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Istruzione pastorale dei vescovi spagnoli

 

 

 

Teologia e secolarizzazione in Spagna.

 

Istruzione pastorale dei vescovi spagnoli

 

Una parte della riflessione dei teologi spagnoli negli ultimi decenni non solo è all'origine del turbamento ecclesiale ma è diventata una delle cause della secolarizzazione interna alla Chiesa. E’ questo il severo giudizio contenuto nell'istruzione pastorale Teologia e secolarizzazione in Spagna.

A quarant'anni dalla chiusura del concilio Vaticano II approvata dalla Conferenza episcopale spagnola in occasione dell'assemblea svoltasi a Madrid il 27-31 marzo 2006.

Quattro i capitoli in cui il testo si sviluppa:

«Gesù Cristo, pienezza della rivelazione»;

«Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente»;

«La Chiesa, sacramento di Cristo»;

«La vita in Cristo».

La ferma e organica denuncia dei vescovi non ha trovato molti consensi nell'ambito delle scuole e delle facoltà teologiche, ma non preclude un confronto (cf. Regno-att. 8,2006,228 e sul prossimo n. 14). In particolare sulle ricadute che la teologia può avere nell'ambito della catechesi, nell'insegnamento della religione nelle scuole e nel dibattito sui media.

Sia come contenuti sia come modalità il testo si propone come modello d'intervento per altri episcopati.

 

INTRODUZIONE

 

    1. «Voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15). La domanda di Gesù Cristo ai suoi discepoli si estende nel corso della storia ai cristiani di tutti i tempi. La risposta che diamo determinerà il nostro modo di avvicinarci alla persona di Cristo e il nostro modo di concepire l'esistenza cristiana. La risposta insufficiente che nasce dalle possibili opinioni umane - «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?» (Mt 16,13) - viene superata a partire dall'incontro personale con il Salvatore nella Chiesa nascente. Gesù si rivolge alla comunità dei suoi discepoli e, in mezzo a loro, ascolta le parole di Simon Pietro, la cui verità si fonda sulla rivelazione del Padre e non sull'opinione della gente: 1 «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). L'affermazione dell'apostolo non ha origine né dalla carne né dal sangue, così come la sua solidità di «pietra», che Pietro riceve direttamente da Cristo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18).

 

    2. In occasione del quarantesimo anniversario dalla chiusura del concilio Vaticano II vogliamo ritornare nella regione di Cesarea di Filippo per ascoltare la domanda di Gesù Cristo e fare nostra la risposta di Pietro.2 Il compito della recezione dell'insegnamento conciliare non è ancora terminato. Passati quarant'anni siamo te-stimoni dei frutti preziosi che ha prodotto la buonaa semente. Nel contempo, non sono pochi coloro che in questo arco temporale, all'ombra di un concilio inesistente, tanto nella lettera quanto nello spirito, hanno se-minato agitazione e inquietudine nel cuore di molti fedeli. In un ambiente culturale in cui si riflettono le opinioni più diverse su Gesù, occorre invece accogliere docilmente la rivelazione del Padre, quanto cioé lo Spirito ci dice nel concilio Vaticano II, lasciarci colmare dalla gioia che viene dall'Alto, riposare serenamente sulla roccia che è la Chiesa e rinnovare ogni giorno la nostra confessione di  fede.

 

