra essi, altri venuti meno sotto le torture, altri uccisi di spada, altri fatti prigionieri, perduta l'integrità dell'anima e del corpo e anche la fede, ridotti in dolorosa e lunga schiavitù dai nemici" (ibid., 28, 8).
Anche se vecchio e stanco, Agostino restò tuttavia sulla breccia, confortando se stesso e gli altri con la preghiera e con la meditazione sui misteriosi disegni della Provvidenza. Parlava, al riguardo, della "vecchiaia del mondo" - e davvero era vecchio questo mondo romano -, parlava di questa vecchiaia come già aveva fatto anni prima per consolare i profughi provenienti dall'Italia, quando nel 410 i Goti di Alarico avevano invaso la città di Roma. Nella vecchiaia, diceva, i malanni abbondano:  tosse, catarro, cisposità, ansietà, sfinimento. Ma se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane. E allora l'invito:  "Non rifiutare di ringiovanire unito a Cristo, anche nel mondo vecchio. Egli ti dice:  Non temere, la tua gioventù si rinnoverà come quella dell'aquila" (cfr Serm. 81, 8). Il cristiano quindi non deve abbattersi anche in situazioni difficili, ma adoperarsi per aiutare chi è nel bisogno. È quanto il grande Dottore suggerisce rispondendo al Vescovo di Tiabe, Onorato, che gli aveva chiesto se, sotto l'incalzare delle invasioni barbariche, un Vescovo o un prete o un qualsiasi uomo di Chiesa potesse fuggire per salvare la vita:  "Quando il pericolo è comune per tutti, cioè per vescovi, chierici e laici, quelli che hanno bisogno degli altri non siano abbandonati da quelli di cui hanno bisogno. In questo caso si trasferiscano pure tutti in luoghi sicuri; ma se alcuni hanno bisogno di rimanere, non siano abbandonati da quelli che hanno il dovere di assisterli col sacro ministero, di modo che o si salvino insieme o insieme sopportino le calamità che il Padre di famiglia vorrà che soffrano" (Ep 228, 2). E concludeva:  "Questa è la prova suprema della carità" (ibid., 3). Come non riconoscere, in queste parole, l'eroico messaggio che tanti sacerdoti, nel corso dei secoli, hanno accolto e fatto proprio?
Intanto la città di Ippona resisteva. La casa-monastero di Agostino aveva aperto le sue porte ad accogliere i colleghi nell'episcopato che chiedevano ospitalità. Tra questi vi era anche Possidio, già suo discepolo, il quale poté così lasciarci la testimonianza diretta di quegli ultimi, drammatici giorni. "Nel terzo mese di quell'assedio - egli racconta - si pose a letto con la febbre:  era l'ultima sua malattia" (Vita, 29, 3). Il santo Vegliardo profittò di quel tempo finalmente libero per dedicarsi con più intensità alla preghiera. Era solito affermare che nessuno, Vescovo, religioso o laico, per quanto irreprensibile possa sembrare la sua condotta, può affrontare la morte senza un'adeguata penitenza. Per questo egli continuamente ripeteva tra le lacrime i salmi penitenziali, che tante volte aveva recitato col popolo (cfr ibid., 31, 2).
Più il male si aggravava, più il Vescovo morente sentiva il bisogno di solitudine e di preghiera:  "Per non essere disturbato da nessuno nel suo raccoglimento, circa dieci giorni prima d'uscire dal corpo pregò noi presenti di non lasciar entrare nessuno nella sua camera fuori delle ore in cui i medici venivano a visitarlo o quando gli si portavano i pasti. Il suo volere fu adempiuto esattamente e in tutto quel tempo egli attendeva all'orazione" (ibid., 31, 3). Cessò di vivere il 28 agosto del 430:  il suo grande cuore finalmente si era placato in Dio.
"Per la deposizione del suo corpo - informa Possidio - fu offerto a Dio il sacrificio, al quale noi assistemmo, e poi fu sepolto" (Vita, 31, 5). Il suo corpo, in data incerta, fu trasferito in Sardegna e da qui, verso il 725, a Pavia, nella Basilica di San Pietro in Ciel d'oro, dove anche oggi riposa. Il suo primo biografo ha su di lui questo giudizio conclusivo:  "Lasciò alla Chiesa un clero molto numeroso, come pure monasteri d'uomini e di donne pieni di persone votate alla continenza sotto l'obbedienza dei loro superiori, insieme con le biblioteche contenenti libri e discorsi suoi e di altri santi, da cui si conosce quale sia stato per grazia di Dio il suo merito e la sua grandezza nella Chiesa, e nei quali i fedeli sempre lo ritrovano vivo" (Possidio, Vita, 31, 8). È un giudizio a cui possiamo associarci:  nei suoi scritti anche noi lo "ritroviamo vivo". Quando leggo gli scritti di sant'Agostino non ho l'impressione che sia un uomo morto più o meno milleseicento anni fa, ma lo sento come un uomo di oggi:  un amico, un contemporaneo che parla a me, parla a noi con la sua fede fresca e attuale. In sant'Agostino che parla a noi, parla a me nei suoi scritti, vediamo l'attualità permanente della sua fede; della fede che viene da Cristo, Verbo Eterno Incarnato, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. E possiamo vedere che questa fede non è di ieri, anche se predicata ieri; è sempre di oggi, perché realmente Cristo è ieri oggi e per sempre. Egli è la Via, la Verità e la Vita. Così sant'Agostino ci incoraggia ad affidarci a questo Cristo sempre vivo e a trovare così la strada della vita.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Appello di Benedetto XVI

Preghiera e impegno per l'unità dei cristiani

 

Dopodomani, venerdì 18 gennaio, inizia la consueta Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che quest'anno riveste un valore singolare poiché sono trascorsi cento anni dal suo avvio. Il tema è l'invito di San Paolo ai Tessalonicesi:  "Pregate continuamente" (1 Tes 5, 17); invito che ben volentieri faccio mio e rivolgo a tutta la Chiesa. Sì, è necessario pregare senza sosta chiedendo con insistenza a Dio il grande dono dell'unità tra tutti i discepoli del Signore. La forza inesauribile dello Spirito Santo ci stimoli ad un impegno sincero di ricerca dell'unità, perché possiamo professare tutti insieme che Gesù è l'unico Salvatore del mondo.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

All'udienza gli studenti esprimono affetto al Papa

«La Sapienza è con te!»

 

"Se Benedetto non va alla Sapienza, la Sapienza va da Benedetto" si legge sullo striscione preparato da duecento studenti della Sapienza presenti all'udienza generale per affermare schiettamente:  "Noi siamo con il Papa". Martedì sera, appresa la notizia che la tanto attesa visita di giovedì all'ateneo non ci sarebbe stata, hanno deciso di dare voce al sentire della stragrande maggioranza degli universitari andando a esprimere, con affetto, il loro rammarico direttamente a Benedetto XVI. E hanno così avuto anche l'occasione per ascoltare un'alta lezione su sant'Agostino:  è al grande padre della Chiesa, infatti, che il Papa ha dedicato la catechesi.
Si sono fatti sentire questi duecento studenti, appartenenti a Comunione e Liberazione, e hanno trasformato per qualche istante l'aula Paolo VI nell'aula magna della Sapienza. Così quando il Papa, al termine dell'udienza, li ha salutati sorridendo, ringraziandoli per la loro presenza, gli hanno cantato a squarciagola:  "La Sapienza è con te!" mostrando un altro striscione:  "Gli universitari con il Papa". Prima ancora, entrando in aula, avevano intonato un altro eloquente slogan:  "Libertà, libertà!". La presenza degli studenti è stata salutata con calore da tutti i pellegrini, in particolare dagli italiani. Benedetto XVI, rispondendo a questo spontaneo entusiasmo, ha detto sempre sorridendo:  "Allora andiamo avanti insieme".
Il Papa ha personalmente stretto la mano a tre studenti:  tra loro c'era anche Christian Buonafede che si è presentato come lo studente che avrebbe dovuto rivolgergli l'indirizzo di benvenuto in aula magna. Benedetto XVI lo ha salutato con simpatia, battendogli la mano sulla spalla.
"Siamo venuti per dire che siamo più che mai con il Papa, che avremmo tanto voluto accoglierlo all'università, e lo possiamo affermare anche a nome di tanti nostri colleghi che in questi giorni non hanno avuto l'onore delle cronache ma sono, con buona pace di tutti, la stragrande maggioranza" dice Christian, iscritto a Scienze della comunicazione, rappresentante degli studenti nel consiglio di amministrazione. Domani mattina avrebbe dato a Benedetto XVI "il più sincero e appassionato benvenuto da parte della numerosa comunità studentesca" e lo avrebbe ringraziato per aver posto le questioni fondamentali della vita e della speranza a una generazione confusa e incerta, che ha paura delle domande ultime sul senso dell'esistenza e cerca di fuggirne. Christian domattina avrebbe detto al Papa che "abbiamo bisogno di vedere qualcuno che non teme l'immensità di queste domande". Per questo la parola instancabile del Papa raggiunge "come il richiamo di un padre". Con i suoi amici, stamani, "grazie" è venuto a dirglielo di persona.
"In questi giorni - dice - c'è stato il tentativo di spaccare tutto in due, di dare vita a un derby calcistico. È un fatto che alla Sapienza la quasi totalità delle persone voleva accogliere il Papa e si era anche preparata a farlo. Tantissimi studenti avevano cercato posto dove era possibile, anche lungo la strada tra l'aula magna e la cappella, per vedere e salutare il Papa. Invece ha prevalso una protesta assurda, priva di senso e di fondamento, e vedo pure che tra i firmatari della lettera contro la visita del Papa c'è chi ora fa un passo indietro".
Mostra i due volantini preparati da Cl:  possibile, si chiedono gli studenti, che piccoli gruppi possano impedire ciò che la stragrande maggioranza della gente attende e desidera? Puntano il dito, inoltre, contro "la fatiscenza culturale dell'università italiana per cui un ateneo come la Sapienza rischia di trasformarsi in una discarica ideologica". Concludono:  "Come cittadini e come cattolici siamo indignati per quanto è avvenuto e siamo addolorati per Benedetto XVI a cui ci sentiamo ancora più legati, riconoscendo in lui il difensore, in forza della sua fede, della ragione e della libertà".



