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Vita (in generak

 

VITA (in generale)

 

E' quella particolare capacità di movi­mento e di autoconservazione che caratte­rizza gli esseri animati. E' un concetto analo­gico che si applica con una certa duttilità se­mantica alle piante e agli animali, all’uomo e a Dio, al mondo della materia come pure al mondo dello spirito. E' un concetto ricco e complesso che è più facile descrivere che de­finire. Di esso si occupano la scienza, la filosofia e la teologia.

 

       Scientificamente la vita è concepita come una particolare struttura della materia: una struttura molecolare assai complessa, molto più articolata e progredita di quella di cui sono dotati gli esseri inorganici.

      

       Filosofica­mente la vita viene definita come principio primo della realtà organica.

      

       Teologicamente la vita è considerata come dono speciale di Dio con cui l’uomo viene reso partecipe del­la natura stessa di Dio: "Divinae consortes naturae" (2 Pt 1. 4).

 

       Lo studio scientifico della vita ha potuto svilupparsi soltanto nell’epoca moderna do­po l’introduzione e l’elaborazione precisa del metodo scientifico per opera di Galilei e Bacone. Invece lo studio filosofico risale già ai grandi filosofi greci, soprattutto ad Ari­stotele, al quale appartiene la classica defini­zione della vita come "movimento non comu­nicato e immanente" (De anima II, 1. 403b, 16). Anche l’approccio di S.Tommaso al problema della vita è fondamentalmente quello filoso­fico.

 

1.  DEFINIZIONE E NATURA DELLA VITA

 

       S.Tommaso, rifacendosi ad Aristotele, defini­sce la vita come semoventia. "Il termine vita, in senso proprio, si adopera per significare una sostanza alla quale compete, secondo la sua natura, muoversi spontaneamente o co­munque determinarsi all’operazione" (I, q. 18, A. 2). "Il potersi muovere da sé è il modo più elevato di movimento e in ciò consiste la specificità della vita, infatti definiamo "vi­venti” le realtà che in qualche modo muovo­no se stesse" (In De Causis, prop. 18).

 

       Usando un procedimento assai comune tra i biologi, di tracciare la linea di demarca­zione tra i viventi e non viventi, partendo dagli esseri che possiedono chiaramente la vita, mettendo per esempio a confronto il comportamento di un cane con quello di un sasso, S.Tommaso fa vedere che il titolo di vivente spetta anzitutto agli animali, perché è negli animali che si riscontra più chiaramente il tratto specifico della vita: il muoversi da sé. "Dag1i esseri che possiedono con evidenza la vita, scrive l’Angelico, si può dedurre quali realmente vivano e quali non vivano. Ora, gli esseri che possiedono con evidenza la vita sono gli animali: infatti. osserva Aristotele, "neg1i animali la vita è patente”. perciò noi dobbiamo distinguere gli esseri viventi dai non viventi in base a quella proprietà per cui diciamo che gli animali vivono. E questa è il segno che per prima rivela la vita e ne atte­sta la presenza sino all’ultimo. Ora, noi diciamo che un animale vive appena comincia a muoversi, e si pensa che in esso perduri la vita finché si manifesta tale movimento; e quando non si muove più da sé e vieni mosso soltanto da altri, allora si dice che l’animale è morto per mancanza di vita. Da ciò si vede che propriamente sono viventi quegli esseri che comunque si muovono da sé (...). E così diremo viventi tutti gli esseri che si determi­nano da se medesimi al movimento o a qual­che operazione: quegli esseri invece che per loro natura non hanno di potersi determinare da se stessi al movimento o alla operazione, non possono dirsi viventi che per una certa analogia" (I q. 18, A. 1; cfr. III Sent, d. 35, q. 1, a. 1).

 

