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DISCORSO DI SUA SANTITÀ
PAPA GIOVANNI PAOLO II New York, 5 ottobre 1995 Signor Presidente, E' un onore per me prendere la parola in questa Assise dei
popoli, per celebrare con gli uomini e le donne di ogni Paese, razza, lingua,
cultura i cinquant'anni dell'istituzione
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Sono pienamente cosciente che,
indirizzandomi a questa distinta Assemblea, ho l'opportunità di rivolgermi,
in un certo senso, all'intera famiglia dei popoli che vivono sulla terra. La
mia parola, che vuol essere segno della stima e dell'interesse della Sede
Apostolica e della Chiesa Cattolica per questa Istituzione, s'unisce
volentieri alla voce di quanti vedono nell'ONU la speranza di un futuro
migliore per la società degli uomini. Rivolgo un vivo ringraziamento, in primo luogo, al
Segretario Generale, Dr. Boutros Boutros-Ghali, per aver caldamente incoraggiato questa
mia visita. Sono poi grato a Lei, Signor Presidente, per il cordiale
benvenuto con cui mi ha accolto in questo altissimo Consesso. Saluto infine
tutti voi, membri di questa Assemblea Generale: vi sono riconoscente per la
vostra presenza e per il vostro gentile ascolto. Sono oggi venuto tra voi col desiderio di offrire il mio
contributo a quella significativa meditazione sulla storia e sul ruolo di
questa Organizzazione, che non può non accompagnare e sostanziare la
celebrazione dell'anniversario. Un comune patrimonio dell'umanità 2. Signore e Signori! Alle soglie di un nuovo millennio
siamo testimoni di una straordinaria e globale accelerazione di quella
ricerca di libertà che è una delle grandi dinamiche della storia dell'uomo.
Questo fenomeno non è limitato ad una singola parte del mondo, né è
l'espressione di una sola cultura. Al contrario, in ogni angolo della terra
uomini e donne, pur minacciati dalla violenza, hanno affrontato il rischio
della libertà, chiedendo che fosse loro riconosciuto uno spazio nella vita
sociale, politica ed economica a misura della loro dignità di persone libere.
Questa universale ricerca di libertà è davvero una delle caratteristiche che
contraddistinguono il nostro tempo. Nella mia precedente visita alle Nazioni Unite, il 2
ottobre 1979, ebbi modo di mettere in rilievo come la ricerca della libertà
nel nostro tempo abbia il suo fondamento in quei diritti universali di cui
l'uomo gode per il semplice fatto di essere tale. Fu proprio la barbarie
registrata nei confronti della dignità umana che portò l'Organizzazione delle
Nazioni Unite a formulare, appena tre anni dopo la sua costituzione, quella
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo che resta una delle più alte
espressioni della coscienza umana nel nostro tempo. In Asia ed in Africa, in
America, in Oceania ed in Europa, è a questa Dichiarazione che uomini e donne
convinti e coraggiosi si sono richiamati per dare forza alle rivendicazioni
di una più intensa partecipazione alla vita della società. 3. E' importante per noi comprendere ciò che potremmo
chiamare la struttura interiore di tale movimento mondiale. Proprio questo
suo carattere planetario ce ne offre una prima e fondamentale
"cifra", confermando come vi siano
realmente dei diritti umani universali, radicati nella natura della persona,
nei quali si rispecchiano le esigenze obiettive e imprescindibili di una
legge morale universale. Ben lungi dall'essere affermazioni astratte, questi
diritti ci dicono anzi qualcosa di importante riguardo alla vita concreta di
ogni uomo e di ogni gruppo sociale. Ci ricordano anche che non viviamo in un
mondo irrazionale o privo di senso, ma che, al contrario vi è una logica
morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli
uomini e tra i popoli. Se vogliamo che un secolo di costrizione lasci spazio
a un secolo di persuasione, dobbiamo trovare la strada per discutere, con un
linguaggio comprensibile e comune, circa il futuro dell'uomo. La legge morale
universale, scritta nel cuore dell'uomo, è quella sorta di
"grammatica" che serve al mondo per affrontare questa discussione
circa il suo stesso futuro. Sotto tale profilo, è motivo di seria preoccupazione il
fatto che oggi alcuni neghino l'universalità dei diritti umani, così come
