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CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE
NOTA
DOTTRINALE
SU ALCUNI ASPETTI DELL'EVANGELIZZAZIONE
I. Introduzione
1. Inviato dal Padre ad
annunciare il Vangelo, Gesù Cristo ha invitato
tutti gli uomini alla conversione e alla fede (cf. Mc 1, 14-15), affidando agli Apostoli, dopo la sua risurrezione, la
continuazione della sua missione evangelizzatrice (cf.
Mt 28, 19-20; Mc 16, 15; Lc 24, 4-7; At 1, 3): «come il Padre ha
mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20, 21; cf. 17, 18). Mediante la Chiesa, egli vuole infatti raggiungere ogni epoca della storia, ogni
luogo della terra ed ogni ambito della società, arrivare ad ogni persona,
perché tutti diventino un solo gregge e un solo pastore (cf.
Gv 10, 16): «Andate in tutto il mondo e
predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà
salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc
16, 15-16).
Gli Apostoli, quindi, «mossi
dallo Spirito, invitavano tutti a cambiare vita, a convertirsi e a ricevere
il battesimo»[1],
perché «la Chiesa
pellegrinante è necessaria alla salvezza»[2].
E’ lo stesso Signore Gesù
Cristo che, presente nella sua Chiesa, precede l'opera degli evangelizzatori,
l’accompagna e la segue, facendone fruttificare il lavoro: ciò che è
accaduto alle origini continua lungo tutto il corso della storia.
All'inizio del terzo
millennio, è risuonato ancora nel mondo l'invito che Pietro, insieme al
fratello Andrea ed ai primi discepoli, ascoltò da Gesù: «prendi il largo e calate le reti per la pesca» (Lc 5, 4)[3].
E, dopo il miracolo di una grande raccolta di pesci,
il Signore annunciò a Pietro che sarebbe diventato «pescatore di uomini» (Lc 5, 10).
2. Il termine evangelizzazione ha un significato molto ricco[4].
In senso ampio, esso riassume l'intera missione della Chiesa: tutta la sua
vita infatti consiste nel realizzare la traditio Evangelii,
l'annuncio e la trasmissione del Vangelo, che è «potenza di Dio per la
salvezza di chiunque crede» (Rm 1, 16) e che
in ultima essenza si identifica con Gesù Cristo (cf. 1 Cor 1, 24). Perciò, così intesa, l'evangelizzazione ha come
destinataria tutta l'umanità. In ogni caso, evangelizzare significa
non soltanto insegnare una dottrina bensì annunciare il Signore
Gesù con parole ed azioni, cioè farsi strumento
della sua presenza e azione nel mondo.
«Ogni persona ha il diritto
di udire la "buona novella" di Dio che si rivela e si dona in
Cristo, per attuare in pienezza la sua propria
vocazione»[5].
Si tratta di un diritto conferito dal Signore a ogni
persona umana, per cui ogni uomo e ogni donna può veramente dire con San
Paolo: Gesù Cristo «mi ha amato e ha dato se stesso
per me» (Gal 2, 20). A questo diritto corrisponde un dovere di
evangelizzare: «Non è infatti per me un vanto
predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il
Vangelo!» (1 Cor 9, 16; cf. Rm 10, 14). Si comprende allora come ogni attività
della Chiesa abbia una essenziale dimensione
evangelizzante e non deve mai essere separata dall'impegno per aiutare
tutti a incontrare Cristo nella fede, che è il primario
obiettivo dell'evangelizzazione: «il fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente
inscindibili tra loro. Dove portiamo agli uomini soltanto
conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco»[6
]
.
3.
Si verifica oggi, tuttavia, una crescente
confusione che induce molti a lasciare inascoltato ed inoperante il comando
missionario del Signore (cf. Mt
28, 19). Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in
questioni religiose sia un limite posto alla libertà. Sarebbe lecito solamente
esporre le proprie idee ed invitare le persone ad agire secondo coscienza,
senza favorire una loro conversione a Cristo ed alla fede cattolica: si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o
più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di
operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Inoltre,
alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce,
né favorire l’adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile esser salvati anche
senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione
formale alla Chiesa.
Di
fronte a tali problematiche, la Congregazione per la Dottrina della Fede
ha ritenuto necessario pubblicare la presente Nota. Essa, presupponendo
l'insieme della dottrina cattolica sull'evangelizzazione,
ampiamente trattata nel Magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, ha lo
scopo di chiarire alcuni aspetti del rapporto tra il mandato
missionario del Signore ed il rispetto della coscienza e della libertà
religiosa di tutti. Si tratta di aspetti che hanno
importanti implicazioni antropologiche, ecclesiologiche
ed ecumeniche.
II.
Alcune implicazioni antropologiche
4.
«Questa è la vita eterna, che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù
Cristo» (Gv 17, 3): Dio ha donato agli
uomini l'intelligenza e la volontà, perché lo potessero liberamente cercare,
conoscere ed amare. Perciò la libertà umana è una risorsa ed una sfida
offerta all'uomo da Colui che lo ha creato.
