Bibbia a fumetti - Castigat ridendo mores - da Astrologia a Vita Sociale il dizionario dei problemi dell'uomo moderno

 

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QUESTIONE 38

 

QUESTIONE 38

 

Rimedi della tristezza o dolore

.

Passiamo quindi a trattare dei rimedi del dolore, o tristezza.

Sull'argomento si pongono cinque quesiti:

 

1. Se il dolore, o tri­stezza, sia alleviato da qualsiasi piacere;

2. Se sia alleviato dal pianto;

3. Se sia alleviato dalla compassione degli amici;

4. Se lo sia dalla contemplazione della verità;

5. Se sia mitigato dal sonno e dal bagno.

 

 

ARTICOLO 1

 

Se il dolore, o tristezza, sia alleviato da qualsiasi piacere.

 

SEMBRA che non tutti i piaceri possano alleviare qualsiasi dolore, o tristezza.

 

Infatti:

 

1.      Il piacere non allevia il dolore, se non perché è ad esso contra­rio: infatti, come dice Aristotele, “i rimedi si ottengono dai con­trari”. Ora, non tutti i piaceri sono contrari a qualsiasi dolore, come sopra abbiamo visto. Dunque non può alleviare qualsiasi do­lore un piacere qualunque.

 

2.      Non può alleviare il dolore ciò che lo causa. Ora, certi piaceri causano il dolore: poiché. come scrive Aristotele, “chi ha fatto del male si rattrista per aver goduto”. Dunque non ogni piacere mi­tiga il dolore.

 

3.      S. Agostino racconta di aver abbandonato la patria, nella quale aveva a lungo vissuto con l'amico defunto: “perché i suoi occhi lo avrebbero cercato meno, là dove non erano soliti vederlo. Da questo fatto si desume che le cose, in cui gli amici morti o assenti hanno comunicato con noi, diventano per noi penose, quando sismo addolorati della loro morte o della loro assenza. Ma essi hanno avuto in comune con noi specialmente i godimenti. Perciò i godimenti stessi diventano penosi quando siamo addolorati. Dunque non tutti i godimenti possono alleviare qualsiasi tristezza.

 

IN CONTRARIO:

 

      Il Filosofo insegna, che “il piacere scaccia la tri­stezza e quella contraria, e qualsiasi altra,

      purché sia forte”.

 

RISPONDO:

 

      Come abbiamo già detto, il piacere è il quietarsi dell’appetito nel bene voluto, mentre il dolore nasce da ciò che con­traria l’appetito. Perciò tra i motivi dell'appetito il piacere sta alla tristezza, come nell'attività del corpo il riposo sta alla fatica, pro­dotta da qualche alterazione innaturale: del resto il dolore stesso implica un affaticamento o un’infermità della potenza appetitiva. Perciò come qualsiasi riposo del corpo è un rimedio contro qualsiasi fatica, proveniente da qualsiasi causa innaturale: così qualsiasi piacere porta un sollievo capace di mitigare qualsiasi tristezza, qualunque ne sia l'origine.

 

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA’:

 

1.      Sebbene non lutti i piaceri siano contrari specificamente a qualsiasi tristezza, sono pero contrari nel genere, come sopra abbiamo notato, Perciò, per il suo influsso sulle condizioni del soggetto, qualsiasi piacere può alleviare qualsiasi tristezza.

 

2.      I piaceri dei malvagi non producono tristezza nel presente, ma nel futuro: cioè quando i malvagi si pentono del male in cui pro­varono godimento. Anche a questa tristezza si rimedia con i piaceri contrari.

 

3.      Quando due cause spingono verso moti contrari, l'una ò di osta­colo all'altra: ma finisce col prevalere la più forte e la più tenace. Ora, in colui che è addolorato per il ricordo di quanto era solito godere con l'amico morto o assente, si trovano due cause dai moti contrari. Infatti il pensiero della morte, o dell'assenza dell'amico inclina al dolore: il bene presente, invece, inclina al godimento. Perciò l'uno disturba l'altro. Ma poiché muove più fortemente la percezione sensibile del presente che la memoria del passato, e l'amore verso se stessi è più tenace dell'amore verso gli altri, final­mente il piacere scaccia il dolore. Perciò S. Agostino aggiunge poca dopo, che “il suo dolore cedeva davanti ai medesimi piaceri dl una volta”.