    3. Consapevoli di aver ricevuto mediante l'imposizione delle mani la missione di conservare integro il deposito della fede (cf. 1Tm 6,20) e attenti alla voce di tanti fedeli che si sentono «portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14), parlando con una sola voce in comunione con il successore di Pietro, come testimoni della verità divina e cattolica, 4 desideriamo offrire una parola di orientamento e discernimento di fronte a deter-minate teorie dottrinali, che hanno preso piede all'interno della Chiesa e che hanno trovato una diffusa accoglienza anche in Spagna, turbando la vita ecclesiale e la fede delle persone semplici. Siamo motivati unicamente dalla sollecitudine pastorale. Siamo convinti che la nuova evangelizzazione non potra compiersi senza l'aiuto di una sana e profonda teologia, in cui risplendano lo spirito di fede e l'appartenenza ecclesiale. Al fine di vigilare mediante la comunione reale nella fede e nella carità, la nostra missione magisteriale, senza limitare la legittima autonomia della riflessione teologica, deve custodire la sua fedeltà alla parola di Dio scritta e trasmessa.5 L'annuncio del Vangelo sara mediocre, se persistono e si propagano insegnamenti che minacciano l'unità e l'integrità della fede, la comunione della Chiesa e insinuano dubbi e ambiguità rispetto alla vita cristiana.

 

    4. Con la presente istruzione pastorale intendiamo rivolgere il nostro sguardo su alcuni aspetti del lavoro teologico realizzato in Spagna negli ultimi decenni, con il desiderio di promuovere l'annunciò integro del Vangelo, in mezzo a una società che si sente tentata da un'apostasia silenziosa da Dio. 6 Vorremmo, anzitutto, e una volta ancora, riaffermare il nostro più profondo riconoscimento e ringraziamento a tante persone che svolgono, con impegno esemplare, la loro missione ecclesiale nell'ambito della teologia. Constatiamo con gioia come la maggior parte di loro «si pongano nel loro ruolo di teologi cattolici, sia in merito alla dottrina sia per il loro atteggiamento ecclesiale, in sintonia con il magistero e al servizio del popolo di Dio», 7 sforzandosi di mantenere un dialogo aperto di fronte alle sfide e sollecitazioni di un mondo secolarizzato poiché, nonostante tutte le contraddizioni della nostra società, il cuore dell'uomo non smette di cercare e sperare. Nella teologia spagnola attuale ci sono segni di speranza: cresce lo spirito di collaborazione nell'ambito della ricerca e dell'insegnamento; la teologia si apre sempre più diffusamente a tutto il popolo di Dio; possiamo contare su maggiori strumenti di studio; si percepisce con maggiore chiarezza il vincolo

inscindibile tra la teologia e la vita cristiana; il dialogo tra vescovi e teologi è più fluido nella maggior parte delle diocesi; e si sono consolidate le associazioni teologiche specializzate, fedeli alla dottrina della Chiesa.

 

    5. Insieme a questi luminosi segni di speranza, osserviamo con viva preoccupazione ombre che oscurano la verità. Noi vescovi abbiamo ricordato in varie occasioni che la questione principale con cui deve confrontarsi la Chiesa in Spagna è la sua secolarizzazione interna.8 All'origine della secolarizzazione vi è la perdita dellaa fede e dell'intelligenza della fede. In questo giocano, senza dubbio, un ruolo importante alcune proposte teologiche non sufficientemente fondate relative alla confessione di fede cristologica. Si tratta di interpretazioni riduttive che non accolgono il mistero rivelato nella sua integrità, Gli aspetti della crisi possono riassumersi in quattro punti: concezione razionalista della fede e della rivelazione; 9 umanesimo immanentista applicato a Gesù Cristo; interpretazione meramente sociòlogica della Chiesa e soggettivismo-relativismo secolarizzato nella morale cattolica. Ciò che unisce tutte queste argomentazioni non sufficientemente fondate è l'abbandono e il non riconoscimento dell'essenza specificamente cristiana, in special modo del valore definitivo e universale di Cristo nella sua rivelazione, nella sua condizione di Figlio del Dio vivente, nella sua presenza reale nella Chiesa e nella sua vita offerta e promessa come paradigma della condotta morale. 10 La presente istruzione pastorale si articola intorno a questi quattro punti, segnalando, a partire dalla confessione di fede di Pietro, alcuni insegnamenti che mettono in pericolo la professione di fede e la comunione ecclesiale, che causano confusione tra i fedeli e sono d'ostacolo allo sviluppo dell'evangelizzazione.

