RATZINGER
In un’intervista del 2001 il futuro Papa lanciava
una sfida ai pensatori di oggi: non censurate la
questione
Filosofi,
dov'è la verità?
«Oggi si sostituisce al vero
il consenso. Si valuta il bene e male in base al principio della maggioranza»
Di Vittorio Possenti
Dopo il declino della critica, lungamente
sollevata, secondo cui la religione varrebbe come oppio dei popoli, quali
interrogativi e problemi verosimilmente interpellano con maggior vigore la
coscienza umana e religiosa del XXI secolo? «È
difficile fare previsioni, perché potrebbero sempre entrare in scena improvvisi
cambiamenti della coscienza storica. All'inizio del XX
secolo chi avrebbe potuto prevedere che negli anni Venti il liberalismo sarebbe
stato improvvisamente considerato una ideologia borghese ormai superata, al cui
posto erano subentrati l'esistenzialismo, la filosofia dei valori e nuovi
abbozzi della metafisica? All'inizio degli anni Sessanta chi avrebbe potuto
prevedere che nel 1968 sarebbe sopraggiunta una svolta che a sua volta
rigettava l'esistenzialismo come filosofia borghese e invece implicava di
rivolgersi con passione al marxismo? Allo stesso modo anche noi oggi non
possiamo prevedere i possibili cambiamenti della coscienza collettiva. Come
appare dalla situazione attuale, ci saranno da un lato una riabilitazione del
mito e delle forme di religiosità di impronta mitica,
in cui l'essere umano cerca l'esperienza della comunità, dell'unità di anima e
corpo, dell'unitotalità e
la fuoriuscita dai vincoli del mondo della tecnica come momenti di libertà, di
oblio, in sintesi di felicità. A tale riguardo potrebbe ulteriormente aumentare
la frattura fra il mondo del razionale e i mondi
dell'esperienza irrazionale. Ciò significherebbe poi in ambito filosofico un ulteriore allontanamento dalla metafisica e un
consolidamento del dominio del positivismo come unica forma della razionalità,
per cui la capacità di comprendere che cosa sia la ragione e che cosa sia
razionale si riduce sempre più.
Ma vedo anche
possibili nuovi risvegli della fede cristiana, di una cattolicità viva, e da
ciò giungeranno anche nuovi impulsi per la filosofia. Come negli anni Venti del
secolo scorso la fenomenologia husserliana
all'improvviso aveva aperto le porte per un rinnovamento della metafisica e il
personalismo aveva mutato il quadro della filosofia, così una fede rinnovata
aprirà di nuovo alla filosofia le porte delle domande primigenie dell'essere
umano - domande fondamentali e mai risolte - sulla sua
origine e il suo futuro, sulla vita e la morte, su Dio e l'eternità».
Il liberalismo filosofico, di cui è
nota la considerevole diffusione ai vari livelli della cultura occidentale,
continua a sostenere che il primo e fondamentale "bisogno umano"
debba ravvisarsi nella libertà. Considerando questo assunto,
si fa strada la riflessione se non siano presenti nell'uomo bisogni, domande,
esigenze almeno (e forse più) fondamentali di quello vertente sulla libertà, la
quale dal liberalismo filosofico è intesa solo come libertà di scelta. Non sembra
questa una seria restrizione del problema?
«In effetti ci troviamo di fronte a una pericolosa unilateralizzazione delle domande
fondamentali sull'esistenza umana. Il concetto stesso di libertà viene ridotto indebitamente. In generale il concetto di
libertà non solo è ridotto a quello di libertà di scelta, ma è anche concepito
da un punto di vista esclusivamente individualistico; per fare un esempio, nel
senso in cui una volta era stato formulato dal giovane Marx: La libertà
consiste "nel fare oggi questo, domani quello... proprio a seconda di come ne ho voglia". Ma in tal modo si
dimentica che l'umanità ci è data solo nel nostro
essere l'uno con l'altro e che la mia libertà può funzionare solo in unione con
la libertà degli altri. Siamo collegati l'un l'altro
in un sistema di prestazioni reciproche: solo così nutrimento, salute, lavoro e
tempo libero possono essere assicurati. La mia libertà è sempre una libertà dipendente, una libertà con gli altri e attraverso
gli altri. Senza la sinergia con le altre libertà, la mia libertà
annienta se stessa. Dunque, la libertà in primo luogo
deve tener conto del reciproco essere l'uno con l'altro. Non può essere arbitrarietà, ma h a bisogno dell'ordinamento delle libertà
e dell'osservanza delle sue regole. Se così è, segue
subito la duplice domanda: chi stabilisce queste regole? E qual è il criterio
secondo cui vengono istituite? Alla prima domanda oggi
rispondiamo rinviando alla democrazia come forma regolatrice delle libertà, e
ciò è giusto. Tuttavia rimane la seconda domanda,
perché devono pur esserci dei criteri per il giusto ordinamento delle libertà.
Ora, noi diciamo: è la maggioranza che decide. Ma ci
possono anche essere maggioranze malate, e il secolo scorso lo ha dimostrato.