Un'offerta rivolta alla sua capacità di conoscere ed amare ciò che è buono e
vero. Nulla come la ricerca del bene e della verità mette in gioco la libertà
umana, sollecitandola ad un'adesione tale da coinvolgere gli aspetti
fondamentali della vita. Questo è in modo particolare il caso della verità
salvifica, che non è soltanto oggetto del pensiero ma
avvenimento che investe tutta la persona — intelligenza, volontà, sentimenti,
attività e progetti — quando essa aderisce a Cristo. In tale ricerca
del bene e della verità è già all’opera lo Spirito Santo, che apre e dispone
i cuori all’accoglienza della verità evangelica, secondo la nota affermazione
di san Tommaso d’Aquino: «omne
verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est»[7].
È perciò importante valorizzare questa azione dello
Spirito, che crea affinità ed avvicina i cuori alla verità, aiutando la
conoscenza umana a maturare in sapienza e in abbandono fiducioso al
vero[8].
Tuttavia
oggi vengono formulati, con sempre maggiore
frequenza, degli interrogativi proprio sulla legittimità di proporre ad altri
— affinché possano aderirvi a loro volta — ciò che si ritiene vero per sé.
Tale proposta è vista spesso come un attentato alla libertà altrui. Questa
visione della libertà umana, svincolata dal suo inscindibile riferimento alla
verità, è una delle espressioni «di quel relativismo che, non riconoscendo
nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le
sue voglie, e sotto l'apparenza della libertà diventa per ciascuno una
prigione»[9].
Nelle diverse forme di agnosticismo e relativismo
presenti nel pensiero contemporaneo, «la legittima pluralità di posizioni ha
ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte
le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della
sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo. A
questa riserva non sfuggono neppure alcune concezioni di vita che provengono
dall'Oriente; in esse, infatti, si nega alla verità
il suo carattere esclusivo, partendo dal presupposto che essa si manifesta in
modo uguale in dottrine diverse, persino contraddittorie tra di loro»[10].
Se l'uomo nega la sua fondamentale capacità della
verità, se diviene scettico sulla sua facoltà di conoscere realmente ciò che
è vero, egli finisce per perdere ciò che in modo unico può avvincere la sua
intelligenza ed affascinare il suo cuore.
5.
A tale riguardo, nella ricerca della verità, chi pensa di fare affidamento
soltanto sulle proprie forze, senza riconoscere il bisogno che ciascuno ha
dell’aiuto altrui, si inganna. L'uomo «fin dalla
nascita, si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non
soltanto il linguaggio e la formazione culturale, ma
molteplici verità a cui, quasi istintivamente, crede. [...] Nella vita di un
uomo, le verità semplicemente credute rimangono più numerose di quelle che
egli acquisisce mediante la personale verifica»[11].
La necessità di affidarsi alle conoscenze trasmesse dalla propria cultura, o
acquisite da altri, arricchisce l'uomo sia con verità che
egli non poteva attingere da solo, sia con quei rapporti interpersonali e
sociali che egli sviluppa. L'individualismo spirituale, invece, isola la
persona impedendole di aprirsi con fiducia agli altri - e perciò di ricevere
e donare in abbondanza quei beni che nutrono la sua libertà - e mettendo in
pericolo anche il diritto di manifestare socialmente le proprie convinzioni e
opinioni[12].
In
particolare, la verità che è in grado di illuminare il senso della propria
vita e di guidarla viene raggiunta anche mediante
l'abbandono fiducioso a coloro che possono garantire la certezza e
l'autenticità della verità stessa: «La capacità e la scelta di affidare se
stessi e la propria vita a un'altra persona
costituiscono certamente uno degli atti antropologicamente
più significativi ed espressivi»[13].
L'accoglienza della Rivelazione che si realizza nella fede, pur avvenendo ad
un livello più profondo, rientra nella dinamica
della ricerca della verità: «A Dio che rivela è dovuta
l'obbedienza della fede (cf. Rm
16, 26; 1, 5; 2 Cor 10, 5-6), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt’intero
e liberamente, prestando il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà a
Dio che rivela e assentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui»[14].
Il Concilio
Vaticano II, dopo aver affermato il dovere e il diritto di ogni uomo di cercare la verità in materia religiosa,
aggiunge: «La verità poi va cercata in modo rispondente alla dignità della
persona umana, e alla sua natura sociale, cioè con
una ricerca libera, con l'aiuto del magistero o dell'insegnamento, della
comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente
nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno
scoperta o che ritengono di avere scoperta»[15].
In ogni caso, la verità «non si impone che in forza
della stessa verità»[16].
Perciò, sollecitare onestamente l'intelligenza e la libertà di una
persona all'incontro con Cristo ed il suo Vangelo non è una
indebita intromissione nei suoi confronti, bensì una legittima offerta
ed un servizio che può rendere più fecondi i rapporti fra gli uomini.