negano che vi sia una natura umana condivisa da tutti. Certo, non vi è un
unico modello di organizzazione politica ed economica della libertà umana,
poiché culture differenti ed esperienze storiche diverse danno origine, in
una società libera e responsabile, a differenti forme istituzionali. Ma una
cosa è affermare un legittimo pluralismo di "forme di libertà", ed
altra cosa è negare qualsiasi universalità o intelligibilità alla natura
dell'uomo o all'esperienza umana. Questa seconda prospettiva rende
estremamente difficile, se non addirittura impossibile, una politica internazionale
di persuasione. Assumersi il rischio della libertà 4. Le dinamiche morali dell'universale ricerca della
libertà sono apparse chiaramente nell'Europa centrale ed orientale con le
rivoluzioni non violente del 1989. Quegli storici eventi, sviluppatisi in
tempi e luoghi determinati, hanno però offerto una
lezione che va ben oltre i confini di una specifica area geografica: le
rivoluzioni non violente del 1989 hanno dimostrato che la ricerca della
libertà è un'esigenza insopprimibile, che scaturisce dal riconoscimento
dell'inestimabile dignità e valore della persona umana, e non può non
accompagnarsi all'impegno in suo favore. Il totalitarismo moderno è stato,
prima di ogni altra cosa, un assalto alla dignità della persona, un assalto
che è giunto persino alla negazione del valore inviolabile della sua vita. Le
rivoluzioni del 1989 sono state rese possibili dall'impegno di uomini e donne
coraggiosi, che s'ispiravano ad una visione diversa e, in ultima analisi, più
profonda e vigorosa: la visione dell'uomo come persona intelligente e libera,
depositaria di un mistero che la trascende, dotata della capacità di
riflettere e di scegliere - e dunque capace di sapienza e di virtù. Decisiva,
per la riuscita di quelle rivoluzioni non violente, fu l'esperienza della
solidarietà sociale: di fronte a regimi sostenuti dalla forza della
propaganda e del terrore, quella solidarietà costituì il nucleo morale del
"potere dei non potenti", fu una primizia di speranza e resta un
monito circa la possibilità che l'uomo ha di seguire, nel suo cammino lungo
la storia, la via delle più nobili aspirazioni dello spirito umano. Guardando oggi a quegli eventi da questo privilegiato
osservatorio mondiale, è impossibile non cogliere la coincidenza tra i valori
che hanno ispirato quei movimenti popolari di liberazione e molti degli
impegni morali scritti nella Carta delle Nazioni Unite: penso ad esempio
all'impegno di "riaffermare la fede nei diritti umani fondamentali,
nella dignità e valore della persona umana"; come pure all'impegno di
"promuovere il progresso sociale e migliori condizioni di vita in una
libertà più ampia" (preamb.). I cinquantuno
Stati che hanno fondato questa Organizzazione nel 1945 hanno veramente acceso
una fiaccola, la cui luce può disperdere le tenebre causate dalla tirannia -
una luce che può indicare la via della libertà, della pace e della
solidarietà. I diritti delle Nazioni 5. La ricerca della libertà nella seconda metà del
ventesimo secolo ha impegnato non soltanto gli individui ma anche le nazioni.
A cinquant'anni dalla fine della seconda guerra
mondiale è importante ricordare che quel conflitto venne
combattuto a causa di violazioni dei diritti delle nazioni. Molte di esse hanno tremendamente sofferto per la sola ragione di
essere considerate "altre". Crimini terribili furono commessi in
nome di dottrine infauste, che predicavano l'"inferiorità" di
alcune nazioni e culture. In un certo senso, si può dire che l'Organizzazione
delle Nazioni Unite nacque dalla convinzione che simili dottrine erano
incompatibili con la pace; e l'impegno della Carta di "salvare le future
generazioni dal flagello della guerra" (preamb.)
implicava sicuramente l'impegno morale di difendere ogni nazione e cultura da
aggressioni ingiuste e violente. Purtroppo, anche dopo la fine della seconda guerra
mondiale i diritti delle nazioni hanno continuato ad essere violati. Per fare
solo alcuni esempi, gli Stati Baltici ed ampi territori dell'Ucraina e della Bielorussia vennero assorbiti
dall'Unione Sovietica, come era già accaduto all'Armenia, all'Azerbajdzan ed alla Georgia nel Caucaso.
