IDEE
Non c’è stacco tra Gesù «della storia» e
«della fede», bensì il contrario. Arriva in Italia l’opera monumentale dello
studioso delle origini cristiane James Dunn
I Vangeli promossi in orale
La critica storica ha sbagliato:«I sinottici attestano un
modello e una tecnica di trasmissione che hanno garantito una continuità nella
tradizione maggiore di quella sin qui immaginata» «La teologia neo-liberale
dipinge il Messia come un propagatore di idee morali. Invece la diffusione di
fatti e detti di Cristo cominciò da subito e da testimoni diretti»
Di Raniero
Cantalamessa
È in corso di pubblicazione un'opera monumentale di James
Dunn, professore emerito dell'università di Durham in Inghilterra, autore in
passato di studi sul Nuovo Testamento che hanno fatto epoca. L'opera in tre
volumi è intitolata Christianity in the Making e nella traduzione
italiana «Gli albori del cristianesimo» (Paideia). Il primo volume di oltre
mille pagine, intitolato Jesus Remembered, «La memoria di Gesù», nella
edizione italiana è stato diviso per comodità in 3 volumi, di cui i primi due,
disponibili da ottobre, hanno rispettivamente come sottotitolo: «Fede e Gesù
storico» e «La missione di Gesù».
Credo che l'opera chiuda un ciclo e costringa a voltare
pagina nelle ricerche su Gesù. In essa, dopo una serrata analisi dei risultati
degli ultimi tre secoli di ricerche, lo studioso giunge alla conclusione che
non c'è stata nessuna cesura tra il Gesù predicante e il Gesù predicato e
quindi tra il Gesù della storia e quello della fede. Questa non è nata dopo
La difficoltà di risalire dai Vangeli sinottici al Gesù
reale è nata in buona parte dal fatto che non si è tenuto conto delle leggi che
regolano la trasmissione delle tradizioni fondatrici di una comunità, presso
gruppi umani dalla cultura non scritta, come erano quelli tra cui si formarono
e circolarono i racconti su Gesù. Lo studio di tali leggi (tuttora verificabili
presso gruppi umani di cultura preletteraria) mostra che un fatto o un discorso
ritenuto importante per la storia e la vita della comunità può trasmettersi con
singolare accuratezza nei suoi elementi centrali, pur variando a ogni
ri-narrazione nei particolari per rispondere alle esigenze del momento.
La «storia delle forme» (
Dunn invita il lettore moderno dei Vangeli a cambiare
l'impostazione del suo computer di bordo da «letteraria» a «orale». Cosa
giungiamo a conoscere per questa via? Non - almeno direttamente -
l'«interiorità segreta» di Cristo, cosa egli pensava di se stesso, ma il «Gesù
come era ricordato»; «ricordato» però - e qui sta la differenza - non a
distanza di tempo, dopo
Letti in questo modo, «i Vangeli sinottici attestano un modello e una tecnica
di trasmissione orale che hanno garantito una stabilità e una continuità nella
tradizione di Gesù maggiori di quelle che si sono sin qui generalmente
immaginate». È ciò che l'autore dimostra nelle restanti 700 pagine del primo
volume, analizzando i singoli detti e fatti di Gesù.
All'analisi di Dunn, anche l'immagine di un Gesù che
sovverte i legami familiari e conduce con i suoi discepoli una vita da
«carismatico itinerante» o di «vagabondo cinico» appare il frutto di una
lettura parziale e forzata dei testi; non tiene conto della differenza tra ciò
che Gesù chiedeva a tutti e ciò che chiedeva a quelli che chiamava a
condividere la sua vita dedicata al regno, come avviene anche oggi nella
Chiesa. Gesù è più rigoroso di tutti circa l'indissolubilità del vincolo
matrimoniale e ribadisce con forza il comandamento di onorare il padre e la
madre, condannando il sottrarsi, con pretesti religiosi, al dovere di
assisterli.
Dunn non ha certamente posto fine alla ricerca storica su
Gesù, ma con i risultati del suo studio, unitamente a quelli, spesso
convergenti, del cattolico John P. Meier Un ebreo marginale (3 volumi,
Queriniana), dovranno presumibilmente misurarsi per decenni tutti gli studiosi
delle origini del cristianesimo.
Io vorrei prendere lo spunto dal lavoro di Dunn per una valutazione della
cosiddetta «nuova ricerca storica» su Gesù, prescindendo dai casi particolari
di cui si è discusso di recente in Italia, allargando invece lo sguardo al
panorama mondiale sul problema. La nuova ricerca storica su Gesù fonda la sua
"novità" sul ritrovamento di nuovi testi e sui risultati di recenti
scoperte archeologiche. È giusto che il lettore non addetto ai lavori sia
informato in che consistono queste scoperte.
Di veramente nuovo c'è stata, nell'ultimo mezzo secolo,
la scoperta e la successiva laboriosa decifrazione dei manoscritti di Qumran,
risalenti all'epoca del Nuovo Testamento e appartenuti (ormai si è d'accordo su
ciò) alla setta giudaica degli Esseni. Altra scoperta clamorosa è stata quella
della biblioteca gnostica di Nag Hammadi in Egitto verso la metà del secolo
scorso (precisamente nel dicembre 1945). A questi documenti scritti vanno
aggiunti i risultati di scavi archeologici che hanno stimolato l'indagine
sociologica sulle condizioni di vita al tempo di Gesù.