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Nostre Informazioni

 

Provvista di Chiesa

 

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Nashik (India), con titolo personale di Arcivescovo, il Reverendo Monsignor Felix Anthony Machado, del clero di Vasai, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Durante un tentativo di sequestro a Tabawan

Sacerdote ucciso nelle Filippine

 

MANILA, 16.
Padre Reynado Jesus Roda, un missionario degli Oblati di Maria Immacolata, è stato ucciso ieri nelle Filippine mentre resisteva a un tentativo di sequestro. La notizia è stata confermata all'agenzia di stampa AsiaNews dal vescovo di Cotabato, monsignor Orlando Quevedo, anch'egli degli Oblati di Maria Immacolata.
Il delitto è avvenuto a Tabawan, nel Vicariato apostolico di Jolo, nell'arcipelago meridionale di Mindanao, dove padre Roda guidava da dieci anni la parrocchia del Santissimo Rosario. Il sacerdote stava pregando in una cappella nel villaggio di Likud Tabawan, quando una decina di uomini armati hanno tentato di sequestrarlo. Di fronte alla resistenza opposta da padre Roda, gli aggressori lo hanno ucciso con diversi colpi di arma da fuoco.
Tabawan è una piccola isoletta vicino a Tawi Tawi, nella provincia di South Ubian, appunto nell'arcipelago di Mindanao, una zona del sud delle Filippine già teatro in passato di violenze contro esponenti della Chiesa.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Il capo dello Stato in una lettera a Benedetto XVI denuncia le "inammissibili manifestazioni di intolleranza"

Il rammarico del Presidente Napolitano
per la mancata visita del Papa alla Sapienza

 

ROMA, 16.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con una lettera personale indirizzata al Papa, ha espresso "sincero e vivo rammarico" per le polemiche che hanno condotto all'annullamento della visita del Pontefice all'università "La Sapienza" di Roma. Napolitano, si legge in una nota diffusa dal Quirinale, non appena appresa la notizia della cancellazione della visita ha inviato una lettera personale "per esprimere il suo sincero, vivo rammarico, considerando inammissibili manifestazioni di intolleranza e preannunci offensivi che hanno determinato un clima incompatibile con le ragioni di un libero e sereno confronto". Continua la nota:  "il Presidente Napolitano ha altresì richiamato i temi della conversazione telefonica dello scorso 24 dicembre con il Pontefice, nell'auspicio di ogni possibile continuazione del dialogo tra l'Italia e la Santa Sede".
Anche il Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, ha condannato "i gesti, le dichiarazioni e gli atteggiamenti che hanno provocato una tensione inaccettabile e un clima che non fa onore alle tradizioni di civiltà e di tolleranza dell'Italia". Prodi ha espresso "solidarietà forte e convinta" a Benedetto XVI e "profondo rammarico" per l'annullamento della visita. "Nessuna voce - ha osservato - deve tacere nel nostro Paese, a maggior ragione quella del Papa".
Il vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, nella serata di ieri, ha espresso "netta condanna per le manifestazioni di intolleranza che hanno indotto Papa Benedetto XVI a rinunciare alla sua programmata partecipazione all'apertura dell'anno accademico della Sapienza". In una nota, il ministro degli Esteri si è detto "profondamente rammaricato per quanto avvenuto", e ha espresso la "convinzione che il clima di tensione sia stato creato da atteggiamenti e prese di posizione estremistiche che non rappresentano affatto la grande maggioranza degli italiani e che non fanno onore alla coscienza civile e democratica del Paese, che trova le sue espressioni più qualificanti proprio nel rispetto delle opinioni e nell'assoluta garanzia della libera manifestazione del pensiero".
Il presidente del Senato Franco Marini ha espresso il rincrescimento di Palazzo Madama, interpretando, "al di là delle valutazioni diverse, che - ha detto Marini - vanno rispettate, il sentimento di tutta l'aula". "No comment", è stata invece la reazione dall'Ecuador del presidente della Camera Fausto Bertinotti che a Quito riceverà una laurea honoris causa dalla università pontificia della capitale sudamericana.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

La nota della Conferenza episcopale italiana

Intolleranza e chiusura culturale

 

Il Papa è stato "oggetto di un gravissimo rifiuto che manifesta intolleranza antidemocratica e chiusura culturale". È il commento della presidenza della Cei alla mancata visita di Benedetto XVI all'università La Sapienza di Roma. "A seguito - si legge in una nota - della decisione di soprassedere alla visita del Santo Padre all'università La Sapienza di Roma, programmata per giovedì 17 gennaio, la presidenza della Conferenza episcopale italiana esprime la propria incondizionata vicinanza a Benedetto XVI, oggetto di un gravissimo rifiuto che manifesta intolleranza antidemocratica e chiusura culturale. Tanto più che la visita del Santo Padre era cordiale risposta a un invito espresso dagli organi responsabili dell'università, ma reso inefficace dalla violenza ideologica e rissosa di pochi. Auspichiamo che attraverso il ripristino dell'identità culturale e della funzione educativa dell'università, mediante l'opera dei docenti e la responsabile partecipazione degli studenti, la vita dell'ateneo possa ritornare a quella forma ordinata che sola permette l'acquisizione e il confronto culturale, a servizio della persona e della società".
Anche il vicariato di Roma, si legge in una nota a firma del cardinale Camillo Ruini, "ha seguito passo dopo passo, in stretta collaborazione con i competenti organi della Santa Sede, le tristi vicende che hanno costretto il Santo Padre a rinunciare alla visita all'università La Sapienza, alla quale era stato da molto tempo invitato. In questa circostanza, che colpisce - si legge nella nota - tanto dolorosamente tutta la nostra città, la Chiesa di Roma esprime la sua filiale e totale vicinanza al proprio vescovo, il Papa, e dà voce a quell'amore, a quella fiducia, a quell'ammirazione e gratitudine per Benedetto XVI, che è nel cuore del popolo di Roma. Per consentire a tutti di manifestare questi sentimenti, invito i fedeli, ma anche tutti i romani, ad essere presenti in piazza San Pietro per la recita dell'Angelus di domenica prossima, 20 gennaio. Sarà un gesto di affetto e di serenità, sarà espressione della gioia che proviamo nell'avere Benedetto XVI come nostro vescovo e nostro Papa".
Secondo il presidente di Azione Cattolica, Luigi Alici, "comunque si considerino le resistenze opposte all'invito del rettore da parte di un manipolo di docenti e studenti, il giudizio sull'episodio non può che essere lo stesso:  incredibile e inquietante. Non dovrebbe essere l'istituzione universitaria il luogo della ricerca libera, e persino spregiudicata, in cui i giudizi sono elaborati e rimessi continuamente in discussione, anziché essere usati come armi improprie? Esiste forse qualcuno nel mondo universitario che possa ergersi a giudice insindacabile, autorizzato, in nome di un sapere chiuso e dogmatico, a dispensare attestati "progressisti" di ammissibilità? Sotto il profilo del metodo, è certamente ancora più grave e incomprensibile motivare un divieto di accesso non per alcune affermazioni discutibili, ma in un certo senso "a prescindere"; come se un Papa che entra in una università commettesse un abuso intollerabile, non per quello che potrebbe dire ma per quello che rappresenta, un corpo estraneo dal quale l'istituzione si dovrebbe difendere".
Anche Comunione e liberazione è intervenuta a commento della mancata visita del Papa all'università romana. "I Papi - si legge in una nota - hanno potuto parlare ovunque nel mondo:  l'unico posto dove il Papa non può parlare è a "La Sapienza", un'università, tra l'altro, fondata proprio da un Pontefice". Come cittadini e come cattolici, conclude la nota, "siamo indignati per quanto avvenuto e siamo addolorati per Benedetto XVI".