Contemporaneamente, le cosiddette "democrazie popolari" dell'Europa
centrale ed orientale persero di fatto la loro
sovranità e venne loro richiesto di sottomettersi alla volontà che dominava
l'intero blocco. Il risultato di questa divisione artificiale dell'Europa fu
la "guerra fredda", una situazione cioè di tensione internazionale
in cui la minaccia dell'olocausto nucleare rimaneva sospesa sulla testa
dell'umanità. Solo quando la libertà per le nazioni dell'Europa centrale ed
orientale venne ristabilita, la promessa di pace,
che avrebbe dovuto arrivare con la fine della guerra, cominciò a prendere
forma reale per molte delle vittime di quel conflitto. 6. In realtà il problema del pieno riconoscimento dei
diritti dei popoli e delle nazioni si è presentato ripetutamente alla
coscienza dell'umanità, suscitando anche una notevole riflessione etico-giuridica. Penso al dibattito svolto durante il
Concilio di Costanza nel XV secolo, quando i rappresentanti dell'Accademia di
Cracovia, capeggiati da Pawel Wlodkowic,
difesero coraggiosamente il diritto all'esistenza ed all'autonomia di certe
popolazioni europee. Anche più nota è la riflessione avviata, in quella
medesima epoca, dall'Università di Salamanca nei confronti dei popoli del
nuovo mondo. Nel nostro secolo, poi, come non ricordare la parola profetica
del mio predecessore Benedetto XV, che nel corso della prima guerra mondiale
ricordava a tutti che "le nazioni non muoiono", e invitava "a
ponderare con serena coscienza i diritti e le giuste aspirazioni dei
popoli" (Ai popoli ora belligeranti ed ai loro capi, 28 luglio 1915)? 7. Oggi, il problema delle nazionalità si colloca in un
nuovo orizzonte mondiale, caratterizzato da una forte "mobilità",
che rende gli stessi confini etnico-culturali
dei vari popoli sempre meno marcati, sotto la spinta di molteplici dinamismi
come le migrazioni, i mass media, e la mondializzazione dell'economia.
Eppure, proprio in questo orizzonte di universalità vediamo riemergere con
forza l'istanza dei particolarismi etnico-culturali,
quasi come un bisogno prorompente di identità e di sopravvivenza, una sorta
di contrappeso alle tendenze omologanti. E' un dato che non va sottovalutato,
quasi fosse semplice residuo del passato; esso chiede piuttosto di essere
decifrato, per una riflessione approfondita sul piano antropologico ed etico-giuridico. Questa tensione tra particolare ed universale, infatti,
si può considerare immanente all'essere umano. In forza della comunanza di
natura, gli uomini sono spinti a sentirsi, quali sono, membri di un'unica
grande famiglia. Ma per la concreta storicità di questa stessa natura, essi
sono necessariamente legati in modo più intenso a particolari gruppi umani;
innanzitutto la famiglia, poi i vari gruppi di appartenenza, fino all'insieme
del rispettivo gruppo etnico-culturale, che non a
caso, indicato col termine "nazione", evoca il "nascere", mentre, additato col termine
"patria" ("fatherland"),
richiama la realtà della stessa famiglia. La condizione umana è posta così
tra questi due poli - l'universalità e la particolarità - in tensione vitale
tra loro; una tensione inevitabile, ma singolarmente feconda, se vissuta con
sereno equilibrio. 8. E' su questo fondamento antropologico che poggiano
anche i "diritti delle nazioni", che altro non sono se non i
"diritti umani" colti a questo specifico livello della vita comunitaria.
Una riflessione su questi diritti è certo non facile, tenuto conto della
difficoltà di definire il concetto stesso di "nazione", che non si
identifica a priori e necessariamente con lo Stato. E' tuttavia una
riflessione improrogabile, se si vogliono evitare gli errori del passato, e
provvedere a un giusto ordine mondiale. Presupposto degli altri diritti di una nazione è
certamente il suo diritto all'esistenza: nessuno, dunque - né uno Stato, né
un'altra nazione, né un'organizzazione internazionale - è mai legittimato a
ritenere che una singola nazione non sia degna di esistere. Questo
fondamentale diritto all'esistenza non necessariamente esige una sovranità
statuale, essendo possibili diverse forme di aggregazione giuridica tra
differenti nazioni, come ad esempio capita negli Stati federali, nelle
Confederazioni, o in Stati caratterizzati da larghe autonomie regionali.
