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L’uomo è una scimmia

 

 

L’uomo è una scimmia? E allora manipoliamolo

di Francesco Agnoli

Il discorso è semplice: se l’uomo è solo animale, i suoi diritti, e in particolare quello alla vita, non sono diritti intangibili, inalienabili! Se è solo animale, e cioè materia in evoluzione, inoltre, vi sono stadi più o meno avanzati: uomini, o "razze", o classi sociali, che "valgono" di più o di meno!

Dopo il grande congresso sul futuro della scienza, sull'infinito progresso prossimo venturo, impostato in base a categorie matematiche e neopositiviste, la "Fondazione Veronesi" si appresta a preparare un analogo convegno, il prossimo anno, sull' evoluzionismo darwinista. Il tema Darwin è dunque all'ordine del giorno, come del resto negli Stati Uniti, dove il tribunale è chiamato a decidere sulla liceità o meno di insegnare nelle scuole, accanto all'evoluzionismo, anche la teoria del Disegno Intelligente. Ma quale può essere il collegamento tra le grandi discussioni odierne sulla moralità di certe manipolazioni della vita, e la teoria darwinista, nella sua parte relativa all' origine dell'uomo da antenati scimmieschi? Ce lo spiegava, indirettamente, già molti anni fa un filosofo inglese, Bertrand Russell, assai distante da posizioni cattoliche: «Un seguace dell' evoluzione sosterrebbe che non solo la dottrina dell'uguaglianza di tutti gli uomini, ma anche quella dei diritti dell'uomo, deve essere condannata come antibiologica, poiché fa una distinzione troppo netta tra gli uomini e gli. animali» (Storia della filosofia occidentale). Il discorso è semplice: se l’uomo e solo animale, i suoi diritti, e in particolare quello alla vita, non sono diritti intangibili, inalienabili! Se è solo animale, e cioè materia in evoluzione, inoltre, vi sono stadi più o meno avanzati: uomini, o "razze", o classi sociali, che "valgono" di più o di meno!

Ma andiamo con ordine. Bisogna anzitutto ricordare che l'evoluzione in sé è perfettamente compatibile con il pensiero cristiano e con il concetto di creazione, al punto che fu in qualche modo intuito già da Basilio, Gregorio di Nissa, Agostino d'Ippona e tanti altri, i quali ritenevano che Dio, nel creare la materia, avesse immesso in essa le capacità, o "rationes seminales", per generare nel tempo le varie creature. Ma non è altresì compatibile con l'antropologia cattolica l'idea darwinista, per nulla scientifica, che tutto sia dovuto al caso, e che l'anima non sia in fondo che materia evolutasi attraverso imprecisate ed inspiegabili modalità. Non è compatibile con la nostra fede, né con l'intelligenza, ritenere, come facevano già nell'Ottocento pensatori darwinisti, che il cervello sia solo una macchina a vapore, e che il pensiero venga da esso prodotto analogamente a come l'urina o i succhi gastrici vengono secreti da altri organi. Se infatti così fosse, crollerebbero i fondamenti per affermare la libertà dell'uomo, la sua coscienza, la morale, l'immortalità dell'anima, le sue aspirazioni e tutto ciò che fa di noi degli "animali" razionali, sociali, capaci di scegliere tra il bene e il male.

Ne è consapevole lo stesso Darwin, allorché sostiene che il senso di giustizia dipende dall'abitudine, e non riguarda qualcosa di metafisicamente vero: «Se ad esempio gli uomini fossero allevati nelle stesse condizioni precise delle api, possiamo supporre che, come le api operaie, le nostre femmine non sposate riterrebbero un sacro dovere uccidere i loro fratelli, le madri cercherebbero di uccidere le loro figlie fertili, e nessuno penserebbe di intervenire» (L'origine dell'uomo, trad.it., Newton Compton, Roma 1994, p.603).