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Dopo gli scontri in cui sono morti venti palestinesi

Hamas risponde al fuoco israeliano
È
guerra nella Striscia di Gaza

 

TEL AVIV, 16.
A pochi giorni dalla visita del presidente Bush e dalla ripresa dei colloqui negoziali, nella Striscia di Gaza è guerra vera. Ieri, negli scontri scoppiati in prossimità di Gaza, venti miliziani palestinesi sono stati uccisi e oltre cinquanta feriti in meno di ventiquattro ore. Immediata la risposta dell'estremismo palestinese:  stamane almeno venticinque razzi Qassam hanno colpito il sud di Israele causando danni ai kibbutz locali ma nessuna vittima.
Ieri le truppe israeliane, appoggiate da numerosi mezzi corazzati, hanno condotto incursioni sia al nord sia alla periferia orientale di Gaza. Tra le vittime palestinesi, almeno dieci miliziani delle Brigate Ezzedine Al Qassam, braccio armato di Hamas. Quasi cinquanta i feriti, per la maggior parte civili, alcuni dei quali versano in condizioni critiche. Dagli ospedali è stato lanciato un appello a donare il sangue, giacché le scorte disponibili non sono sufficienti.
Si è combattuto soprattutto in un sobborgo di Gaza, Al Zeitoun, dove - secondo fonti palestinesi - una decina tra carri armati e autoblindo israeliane hanno aperto il fuoco sulle case. Il presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, ha definito la strage un "massacro", una "carneficina contro il popolo palestinese" il quale, al cospetto di quanto accaduto, "non può rimanere in silenzio, il mondo lo deve sapere", ha incalzato il leader di Al Fatah, "perché massacri del genere non possono certo portare la pace". Ben più furiosa la reazione dei gruppi estremisti. "Questo - ha denunciato a Gaza un dirigente di Hamas, Mahmoud al-Zahar - è uno dei risultati della visita di George W. Bush". "Il crimine non resterà impunito e ricompatterà il popolo palestinese contro il nemico comune", ha chiosato Ismail Haniyeh, leader di Hamas, il movimento di resistenza islamica che dal giugno 2007 controlla la Striscia dopo averla sottratta con la violenza ai rivali di Al Fatah. Tre giorni di lutto sono stati dichiarati in tutto il Territorio.
La violenza ha però causato anche un'altra vittima:  un civile di nazionalità ecuadoriana, il ventenne Carlos Andres Mosquera Chavez, è stato falciato dai colpi sparati da un cecchino palestinese dall'interno di Gaza contro il kibbutz di Ein Hashlosha, nella parte sud dello Stato ebraico. Il giovane lavorava da cinque mesi come volontario.
Ma la vera rappresaglia palestinese è scattata oggi. All'alba venticinque razzi hanno colpito il sud di Israele. Ieri contro Sderot erano stati sparati una quarantina di Qassam che avevano provocato il ferimento di diverse persone. Nelle stesse ore, in prossimità di Jenin (Cisgiordania), unità speciali israeliane hanno ucciso il capo militare della Jihad islamica, Abu Al Qassam. La sua uccisione segue di un giorno la cattura di Ibrahim Salem, uno dei capi del braccio armato della Jihad islamica in Cisgiordania. Nel frattempo ingenti forze dell'esercito e della polizia israeliana sono confluite nel nord per sgomberare alcuni avamposti illegali.
Sul fronte politico, ha rassegnato le dimissioni il vice premier israeliano Avigdor Lieberman, ministro per gli Affari Strategici e leader della formazione Yisrael Beitenu. Lo ha annunciato le stesso Lieberman nel corso di una conferenza stampa, motivando la propria decisione con l'insanabile disaccordo nei confronti del primo ministro Ehud Olmert, colpevole di aver riavviato con i palestinesi negoziati per un accordo di pace. A giudizio degli analisti politici, l'uscita di Liberman dalla coalizione rappresenta un duro colpo per il Governo. Così, infatti, la coalizione al potere si restringe da 78 a 67 deputati su 120 e sarà ancor più esposta alle eventuali ripercussioni del rapporto della commissione d'inchiesta sulla gestione della guerra in Libano nell'estate 2006, la cui pubblicazione è prevista per il prossimo 30 gennaio ed è considerata un momento quanto mai critico per il futuro politico di Olmert.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

In seguito all'attentato contro un mezzo Usa a Beirut

Sempre sotto minaccia
la stabilità in Libano

 

L'attentato ha provocato tre morti e dieci feriti
Ban Ki-moon:  "Trovare chi ha perpetrato questo vile crimine e assicurarlo alla giustizia"
La Rice invita il Libano a resistere alle interferenze straniere negli affari interni

 

BEIRUT, 16.
Cresce la tensione in Libano in seguito ad un nuovo attentato di matrice politica. Ieri, poco dopo le 16 (ora locale, n.d.r.) un'autobomba è stata fatta esplodere a distanza al passaggio di un veicolo dell'ambasciata Usa nel quartiere di Doura. Tre i morti e dieci i feriti. "È imperativo per le autorità libanesi - ha commentato il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon - trovare chi ha perpetrato questo vile crimine e portarlo di fronte alla giustizia".
Secondo il leader della maggioranza delle "Forze del 14 Marzo", Saad Hariri, "si vuole impedire al Libano di voltare pagina", bloccando con la violenza l'elezione di un nuovo capo dello Stato.
Da Washinghton il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Sean McCormack, ha precisato che - contrariamente a quanto riferito inizialmente - nessun funzionario degli Stati Uniti è stato coinvolto nell'attentato, in cui è rimasto "leggermente ferito" il conducente libanese del fuoristrada dell'ambasciata a Beirut. Ma la circostanza che il fuoristrada fosse di ritorno dall'aeroporto internazionale di Beirut, dove il conducente aveva appena accompagnato un diplomatico statunitense, ha comunque suscitato allarme e in serata, "per motivi di sicurezza", è stato annullato il previsto ricevimento di congedo dell'ambasciatore Usa uscente, Jeffrey Feltman, in programma in un grande albergo sul lungomare di Beirut.
Fonti di sicurezza a Beirut hanno dal canto loro confermato che l'attentato ha provocato tre morti, tutti libanesi (e non quattro, come riferito dal portavoce del Dipartimento di stato Usa), e otto feriti (anche questi tutti libanesi, tranne un iracheno). Le stesse fonti hanno ugualmente confermato la dinamica dell'attentato:  poco dopo le 16 locali, un'autobomba è stata fatta esplodere a distanza al passaggio del fuoristrada dell' ambasciata Usa, nei pressi del mobilificio "Sleep Comfort". Per la potenza dell'esplosione, l'autobomba - ridotta a un ammasso di lamiere carbonizzate - è stata scagliata all'interno del cortile di un magazzino che si affaccia sulla vecchia strada costiera che conduce al porto di Junieh (21 chilometri a nord di Beirut), ma il fuoristrada dell'ambasciata Usa - grazie alla sua blindatura - è rimasto solo parzialmente danneggiato, anche se è uscito dalla carreggiata, andando a sbattere contro le saracinesche di un vicino garage.
Si tratta del terzo attentato a Beirut in poco più di un mese. Solo una settimana fa due "caschi blu" irlandesi dell'Unifil erano rimasti feriti a causa di un'esplosione a sud di Beirut. Lo scorso dicembre un'altra autobomba aveva ucciso il comandante dell'esercito François Hajj, principale candidato alla successione del generale Michel Suleiman alla carica di capo dell'esercito.
Dall'Arabia Saudita dove è in visita insieme al presidente Usa George W. Bush, il segretario di Stato Condoleezza Rice ha espresso lo "sdegno" degli Stati Uniti per "l'attentato terroristico". Un attentato che "non distoglierà di certo gli Stati Uniti - ha detto la Rice - dagli sforzi per aiutare il popolo libanese, per aiutare le forze democratiche in Libano, per aiutare il Libano a resistere alle interferenze negli affari interni".