6.
L’evangelizzazione, inoltre, è una possibilità di arricchimento
non soltanto per i suoi destinatari ma anche per chi ne è attore e per la
Chiesa tutta. Ad esempio, nel processo di inculturazione, «la stessa Chiesa universale si
arricchisce di espressioni e valori nei vari settori della vita cristiana
[...]; conosce ed esprime ancor meglio il mistero di Cristo, mentre viene
stimolata a un continuo rinnovamento»[17].
La Chiesa, infatti, che fin dal giorno di Pentecoste ha manifestato
l’universalità della sua missione, assume in Cristo le innumerevoli
ricchezze degli uomini di tutti i tempi e luoghi della storia umana[18].
Oltre al suo valore antropologico intrinseco, ogni incontro con una persona o
una cultura concreta può svelare delle potenzialità del Vangelo poco
esplicitate in precedenza, che arricchiranno la vita
concreta dei cristiani e della Chiesa. Anche grazie
a questo dinamismo, la «tradizione, che viene dagli apostoli, progredisce
nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo»[19].
È infatti lo Spirito che, dopo aver operato l’incarnazione
di Gesù Cristo nel grembo verginale di Maria, vivifica l’azione materna della Chiesa nell’evangelizzazione
delle culture. Sebbene il Vangelo sia indipendente
da tutte le culture, esso è capace di impregnarle tutte, senza tuttavia
lasciarsene asservire[20].
In questo senso, lo Spirito Santo è anche il protagonista dell’inculturazione del Vangelo, è colui che
presiede in modo fecondo al dialogo fra la Parola di Dio, rivelatasi in
Cristo, e le domande più profonde che sgorgano dalla molteplicità degli
uomini e delle culture. Prosegue così nella storia, nell’unità di una
medesima ed unica fede, l’evento della Pentecoste, che si arricchisce
attraverso la diversità dei linguaggi e delle culture.
7.
L'attività con cui l'uomo comunica ad altri eventi e verità significativi dal punto di vista religioso, favorendone
l'accoglienza, non solo è in profonda sintonia con la natura del processo
umano di dialogo, di annuncio e di apprendimento, ma è anche rispondente ad
un'altra importante realtà antropologica: è proprio dell'uomo il desiderio di
rendere partecipi gli altri dei propri beni. L'accoglienza della Buona
Novella nella fede, spinge di per sé a tale comunicazione. La Verità che
salva la vita accende il cuore di chi la riceve con un amore verso il
prossimo che muove la libertà a ridonare ciò che si è gratuitamente ricevuto.
Sebbene
i non cristiani possano salvarsi mediante la grazia che Dio dona attraverso
«vie a Lui note»[21],
la Chiesa non può non tener conto del fatto che ad essi
manca un grandissimo bene in questo mondo: conoscere il vero volto di Dio e
l'amicizia con Gesù Cristo, il Dio-con-noi.
Infatti, «non vi è niente di più bello che essere raggiunti,
sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere
Lui e comunicare agli altri l'amicizia con Lui»[22].
Per ogni uomo è un grande bene la rivelazione delle verità
fondamentali[23]
su Dio, su se stesso e sul mondo; mentre vivere nell'oscurità, senza la
verità circa le ultime questioni, è un male, spesso all'origine di
sofferenze e di schiavitù talvolta drammatiche. Ecco perché San Paolo non
esita a descrivere la conversione alla fede cristiana come una liberazione
«dal regno delle tenebre» ed un ingresso «nel regno del Figlio prediletto,
nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati» (Col 1,
13-14). Perciò la piena adesione a Cristo, che è la Verità, e l'ingresso
nella sua Chiesa non diminuiscono ma esaltano la
libertà umana e la protendono verso il suo compimento, in un amore gratuito e
colmo di premura per il bene di tutti gli uomini. E' un dono inestimabile
vivere nell'abbraccio universale degli amici di Dio, che scaturisce dalla
comunione con la carne vivificante del Figlio Suo, ricevere da Lui la certezza
del perdono dei peccati e vivere nella carità che nasce dalla fede. Di questi
beni la Chiesa vuole fare partecipi tutti, affinché abbiano così la pienezza
della verità e dei mezzi di salvezza, «per entrare nella libertà della gloria
dei figli di Dio» (Rm
8, 21).
8.
L'evangelizzazione comporta anche il dialogo
sincero, che cerca di comprendere le ragioni ed i sentimenti altrui. Al cuore
dell'uomo, infatti, non si accede senza
gratuità, carità e dialogo, cosicché la parola annunciata non sia solo
proferita ma anche adeguatamente attestata nel cuore dei suoi destinatari.
Ciò esige di tener conto delle speranze e delle sofferenze, delle situazioni
concrete di coloro ai quali ci si rivolge. Inoltre, proprio attraverso il
dialogo, gli uomini di buona volontà aprono più liberamente il cuore e
condividono sinceramente le loro esperienze spirituali e religiose. Tale
condivisione, caratteristica della vera amicizia, è un'occasione preziosa per
la testimonianza e per l'annuncio cristiano.
