Consiste essenzialmente nella indivisione: «Ratio unitatis consistit in indivisione» (I
Sent., d. 24, q.
I pitagorici considerano l'unità sia come principio divino sia come origine dei numeri. A tale princìpio si contrappone la diade che costituisce il fondamento della molteplicità. Per Anassagora i due princìpi di cui risulta costituita tutta la realtà sono rappresentati dall'uno e dall'indeterminato. Per Eraclito ed Empedocle l'unità, pur rimanendo alla base del reale, è strutturalmente complessa e diventa per definizione coincidenza degli opposti. In Platone l’unità prende posto tra le grandi idee archetipe di fianco al Bene, all'Essere, al Bello e al Vero: idea e forma prima, tra le idee e le forme. Aristotele distingue tra i vari usi del termine unità e tra le varie modalità dell'unità. Secondo lo Stagirita l'unità delle cose è (progressivamente) numerica, specifica, generica, analogica; e anche la loro molteplicità è da concepire in altrettanti sensi simmetricamente opposti a quelli dell'unità Plotino pone 1'unità al vertice dei suo universo filosofico. A suo giudizio, per poter essere assolutamente trascendente, l'unità deve essere anteriore non solo all'ordine degli esistenti concreti, ma anche a quello delle realtà intelligibili, ossia allo stesso mondo delle idee. In altre parole, in quanto produce per emanazione e dà unità al regno dell'Intelligenza (nous), l'uno è al di sopra dell'Intelligenza stessa. Esso è il principio assolutamente primo o il principio puro anteriore agli stessi intelligibili. Esso è il principio unificatore e generatore della stessa unità propria del regno intelligibile. Ne consegue che esso dice a maggior ragione primato, anteriorità e trascendenza nei confronti dell'essere il quale, in quanto principio di ogni esistenza corporea è, in quanto tale, subordinato sia al regno dell'intelligibile sia a quello dell'unità. Il princìpio plotiniano dell'unità trascendente viene ulteriormente sviluppato dalla scuola neoplatonica. In modo particolare fu Proclo che diede origine a una sintesi completa del problema dell'unità e dei molti nel suo Commentario al Parmenide platonico. In quest'opera Proclo ribadisce che l'unità assoluta è l'«Uno in sé» come essenza originaria che trascende l'unità logica, la causalità e il bene.
Lo spirito neoplatonico non manco di influenzare anche un certo numero di Padri della Chiesa e di autori medioevali tra i quali S. Agostino e lo Pseudo‑Dionigi. Ouest’ultimo afferma: «Nulla esiste che non partecipi all'Uno. Come ogni numero partecipa all'unità numerica e si ha una decade,una diade, un mezzo, un terzo, un decimo, così ogni essere e ogni porzione d'essere hanno parte all'Uno ed è necessario che ogni essere sia uno per esistere» (De div. nom. 13, 2).
L'unità
costituisce anche per S. Tommaso come già per Aristotele una delle proprietà
fondamentali dell'ente; per questo motivo egli la fa sempre figurare nei suoi
elenchi dei trascendentali (cfr.
De Ver., q.
Negli
enti il grado di unità varia secondo la molteplicità
degli elementi costitutivi: è maggiore dove gli elementi sono pochi, è minore
dove sono molti. Però tutti gli enti ne sono dotati. «Infatti ogni ente è o semplice o composto. Quello semplice
non è attualmente diviso e neppure divisibile. Quello
composto non esiste finché le sue parti sono divise,
ma solo dopo che l'hanno costituito e composto. Quindi
è manifesto che l'essere di qualsiasi cosa consiste nell'indivisione.
Di qui deriva che ogni cosa come conserva il proprio essere, così conserva la
propria unità (unumquodque sicut cuotodit suum esse, ita custodita sua unitatem)»
(I, q.
Si dà pertanto una gerarchia di gradi rispetto
all'unità come si dà una gerarchia in ordine all'essere: quanto più elevato è il grado di essere tanto più elevato è il grado di unità.