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Scade ufficialmente la tregua concordata nel 2002 grazie alla mediazione della Norvegia

Mina esplode al passaggio di un autobus
Strage nella capitale dello Sri Lanka

 

COLOMBO, 16.
Il sangue è tornato a scorrere nello Sri Lanka proprio mentre sta per scadere ufficialmente il vacuo cessate il fuoco concordato nel 2002 grazie alla mediazione della Norvegia, ma di fatto fuori gioco già da un paio d'anni, e a sei giorni dall'offerta di intavolare nuovi negoziati formulata dai ribelli separatisti delle Tigri per la liberazione dell'Eelam (patria) Tamil, peraltro subito respinta dal Governo:  una mina a mitraglia, imbottita di esplosivo e caricata con chiodi, bulloni e cuscinetti a sfera per aumentane la potenza micidiale, è scoppiata al passaggio di un autobus civile carico di passeggeri, lungo la strada sul cui ciglio era stata nascosta, sventrando il veicolo e facendo strage di quanti erano a bordo, in gran parte alunni in tenera età in procinto di andare a lezione:  25 i morti finora accertati, tra cui tredici donne e undici uomini uccisi sul colpo, più un'altra persona deceduta sulla via del ricovero in ospedale a causa delle gravissime lesioni riportate. I feriti accertati ammontano a 67, compresi da quattro a otto minorenni, a seconda delle versioni, le cui condizioni non sarebbero tuttavia particolarmente serie.
Stando a un comunicato del ministero della Difesa, il bilancio dell'attentato è destinato a peggiorare ancora ma fortunatamente la maggior parte dei bambini coinvolti sarebbero usciti illesi, o quasi, dall'agguato, avvenuto a Weliara, nel distretto centrale di Moneragala, circa 240 chilometri a sud est di Colombo. A titolo precauzionale, comunque, le scuole sono state immediatamente chiuse fino a nuovo ordine in tutta la provincia di Uva, nella quale ricade la località presa di mira. Nessuna rivendicazione risulta al momento essere pervenuta, ma il Governo di Colombo non ha esitato a imputare il massacro ai guerriglieri Tamil, che da anni si battono per costituire uno Stato proprio nelle aree settentrionali e orientali dello Sri Lanka:  la nota ministeriale lo definisce un "attacco codardo contro scolari innocenti", perpetrato da una "spietata banda terroristica, famigerata per i suoi continui crimini ai danni di donne e bambini".
Poco dopo l'eccidio di Weliara, un secondo attentato dinamitardo dalle caratteristiche analoghe ha colpito un blindato dell'esercito regolare una ventina di chilometri più a sud:  tre i soldati feriti, a detta di fonti militari riservate. Peggiore viatico non poteva esservi per la conclusione della formale tregua, che si concluderà alla mezzanotte di oggi ora locale. Violazioni a parte, le autorità l'avevano già denunciata unilateralmente due settimane fa, convinte di essere perfettamente in grado di stroncare una volta per tutte la resistenza degli indipendentisti e di annientare l'entità a se stante da essi costituita nei settori del territorio nazionale che concretamente controllano; la situazione sul campo rischia però di degenerare senza più alcuna via d'uscita, con i combattimenti che s'inaspriscono di giorno in giorno.



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Il 17 gennaio la Chiesa in Italia celebra la "Giornata dell'ebraismo"

Il dialogo con gli ebrei
alle radici della fede cristiana

 

Norbert Hofmann
Segretario della commissione
per i rapporti religiosi con l'ebraismo

Il dialogo della Chiesa cattolica con l'ebraismo ha a che fare con l'identità cristiana stessa, poiché il cristianesimo ha radici ebree. Gesù era ebreo e legato alla tradizione ebraica. Maria di Nazaret e gli apostoli erano ebrei, segnati dalla cultura e dalla religione ebraica. La dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate (N. 4) ribadisce questo fatto inserendolo nel più ampio contesto del pensiero paolino:  "Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe:  "dei quali è l'adozione a figliuoli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è Cristo secondo la carne" (Rom 9, 4-5), Figlio di Maria Vergine. Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli Apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo". La Sacra Scrittura è stata redatta nel contesto della tradizione ebraica ed è in tale contesto che essa può essere meglio compresa. Dio ci ha donato la sua Parola fattasi uomo nel contesto della tradizione ebraica. Nella storia della salvezza, non è un caso che Dio si sia fatto uomo nel popolo ebraico.
Dal tempo di Gesù, l'ebraismo ha conosciuto sviluppi e cambiamenti. Ma l'elemento essenziale è sempre la Tora come Parola rivelata di Dio, insieme alla sua interpretazione, al nesso tra tradizione scritta e orale, al compimento della volontà di Dio conformemente alla Scrittura, al rispetto di quei principî etici espressi nella Bibbia per una vita riuscita nel giusto rapporto con Dio. L'ebraismo odierno attinge alla ricca tradizione del passato e si sforza di attuarla nel presente. Se guardiamo alle singole correnti e agli sviluppi dell'ebraismo odierno constatiamo una situazione varia. "L'ebraismo" come entità astratta normativa non sembra esistere; ci sono tuttavia singoli individui, comunità, associazioni che vivono da una tradizione comune e condivisa. Dato che il cristianesimo ha radici ebree, il dialogo tra cattolici ed ebrei non deve rappresentare un'opzione. Il dialogo è fondamentale per i cristiani. Dal punto di vista teologico, noi abbiamo bisogno dell'ebraismo.
Oggi, 17 gennaio, la Chiesa in Italia celebra la "Giornata dell'ebraismo", come espressione del grande valore attribuito all'ebraismo dalla Chiesa cattolica. È un'occasione per riprendere coscienza delle radici ebree della nostra fede cristiana e per ricordare e far conoscere il dialogo attuale con l'ebraismo. Non è solo la CEI ad aver introdotto la "Giornata dell'ebraismo", ma anche quella polacca e quella austriaca.
Papa Benedetto XVI, tramite il cardinale Segretario di Stato, ha incaricato la Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo di condurre un sondaggio sull'introduzione di una "Giornata dell'ebraismo" al livello delle Conferenze episcopali nei paesi in cui grandi comunità ebraiche sono in dialogo con la Chiesa cattolica. La maggior parte delle Conferenze episcopali si è espressa a favore dell'iniziativa. Nei Paesi Bassi, la Conferenza episcopale ha preso da sola la decisione di introdurre una "Giornata dell'ebraismo". La Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo è lieta di questo evento e invia un suo rappresentante a leggere il messaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, il cardinale Walter Kasper. Negli ultimi anni il dialogo con l'ebraismo ha compiuto grandi passi. Esemplare dal punto di vista degli sforzi intrapresi, degli incontri e delle attività della Commissione è il dialogo con il Grande Rabbinato di Israele. Dal giugno del 2002 sono stati avviati contatti tra questo e la Commissione. Un primo impulso decisivo per lo sviluppo di tali contatti è stato dato da Giovanni Paolo II, che, durante la sua visita in Israele, ha dimostrato la volontà di allacciare un dialogo con le istituzioni ebraiche. Nel novembre del 2001, anche il cardinale Kasper si è recato in Terra Santa ed ha ribadito la disponibilità del Vaticano di intavolare con gli ebrei un dialogo fruttuoso. È comprensibile che tale dialogo comporti difficoltà specifiche:  Israele è l'unico Paese in cui una minoranza cristiana si trova a vivere insieme ad una maggioranza ebrea; molti problemi sono legati alla rispettiva appartenenza etnica. In tal senso, Giovanni Paolo II aveva ragione nel dire, durante un'udienza privata per i due Gran Rabbini d'Israele, che questo dialogo è un segno di grande speranza. Il dialogo con l'ebraismo in Israele ha prodotto risultati incoraggianti. Fino ad oggi, hanno avuto luogo sette riunioni e la prossima è prevista a Roma dal 9 all'11 marzo. Le due città, Gerusalemme e Roma, sono state scelte come luogo di riunione in base alle rispettive tradizioni religiose. La delegazione ebrea del Grande Rabbinato si compone di rabbini ortodossi. L'ebraismo ortodosso mostra nell'insieme una maggiore apertura e disponibilità al dialogo e sempre più accetta di discutere questioni religiose. Il dialogo con il Grande Rabbinato di Israele diventa pertanto la porta di accesso all'ebraismo ortodosso della diaspora nel suo insieme, che si trova al di fuori dello Stato di Israele.
Non dobbiamo scordarci che la riconciliazione e la mutua comprensione nella auspicata amicizia tra ebrei e cristiani è opera dello Spirito Santo. In questo senso, dobbiamo essere grati a Dio, che si è rivelato innanzitutto al popolo di Israele ma che si è donato nel suo amore infinito a tutta l'umanità nella persona di Gesù Cristo. Dio è all'opera quando ebrei e cristiani riescono ad essere insieme testimoni del Suo amore per l'umanità. È questo il vero senso profondo della odierna "Giornata dell'Ebraismo".