Una grandissima importanza hanno i manoscritti di Qumran. Essi però, lungi
dall'indebolire la testimonianza dei Vangeli, su innumerevoli punti ne hanno
costituito una sorprendente conferma, mostrando la corrispondenza di linguag-
gio e di idee con le correnti del giudaismo del tempo. Il ritrovamento dei
testi di Nag Hammadi ha avuto anch'esso un'importanza enorme per la conoscenza
dello gnosticismo cristiano e delle sue varie correnti. Assai minore è invece
il loro apporto alla conoscenza del Nuovo Testamento, se si eccettua il Vangelo
di Tommaso per le parti che si prestano a un confronto con i Sinottici e
contribuiscono alla ricostruzione della «fonte Q» (la raccolta di detti di Gesù
che conosciamo dall'utilizzo che ne hanno fatto Matteo e Luca). Va notato che
questi vangeli apocrifi, compresi quelli di Tommaso e di Giuda, erano noti, nei
loro passaggi e idee centrali, fin dai Padri della Chiesa che ne citano larghi
brani, rivelando anche lo sfondo ideologico da cui provengono. Nuova, quindi, è
l'attenzione che essi hanno richiamato e l'utilizzo che se ne è fatto, più che
le idee in essi contenute.
Quanto alle scoperte archeologiche, la convinzione di
poter basare su di esse l'idea di un Gesù fortemente influenzato dalla cultura
greca si è rivelata infondata o esagerata, in seguito a una valutazione più
attenta del ruolo svolto dalle città di Sepphoris e Tiberiade (distanti pochi chilometri
da Nazareth) come centri di cultura ellenistica. Nessuna tipica istituzione
ellenistica (biblioteca, ginnasio) o consistente insediamento pagano sono stati
ritrovati in queste città. La «Galilea delle genti» del tempo dell'esilio era
stata ri-giudaizzata nei secoli anteriori a Cristo.
Quanto aperte siano le conseguenze da tirare da queste
nuove fonti storiche, appare dal fatto che esse hanno dato luogo a due immagini
di Cristo opposte e inconciliabili tra loro, tuttora presenti sul campo. Da una
parte (con ben maggiore plausibilità) un Gesù «in tutto e per tutto ebreo»;
dall'altra un Gesù figlio della Galilea ellenizzata del suo tempo, imbevuto di
filosofia cinica che si è limitato a pronunciare massime di saggezza, «nello
stile di un maestro Zen». Entrambe queste tendenze sono nate con il proposito
di riportare alla luce il Gesù in carne ed ossa, quello che era stato
«veramente», che aveva detto «veramente». Così si esprimeva, tra gli altri, il
manifesto con cui Robert Funk nel 1985 lanciò a Berkeley il «Jesus Seminar», il
centro più attivo di promozione della «nuova ricerca» su Gesù, da cui è partita
anche l'ipotesi del «Gesù cinico».
Quale immagine di Gesù ne è risultata? Cito alcune
definizioni messe in circolazione: «un eccentrico Galileo», «il proverbiale
festaiolo», un «saggio vagabondo o sovversivo», il «maestro di una sapienza
aforistica», «un contadino giudeo imbevuto di filosofia cinica». Significativa
la definizione del Gesù del Vangelo di Tommaso: «Un saggio autore di aforismi
che ci risparmia la crocifissione, rende inutile la risurrezione e non ci
obbliga a credere in nessun Dio chiamato Gesù» (Harold Bloom).
Dunn ha coniato per questo movimento il termine di
«neoliberalismo», a causa del suo ritorno al Gesù della teologia liberale ottocentesca:
un Gesù propagatore di idee morali, non più di grande respiro come nel
liberalismo classico (paternità di Dio, valore dell'anima umana), ma di una
sapienza contadina, di portata sociologica più che teologica.
Albert Schweitzer, all'inizio del '900, aveva concluso la
rassegna delle ricerche sulla vita di Gesù dei due secoli precedenti, dicendo
che esse erano inficiate dal tentativo di modernizzare Gesù, attribuendogli gli
ideali in auge nella società. Si era avuto così, di volta in volta, un Cristo
idealista, romantico, liberale, socialista… Alla stessa conclusione arrivano
Dunn e Meier nella loro rassegna degli studi apparsi dopo Schweitzer. Abbiamo
avuto via via il Gesù dell'esistenzialismo heideggeriano di Bultmann, il Gesù
rivoluzionario degli anni di Che Guevara e ai nostri giorni il Gesù
post-moderno, dal pensiero debole. Nelle pagine rese note del suo prossimo
libro su Gesù, Benedetto XVI definisce questi studi «fotografie degli autori e
dei loro ideali». Alla nascita di Gesù, Simeone disse che sarebbe stato «segno
di contraddizione perché fossero svelati i segreti di molti cuori», e così è
stato. Scrivendo di lui, ognuno, senza volerlo, manifesta quello che c'è nel
proprio cuore.
E tuttavia - Dunn è il primo ad ammetterlo - nessuno di questi
tentativi è stato inutile ed è da scartare. A parte l'immenso guadagno critico
realizzato in molti di questi studi, a partire dalla Vita di Gesù dello
Strauss, è comunque grazie ad essi che si può giungere, anche per esclusione, a
un'immagine del Gesù della storia sempre meno lontana dal vero. Essi
contribuiscono anche a liberare la persona di Gesù e la fede cristiana da tante
ingenue rappresentazioni oleografiche, a tutto vantaggio della fede stessa.
Gesù è «patrimonio dell'umanità»; nessuno, neppure