Infatti «ogni cosa si rapporta all'essere come si rapporta
all'indivisione, perché, come dice il Filosofo,
l'ente si dice uno in quanto indiviso. Di conseguenza quelle cose che sono indivise
in forza della loro stessa natura (per se), posseggono
l'unità più autenticamente (verius) delle cose
che sono indivise solo accidentalmente, come per es.,
il bianco e Socrate, i quali formano un’unità accidentale (unum per accidens). Ora, fra le cose che hanno unità in forza della loro stessa natura (quae sunt unum per se), quelle che sono indivise
assolutamente posseggono l'unità più autenticamente (verius) di quelle che sono indivise rispetto a
qualcosa o di generico o dì specifico o di analogico. E,
infatti, quelle cose che non sono indivise assolutamente neppure si dicono
unite assolutamente ma soltanto con riferimento o al genere o alla specie o
all'analogia (proportione). Invece
ciò che è assolutamente indiviso (simpliciter
indivisum) si dice uno assolutamente ed è uno
anche numericamente. Ma anche fra le cose dotate di unità
si dà gradazione (invenitur aliquis gradus). Ce ne sono infatti
alcune che sono indivise in atto ma divisibili in potenza, e ciò può avvenire
in tre modi: o mediante divisione quantitativa o mediante divisione
essenziale oppure mediante divisione sia quantitativa che essenziale. La prima
riguarda il continuo; la seconda le cose composte di materia e di forma,
oppure di essenza e essere (ex esse set quo est); la terza diguarda i corpi naturali. Se
alcune di queste cose non sono di fatto (in actu) divise,
ciò è dovuto a qualche cosa di estraneo alla natura della composizione e
divisione, come si riscontra nei corpi celesti e simili, i quali non essendo
di fatto divisi, sono tuttavia divisibili nella mente. Ci sono
però delle cose che non sono divisibili né in atto né in potenza (indivisibile
actu et potentia);
e anche di queste si danno varie categorie. Alcune includono
nella loro definizione qualcosa di estraneo all'idea di indivisibilità; per
es. il punto, all'indivisibilità include anche l'idea di posizione (situm). Invece altre cose
contengono soltanto l'idea di ìndivisiblità, per es, l'unità che è principio del numero (unitas
quae est pricipium numeri);
e tuttavia (per esistere) hanno bisogno di qualche cosa che non sia essa
stessa unità, ossia della sostanza. Dal che risulta
che ciò in cui non v'è nessuna composizione di parti, nessuna continuità di
dimensioni, nessuna molteplcìtà di accidenti, e non
abbisogna di nessun soggetto per poter esistere, è sommamente e veramente uno (summe
et vere unum est), come conclude Boezio. E quindi la
sua unità è principio dì ogni unità e misura d'ogni cosa» (I Sent., d. 24, q.
Nella
sua trattazione dell'unità trascendentale S. Tommaso si discosta da Aristotele
su un punto importante. Per lo Stagirita il
principio interiore su cui si fonda l'unità dell'ente
è l'atto, cioè la forma, perché per l'autore della Metafisica la forma
costituisce l'atto supremo. Anche per l'Aquìnate il princìpio interiore su cui si fonda l'unità dell'ente è l'atto, ma egli non identifica l'atto supremo con la
forma, bensì con l'essere, l' esse ipsum, actualitas omnium actuum. Per cui per l’Aquinate il principio
ultimo su cui poggia l'unità dell'ente non è la forma bensì l'esse ipsum. Questo sigla definitivamente l'unione
tra la sostanza e gli accidenti, tra la forma e la materia, tra la natura e le
potenze e impone il marchio dell'unità
sulle stesse sostanze separate e persino su quell'ente
che è essenzialmente l' esse ipsum. Riguardo all' esse ipsum come ragione
dell'unità di colui che è l'Essere sussistente stesso, cioè Dio, S. Tommaso
scrive quanto segue: «Siccome l'uno è l'ente indiviso (ens
indivisum), affinché una cosa sia massimamente
una, occorre che sia massimamente ente e massimamente
indivisa. Ora. l'una e l'altra condizione si
verificano in Dio. Egli è infatti massimamente ente,
perché non è ente grazie al possesso di un essere determinato da qualche
natura (esse determinatum per aliquam
naturam), alla
quale sia stato unito; ma perché è lo stesso essere sussistente illimitato in
tutti i sensi (ipsum esse subsistens
omnibus modis indeterminatum).
E: poi massimamente indiviso, in quanto non è divisibile
per nessun genere di divisione né in atto né in potenza. essendo semplice sotto tutti gli aspetti. E’ quindi evidente
che Dio è sommamente uno» (1, q.
Come tutti gli altri trascendentali anche l'unità ha valore analogico: appartiene primariamente e principalmente (per prius) a Dio e secondariamente (per posterius) alle creature.
(Vedi: TRASCENDENTALI, ANALOGIA)
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Battista Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.
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