Come
in ogni campo dell'attività umana, anche nel dialogo in materia religiosa può
subentrare il peccato. Può accadere talvolta che tale dialogo non sia guidato
dal suo naturale scopo, bensì ceda all'inganno, ad
interessi egoistici o all'arroganza, mancando così di rispetto alla dignità e
alla libertà religiosa degli interlocutori. Perciò
«la Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare
qualcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo che
rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia
distolto dalla fede stessa»[24].
Il
movente originario dell'evangelizzazione è l'amore
di Cristo per la salvezza eterna degli uomini. Gli autentici evangelizzatori
desiderano soltanto donare gratuitamente quanto essi
stessi hanno gratuitamente ricevuto: «Fin dagli inizi della Chiesa, i
discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli uomini a confessare
Cristo Signore, non con una azione coercitiva né con
artifizi indegni del Vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio»[25].
La missione degli apostoli e la sua continuazione nella missione della Chiesa
antica rimane il modello fondamentale dell'evangelizzazione
per tutti i tempi: una missione spesso contrassegnata dal martirio, come
dimostra anche la storia del secolo appena trascorso. Proprio il martirio dà credibilità ai testimoni, che non cercano potere o
guadagno ma donano la propria vita per Cristo. Essi manifestano al mondo la
forza inerme e colma di amore per gli uomini che
viene donata a chi segue Cristo fino al dono totale della sua esistenza.
Così, i cristiani, dagli albori del cristianesimo fino ai nostri giorni,
hanno subito persecuzioni a motivo del Vangelo, come
Gesù aveva preannunziato: «Se
hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv
15, 20).
III.
Alcune implicazioni ecclesiologiche
9.
Sin dal giorno di Pentecoste, chi accoglie pienamente la fede viene incorporato alla comunità dei credenti: «coloro che
accolsero la sua parola [di Pietro] furono battezzati e quel giorno si
unirono a loro circa tremila persone» (At 2, 41). Fin dall’inizio il
Vangelo, nella potenza dello Spirito, è annunciato a tutti gli uomini,
affinché credano e diventino discepoli di Cristo e
membri della sua Chiesa. Anche nella letteratura
patristica sono costanti le esortazioni a compiere la missione affidata da
Cristo ai discepoli[26].
Generalmente si usa il termine «conversione» in
riferimento all'esigenza di portare i pagani alla Chiesa. Nondimeno, la
conversione (metanoia), nel suo significato
propriamente cristiano, è un cambiamento di mentalità e di azione,
come espressione della vita nuova in Cristo proclamata dalla fede: si
tratta di una continua riforma di pensiero e di opere verso una più intensa
identificazione con Cristo (cf. Gal
2, 20), cui sono chiamati anzitutto i battezzati. Tale è, in primo luogo, il
significato dell’invito formulato da Gesù:
«convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,
15; cf. Mt 4, 17).
Lo
spirito cristiano è sempre stato animato dalla passione di condurre tutta
l’umanità a Cristo nella Chiesa. Infatti
l'incorporazione di nuovi membri alla Chiesa non è l'estensione di un gruppo
di potere, ma l'ingresso nella rete di amicizia con Cristo, che collega cielo
e terra, continenti ed epoche diverse. È l'ingresso nel dono della
comunione con Cristo, che è «vita nuova» animata dalla carità e dall’impegno
per la giustizia. La Chiesa è strumento - «germe ed
inizio»[27]-
del Regno di Dio, non è un’utopia politica. É già presenza di Dio
nella storia e porta in sé anche il vero futuro, quello definitivo nel quale
Egli sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15, 28); una presenza necessaria,
poiché solo Dio può portare al mondo pace e
giustizia autentiche. Il Regno di Dio non è — come alcuni oggi sostengono —
una realtà generica che sovrasta tutte le esperienze o le tradizioni
religiose, ed a cui esse dovrebbero tendere come ad un'universale ed
indistinta comunione di tutti coloro che cercano
Dio, ma è anzitutto una persona, che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile[28].
Perciò ogni libero moto del cuore umano verso Dio ed
il suo Regno non può che condurre, per sua natura, a Cristo ed essere
orientato all'ingresso nella sua Chiesa, che di quel Regno è segno efficace.
La Chiesa è, dunque, veicolo della presenza di Dio e perciò strumento di una
vera umanizzazione dell'uomo e del mondo. Il
dilatarsi della Chiesa nella storia, che costituisce la finalità della
missione, è un servizio alla presenza di Dio mediante il suo Regno:
non si può infatti «disgiungere il Regno dalla
Chiesa»[29].
10.
Oggi, tuttavia, l'annuncio missionario della Chiesa viene «messo in pericolo
da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo
religioso, non solo de facto ma anche de
iure (o di principio)»[30].