Possono esserci circostanze storiche in cui aggregazioni diverse dalla
singola sovranità statuale possono risultare persino consigliabili, ma a
patto che ciò avvenga in un clima di vera libertà,
garantita dall'esercizio dell'autodeterminazione dei popoli. Il diritto
all'esistenza implica naturalmente, per ogni nazione, anche il diritto alla
propria lingua e cultura, mediante le quali un popolo esprime e promuove
quella che direi la sua originaria "sovranità" spirituale. La
storia dimostra che in circostanze estreme (come quelle che si sono viste
nella terra in cui sono nato), è proprio la sua stessa cultura che permette
ad una nazione di sopravvivere alla perdita della propria indipendenza
politica ed economica. Ogni nazione ha conseguentemente anche diritto di
modellare la propria vita secondo le proprie tradizioni, escludendo,
naturalmente, ogni violazione dei diritti umani fondamentali e, in
particolare, l'oppressione delle minoranze. Ogni nazione ha il diritto di
costruire il proprio futuro provvedendo alle generazioni più giovani
un'appropriata educazione. Ma se i "diritti della nazione" esprimono le
vitali esigenze della "particolarità", non è meno importante
sottolineare le esigenze dell'universalità, espresse attraverso una forte
coscienza dei doveri che le nazioni hanno nei confronti delle altre e
dell'intera umanità. Primo fra tutti è certamente il dovere di vivere in
atteggiamento di pace, di rispetto e di solidarietà con le altre nazioni. In
tal modo l'esercizio dei diritti delle nazioni, bilanciato dall'affermazione
e dalla pratica dei doveri, promuove un fecondo "scambio di doni",
che rafforza l'unità tra tutti gli uomini. Il rispetto delle differenze 9. Nei trascorsi diciassette anni, durante i miei
pellegrinaggi pastorali tra le comunità della Chiesa cattolica, ho potuto entrare in dialogo con la ricca diversità di
nazioni e di culture d'ogni parte del mondo. Purtroppo, il mondo deve ancora
imparare a convivere con la diversità, come i recenti eventi nei Balcani e nell'Africa centrale ci hanno dolorosamente
ricordato. La realtà della "differenza" e la peculiarità
dell'"altro" possono talvolta essere sentite come un peso, o
addirittura come una minaccia. Amplificata da risentimenti di carattere
storico ed esacerbata dalle manipolazioni di personaggi senza scrupoli, la
paura della "differenza" può condurre alla negazione dell'umanità
stessa dell'"altro", con il risultato che le persone entrano in una
spirale di violenza dalla quale nessuno - nemmeno i bambini - viene risparmiato. Situazioni di questo genere sono oggi a
noi ben note, ed il mio cuore e le mie preghiere si rivolgono in questo
istante in modo speciale alle sofferenze delle martoriate popolazioni della
Bosnia Erzegovina. Per amara esperienza, pertanto, noi sappiamo che la
paura della "differenza", specialmente quando si esprime mediante
un angusto ed escludente nazionalismo che nega qualsiasi diritto
all'"altro", può condurre ad un vero incubo di violenza e di
terrore. E tuttavia, se ci sforziamo di valutare le cose con obiettività, noi
siamo in grado di vedere che, al di là di tutte le differenze che
contraddistinguono gli individui e i popoli, c'è una fondamentale comunanza,
dato che le varie culture non sono in realtà che modi diversi di affrontare
la questione del significato dell'esistenza personale. E proprio qui possiamo
identificare una fonte del rispetto che è dovuto ad
ogni cultura e ad ogni nazione: qualsiasi cultura è uno sforzo di riflessione
sul mistero del mondo e in particolare dell'uomo: è un modo di dare
espressione alla dimensione trascendente della vita umana. Il cuore di ogni
cultura è costituito dal suo approccio al più grande dei misteri: il mistero
di Dio. 10. Pertanto, il nostro rispetto per la cultura degli
