Verità eterne
E' dottrina tipica di S.
Agostino e della sua scuola che traduce in termini gnoseologici (quanta meno
in parte) Ia teoria platonica delle Idee. Secondo Agostino ci sono verità assolutamente necessarie e immutabili, evidenti
e incontrovertibili che non possono essere intaccate da nessun errore né oscurate
da alcun dubbio, come per es. le idee di bontà, bellezza, felicità, giustizia,
oppure i principi di identità e di non contraddizione: sono verità che la mente
umana conosce chiaramente ma che non può trarre dalle cose perché sono
contingenti, né elaborare con i propri mezzi, perché essa è mutevole. A queste
verità Agostino dà il nome di "verità
eterne", e ne spiega la conoscenza con la teoria della illuminazione (v. ILLUMINAZIONE). Ai
tempi di S. Tommaso la teoria delle verità eterne contava ancora molti
sostenitori, specialmente tra i pensatori dell’Ordine francescano
(Alessandro di Hales, S. Bonaventura, Ruggero Bacone e altri).
L'Aquinate, che ha una teoria della conoscenza in cui si
ascrive l’evento conoscitivo esclusivamente all'azione umana (specialmente
all’intelletto agente) facendolo inoltre dipendere strettamente dall’apporto
dei sensi, non può sottoscrivere la tesi delle verità eterne così com’era stata
formulata da Agostino. Tuttavia di questa teoria
cerca di salvare il salvabile: l’uomo non può raggiungere nessuna verità
eterna; però esiste certamente una verità eterna: è la verità conosciuta da Dio
e che si identifica con la sua essenza che è eterna.
Nel Commento alle Sentenze, S. Tommaso nega perentoriamente che ci siano altre verità eterne al di fuori di quella di Dio:
"Nulla veritas
est necessaria in creaturis", e
lo prova partendo dai due elementi costitutivi della verità: 1) il fondamento
oggettivo, il fundamentum in re, il quale è costituito dalle cose
materiali, ora nessuna di esse è eterna; 2) l’apprensione umana, la quale
viene attuata dal nostro intelletto, e neppure questo è eterno, l’unico intelletto
eterno essendo quello di Dio: "Ex
quo patet quod sola veritas una quae in Deo est et quae Deus est, est aeterna et immutabilis" (I Sent., d. 19, q.
La stessa tesi viene ribadita nel De Veritate (q.
Il pensiero di S.
Tommaso su questa questione risulta ancora più chiaro
se si tiene presente che per l’Aquinate la verità non
è qualche cosa di sussistente ma di relativo (e ciò è sempre vero anche quando
si dice che la verità è un trascendentale, ossia una proprietà fondamentale
dell’ente): la verità è il frutto del rapporto tra l’intelligenza e la cosa (è l'adaequatio rei et intellectus). Perciò non esiste nessuna verità eterna sussistente in se
stessa (come non esiste una bontà, una bellezza, una giustizia). Per avere un
frutto (la adaequatio) eterno occorre che sia eterno sia l’oggetto
conosciuto sia l’intelletto che conosce.
Ma questo accade
soltanto in Dio: il suo intelletto è eterno ed eterna è la sua essenza che
forma l’oggetto del suo conoscere.
(vedi:
VERITA', CONOSCENZA, INTELLETTO, ILLUMINAZIONE, AGOSTINO)
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Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico
del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio
Domenicano, Bologna.