Da molto tempo si è venuta a creare una situazione nella quale, per
molti fedeli, non è chiara la stessa ragione d'essere dell'evangelizzazione[31].
Si afferma addirittura che la pretesa di aver ricevuto in dono la
pienezza della Rivelazione di Dio nasconde un atteggiamento
d'intolleranza ed un pericolo per la pace.
Chi
ragiona così ignora che la pienezza del dono di verità che Dio fa,
rivelandosi all’uomo, rispetta quella libertà che Egli stesso crea come
tratto indelebile della natura umana: una libertà che non è indifferenza, ma tensione al bene. Tale rispetto è
un'esigenza della stessa fede cattolica e della carità di Cristo, un
costitutivo dell'evangelizzazione e, quindi, un bene
da promuovere in modo inseparabile dall'impegno a far conoscere e abbracciare
liberamente la pienezza di salvezza che Dio offre all'uomo nella
Chiesa.
Il
dovuto rispetto per la libertà religiosa[32]
e la sua promozione «non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la
verità e il bene. Anzi lo stesso amore spinge i discepoli di Cristo ad
annunciare a tutti gli uomini la verità che salva»[33].
Tale amore è il sigillo prezioso dello Spirito Santo che, da protagonista
dell'evangelizzazione[34],
non cessa di muovere i cuori all'annuncio del Vangelo, aprendoli alla sua
accoglienza. Un amore che vive nel cuore della Chiesa e da lì, come fuoco di
carità, si irradia sino ai confini della terra, fino
al cuore di ogni uomo. Tutto il cuore dell’uomo, infatti, attende di
incontrare Gesù Cristo.
Si
comprende allora l’urgenza dell’invito di Cristo ad evangelizzare e come
la missione, affidata dal Signore agli apostoli, riguardi tutti i battezzati.
Le parole di Gesù, «andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20), interpellano tutti nella Chiesa,
ciascuno secondo la propria vocazione. E, nell'ora presente, di fronte alle
tante persone che vivono nelle diverse forme di deserto, soprattutto
nel «deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo»[35],
il Papa Benedetto XVI ha ricordato al mondo che «la Chiesa nel suo
insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per
condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso
l'amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in
pienezza»[36].
Questo impegno apostolico è un dovere ed anche un diritto
irrinunciabile, espressione propria della libertà religiosa, che ha le sue corrispondenti dimensioni etico-sociali
ed etico-politiche[37].
Un diritto che purtroppo, in alcune parti del mondo, non è
ancora legalmente riconosciuto ed in altre non è rispettato nei fatti[38].
11.
Chi annuncia il Vangelo partecipa alla carità di Cristo, che ci ha amati e ha donato se stesso per noi (cf.
Ef 5, 2), è suo ambasciatore e supplica in
nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio! (cf.
2 Cor 5, 20). Una carità che è espressione di
quella gratitudine che si effonde dal cuore umano
quando si apre all'amore donato da Gesù
Cristo, quell'Amore «che per l'universo si
squaderna»[39].
Questo spiega l'ardore, la fiducia e la libertà di parola (parrhesia) che si manifestavano nella predicazione
degli Apostoli (cf. At 4,
31; 9, 27-28; 26, 26; ecc.) e che il re Agrippa
sperimentò ascoltando Paolo: «Per poco non mi convinci a farmi
cristiano!» (At 26, 28).
L'evangelizzazione
non si realizza soltanto attraverso la predicazione pubblica del Vangelo, né
unicamente attraverso opere di pubblica rilevanza, ma anche per mezzo della
testimonianza personale, che è sempre una via di grande efficacia
evangelizzatrice. In effetti, «accanto alla proclamazione
fatta in forma generale del Vangelo, l'altra forma della sua trasmissione, da
persona a persona, resta valida ed importante. [...] Non dovrebbe
accadere che l'urgenza di annunziare la buona novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio
mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da
una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro»[40].
In
ogni caso, va ricordato che nella trasmissione del Vangelo la parola e la
testimonianza della vita vanno di pari passo[41];
affinché la luce della verità sia irradiata a tutti gli uomini, è necessaria
anzitutto la testimonianza della santità. Se la parola è smentita dalla
condotta, difficilmente viene accolta. Ma neppure
basta la sola testimonianza, perché «anche la più bella testimonianza
si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata — ciò che
Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza” (1 Pt 3, 15) — ed esplicitata da un annuncio chiaro e
inequivocabile del Signore Gesù»[42].
IV.
Alcune implicazioni ecumeniche
12.
Fin dai suoi inizi il movimento ecumenico è stato intimamente collegato all’evan-gelizzazione. L’unità è, infatti, il sigillo della credibilità della missione e il Concilio
Vaticano II ha rilevato con rincrescimento che lo scandalo della divisione
«danneggia la santissima causa della predicazione»[43].
Gesù stesso alla vigilia della sua morte ha
pregato: «affinché tutti siano una sola cosa…perché il mondo creda» (Gv 17, 21).