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

In occasione della sua festa liturgica

Il beato Paolo Manna
luce per le missioni

 

AVELLINO, 16.
All'Angelus di domenica 23 dicembre, Benedetto XVI parlava dell'urgenza e della bellezza dell'attività evangelizzatrice della Chiesa:  "La missione evangelizzatrice della Chiesa è la risposta al grido:  "Vieni, Signore Gesù!" che percorre tutta la storia della salvezza e che continua a levarsi dalle labbra dei credenti. Vieni, Signore, a trasformare i nostri cuori, perché nel mondo si diffondano la giustizia e la pace!".
Il 16 gennaio, festa liturgica del beato Padre Manna, missionario del Pime fondatore della Pontificia Unione Missionaria, beatificato da Giovanni Paolo II il 4 novembre 2001, questo grande missionario torna ad Avellino, città che gli diede i natali, attraverso le sue reliquie.
Il dono è fatto dal Pime alla diocesi e sarà il vescovo di Aversa, monsignor Mario Milano, diocesi in cui è sepolto il Beato nella Comunità Missionaria del Pime di Trentola Ducenta (Caserta), a portare il dono al confratello vescovo di Avellino, monsignor Franco Marino, presenti il clero e i fedeli della diocesi, rappresentanti del Pime e fedeli della diocesi di Aversa.
Monsignor Milano da sempre è un grande ammiratore devoto di Padre Manna e accanto alla sua tomba fa confluire mensilmente il clero e i religiosi della diocesi perché infiammino di ardore missionario la loro attività pastorale.
Il ritorno di Padre Manna ad Avellino con le reliquie è un'occasione di grazia che non deve assolutamente andar perduta dalla città e dalla diocesi perché, riecheggiando ancora le parole del Papa citate all'inizio, la Chiesa di Avellino, attraverso l'esempio del suo figlio missionario e beato, trasformi il suo cuore ecclesiale.
"Nulla è più bello, urgente e importante che ridonare gratuitamente agli uomini quanto gratuitamente abbiamo ricevuto da Dio! Nulla ci può esimere o sollevare dall'oneroso e affascinante impegno dell'evangelizzazione". Padre Paolo Manna, in effetti, ha messo tutta la sua vita a servizio della bellezza e dell'urgenza della missione.

La santità per la missione

 

Nato ad Avellino il 16 gennaio 1872 e morto a Napoli il 15 settembre 1952, Padre Paolo Manna è stato, con la santità della vita e la passione dell'anima, la coscienza missionaria della Chiesa del ventesimo secolo, un vero cuore missionario per la Chiesa e per il mondo.
Donò la vita per l'evangelizzazione dei popoli prima come missionario in Birmania (ora Myanmar), che fu costretto a lasciare per malattia a soli 35 anni e poi, da allora e fino alla fine della vita, come infaticabile animatore nella Chiesa per la missio ad gentes.
Scrisse diversi libri che sono fondamentali per capire la natura missionaria della Chiesa e l'obbligo per tutti i battezzati di realizzarla.
Su tale convinzione di fede fondò e diresse quattro riviste e realizzò due istituzioni significativela Pontificia Unione Missionaria, per ricordare la natura missionaria del sacerdozio cattolico, e il Seminario Missionario per l'Italia Meridionale a Ducenta per richiamare il dovere di ogni Chiesa locale a provvedere direttamente alle vocazioni missionarie specifiche.
Se oggi il Seminario Missionario di Ducenta è privo di vocazioni di giovani da formare per la missione, il richiamo di Padre Manna alle diocesi dell'Italia Meridionale si fa ancora più vero perché nel mondo aumenta il numero di coloro che non conoscono il Vangelo.
Un richiamo che Benedetto XVI ha fatto vibrare nel messaggio per l'ultima Giornata Missionaria Mondiale mettendovi come titolo l'espressione:  Tutta la Chiesa per tutto il mondo, che per la prima volta fu coniata dal Padre Manna nell'ultimo suo libro. Ha detto il Papa:  "resta ancora molto da fare per rispondere all'appello missionario che il Signore non si stanca di rivolgere a ogni battezzato. Egli continua a chiamare in primo luogo le Chiese cosiddette di antica tradizione...".

Una primavera missionaria

 

Di fronte a tutti i problemi posti dall'evangelizzazione Padre Manna ha invitato sempre a rispondere con la santità della vita.
Scriveva ai suoi missionari:  "per essere santi, e grandi santi, dobbiamo ricordare quello che siamo. Siamo missionari, esecutori dei disegni della misericordia di Dio in questo misero mondo, realizzatori della sua gloria. Il missionario perciò è un uomo che non può conoscere mediocrità e mezze misure... Dunque, se non raggiungiamo l'alta perfezione del nostro stato, rimaniamo al di sotto della nostra missione provvidenziale:  fallisce lo scopo per cui Dio ci ha chiamati e noi ci siamo offerti" (Paolo Manna, Virtù Apostoliche, EMI, Bologna, 1997, pp. 359-360).
Giovanni Paolo II il 13 novembre 1990 veniva a pregare sulla tomba di Padre Paolo Manna; un mese dopo, il 7 dicembre, pubblicava la sua enciclica missionaria Redemptoris Missio, che terminava con questa solenne affermazione:  "il vero missionario è il santo" (RM, 91).
Benedetto XVI concludeva il suo saluto all'Angelus del 23 dicembre scorso indicando Maria come "modello impareggiabile di evangelizzazione:  è la Vergine che ha comunicato al mondo non un'idea ma Gesù Cristo, Verbo incarnato".
Padre Manna fu un innamorato di Maria, che andava a venerare soprattutto nei santuari di Montevergine, che sovrasta la città di Avellino, e di Pompei, da dove inculcava la recita del Rosario per sostenere l'attività evangelizzatrice.
Nel nome della Madonna di Montevergine auguriamo alla città e alla diocesi di Avellino l'avvento di una grande primavera missionaria!

GIUSEPPE BUONO



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

L'impegno delle suore dell'Opera Don Orione

In Costa d'Avorio un programma
per la tutela della maternità

 

Il progetto, realizzato grazie anche alla collaborazione di un'équipe medica italiana, in pochi anni ha portato alla costruzione di un grande ospedale specialistico
Si è così sensibilmente ridotta la mortalità infantile e tra le gestanti e si sta sviluppando una maggiore coscienza sanitaria tra la popolazione