altri è radicato nel nostro rispetto per il tentativo che ogni comunità
compie per dare risposta al problema della vita umana. In tale contesto ci è
possibile constatare quanto importante sia
preservare il diritto fondamentale alla libertà di religione e alla libertà
di coscienza, quali pilastri essenziali della struttura dei diritti umani e
fondamento di ogni società realmente libera. A nessuno è permesso di
soffocare tali diritti usando il potere coercitivo per imporre una risposta
al mistero dell'uomo. Estraniarsi dalla realtà della diversità - o, peggio,
tentare di estinguere quella diversità - significa precludersi la possibilità
di sondare le profondità del mistero della vita umana. La verità sull'uomo è
l'immutabile criterio con cui tutte le culture vengono
giudicate; ma ogni cultura ha qualcosa da insegnare circa l'una dimensione o
l'altra di quella complessa verità. Pertanto la "differenza", che
alcuni trovano così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso,
la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell'esistenza umana. Libertà e verità morale 12. Signore e Signori! La libertà è la misura della
dignità e della grandezza dell'uomo. Vivere la libertà che individui e popoli
ricercano, è una grande sfida per la crescita spirituale dell'uomo e per la
vitalità morale delle nazioni. La questione fondamentale, che tutti oggi dobbiamo affrontare, è quella dell'uso
responsabile della libertà, sia nella sua dimensione personale che in quella
sociale. Occorre dunque che la nostra riflessione si porti sulla questione
della struttura morale della libertà, che è l'architettura interiore della
cultura della libertà. La libertà non è semplicemente assenza di tirannia o di
oppressione, né è licenza di fare tutto ciò che si vuole. La libertà possiede
una "logica" interna che la qualifica e la nobilita: essa è
ordinata alla verità e si realizza nella ricerca e nell'attuazione della
verità. Staccata dalla verità della persona umana, essa scade, nella vita
individuale, in licenza e, nella vita politica, nell'arbitrio dei più forti e
in arroganza del potere. Perciò, lungi dall'essere una limitazione o una
minaccia alla libertà, il riferimento alla verità sull'uomo, - verità
universalmente conoscibile attraverso la legge morale inscritta nel cuore di
ciascuno - è, in realtà, la garanzia del futuro della libertà. Sovente queste due forme di utilitarismo vanno di pari passo,
ed è un fenomeno che ha largamente caratterizzato le relazioni tra il
"Nord" e il "Sud" del mondo. Per le nazioni in via di
sviluppo il raggiungimento dell'indipendenza politica è stato troppo spesso
accompagnato da una situazione pratica di dipendenza economica da altri
Paesi. Si deve sottolineare che, in alcuni casi, le aree in via di sviluppo
hanno sofferto addirittura un regresso tale che alcuni Stati mancano dei
mezzi per sopperire ai bisogni essenziali dei loro popoli. Simili situazioni
offendono la coscienza dell'umanità e pongono una formidabile sfida morale
all'umana famiglia. Affrontare questa sfida ovviamente richiede dei
cambiamenti sia nelle nazioni in via di sviluppo che in quelle economicamente
più progredite. Se le prime sapranno offrire sicure garanzie di corretta
gestione delle risorse e degli aiuti, nonché di rispetto dei diritti umani,
sostituendo dove occorra, forme di governo ingiuste, corrotte o autoritarie
con altre di tipo partecipativo e democratico, non è forse vero che
libereranno in questo modo le energie civili ed economiche migliori della
propria gente? E i paesi già sviluppati, da parte loro, non dovranno forse
maturare, in questa prospettiva, atteggiamenti sottratti a logiche puramente
utilitaristiche e improntati a sentimenti di maggiore giustizia e
solidarietà? Sì, illustri Signore e Signori!