La
missione della Chiesa è universale e non è limitata a determinate regioni
della terra. L’evangelizzazione, tuttavia, si
realizza diversamente, secondo le differenti situazioni in cui avviene. In
senso proprio c’è la «missio ad
gentes» verso coloro che non conoscono Cristo. In
senso lato si parla di «evangelizzazione», per l’aspetto ordinario della
pastorale, e di «nuova evangelizzazione», verso coloro che
non seguono più la prassi cristiana[44].
Inoltre, vi è l’evangelizzazione in paesi dove vivono cristiani non
cattolici, soprattutto in paesi di antica tradizione
e cultura cristiana. Qui si richiede sia un vero rispetto per la loro
tradizione e le loro ricchezze spirituali che un
sincero spirito di cooperazione. I cattolici, «esclusa ogni forma sia di indifferentismo sia di
sconsiderata concorrenza, attraverso una comune – per quanto possibile –
professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di
fronte alle genti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale
come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i
fratelli separati secondo le norme del Decreto
sull’Ecumenismo»[45].
Nell’impegno
ecumenico, si possono distinguere diverse dimensioni: anzitutto l'ascolto,
come condizione fondamentale di ogni dialogo; vi è
poi la discussione teologica, nella quale, cercando di capire le
confessioni, le tradizioni e le convinzioni altrui, si può arrivare a trovare
la concordia, a volte nascosta nella discordia. Ed
inseparabilmente da tutto ciò, non può mancare un'altra essenziale dimensione
dell'impegno ecumenico: la testimonianza e l'annuncio degli
elementi che non sono tradizioni particolari o sfumature teologiche bensì
appartengono alla Tradizione della fede stessa.
Ma
l’ecumenismo non ha solo una dimensione istituzionale che mira a «far
crescere la comunione parziale esistente tra i cristiani verso la piena
comunione nella verità e nella carità»[46]:
esso è compito di ogni singolo fedele, anzitutto
mediante la preghiera, la penitenza, lo studio e la collaborazione. Ovunque e
sempre, ogni fedele cattolico ha il diritto e il dovere di dare la
testimonianza e l’annuncio pieno della propria fede. Con i cristiani non
cattolici, il cattolico deve entrare in un dialogo rispettoso della carità e
della verità: un dialogo che non è soltanto uno scambio di idee
ma di doni[47],
affinché si possa offrire loro la pienezza dei mezzi di salvezza[48].
Così si viene condotti ad una sempre più profonda
conversione a Cristo.
Al
riguardo va notato che se un cristiano non cattolico, per ragioni di
coscienza e convinto della verità cattolica, chiede di entrare nella piena
comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato come opera dello Spirito
Santo e come espressione della libertà di coscienza e di religione. In questo
caso non si tratta di proselitismo, nel senso negativo attribuito a questo
termine[49].
Come ha esplicitamente riconosciuto il Decreto
sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II, «è chiaro che
l’opera di preparazione e di riconciliazione di quelle singole persone che
desiderano la piena comunione cattolica è di natura sua distinta
dall’iniziativa ecumenica; non c’è però alcuna opposizione,
poiché l’una e l’altra procedono dalla mirabile disposizione di Dio»[50].
Perciò tale iniziativa non priva del diritto né
esime dalla responsabilità di annunciare in pienezza la fede cattolica agli
altri cristiani, che liberamente accettano di accoglierla.
Questa
prospettiva richiede naturalmente di evitare ogni indebita pressione: «Nel
diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre
astenere da ogni genere d’azione che sembri aver sapore di coercizione o di
sollecitazione disonesta o scorretta, specialmente se si tratta di persone
incolte o bisognose»[51].
La testimonianza alla verità non intende imporre alcunché
con la forza, né con un’azione coercitiva né con artifici contrari al
Vangelo. Il medesimo esercizio della carità è gratuito[52].
L’amore e la testimonianza alla verità mirano a convincere anzitutto con la
forza della parola di Dio (cf. 1 Cor 2, 3-5; 1 Ts 2,
3-5)[53].
La missione cristiana risiede nella potenza dello Spirito Santo e della
stessa verità proclamata.
V.
Conclusione
13.
L'azione evangelizzatrice della Chiesa non può mai venire meno, poiché mai
verrà a mancarle la presenza del Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo, secondo la sua
stessa promessa: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Gli odierni relativismi ed irenismi in
ambito religioso non sono un motivo valido per venir meno a questo oneroso ma affascinante impegno, che appartiene
alla natura stessa della Chiesa ed è «suo compito primario»[54].
«Caritas Christi
urget nos - l’amore
del Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14): lo testimonia la vita di un gran
numero di fedeli che, mossi dall'amore di Gesù
hanno intrapreso, lungo tutta la sua storia, iniziative ed opere di ogni genere per annunciare il Vangelo, a tutto
il mondo ed in tutti gli ambiti della società, come monito ed invito
perenne ad ogni generazione cristiana ad adempiere con generosità il
mandato di Cristo. Perciò, come ricorda il Papa Benedetto XVI, «l’annuncio e
la testimonianza del Vangelo sono il primo servizio che i cristiani possono
rendere a ogni persona e all’intero genere umano,
chiamati come sono a comunicare a tutti l’amore di Dio, che si è manifestato
in pienezza nell’unico Redentore del mondo, Gesù
Cristo»[55].