       Per intendere pienamente che cos’e la vita il procedimento migliore è quello di studiare le sue manifestazioni, ossia le sue operazio­ni, poiché "l’operazione propria di una cosa consegue e rivela la sua specie" (propria operatio cuiuslibet rei consequitur et demon­strat speciem eius") (C. G., II, c. 73). Ora, es­sendo due i tipi di operazioni, secondo que­ste si distinguono i viventi dai non-viventi: "Ci sono due generi di operazioni. Alcune sono transeunti (transiens) da un soggetto a un altro, come il riscaldamento dal fuoco al legno; e queste operazioni non tornano a vantaggio dell’operante bensì dell’operato; infatti il fuoco non trae nessun vantaggio dal fatto che scalda; mentre il riscaldato riceve il calore. L’altro genere di operazioni non è transeunte (non transiens) in qualche cosa di estrinseco ma permane nel!o stesso soggetto che agisce, per es., il sentire, l’intendere, il volere e simili. Queste operazioni perfezio­nano il soggetto che opera (haec operationes sunt perfectiones operantis): così l'intelletto non diviene perfetto se non quando intende in atto, e analogamente il senso quando sen­te attualmente. Il primo genere di operazio­ni è comune ai viventi e ai non viventi; inve­ce il secondo genere è esclusivo dei viventi (secundum operationum genus est proprium viventis)" (De Pot., q. 10, a. 1). Ora, pro­prio perché le operazioni caratteristiche del vivente sono le operazioni immanenti, ossia le operazioni in cui il soggetto muove e per­feziona se stesso, "operazioni percettive del soggetto operante", si deve concludere che la vita consiste essenzialmente nella "semo­ventia".

 

      E' interessante osservare come questo concetto di vita non risulta affatto superato. Anche molti biologi contemporanei (Rush, Asimov, Canguilhem, ecc.) se ne avvalgono quando parlano della vita "La vita, scrive J. H. Rush, è essenzialmente cambiamento, processo, attività continua". Secondo Nietz­sche la vita è un "salire", una "crescita", un "divenire ininterrotto"; secondo Bergson è "uno slancio eccezionale" a cui egli il nome di "slancio vitale". Ma è più esatta la de­finizione di S.Tommaso il quale sottolinea che ciò che distingue specificamente questo "movi­mento", "processo", "slancio", "salire" ecc. è di essere immanente: non solo è spontaneo e nasce dal di dentro ma si ripiega e torna a vantaggio di chi svolge tale attività: è un’at­tività squisitamente immanente e non tran­seunte. L’espressione "azione perfettiva del soggetto operante", risulta quindi perfetta­mente adeguata a definire la vita

 

2.  IL PRINCIPIO PRIMO DELLA VITA, L’ANIMA

 

      Una volta che si riconosce che la vita è essenzialmente movimento e che si tratta di un movimento che non è causato dall’ester­no bensì dall’interno, è facile comprendere come tale movimento non sia esplicabile se non riconoscendo l’esistenza di un principio intrinseco, una fonte interna che lo produce. A questo principio interiore delle manifesta­zioni vitali, dai tempi più remoti i filosofi e anche l’uomo della strada hanno dato il nome di anima. Secondo S. Tommaso, come già secondo Aristotele, l’anima non è un princi­pio qualsiasi di operazione vitale, altrimenti bisognerebbe dire che è un’anima anche l’occhio rispetto alla vista, e così pure degli altri organi. Ma per anima si suole intendere il primo principio della vita. Ora, un corpo può certamente essere in qualche modo un principio vitale: così per es. il cuore, ma mai il principio primo. Se un corpo è principio vitale non lo è mai in quanto corpo; altri­menti ogni corpo lo sarebbe. E principio vitale in forza di una speciale qualità, che pos­siede in ragione di un principio che è chia­mato il suo atto. E poiché l’anima è il princi­pio della vita, essa non è una realtà corporea ma l’atto di un corpo" (I, q. 75, a. 1).

 

      Pertanto l’anima è il principio ultimo del movimento vitale. Dato però che si danno movimenti vitali profondamente diversi nel­le piante, negli animali e negli uomini, pare legittimo distinguere tre tipi di anime: sensi­tiva, vegetativa e intellettiva, come hanno fatto quasi tutti i filosofi a partire da Platone e Aristotele. Di questa divisione troviamo una chiara testimonianza anche in S.Tommaso. Egli spiega che la ragione della divisione in tre anime "sta nel fatto che le anime si distin­guono secondo il diverso modo con le quali le operazioni vitali sorpassano le operazioni delle cose corporee: i corpi. infatti, sono in­feriori all’anima e servono a essa come materia o come strumento. Vi è pertanto un’o­perazione dell’anima che trascende talmente la realtà corporea da non avere nemmeno bisogno di un organo materiale per esplicar­si. E questa è l’operazione dell’anima razio­nale. Vi è un’altra operazione dell’anima, inferiore alla precedente, che si esplica mediante un organo materiale, non però me­diante una qualità corporea. Tale è l’opera­zione dell’anima sensitiva... La più bassa poi tra le operazioni dell’anima è quella che si svolge mediante un organo corporeo o in virtù di certe qualità fisiche. Anch’essa però sorpassa l’operazione della realtà materiale, perché i movimenti sono originati da un im­pulso estrinseco, mentre le operazioni in pa­rola sono originate da un impulso intrinseco: aspetto comune questo a tutte le operazioni dell’anima; perché ogni ente animato in qualche modo muove se stesso. Così si pre­senta l’operazione dell’anima vegetativa" (I. q. 78, a. 1).