E' necessario che sulla scena economica internazionale si imponga un'etica
della solidarietà, se si vuole che la partecipazione, la crescita economica,
ed una giusta distribuzione dei beni possano caratterizzare il futuro
dell'umanità. La cooperazione internazionale, invocata dalla Carta delle
Nazioni Unite "per risolvere problemi internazionali di carattere
economico, sociale, culturale o umanitario" (art. 1,3), non può essere pensata
esclusivamente in termini di aiuto e di assistenza, o addirittura mirando ai
vantaggi di ritorno per le risorse messe a disposizione. Quando milioni di
persone soffrono la povertà -che significa fame, malnutrizione, malattia,
analfabetismo e degrado- dobbiamo non solo ricordare a noi stessi che nessuno
ha il diritto di sfruttare l'altro per il proprio tornaconto, ma anche e
soprattutto riaffermare il nostro impegno a quella solidarietà che consente
ad altri di vivere, nelle concrete circostanze economiche e politiche, quella
creatività che è una caratteristica distintiva della persona umana e che
rende possibile la ricchezza delle nazioni. Le Nazioni Unite e il futuro della libertà 14. Di fronte a queste enormi sfide, come non
riconoscere il ruolo che spetta all'Organizzazione delle Nazioni Unite? A cinquant'anni dalla sua istituzione, se ne vede ancor più
la necessità, ma si vede anche meglio, in base all'esperienza compiuta, che
l'efficacia di questo massimo strumento di sintesi e coordinamento della vita
internazionale dipende dalla cultura e dall'etica internazionale che esso
sottende ed esprime. Occorre che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si
elevi sempre più dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo a
quello di centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa
loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una
"famiglia di nazioni". Il concetto di "famiglia" evoca
immediatamente qualcosa che va al di là dei semplici rapporti funzionali o
della sola convergenza di interessi. La famiglia è, per sua natura, una
comunità fondata sulla fiducia reciproca, sul sostegno vicendevole, sul
rispetto sincero. In un'autentica famiglia non c'è il dominio dei forti; al
contrario, i membri più deboli sono, proprio per la loro debolezza,
doppiamente accolti e serviti. Sono questi, trasposti al livello della "famiglia
delle nazioni", i sentimenti che devono intessere, prima ancora del
semplice diritto, le relazioni fra i popoli. L'ONU ha il compito storico,
forse epocale, di favorire questo salto di qualità della vita internazionale,
non solo fungendo da centro di efficace mediazione per la soluzione dei
conflitti, ma anche promuovendo quei valori, quegli atteggiamenti e quelle
concrete iniziative di solidarietà che si rivelano capaci di elevare i
rapporti tra le nazioni dal livello "organizzativo" a quello, per
così dire, "organico", dalla semplice "esistenza con"
alla "esistenza per" gli altri, in un fecondo scambio di doni,
vantaggioso innanzitutto per le nazioni più deboli, ma in
definitiva foriero di benessere per tutti. 15. Solo a questa condizione si avrà
il superamento non soltanto delle "guerre guerreggiate", ma anche
delle "guerre fredde"; non solo l'eguaglianza di diritto tra tutti
i popoli, ma anche la loro attiva partecipazione alla costruzione di un
futuro migliore; non solo il rispetto delle singole identità culturali, ma la
loro piena valorizzazione, come ricchezza comune del patrimonio culturale
dell'umanità. Non è forse questo l'ideale additato dalla Carta delle
Nazioni Unite, quando pone a fondamento dell'Organizzazione "il
principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri" (art.2,1), o quando la impegna a "sviluppare tra le
nazioni relazioni amichevoli, fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza
dei diritti e dell'autodeterminazione" (art. 1,2)? E' questa la strada
maestra che chiede di essere percorsa fino in fondo, anche con opportune
modifiche, se necessario, del modello operativo delle Nazioni Unite, per
tener conto di quanto è avvenuto in questo mezzo secolo, con l'affacciarsi di
tanti nuovi popoli all'esperienza della libertà nella legittima aspirazione
ad "essere" e "contare" di più. Non sembri, tutto questo, un'utopia irrealizzabile. E'
l'ora di una nuova speranza, che ci chiede di togliere l'ipoteca paralizzante
del cinismo dal futuro della politica e della vita degli uomini. Ci invita a
questo proprio l'anniversario che stiamo celebrando, riconsegnandoci, con
l'idea delle "nazioni unite", un'idea che parla eloquentemente di
mutua fiducia, di sicurezza e di solidarietà. Ispirati dall'esempio di quanti
si sono assunti il rischio della libertà, potremmo noi non accogliere anche
il rischio della solidarietà, e pertanto il rischio della pace? Oltre la paura: la civiltà dell'amore 16. Uno dei maggiori paradossi del nostro tempo è che
l'uomo, il quale ha iniziato il periodo che chiamiamo della
"modernità" con una fiduciosa asserzione della propria
"maturità" ed "autonomia", si avvicina alla fine del
secolo ventesimo timoroso di se stesso, impaurito da ciò che egli stesso è in
grado di fare, impaurito dal futuro. In realtà, la seconda metà del secolo
ventesimo ha visto il fenomeno senza precedenti di un'umanità incerta
riguardo alla possibilità stessa di un futuro, data la minaccia della guerra
nucleare. Quel pericolo, grazie a Dio, sembra essersi allontanato, - ed
occorre rimuovere con fermezza, a livello universale, quanto lo può
riavvicinare, se non riattivare - ma rimane tuttavia la paura per il futuro e
del futuro. Perché il millennio ormai alle porte possa essere
testimone di una nuova fioritura dello spirito umano, favorita da
un'autentica cultura della libertà, l'umanità deve apprendere a vincere la
paura. Dobbiamo imparare a non avere paura, riconquistando uno spirito di
speranza e di fiducia. La speranza non è fatuo ottimismo, dettato
dall'ingenua fiducia che il futuro sia necessariamente migliore del passato.