L'amore che viene da Dio ci unisce a Lui e «ci trasforma in un Noi che supera
le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine,
Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15, 28)»[56].
Il
Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’Udienza concessa al sottoscritto
Cardinale Prefetto il giorno 6 ottobre 2007, ha approvato la presente Nota dottrinale, decisa nella Sessione
Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Dato in Roma, nella sede della Congregazione per la Dottrina
della Fede, il 3 dicembre 2007, memoria liturgica di S. Francesco Saverio,
Patrono delle Missioni.
William
Card. Levada
Prefetto
Angelo
Amato
Arcivescovo titolare di Sila
Segretario
________________________________________________________
NOTE
[1] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio (7 dicembre 1990), n. 47: AAS 83 (1991), 293.
[2] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 14; cf. Decr. Ad
gentes, n. 7; Decr. Unitatis
redintegratio, n. 3. Questa dottrina non si contrappone alla
volontà salvifica universale di Dio, che «vuole che tutti gli uomini siano
salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tim
2, 4); perciò «è necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per
tutti gli uomini e la necessità della Chiesa in ordine alla salvezza»
(Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris
missio, n. 9: AAS 83 [1991], 258).
[3] Cf.
Giovanni Paolo II, Lett. Ap.
Novo
millennio ineunte (6 gennaio 2001),
n. 1: AAS 93 (2001), 266.
[4] Cf. Paolo
VI, Es. Ap. Evangelii
nuntiandi (8 dicembre 1975), n. 24: AAS
69 (1976), 22.
[5] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 46: AAS 83 (1991), 293; cf.
Paolo VI, Es. Ap. Evangelii
nuntiandi, nn. 53 e 80: AAS
69 (1976), 41-42, 73-74.
[6] Benedetto XVI, Omelia
durante la Santa Messa nella spianata della Neue Messe (10
settembre 2006): AAS 98 (2006), 710.
[7] Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 109, a.
1, ad 1.
[8] Cf.
Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Fides
et ratio (14 settembre 1998), n. 44 :
AAS 91 (1999), 40.
[9] Benedetto XVI, Discorso
ai partecipanti del Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma su «Famiglia e
Comunità cristiana: formazione della persona e trasmissione della fede»
(6 giugno 2005): AAS 97 (2005), 816.
[10] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides
et ratio, n. 5: AAS 91 (1999),
9-10.
[11] Ibidem, n. 31: AAS 91 (1999), 29; cf.
Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium
et spes, n. 12.
[12] Tale diritto è stato riconosciuto ed
affermato anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 (aa. 18-19).
[13] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides
et ratio, n. 33: AAS 91
(1999), 31.
[14] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei
Verbum, n. 5.
[15] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis
humanae, n. 3.
[16] Ibidem, n. 1.
[17] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 52: AAS 83 (1991), 300.
[18] Cf.
Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Slavorum
Apostoli (2 giugno 1985), n. 18: AAS
77 (1985), 800.
[19] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei
Verbum, n. 8.
[20] Cf. Paolo
VI, Es. Ap. Evangelii
nuntiandi, nn. 19-20: AAS 69
(1976), 18-19.
[21] Concilio Vaticano II, Decr. Ad
gentes, n. 7; cf. Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 16; Cost. past. Gaudium
et spes, n. 22.
[22] Benedetto XVI, Omelia
durante la Santa Messa per l’inizio del Pontificato (24 aprile
2005): AAS 97 (2005), 711.
[23] Cf.
Concilio Vaticano I, Cost. dogm.
Dei Filius, n. 2: «É
grazie a questa divina rivelazione che tutti gli uomini possono nella
presente condizione del genere umano, conoscere facilmente, con assoluta
certezza e senza alcun errore, ciò che nelle cose divine non è di per sé
inaccessibile alla ragione (cf. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,
I, 1, 1)» (DH 3005).
[24] Concilio Vaticano II, Decr. Ad
gentes, n. 13.
[25] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis
humanae, n. 11.
[26] Cf., ad esempio, Clemente di Alessandria, Protreptico IX, 87, 3-4 (Sources
chrétiennes, 2,154); Aurelio Agostino, Sermo 14, D [= 352 A], 3 (Nuova Biblioteca
Agostiniana, XXXV/1, 269-271).
[27] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 5.
[28] Cf. al
riguardo Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 18: AAS 83 (1991),
265-266: «Se si distacca il Regno da Gesù, non si ha più il Regno di Dio da lui rivelato, e si
finisce per distorcere sia il senso del Regno, che rischia di trasformarsi in
un obiettivo puramente umano o ideologico, sia l’identità di Cristo, che non
appare più il Signore, a cui tutto deve esser sottomesso (cf.