 

l. GESÙ CRISTO , PIENEZZA DELLA  RIVELAZIONE

 

       6. «Perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17). Quando l'apostolo san Pietro confessa Gesù come Figlio di Dio, lo stesso Signore Gesù dichiara che questa verità non è stata indotta da una realtà umana, bensì rivelata dal Padre che sta nei cieli. Nelle sue parole si trova formulato il carattere specifico e assoluto della rivelazione cristiana, dono gratuito che non si riduce alla sapienza di questo mondo («la carne e il sangue»),

 

a) Concezione cattolica della rivelazione  

 

    7. Il concilio Vaticano Il ha descritto la rivelazione di Dio in termini di dialogo di amicizia: «Con questa ri-velazione infatti Dio invisibile per la ricchezza del suo amore parla agli uomini come amici e si intrattiene con loro, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé». 11 Avendo deciso di rivelarsi, Dio ha parlato agli uomini e ha adottato il linguaggio umano dell'amicizia con una finalità ben precisa: portare l'uomo alla comunione di vita con Lui mediante la partecipazione alla sua natura divina.12 «Dio che "abita una luce inaccessibile" (1Tm 6,16), vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farne figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da sé stessi». 13

 

    8. L'insegnamento conciliare ha posto in evidenza gli elementi specifici del compimento della rivelazione, intesa come manifestazione che Dio fa di se stesso all'uomo. È il risultato della libera e assoluta iniziativa di Dio. Il suo oggetto è Dio stesso e i propositi della sua volontà, vale a dire che Dio non ci fa semplicemente conoscere         qualcosa, bensì se stesso, come Dio vivente in Gesù Cristo, suo Figlio. 14 La sua finalità è la comunione e la parcipazione di vita con il Padre, resa possibile mediante Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo. La pienezza della rivelazione avviene in Gesù Cristo, di modo che conoscere Cristo significa conoscere Dio: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9).15 Di conseguenza, la concezione cattolica della rivelazione sottolinea tanto il suo carattere gratuito e radicalmente nuovo, quanto il suo carattere completo e definitivo (cf. Eb 1, l -2). Dalla comprensione corretta della rivelazione del Figlio dipende tutto l'edificiò della fede, ciò che viviamo e che pro-fessiamo.

 

    9. Risulta incompatibile con la fede della Chiesa considerare la rivelazione, secondo quanto sostengono alcuni autori, come una mera percezione soggettiva per la quale «ci si rende conto» del Dio che ci abita e che tenta di manifestarsi a noi. Anche quando usano un linlaggio che apparentemente si avvicina a quello ecclesiale, si allontanano tuttavia dal sentire della Chiesa.16 E necessario riaffermare che la rivelazione presume una novità, 17 perché fa parte del disegno di Dio che «guarda con benevolenza i [suoi] figli di adozione».18 Per questo è sbagliato intendere la rivelazione come lo sviluppo immanente della religiosità dei popoli e considerare che tutte le religioni sono «rivelate», in conformità al grado di progresso raggiunto nella loro storia e, in questo senso vere e salvifiche. La Chiesa riconosce, per disposizione di Dio, quanto vi è di vero e di santo nelle religioni non cristiane.19 Riconosce inoltre che «quando lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica», 20 poiché la sua fonte ultima è Dio. Ne consegue che si possa legittimamente sostenere che, mediante gli elementi di verità e santità contenuti nelle altre religioni, lo Spirito Santo operi la salvezza nei non cristiani; questo non significa, tuttavia, che le altre religioni possano essere considerate, «come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che riguardano le verità fondamentali su Dio, l'uomo e il mondo».21

 