 

3.  ORIGINE DELLA VITA

 

     Il problema dell’origine della vita. che ne­gli ultimi secoli ha dato luogo a tante infuo­cate polemiche tra i meccanicisti e i vitalisti, non viene mai affrontato direttamente ed esplicitamente da S.Tommaso. Comunque non c’è dubbio che tra le due spiegazioni alternati­ve: Dio o il caso, egli non avrebbe potuto optare che per la prima tesi. Lo lasciano in­tendere chiaramente le sue critiche ferme e taglienti del caso, come ipotesi esplicativa dell’origine del cosmo. Secondo l’Angelico nulla di quanto succede nell’universo avviene per caso, tanto meno un fenomeno così importante come quello dell’origine della vita: tutto è frutto della potente e sapiente azione di Dio (C. G.. III, c. 75).

 

4.  FELICITA' DELLA VITA

 

       La beatitudine (vedi: BEATITUDINE), ossia la felicità piena e completa, in cui tutte le aspi­razioni dell’uomo sono interamente appaga­te, rappresenta l’unico scopo della vita uma­na. Ma poiché questa consta di due momen­ti, quello attuale dello status viae, e quello fi­nale dello status patriae, si danno due possi­bilità e modalità diverse d’essere felici, ma la felicità presente dev’essere concepita co­me premessa e come preparazione della feli­cità eterna. Per questo motivo, scrive S.Tommaso nel De regimine principum, la vita onesta che gli uomini trascorrono quaggiù è "ordina­ta al fine rappresentato dalla felicità della vi­ta celeste in cui speriamo" (De reg., 1. 1, c. 16). Da queste considerazioni S.Tommaso trae la seguente significativa conclusione per quan­to concerne i doveri del sovrano: "Siccome il fine della vita retta che conduciamo quaggiù è la felicità celeste, rientra nella mansioni del re organizzare una buona esistenza so­ciale, secondo un criterio che risponda ai re­quesiti per raggiungere la felicità celeste, co­mandando ciò che conduce alla gioia del cie­lo e proibendo, nei limiti del possibile, quanto è in contrasto con essa" (ibid.).

 

       In perfetta coerenza con la sua antropo­logia. che vede nell’uomo una natura essen­zialmente composta di anima e di corpo, S.Tommaso per la felicità della vita esige che siano pie­namente soddisfatti sia i bisogni dell'anima sia quelli del corpo, e questo tanto per lo sta­tus viae quanto per lo status patriae.

 

      Perché in questo mondo si possa avere una vita autenticamente umana S.Tommaso richiede due cose: per l’anima agire secondo virtù, per il corpo una sufficiente disponibilità di beni materiali: "Ad bonam unius hominis vi­tam duo requiruntur: unum principale, quod est operatio secundum virtutem; virtus est enim qua bene vivitur; aliud vero secunda­rium et quasi instrumentale, scilicet corpora­lium bonorurn sufficientia, quorum usus est necessarius ad actum virtutum" (ibid.).

 

       Analogamente, per la vita futura: perché l’uomo possa essere pienamente felice, è ne­cessario che sia reintegrato nella sua costitu­zione naturale, mediante la riassunzione del suo corpo da parte dell’anima, talché possa raggiungere la piena realizzazione e di con­seguenza la piena felicità con tutto il suo essere, non solo quindi con la parte spirituale, l’anima, mediante la visione beatifica, ma anche con la parte materiale, il corpo, me­diante il vigore (virtus), la gloria (gloria) e l’incorruttibilità (incorruptio): "Hominis au­tem beatitudo perfecta consistit in anima et corpore; in anima quidem quantum ad id quod est ei proprium, secundum quod mens videt et fruitur Deo; in corpore vero secundum quod corpus “resurgit spirituale et in virtute ei in gloria et in incorruptione”, ut dicitur I Cor 15, 42" (III, q. 15, a. 4).

 

5. SACRALITA' DELLA VITA

 

Su questo tema importante e oggi at­tualissimo si vedano le voci EUTANASIA e OMICIDIO.

 

    (Vedi: VITA, ANIMA, CASO, CREAZIONE, UOMO, BEATITUDINE)


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Battista Mondin.

Dizionario enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,

Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

 


 

 

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