1 Cor 15, 27)».
[29] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 18: AAS 83 (1991), 266. Sul
rapporto tra Chiesa e Regno, cf. anche
Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich.
Dominus
Iesus (6 agosto 2000), nn. 18-19: AAS
92 (2000), 759-761.
[30] Congregazione per la Dottrina della
Fede, Dich. Dominus
Iesus, n. 4: AAS 92 (2000), 744.
[31] Cf. Paolo
VI, Es. Ap. Evangelii
nuntiandi, n. 80: AAS 69
(1976), 73: «Perché annunziare il Vangelo dal momento che
tutti sono salvati dalla rettitudine del cuore? Se, d'altra parte, il mondo e
la storia sono pieni dei “germi del Verbo” non è una illusione
pretendere di portare il Vangelo là dove esso già si trova nei semi, che il
Signore stesso vi ha sparsi?»
[32] Cf.
Benedetto XVI, Discorso
ai membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli
auguri natalizi (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 50:
«se la libertà di religione viene considerata come
espressione dell'incapacità dell'uomo di trovare la verità e di conseguenza
diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e
storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata
del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui
che crede che l'uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla
dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa
completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come
una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza
intrinseca della verità che non può essere imposta dall'esterno, ma deve
essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento».
[33] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium
et spes, n. 28 ; cf.
Paolo VI, Es. Ap. Evangelii
nuntiandi, n. 24: AAS 69
(1976), 21-22.
[34] Cf.
Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris
missio, nn. 21-30: AAS 83
(1991), 268-276.
[35] Benedetto XVI, Omelia
durante la Santa Messa per l’inizio del Pontificato (24 aprile
2005): AAS 97 (2005), 710.
[36] Ibidem.
[37] Cf.
Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis
humanae, n. 6.
[38] Infatti, laddove è riconosciuto il
diritto alla libertà religiosa, è solitamente riconosciuto ad ogni uomo pure
il diritto di partecipare ad altri le proprie convinzioni, nel pieno rispetto
della coscienza altrui, anche per favorirne l’ingresso nella propria comunità
di appartenenza religiosa, come sancito altresì da
numerosi ordinamenti giuridici odierni e da una ormai diffusa giurisprudenza
al riguardo.
[39] Dante Alighieri, La Divina
Commedia, Paradiso, XXXIII, 87.
[40] Paolo VI, Es.
Ap. Evangelii
nuntiandi, n. 46: AAS 69 (1976), 36.
[41] Cf.
Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 35.
[42] Paolo VI, Es.
Ap. Evangelii
nuntiandi, n. 22: AAS 69 (1976), 20.
[43] Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis
redintegratio, n. 1; cf.
Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Redemptoris
missio, nn. 1, 50:
AAS 83 (1991), 249, 297.
[44] Cf.
Giovanni Paolo II , Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 34: AAS 83 (1991), 279-280.
[45] Concilio Vaticano II, Decr. Ad
gentes, n. 15.
[46] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut
unum sint (25 maggio 1995), n. 14: AAS
87 (1995), 929.
[47] Cf. ibidem, n. 28: AAS 87 (1995), 939.
[48] Cf. Concilio
Vaticano II, Decr. Unitatis
redintegratio, nn. 3, 5.
[49] Originalmente il termine
«proselitismo» nasce in ambito ebraico, ove «proselito» indicava colui che, proveniente dalle «genti», era passato a far
parte del «popolo eletto». Così anche in ambito cristiano il termine
proselitismo spesso è stato utilizzato come sinonimo dell’attività
missionaria. Recentemente il termine ha preso una connotazione negativa come
pubblicità per la propria religione con mezzi e motivi contrari allo spirito
del vangelo e che non salvaguardano la libertà e la dignità della persona. In
tale senso, il termine «proselitismo» viene compreso
nel contesto del movimento ecumenico: cf. The Joint Working Group between the Catholic Church and the World Council of Churches, “The Challenge of Proselytism and
the Calling to Common
Witness” (1995).
[50] Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis
redintegratio, n. 4.
[51] Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis
humanae, n. 4.
[52] Cf.
Benedetto XVI, Lett. Enc.
Deus
caritas est (25 dicembre 2005), n. 31
c: AAS 98 (2006), 245.
[53] Cf. Concilio
Vaticano II, Dich. Dignitatis
humanae, n. 11.
[54] Benedetto XVI, Omelia
durante la visita alla Basilica di S. Paolo fuori le mura (25
aprile 2005): AAS 97 (2005), 745.
[55] Benedetto XVI, Discorso
ai partecipanti del Convegno internazionale in occasione del 40° anniversario
del Decreto conciliare «Ad gentes» (11 marzo 2006): AAS
98 (2006), 334.
[56] Benedetto XVI, Lett.
Enc. Deus
caritas est, n. 18: AAS
(2006), 232.
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