 

 

ARTICOLO 2

 

Se il dolore, o tristezza, sia alleviato dal pianto.

 

SEMBRA che il pianto non passa alleviare la tristezza.

 

Infatti:

 

1.       Nessun effetto può sminuire la sua causa. Ora, il pianto, e i gemiti sono effetti del dolore. Dunque non diminuiscono il dolore.

 

2.   II pianto, o il gemito, è effetto della tristezza, come il riso è ef­fetto della gioia. Ma il riso non diminuisce la gioia. Dunque il pianto non allevia la tristezza.

 

3.       Nel pianto ci si presenta il male che addolora. Ma 1' immagine di ciò che addolora aumenta la tristezza; come l'immagine di ciò che piace aumenta la gioia. Dunque il pianto non allevia la tristezza.

 

IN CONTRARIO:

 

S. Agostino racconta, che quando era addolorato per la morte del suo amico, “trovava un po' di pace soltanto nei gemiti e nelle lacrime”.

 

RISPONDO:

 

Le lacrime e i gemiti per loro natura alleviano il dolore. E questo per due motivi. ‑ Primo, perché ogni elemento nocivo co­vato interiormente da maggiore afflizione, poiché si concentra di più su dl esso l'attenzione dell'anima; invece quando si espande all’esterno, l'attenzione dell'anima in qualche modo si disgrega, e così il dolore interno diminuisce. Per questo, quando gli uomini colpiti dal dolore manifestano esternamente la loro tristezza col pianto, con i gemiti, e persino con le parole, la loro tristezza viene mitigata. ‑ Secondo, perché l'operazione che conviene ad un uomo secondo la disposizione in cui si trova, è sempre piacevole per lui. Ora, pian­gere e gemere sono operazioni convenienti per chi è triste, o addo­lorato. E quindi sono piacevoli per lui. Perciò, siccome ogni piacere mitiga in qualche modo la tristezza, o dolore, secondo le spiegaz­ioni date, ne segue che il dolore viene alleviato dal pianto e dai gemiti.

 

SOLUZIONE DELLLE DIFFICOLTA’:

 

1.           II rapporto tra ciò che addolora e chi viene rattristato è contrario persino al rapporto esistente tra causa ed effetto: poiché ogni effetto è conveniente alla propria causa, e quindi è piacevole per essa: invece ciò che addolora è contrario a chi viene rattristalo. Perciò l'effetto del dolore deve avere con colui che è addolorato un rapporto contrario a quello che ha verso di lui la causa del dolore. E quindi il dolore viene allevialo dagli effetti del dolore in forza alla suddetta contrarietà.

 

2.           Il rapporto tra causa ed effetto è simile al rapporto tra ciò che fa godere e chi ne gode: poiché in entrambi i casi si trova una convenienza. Ora, cose che si somigliano, si potenziano a vicenda. Ecco perché la gioia viene accresciuta dal riso e dagli altri effetti dl essa: a meno che non si ecceda.

 

3.           Il pensiero di una cosa che addolora, di per sé è fatto per ac­crescere il dolore: ma dal momento che uno pensa di fare quello che a lui si addice in quel suo stato, nasce un certo godimento. Per lo stesso motivo, fa osservare Cicerone, se a uno scappa da ridere in una circostanza in cui gli sembra di dover piangere, di questo si addolora, come se avesse fatto una cosa sconveniente.

 

 

ARTICOLO 3

 

      Se il dolore e la tristezza siano alleviati

dalla compassione degli amici.

 

SEMBRA che il dolore compassionevole di un amico non passa alle­viare la tristezza.