ABIDJAN, 16.
"Ad Anyama le donne partorivano per strada. Si registrava purtroppo una mortalità molto elevata, con un rapporto di una a sedici contro l'una a millequattrocento di Europa e nord America. Ora le gestanti sono consapevoli della necessità del parto assistito, delle cure più semplici, della prevenzione".
Parole di soddisfazione quelle delle suore dell'Opera don Orione ad Anyama, centro di trecentomila abitanti della Costa d'Avorio, a pochi chilometri da Abidjan. Sono loro, insieme con un équipe di medici italiani, ad avere avviato e realizzato il "Progetto Afrique", un programma di tutela della maternità che in pochi anni ha portato alla costruzione ad Anyama di un grande ospedale ostetrico-ginecologico. I risultati raggiunti sono lusinghieri:  settecento parti all'anno, seimila visite e centinaia di ecografie. "All'inizio le partorienti erano diffidenti - spiega una religiosa - ma poi hanno iniziato a rivolgersi con sempre maggiore convinzione ai dottori che le assistevano".
Le basi del progetto erano state poste nel 2001, quando le suore orionine, impressionate dalle spaventose condizioni in cui i bambini ivoriani erano costretti a nascere (capanne prive di qualsiasi protezione sanitaria, parti avvenuti in mezzo a strade sterrate) si rivolsero a medici ginecologi abruzzesi che aderirono subito al programma. Una nuova risposta d'amore data dalla missione orionina, dal 1995 impegnata a portare aiuto e conforto a malati, disabili psichici e fisici e bambini di strada della zona.
La struttura ospedaliera specializzata in maternità, inaugurata nell'aprile 2007, ha beneficiato di sovvenzioni pubbliche e private da tutto il mondo che hanno premiato l'infaticabile operato di carità dell'Opera Don Orione. Il complesso è stato dotato inizialmente di una sala travaglio, una sala parto, due sale operatorie, un'isola neonatale e quaranta posti letto. Successivamente sono sorti un poliambulatorio, un reparto per malati di Aids, una sala radiologica e un laboratorio di analisi.
"È stata commovente - ha rivelato una religiosa - la partecipazione italiana ed estera al compimento del programma in breve tempo. Siamo partiti dal nulla. Sei anni fa c'era tutto da fare, dovevamo scegliere il sito dove edificare l'ospedale, progettarlo nei minimi particolari, formare professionalità in loco. Dovunque affioravano i segni lasciati dalla disastrosa guerra civile iniziata nel 1999, lo Stato era diventato poverissimo. Bastava la semplice indisponibilità di un antibiotico per morire, un'emorragia da parto si concludeva spesso con la morte della madre".
La situazione ora è sensibilmente migliorata. Alcuni medici italiani, ritornati a casa dopo l'esperienza professionale in Costa d'Avorio, hanno deciso di trasferirsi in pianta stabile ad Anyama, colpiti dalla dedizione totale delle suore orionine alla salvezza della vita umana.
"Vedere che, dopo un'iniziale diffidenza dovuta ad una realtà assistenziale a loro sconosciuta, le donne ivoriane apprezzano le nostre cure, mostrando riconoscenza alle consorelle e al personale ospedaliero, è un grande motivo di soddisfazione", ha raccontato una delle Piccole Suore Missionarie della Carità. "Molte stanno finalmente comprendendo che dare alla luce una vita in mezzo alla strada o sotto una capanna di fango e paglia non deve essere più la norma. Con il tempo il nostro centro ospedaliero è diventato un punto di riferimento importante".



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Monsignor Fortino sulla prima lettera ai Tessalonicesi

San Paolo
e l'ecumenismo

 

Dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani
L'attualità dell'iniziativa di padre Paul Wattson e i fondamenti te
ologici nel Concilio Vaticano II

 

Eleuterio F. Fortino
Sottosegretario del Pontificio consiglio
per la promozione dell'unità dei cristiani

"Ancora e ancora preghiamo il Signore". Quest'invito del diacono, spesso ripetuto nel corso delle celebrazioni bizantine, sembra fare eco al tema scelto per la Settimana di preghiera per l'unità di quest'anno. A cento anni dall'inizio della prassi organizzata di una preghiera per l'unità dei cristiani, viene rivolto l'invito a "pregare continuamente", incessantemente, "senza interruzione" (1 Tessalonicesi 5, 17).
1. Il Decreto del Concilio Vaticano II sull'ecumenismo si chiude con l'affermazione che "questo santo proposito di riconciliare tutti i Cristiani nell'unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane", e "perciò" il Concilio "ripone tutta la sua speranza nell'orazione di Cristo per la Chiesa" (UR, 24). Quando il Decreto tratta l'esercizio dell'ecumenismo, chiede di situare le preghiere private e pubbliche in quel nucleo centrale che indica come "l'anima di tutto il movimento ecumenico", sottolineando che "queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità" (UR, 8).
2. In quest'anno 2008 ricorre il centenario dell'inizio della prassi di pregare regolarmente per l'unità dei cristiani per opera di padre Paul Wattson, un ministro episcopaliano (anglicano degli Stati Uniti), co-fondatore della Society of the Atonement (Comunità dei frati e delle suore dell'Atonement) a Graymoor (Garrison, New York), che in seguito aderì alla Chiesa cattolica; la sua iniziativa continua fino ai nostri giorni. A Roma la Congregazione dei Frati francescani dell'Atonement è presente e impegnata nella promozione della ricerca dell'unità dei cristiani attraverso il "Centro Pro Unione".
Proprio per commemorare questo avvenimento, il Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani ha chiesto alla Comunità dell'Atonement di Graymoor di ospitare il Comitato misto per la preghiera composto da rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica che annualmente prepara i sussidi che vengono poi divulgati nel mondo intero. Dal 1908 la prassi della preghiera per l'unità ha avuto una lenta, ma graduale evoluzione, nella sua impostazione e nella diffusione nel mondo.
La Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani nel 2008 celebra il centenario dell'istituzione dell'Ottavario per l'unità della Chiesa. Questo titolo scelto da padre Wattson è stato trasformato in Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani in seguito all'impostazione data dall'abbé Paul Couturier (1936). Il cambiamento di terminologia rispecchia lo sviluppo della storia della preghiera per l'unità. Per la Chiesa cattolica, il Decreto del Concilio Vaticano II ha dato un'impostazione teologicamente fondata ed ecumenicamente aperta tanto da rendere possibile un'ampia partecipazione degli altri cristiani alla preghiera comune. Dal 1968 si è instaurata una feconda collaborazione con il Consiglio ecumenico delle Chiese, elaborando e divulgando insieme i sussidi su un tema concordato, diverso di anno in anno.
In relazione a questo centenario, il Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani ha chiesto alla Commissione ecumenica dei vescovi degli Stati Uniti di scegliere e di proporre un primo progetto per i sussidi dell'anno 2008. È stato scelto il tema "Pregate continuamente", indicando come testo base una breve pericope della Lettera di san Paolo ai primi cristiani di Tessalonica (1 Ts 5, 12a.13b-18), una delle più antiche lettere di Paolo. La prima comunità cristiana di Tessalonica era stata fondata da Paolo; in seguito egli aveva sentito che serie difficoltà, provenienti dall'esterno, ma anche da divisioni interne, agitavano quella comunità provocando divisioni e opposizioni. Informato, Paolo si indirizzò a quella comunità con due lettere.
3. Il breve ma denso testo biblico contiene una serie di consigli, esortazioni, ordini paterni emananti dall'amore che Paolo nutriva per questa comunità sorta dalla sua predicazione. Egli si rivolge ai tessalonicesi con "Vi prego ... vivete in pace tra voi" (1 Ts 5, 13b). I cristiani riconciliati in Cristo devono dare testimonianza della redenzione ricevuta e della comunione ristabilita con Dio. Il tema della riconciliazione e della pace tra i discepoli di Cristo è dominante nell'insegnamento di Paolo. Anche ai primi cristiani di Efeso egli ricorda questo tema fondamentale e lo collega direttamente a quello della vocazione cristiana. "Vi scongiuro di tenere una condotta degna della vocazione a cui siete stati chiamati ... studiandovi di conservare l'unità di spirito nel vincolo della pace" (Ef 4, 3). E ripresenta loro il fondamento teologico:  "Non c'è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef 4, 5). La pace è un dono di Dio che i discepoli ricevono e che sono chiamati a tradurre nelle espressioni concrete della vita personale e comunitaria.
4. Nel corpo del testo scelto, Paolo dà alcune "indicazioni per risolvere le tensioni" della comunità di Tessalonica, indicazioni che vengono proposte come utili anche per la situazione attuale dei cristiani per la ricerca della loro riconciliazione e della loro piena unità. La divisione, e spesso le contrapposizioni polemiche tra i cristiani nel nostro tempo, vanno risolte per mezzo del dialogo teologico, ma vi è un grande spazio di relazioni fraterne da istituire e realizzare per creare nuove condizioni di vita fraterna e pacifica.
Il brano si conclude con l'affermazione che "questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi", verso i discepoli:  fare il bene reciprocamente, evitare le ritorsioni al male ricevuto, sostenere i deboli, esercitare la pazienza con tutti, vivere nella letizia, rendere grazie a Dio in ogni cosa. Il testo paolino dà altre indicazioni valide pure come metodo per l'ecumenismo e come apertura al futuro:  "Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1 Ts 5, 19). Quest'ultima indicazione favorisce un atteggiamento positivo verso il patrimonio delle altre Chiese e Comunità ecclesiali con cui si può avere uno scambio di beni per la crescita cristiana e quindi ecumenica comune. Un tale processo nella storia dell'ecumenismo recente è stato indicato come "dialogo della carità", essenziale per ristabilire il clima di fraternità, necessario per una cooperazione di tutti verso l'unità. Paolo non presenta questo orientamento come semplice strumento utilitaristico di politica ecclesiastica, ma lo riconduce a Dio stesso. Questa è la volontà di Dio in Cristo verso l'insieme dei discepoli. In questa prospettiva Paolo auspica che "il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione" (1 Ts 5, 23).
5. Tra le indicazioni date da san Paolo vi è il consiglio che è stato proposto come titolo del tema della preghiera per l'unità di quest'anno:  "Pregate continuamente" (1 Ts 5, 17), pregate di continuo, "senza interruzione" (adialèiptos), "incessantemente", "senza intermissione", secondo altre traduzioni. In "ogni tempo e luogo", come richiede la preghiera delle ore nella Chiesa bizantina. Il paradossale consiglio di san Paolo - pregare senza interruzione - ha fatto molto riflettere gli uomini spirituali. I Racconti di un pellegrino russo hanno inizio proprio con questo problema:  "Come è possibile pregare senza interruzione?". Eppure il consiglio di san Paolo si riferisce a tutti i discepoli di Cristo. Il Comitato misto che ha proposto il tema applica il consiglio della preghiera ininterrotta anche alla promozione dell'unità di tutti i cristiani. La proposta della preghiera non è limitata ad "una" settimana, ma si estende all'intero anno.
In un'indicazione sull'uso dei sussidi, il Comitato misto, che ha preparato i testi, afferma:  "Incoraggiamo i fedeli a considerare il materiale presentato in questa sede come un invito a trovare opportunità in tutto l'arco dell'anno per esprimere il grado di comunione già raggiunto tra le Chiese e per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso. Il testo viene proposto nella convinzione che, ove possibile, venga adattato agli usi locali, con particolare attenzione alle pratiche liturgiche nel loro contesto socio-culturale e alla dimensione ecumenica".
Cento anni or sono ha avuto inizio la pratica della preghiera per l'unità. Quest'anno si celebra quell'inizio per una nuova sollecitazione. Si incoraggia a continuare la preghiera per l'unità e a farla "senza interruzione". Il pellegrinaggio verso la piena unità ha bisogno assoluto del viatico della grazia di Dio da invocare ogni giorno. La piena unità è dono di Dio.
6. La prassi della preghiera per l'unità offre l'opportunità a tutti i battezzati di partecipare al movimento ecumenico e non si limita a coloro che vivono in contesti interconfessionali, ma a tutti coloro che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Nell'enciclica sull'ecumenismo (UUS, 22) il servo di Dio Giovanni Paolo II ha sottolineato l'importanza della preghiera comune e continua:  "Sulla via ecumenica verso l'unità, il primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso".