Ci può essere una maggioranza che decide che una parte della popolazione deve
essere sterminata perché ostacola il godimento della propria libertà. Oppure che un popolo confinante deve essere combattuto perché
restringe il proprio spazio vitale. Ci sono norme che nessuna
maggioranza può abrogare. Così è davvero necessario porre la domanda: quali
sono i beni che nessuno può distruggere senza distruggere
l'essere umano e in tal modo anche la libertà? La domanda
sull'incondizionatamente buono e sull'incondizionatamente malvagio non può essere
elusa, se ci deve essere un ordinamento della libertà che sia degno dell'uomo».
Nonostante la fine catastrofica
dell'"ateismo scientifico-dialettico" di origine
marxista, permane nella cultura occidentale postmoderna una forte obiezione nei
confronti del cristianesimo. Come valutare l'atteggiamento
che intende prescindere sistematicamente da Dio nel campo civile, procedendo «etsi Deus non daretur»? Sarebbe questo il canone centrale di ogni autentica morale laicista?
«In effetti sembra che attualmente il pensiero continui a
svilupparsi in questa direzione. Dopo che il marxismo, di fronte alla svolta
del 1989, continua ancora oggi a trovarsi in una pausa di riflessione, le
filosofie simili a quella del razionalismo critico di Popper corrispondono maggiormente al senso
contemporaneo di ciò che si può considerare razionale. La verità in quanto tale
- così si pensa - non può essere conosciuta, ma si può
avanzare a poco a poco solo con i piccoli passi della verificazione e della
falsificazione. Si rafforza la tendenza a sostituire il concetto di verità con
quello di consenso. Ma ciò significa che l'uomo si
separa dalla verità e così anche dalla distinzione tra il bene e il male,
sottomettendosi completamente al principio della maggioranza. Il cammino in
questa direzione comincia già, naturalmente, nell'idealismo tedesco, quando si
parte dal presupposto che l'uomo possa conoscere non la realtà in quanto tale
ma solo la struttura della sua coscienza. Nel frattempo filosofie come quelle
di Singer, Rorty, Sloterdijk indicano ulteriori radicalizzazioni
nella stessa direzione: l'uomo progetta e "monta" il mondo senza
criteri prestabiliti e così supera necessariamente anche il concetto di dignità
umana, sicché anche i diritti umani diventano problematici. In una siffatta
concezione della ragione e della razionalità non rimane spazio alcuno per il
concetto di Dio. E tuttavia la dignità umana alla
lunga non può essere difesa senza il concetto di Dio creatore. Essa perde così
la sua logica. Naturalmente noi non possiamo e non ci è
consentito di costringere alcuno a credere in Dio. Tanto più urgente è allora
il compito di far di nuovo valere il concetto di Dio creatore nella sua
razionalità e di tenerlo presente nel conflitto della ragione».
Osservatori di varia estrazione
sostengono che è in atto un abbandono interno alla Chiesa delle
"prove" della verità del cristianesimo, della sua pretesa alla
verità. A suo parere, si può assegnare validità a tale diagnosi, secondo la
quale la prassi attuale del cattolicesimo riterrebbe secondaria la verità dei
propri contenuti?
«Probabilmente
è vero che importanti settori del cattolicesimo attualmente
nel dialogo con i non credenti accantonino la domanda sulla verità
considerandola priva di prospettive e quindi sterile e vogliano focalizzare il
dibattito sull'utilità sociale della fede. P er specifiche fasi della discussione questo può
essere ammesso oppure può costituire l'unica via
percorribile. Ma se complessivamente si volesse lasciar cadere la pretesa alla
verità e in tal modo si intendesse declassare il
cristianesimo da "verità" a (utile) abitudine
("tradizione"), questo significherebbe la rinuncia del cristianesimo
a se stesso. Il cristianesimo sarebbe certo perfettamente inglobato nel sistema
del mondo moderno, però avrebbe perso la sua anima. Dunque Cristo non potrebbe
più dire: "Io sono la verità", ma sarebbe
retrocesso all'ordine di grandezza di un uomo con una significativa esperienza
religiosa oppure a quello di un riformatore della società che purtroppo ha
fallito. Del resto
Come mantenere la pretesa cristiana
alla verità, se si assume che l'idea stessa di verità non sia applicabile alla
religione, la quale verterebbe solo sulla pietà e i costumi ed escluderebbe la
conoscenza?
«Se
la fede cristiana è solo una tradizione religiosa,
anche se certamente una tradizione significativa, non è più comprensibile il
motivo per cui dovrebbe essere impartita agli altri. Al contrario, la verità è per tutti una sola, e se Cristo è la verità, allora riguarda
tutti; allora è una colpa occultarla agli altri. Se si definisce il
cristianesimo una religione europea si dimentica che
non è nato in Europa e che nei primi secoli si è diffuso in modo uniforme sia
in Europa sia in Asia; la missione nestoriana
aveva raggiunto l'India e