Speranza e fiducia sono la premessa di una responsabile operosità e trovano
alimento nell'intimo santuario della coscienza, là dove "l'uomo si trova
solo con Dio" (Cost. past. Gaudium et spes,
16), e per ciò stesso intuisce di non essere solo tra gli enigmi
dell'esistenza, perché accompagnato dall'amore del Creatore! Speranza e fiducia potrebbero sembrare argomenti che
vanno oltre gli scopi delle Nazioni Unite. In realtà non è così, poiché le
azioni politiche delle nazioni, argomento principale delle preoccupazioni
della vostra Organizzazione, chiamano sempre in causa anche la dimensione
trascendente e spirituale dell'esperienza umana, e non potrebbero ignorarla
senza recar danno alla causa dell'uomo e della libertà umana. Tutto ciò che
sminuisce l'uomo reca danno alla causa della libertà. Per ricuperare la
nostra speranza e la nostra fiducia al termine di questo secolo di
sofferenze, dobbiamo riguadagnare la visione di quell'orizzonte
trascendente di possibilità al quale tende lo spirito umano. 17. Come cristiano, poi, non posso non testimoniare che
la mia speranza e la mia fiducia si fondano su Gesù Cristo, i cui duemila
anni dalla nascita saranno celebrati all'alba del nuovo millennio. Noi
cristiani crediamo che, nella sua Morte e Risurrezione, sono
stati pienamente rivelati l'amore di Dio e la sua sollecitudine per
tutta la creazione. Gesù Cristo è per noi Dio fatto uomo, calato nella storia
dell'umanità. Proprio per questo la speranza cristiana nei confronti del
mondo e del suo futuro si estende ad ogni persona umana: nulla vi è di
genuinamente umano che non trovi eco nel cuore dei cristiani. La fede in
Cristo non ci spinge all'intolleranza, al contrario ci obbliga a intrattenere
con gli altri uomini un dialogo rispettoso. L'amore per Cristo non ci sottrae
all'interesse per gli altri, ma piuttosto ci invita a preoccuparci di loro,
senza escludere nessuno, e privilegiando semmai i più deboli e sofferenti.
Pertanto, mentre ci avviciniamo al bimillenario
della nascita di Cristo, Signore e Signori! Sono di fronte a voi, come il mio
predecessore Papa Paolo VI esattamente trent'anni
fa, non come uno che ha potere temporale - sono sue parole - né come un
leader religioso che invoca speciali privilegi per la sua comunità. Sono qui
davanti a voi come un testimone: un testimone della dignità dell'uomo, un
testimone di speranza, un testimone della convinzione che il destino di ogni
nazione riposa nelle mani di una misericordiosa Provvidenza. 18. Dobbiamo vincere la nostra paura del futuro. Ma non
potremo vincerla del tutto, se non insieme. La "risposta" a quella
paura non è la coercizione, né la repressione o l'imposizione di un unico
"modello" sociale al mondo intero. La risposta alla paura che
offusca l'esistenza umana al termine del secolo ventesimo è lo sforzo comune
per costruire la civiltà dell'amore, fondata sui valori universali della
pace, della solidarietà, della giustizia e della libertà. E
l'"anima" della civiltà dell'amore è la cultura della libertà: la
libertà degli individui e delle nazioni, vissuta in una solidarietà e
responsabilità oblative. Non dobbiamo avere timore del futuro. Non dobbiamo avere
paura dell'uomo. Non è un caso che noi ci troviamo qui. Ogni singola persona
è stata creata ad "immagine e somiglianza" di Colui che è l'origine
di tutto ciò che esiste. Abbiamo in noi la capacità di sapienza e di virtù.
Con tali doni, e con l'aiuto della grazia di Dio, possiamo costruire nel
secolo che sta per giungere e per il prossimo millennio una civiltà degna
della persona umana, una vera cultura della libertà. Possiamo e dobbiamo
farlo! E, facendolo, potremo renderci conto che le lacrime di questo secolo
hanno preparato il terreno ad una nuova primavera dello spirito umano. |
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