Così, se l'uomo fosse veramente, solamente, un'altra forma di scimmia, verrebbe meno l'idea, come scriveva Russell, che possano esistere dei "diritti umani" sacri ed inviolabili, superiori a quelli delle altre creature. Infatti, a ben vedere, dovrebbe valere, per le bestie come per noi, la stessa legge: quella del più forte, la legge della selezione naturale. Legge, questa, che piaceva indifferentemente a Marx ed Engels, che la considerava l'altra faccia della medaglia della lotta di classe, e agli economisti liberisti, di cui Darwin era un accanito lettore, ritenendo che «la forza motrice dell' evoluzione» fosse «una specie di economia biologica in un mondo di libera concorrenza». Legge che affascinò anche a due grandi ammiratori di Darwin, Hitler e Stalin, che furono suoi appassionati lettori, oltre che i primi ad applicare politicamente concetti quali l'eugenetica, la negazione dell’individuo in nome della specie (vedi statalismo e nazionalismo), la selezione "artificiale" delle razze o delle classi sociali...

Riproporre oggi, dopo che anche la scienza ammette l'impossibilità di penetrare realmente nel regno della psiche, dimostrando così la sua assoluta alterità rispetto alla materia, !'idea che Darwin ha dell'uomo, non è allora altro che il tentativo di fondare filosoficamente un terribile tentativo in atto: quello di cancellare il concetto di "diritti umani", abbassandoli al livello dei diritti animali; quello di eliminare la concezione cristiana che vincola la dignità umana all'anima immortale, e non alla "composizione materiale", alla salute fisica, alla povertà o alla ricchezza; quello, in sintesi, di trasformare i medici in veterinari. Ecco spiegato il celebre discorso di Veronesi (cfr. il Corriere della Sera, 15 maggio 2005) sul suo essere «animalista e vegetariano», e nel contempo sull'uomo che equivale geneticamente allo scimpanzé, per poi legittimare la sperimentazione occisiva sugli embrioni umani!

Quello che importa è infatti abbassare l'uomo al livello di animale, per giustificare così, filosoficamente, l'aborto selettivo dei feti malati, o semplicemente imperfetti; le diagnosi prenatali con scopo eugenetico, sino alla proclamazione, come ha fatto Franco Chiarenza, vicepresidente della Fondazione Einaudi, del "dovere" per i genitori di eliminare i figli con handicap; la selezione eugenetica degli embrioni, e mille altre mostruosità, sino alla stessa eutanasia. Proprio riguardo a quest'ultima, infatti, in un libro in cui ne propone la liceità, Veronesi scrive: «Considero la morte nient'altro che un evento biologico. È la rigenerazione, il lasciare spazio agli altri, come fanno gli animali che da vecchi si staccano dal branco per andare a morire da soli. Credo che una vita basti e avanzi. Ho visto morire meglio i pazienti senza fede». Non siamo dunque non uomini «bruchi nati a formare l’angelica farfalla», come secoli di fede, di cultura, ci hanno insegnato; non “animali razionali” capaci di pensiero ed amore, ma solo bestie di un branco, che devono via via fare spazio ad altre; masse animali, senza volto e senz’anima, senza individualità e senza valore, se non quello generico della specie. «Siamo – scrive ancora Veronesi – parte di un grande disegno biologico che prevede quattro tappe. Nascere, procreare, allevare i figli, morire» (L’ombra e la luce, “Biblioteca di Repubblica”). Il resto, per lui, come per altri darwinisti, sono favole e sentimentalismi da cattolici…

«Niente figli per i membri deboli della società». Parola di Darwin.

Le conseguenze pratiche del cieco materialismo evoluzionista sono devastanti. Ne esplica alcune lo stesso Darwin, quando nel suo L'origine dell'uomo, dopo aver proclamato l'inferiorità mentale e fisica della donna rispetto all'uomo e dopo aver citato suo cugino, Francis Galton, padre dell'eugenetica moderna, propone che la generazione tra uomini avvenga nello stesso modo di quella tra bestie di un buon allevamento: «Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto al vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all' allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana». (op. cit. p. 628). E in conclusione: «L'uomo analizza scrupolosamente il carattere e l'ascendenza dei suoi cavalli, del suo bestiame e dei suoi cani, prima di accoppiarli; ma allorché giunge alle sue nozze, raramente o mai si prende una cura simile. » (op. cit., p.973).

 Da Avvenire, supplemento È vita, del 17 novembre 2005, pag. 1.

 

 

 

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