L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)

 

Riflessione del cardinale Walter Kasper sull'iniziativa che compie cento anni

Cammino e significato del movimento ecumenico

 

Walter Kasper
Cardinale presidente
del Pontificio Consiglio per la Promozione
dell'Unità dei Cristiani


Il 2008 è un anno del tutto speciale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che, come di consueto, ha luogo dal 18 al 25 gennaio. Ricorre infatti, per così dire, il suo centesimo anniversario. Allo stesso tempo, festeggiamo i quarant'anni dall'inizio del lavoro congiunto tra la Commissione "Fede e costituzione" del Consiglio ecumenico delle Chiese e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, che ogni anno preparano insieme i sussidi della Settimana di preghiera.
Ma c'è di più. Quest'anno commemoriamo anche la beatificazione, avvenuta venticinque anni fa proprio durante la Settimana di preghiera, di suor Maria Gabriella dell'unità (1914-1936), trappista, che dedicò la sua intera esistenza, trascorsa nell'isolamento del convento, alla meditazione ed alla preghiera affinché si realizzasse la volontà espressa da Gesù:  "perché tutti siano una cosa sola" (Giovanni 17, 21).
Questo triplice anniversario mi spinge a riflettere sulla storia e sull'importanza sempre attuale della ricerca dell'unità, ed in particolar modo sulla Settimana di preghiera e sulla dimensione spirituale dell'ecumenismo. Mi chiederò dunque che cosa è l'ecumenismo spirituale, quali sono la sua portata ed il suo impatto, soprattutto nella situazione di grande cambiamento in cui si trova attualmente l'ecumenismo sotto molti aspetti:  all'inizio di questo ventunesimo secolo la sua storia è giunta infatti alle soglie di una nuova fase.
L'inizio del movimento ecumenico del ventesimo secolo viene generalmente fatto coincidere con la Conferenza mondiale sulla missione tenutasi ad Edimburgo nel 1910, di cui abbiamo già iniziato a preparare insieme, ecumenicamente, il centesimo anniversario, che avrà luogo tra due anni. Edimburgo è stato un evento molto importante per diverse ragioni. Esso ha dato avvio a due grandi correnti che sono poi sfociate nel Consiglio ecumenico delle Chiese:  "Vita e lavoro" e "Fede e costituzione". Il contributo essenziale di Edimburgo è stato l'aver associato esplicitamente l'impegno ecumenico della Chiesa e quello missionario. Ecumenismo e missione sono, per così dire, fratelli. Entrambi testimoniano chiaramente il concetto alla base della nostra auto-comprensione ecclesiale:  la Chiesa non è mai autosufficiente, ma deve sempre guardare al di fuori e al di là di se stessa. Nell'ecumenismo, la sfida della Chiesa è diventare sempre più consapevole dello scandalo della divisione, reso particolarmente evidente dall'esistenza di altre Chiese e Comunità ecclesiali, al fine di pervenire ad una riconciliazione. Nella missione, la Chiesa deve aprirsi al mondo delle nazioni e delle culture, desiderose di ricevere l'annuncio del Vangelo. Pertanto, l'ecumenismo e la missione hanno anche una dimensione escatologica; essi tendono allo shalom escatologico, a quella pace escatologica universale annunciata dai profeti dell'Antico Testamento. Non a caso il presidente ed il segretario della conferenza di Edimburgo, il metodista americano John Mott ed il teologo anglicano Joseph H. Oldam, erano anche protagonisti del movimento per la pace, iniziato dopo la tragedia e le devastazioni della prima guerra mondiale.
Tuttavia, per quanto importante sia la commemorazione della conferenza di Edimburgo, non dobbiamo scordarci che essa non è né l'unica né la più antica radice dell'ecumenismo del ventesimo secolo. Già cento anni fa, l'allora (ancora) ministro episcopaliano Paul Wattson (1863-1940) co-fondatore della Comunità dei fratelli e delle sorelle dell'Atonement a Graymoor (Garrison, New York), introdusse un ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani, che venne celebrato per la prima volta dal 18 al 25 gennaio 1908. Perciò in quest'anno del centesimo anniversario la preparazione della Settimana di preghiera è stata fatta a Graymoor.
Ma la Settimana di preghiera può essere fatta risalire a diverse iniziative ancora più lontane nel tempo e ai movimenti di rinnovamento spirituale della seconda metà del diciannovesimo secolo. Basti citare il Movimento di Oxford, l'Alleanza Evangelica Mondiale, la "Giornata Mondiale di Preghiera" delle donne che, nonostante la forte opposizione maschile, fu introdotta da donne presbiteriane, metodiste, battiste e anglicane negli anni ottanta del diciannovesimo secolo, a cominciare dagli Stati Uniti e dal Canada e poi nel resto del mondo. Decisivi furono anche i movimenti giovanili Ymca e Ywca, presenti anche a Edimburgo. John Mott scrisse:  "L'anima di Edimburgo non era nei suoi discorsi, ma nei suoi momenti di preghiera".
Vale poi la pena ricordare in modo particolare le due encicliche del Patriarca Ecumenico Joachim III:  la prima rivolta nel 1902 a tutte le Chiese ortodosse; la seconda scritta nel 1920 per invitare le Chiese di tutto il mondo ad un'"Alleanza di Chiese" simile all'"Alleanza delle nazioni". In questo documento, il Patriarca non solo utilizzò la parola greca koinwnia (comunione) come obiettivo finale della riunificazione delle chiese, ma sottolineò anche l'importanza fondamentale, per tutti i cristiani, della preghiera e delle invocazioni continue ai fini della ricomposizione dell'unità.
La Chiesa cattolica non fu da meno. Nonostante abbia aderito ufficialmente al movimento ecumenico istituzionale soltanto con il Decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II (1962-65), essa prese parte fin dall'inizio alla preghiera per l'unità dei cristiani e all'ecumenismo spirituale. Nei movimenti cattolici di rinnovamento spirituale del diciannovesimo secolo, presenti in molti luoghi, troviamo già gruppi di preghiera per l'unità della Chiesa. Santi quali Vincenzo Pallotti (1795-1850) e don Luigi Orione (1872-1940), entrambi importanti per il rinnovamento pastorale a Roma, così come Adolf Kolping (1813-65) ed il famoso vescovo Ketteler di Mainz (1811-77), noti per il loro impegno sociale, appoggiarono e promossero la preghiera per l'unità dei cristiani.
Nel 1895 Papa Leone XIII, nel suo Breve Providae Matris, raccomandò l'introduzione di una Settimana di preghiera nella settimana prima di Pentecoste. Egli scrisse:  "Si tratta di pregare per un'opera comparabile al rinnovamento della prima Pentecoste dove, nel Cenacolo, tutti i fedeli erano riuniti intorno alla madre di Gesù, unanimi nel pensiero e nella preghiera". Due anni dopo, nell'enciclica Divinum illud munus, il Papa parlò della preghiera in cui si chiede che il bene dell'unità dei cristiani possa maturare. Quando la Society of the Atonement divenne corporativamente membro della Chiesa cattolica, Papa Pio X nel 1909 dette la sua benedizione ufficiale alla Settimana di Preghiera di gennaio. Benedetto XV la sostenne e l'introdusse in maniera definitiva nella Chiesa cattolica. Anche Pio XI la promosse e Pio XII, nella sua enciclica Mystici corporis (1943) ribadì che, seguendo l'esempio di Cristo, avrebbe pregato per l'unità della Chiesa.