 

Infatti:

 

1.      Cause contrarie hanno effetti contrari. Ora, come osserva S. Ago­stano: “Quando si è molti a godere, anche nei singoli la gioia è maggiore, poiché ci si scalda e ci s'infiamma reciprocamente. Dunque, per lo stesso motivo, quando molti insieme si rattristano, il dolore è più grande.

 

2.      L'amicizia esige, come dice S. Agostino, che si renda amore por amore. Ora, 1'amico che compiange si rattrista per il dolore dell’amico addolorato. Perciò il dolore stesso dell'amico che compiange, provoca un altro dolore nell'umico già addolorato del proprio ma­lanno. Raddoppiandosi quindi il dolore, dovrà alimentare le tri­stezza

 

3.      Ogni male dell'amico rattrista come male proprio: infatti l'amico è un alter ego. Ma il dolore è un male. Dunque il dolore dell'amico che compiange, aumenta la tristezze dall'amico com­pianto.

 

 

IN CONTRARIO:

 

Il Filosofo insegna, che l'amico, il quale compiange nella tristezza, consola.

 

RISPONDO:

 

L'amico che compiange nella tristezza, di suo consola.

 

Il Filosofo lo prova con due ragioni.

 

La prima accenna al fatta che la tristezza si presenta come un peso, dal quale uno cerca di essere alleggerito, essendo effetto proprio della tristezza deprimere. Perciò quando uno vede altri rattristati dal proprio dolore, ha l'Idea che gli altri portino il suo peso con lui, nel tentativo di alleggerirlo; e quindi sente più leggero il peso della tristezza: presso a poco come avviene nel portare dei pesi materiali.

 

La seconda ragione, che è anche la migliore, accenna al fatto che dalle condoglianze dell’amico uno si accorge di essere amato; e questo è piacevole, come sopra abbiamo detto. Perciò, siccome ogni piacere allevia il dolore, secondo le considerazioni precedenti, ne segue che il compianto de­gli amici viene a mitigare la tristezza.

 

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA’:

 

1.      In tutti e due i casi si ha la ma­nifestazione dell'amicizia, cioè nel godere con chi gode, e nel pian­gere con chi è addolorato. Perciò l'uno e l'altro fatto, a motivo della causa indicata, diventa piacevole.

 

2.      Il dolore dell'amico di suo potrebbe rattristare. Ma il pensiero di ciò che lo causa, cioè dell'amore, ne fa prevalere l'aspetto pia­cevole.

 

3.  In tal modo è risolta anche la terza difficoltà.

 

 

ARTICOLO 4

 

Se il dolore e la tristezza siano alleviati

dalla contemplazione della verità.

 

SEMBRA che la contemplazione della verità non mitighi il dolore.

 

Infatti:

 

1.      Sta scritto: “Chi aumenta la scienza aumenta il travaglio”. Ora, la scienza appartiene alla contemplazione della verità. Dunque la contemplazione della verità non allevia il dolore.

 

2.      La contemplazione della verità appartiene all'intelletto spe­culativo. Ora, carne dice Aristotele, “l'intelletto speculativo non muove”. D'altra parte, essendo la gioia e il dolore moti dell'animo, sembra che la contemplazione della verità non contribuisca affatto a mitigare il dolore.

 

 

3.      II rimedio va applicato dove si trova il malanno. Ora, la con­templazione della verità è nell'intelletto. Dunque non può alleviare il dolore fisico, che risiede nel senso.

 

IN CONTRARIO:

 

S. Agostino racconta: “Mi sembrava che se alle nostre menti si fosse mostrato quello splendore della verità, o non avrei sentito quel dolore, o l'avrei sopportato come un'inezia”.