È significativo il fatto che Giovanni XXIII, proprio il 25 gennaio del 1959, alla conclusione della Settimana di preghiera, annunciò il Concilio Vaticano II, che avrebbe aperto ufficialmente la Chiesa cattolica al movimento ecumenico. Il Concilio nel suo Decreto sull'ecumenismo dichiarò:  "Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, devono essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale" (Unitatis redintegratio 8). Giovanni Paolo II ribadì varie volte e con estrema chiarezza la priorità della preghiera e l'importanza dell'ecumenismo spirituale nella sua enciclica Ut unum sint del 1993 (n. 15s; 21s.; 24-27).
Guardando nuovamente all'intenzione originaria di Paul Wattson, costatiamo un importante sviluppo nella comprensione della Settimana di preghiera. Mentre Paul Wattson riteneva che l'obiettivo dell'unità fosse il ritorno alla Chiesa cattolica, l'Abbé Paul Couturier (1881-1953) di Lione, negli anni trenta del secolo scorso, dette un nuovo impulso a questa Settimana, un impulso ecumenico nel vero senso della parola. Egli cambiò il nome da "Ottavario per l'unità della Chiesa" a "Settimana universale di preghiera per l'unità dei cristiani", promuovendo in tal modo un'unità della Chiesa "come Cristo desidera e secondo gli strumenti che egli desidera".
Il testamento spirituale di Paul Couturier del 1944, in cui egli spiega le sue intenzioni, è molto significativo, profondo e toccante; si tratta di uno dei testi ecumenici più ispirati che vale la pena leggere e meditare ancora oggi. L'autore parla di un "monastero invisibile", "costituito da tutte quelle anime alle quali lo Spirito Santo, a motivo degli sforzi sinceri da esse compiuti per aprirsi al Suo fuoco e alla Sua luce, ha permesso di comprendere intimamente lo stato doloroso di divisione tra i cristiani; in queste anime tale consapevolezza ha suscitato una sofferenza continua e, di conseguenza, la pratica regolare della preghiera e della penitenza".
Paul Couturier può essere considerato come il padre dell'ecumenismo spirituale. La sua influenza fu particolarmente sentita dal Gruppo di Dombes, da Roger Schutz e dalla comunità di Taizé. Da lui trasse grande ispirazione anche suor Maria Gabriella. Oggi, nel crescente numero di networks di preghiera tra monasteri cattolici e non cattolici, di movimenti e di comunità spirituali, di centri di religiose e di religiosi, vescovi, sacerdoti e laici, sta finalmente prendendo forma il suo monastero invisibile.
Per concludere questa breve panoramica storica, possiamo dire che la Preghiera per l'unità dei cristiani, e soprattutto la Settimana di preghiera, costituiscono l'origine e l'impulso continuo del movimento ecumenico. Questa constatazione ci suggerisce diverse cose, molto importanti.
Innanzitutto, il tema della Settimana di preghiera di quest'anno "Pregate incessantemente" (Prima lettera ai Tessalonicesi 5, 17) condensa in sé una lunga storia, che risale a ben oltre cento anni fa, in ultima analisi al Cenacolo di Gerusalemme dove Gesù pregò e dove gli apostoli e le donne insieme a Maria, la madre di Gesù, invocarono la venuta dello Spirito Santo (Atti degli Apostoli 1, 13 s.). La sua origine, la sua ragione profonda va rintracciata nella preghiera rivolta da Gesù al Padre alla vigilia della sua passione e morte, "perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te" (Giovanni 17, 21). Ecumenismo significa allora far propria questa preghiera, pregare con Gesù e in Gesù. Principio e motore dell'ecumenismo è la meditazione, la contemplazione. Il suo obiettivo è la comunione, ma una comunione che non è il puro risultato di sforzi umani, un'opera o un'istituzione creata semplicemente da noi. Senza comunione spirituale, tutte le strutture di comunione non sarebbero altro che un apparato senz'anima. La comunione, infatti, è prima di tutto un dono. Decidere quando, dove e come l'unità sarà realizzata, non è nelle nostre mani ma nelle mani di Dio. Ed in Lui dobbiamo avere fiducia.
In secondo luogo, la preghiera e la consapevolezza ecumenica iniziarono in maniera più o meno indipendente in diverse tradizioni ecclesiali ed in vari circoli transconfessionali e transnazionali, e furono appoggiate fin dall'inizio da tutti:  anglicani, protestanti, ortodossi, cattolici, chiese libere. Come ha osservato il Concilio Vaticano II, questo movimento può essere compreso solo come un impulso ed un'opera dello Spirito Santo, che ha risvegliato i cristiani in tutto il mondo ed in tutte le tradizioni ecclesiali, rendendoli coscienti dello scandalo della divisione e desiderosi di unità (Unitatis redintegratio 1; 4).
In terzo luogo, grazie a Edimburgo e a ciò che ne derivò, come i movimenti "Vita e lavoro" e "Fede e costituzione", quello che era primariamente un movimento spirituale poté assumere per la prima volta una struttura istituzionale, unendosi all'impegno missionario ed al movimento per la pace ed acquistando così una dimensione mondiale, non solo a livello di estensione geografica ma anche di impatto e di coscienza. Ogni anno, infatti, quando preghiamo per l'unità dei cristiani, preghiamo anche per i più importanti bisogni in ambito sociale e politico e per la pace nel mondo.
Ciò dimostra che l'ecumenismo è una risposta ai segni dei tempi. In un secolo tra i più bui e cruenti, segnato da due guerre mondiali che hanno fatto milioni di morti, da due sistemi totalitari e da innumerevoli dittature che hanno prodotto un numero infinito di vittime innocenti, i cristiani hanno deciso di lottare contro le loro antiche divisioni, dimostrando che è possibile riconciliarsi, nonostante le colpe commesse da tutti nel passato. Lo possiamo dire senza nessuna esitazione:  nel secolo scorso, l'ecumenismo è stato un faro che ha rischiarato le tenebre ed un vigoroso movimento per la pace.
Come è stato sottolineato da Giovanni Paolo II, nel ventesimo secolo ci sono stati martiri in tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali, persone che, animate da una profonda coscienza cristiana, si sono opposte a regimi disumani senza Dio e si sono impegnate fino in fondo per l'unità dei cristiani, per la riconciliazione e per la pace. Con l'offerta generosa della loro vita per il Regno di Dio, questi nostri fratelli e sorelle "sono la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo" (Ut unum sint 1).




 

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