 

RISPONDO:

 

Come abbiamo detto sopra, nella contemplazione della verità abbiamo il massimo godimento. Ora, ogni godimento allevia il dolore secondo le dimostrazioni date. Dunque la contemplazione della verità allevia la tristezza, o dolore, nella misura in cui uno ama la sapienza. Perciò per la contemplazione di Dio e della futura beatitudine, gli uomini godono nelle tribolazioni, secondo l'esorta­zione di S. Giacomo: “Voi, fratelli miei, dovete stimare vero gaudio le diverse prove alle quali vi troverete esposti”. Anzi codesto gaudio si trova persino, ed è cosa assai più grande, tra i tormenti del corpo: come fu per il martire S. Tiburzio, il quale nel camminare a piedi nudi sui carboni ardenti diceva: Mi sembra di passeggiare sulle rose, nel nome di Gesù Cristo”.

 

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA’:

 

1.      Si dice che “chi aumenta la scienza aumenta il travaglio”, o per la difficoltà e le deficienze nello sco­prire la verità; oppure perché mediante la scienza uno viene a co­noscere molte cose contrarie al suo volere. Quindi la scienza può causare dolore a motivo delle cose conosciute; ma causa il godi­mento per la contemplazione della verità.

 

2.      L'intelletto speculativo non muove l'animo in forza del soggetto contemplato [che è astratto]; lo muove però in forza della contem­plazione stessa, che è un bene dell'uomo, a per natura piacevole.

 

 

3.      Tra le facoltà dell'anima c'e una ridondanza di quelle supe­riori nelle inferiori. E in questo modo il godimento della contempla­zione, che risiede nella parte superiore, ridonda a sollievo del dolore che risiede nel senso.

 

 

        ARTICOLO 5

 

Se il dolore, o tristezza, sia alleviato dal sonno o dal bagno.

 

SEMBRA che il sonno e il bagno non mitighino la tristezza.

 

Infatti:

 

1.      La tristezza risiede nell'anima. Ora, il sonno e il bagno riguar­dano il corpo. Dunque non possono far niente per mitigare la tri­stezza.

 

2.   II medesima effetto non può essere prodotto da cause contrarie. Ma i rimedi suddetti, essendo corporali,      sono      contrari alla contem­plazione della virtù, la quale, come si è visto, è un rimedio alla tristezza. Quindi i rimedi indicati non possono mitigare la tristezza.

 

3.      La tristezza e il dolore coesistono, nella loro parte materiale, in un'alterazione del male. Ma i rimedi indicati sembrano appar­tenere più ai sensi esterni e alle membra del corpo, che all’interna disposizione del cuore. Dunque la tristezza non viene alleviata da essi.

 

IN CONTRARIO:

 

       Racconta S. Agostino: “Avevo sentito dire che il termine bagno sarebbe derivato dal fatto, che libera lo spirito dalle inquietudini”. E aggiunge poco dopo: “Poi dormii, e quando mi svegliai mi trovai un poco sollevato dal mio dolore, E finalmente, citando le parole di un inno di S. Ambrogio, afferma, che “ le mem­bra disciolte il sonno, restituisce al travaglio usato, e l'anime stanche solleva, e l'ansia tristezza dissolve”.

 

RISPONDO:

 

      Come sopra abbiamo visto, la tristezza si contrappone specificamente al moto vitale del corpo. Perciò tutto ciò che riporta la natura corporea allo stato normale la mozione vitale [del cuore], è contrario alla tristezza, e ne è un rimedio. Dal fatto, anzi, che con codesti rimedi la natura viene ricondotta al suo stata normale, nasce da essi un piacere: del resto è questa la funzione stessa del piacere, come abbiamo già detto. Perché, siccome ogni piacere allevia la tristezza, anche i rimedi suddetti producano codesto effetto.

 

S0LUZIONE DELLE DIFFICOLTA’:

 

  1. La stessa, buona disposizione del corpo, in quanto percepita, causa piacere; e quindi allevia la tri­stezza.

 

  1. Come abbiamo già detto, un godimento è di ostacolo all'altro: e tuttavia ogni godimento allevia la tristezza. Perciò niente impe­disce che la tristezza sia mitigata da cause contrastanti tra loro.

 

3. Ogni buona disposizione del corpo si ripercuote in qualche modo sul cuore, essendo esso principio e fine di       tutti i moti del corpo come insegna Aristotele.

 

 

 

 

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