    10. La dottrina cattolica sostiene che la rivelazione non può essere equiparata a quelle che alcuni chiamano le «rivelazioni» di altre religioni. Tale equiparazione non tiene conto del fatto che «la profonda verità, sia su Dio sia sulla salvezza dell'uomo, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale nello stesso tempo è il mediatore e la pienezza dell'intera rivelazione».22 Gesù Cristo, il Figlio eterno del Padre fatto uomo nel seno purissimo della vergine Maria per opera e grazia dello Spirito Santo, è la parola definitiva di Dio all'umanità. In Cristo «si dà la piena e completa rivelazione del mistero salvifico di Dio». 23 Pretendere che le «rivelazioni» di altre religioni siano equivalenti o complementari alla rivelazione di Gesù Cristo significa negare la verità stessa dell'incarnazione e della redenzione, poiché egli è «colui che mediante il suo amore smisurato si fece quello che siamo noi per renderci perfetti con la sua perfezione». 24

 

b) Risposta alla rivelazione divina

 

    11. La fede è la risposta adeguata alla rivelazione di Dio. Quando Dio si rivela gli dobbiamo l'obbedienza del-la fede, «che è affidarsi pienamente a Dio e accogliere la sua verità, in quanto garantita da lui, che è la verità stessa». 25 La fede è un dono di Dio. L'uomo, per credere, ha bisogno della grazia di Dio e dell'ausilio interiore dello Spirito Santo, «il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia "a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità". Affinché l'intelli-genza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo per mezzo dei suoi doni perfeziona continuamente la fede». 26

 

    12. Tre aspetti dell'insegnamento conciliare meritano di essere sottolineati. 27

 

Primo, la fede va intesa come la dedizione di tutta la persona a Dio che si rivela e comunica. È ascolto e obbedienza nella sua accezione originale e, per questo, sequela. Tramite l'obbedienza della fede, l'essere umano si abbandona, interamente e liberamente a Dio prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà, e assentendo volontàriamente alla rivelazione data da lui. 28 L'essere umano accoglie come verità ciò che Dio ha detto di sé, precisamente perché Dio lo ha testimoniato, non perché lo rivela la ragione. 29 L'aspetto dottrinale della fede - l'insieme delle verità rivelate che raccolgono la testimonianza di Dio - deve essere compreso personalmente: la libera dedizione di tutta la persona a Dio che si rivela permette di accogliere la testimonianza divina. Se si dimentica questo secondo aspetto, non si comprendono le ripercussioni morali dell'atto di fede. 30

 

Secondo, l'adesione a Dio, che è la fede, ha la sua origine, il suo mezzo e il suo fine in Dio.31 La sua origine in Dio, perché Dio prende l'iniziativa. Molte volte e in diversi modi aveva parlato nei tempi antichi (cf. Eb 1,1), ma in Gesù Cristo, suo Figlio incarnato, abbiamo la sua parola definitiva (cf Gv 1,14-16). Il suo mezzo, perché la grazia divina mette in esercizio la libertà umana e illumina la ragione affinché possa riconoscere la presenza del Signore, rendendo possibile, inoltre, il primo gesto di apertura e accoglienza proprio della semplicità di cuore (cf. Mt 11,25). Il suo fine, perché il movimento della fede tende a Dio.

 

Terzo, la comprensione della rivelazione è un dono dello Spirito Santo che, con i suoi doni, va continuamente perfezionando la fede. Senza la vita dello Spirito, la fede non si perfeziona e la rivelazione finisce col non essere compresa.

 

    13. Vivere secondo la fede significa necessariamente professare in modo completo e integrale il messaggio di Gesù Cristo, poiché una «selezione» dei diversi aspetti del suo insegnamento, vale a dire accettarne alcuni e rifiutarne altri, 32 non risponderebbe alla rivelazione del Padre, bensì «alla carne e al sangue» (cf. Mt 16,17), «perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). È di vitale importanza mantenere integro il deposito della fede, così come Cristo lo ha affidato alla Chiesa perché lo custodisse. Così fu affermato fin dai primordi della Chiesa. 33 Dalla negazione di un aspetto della professione di fede si passa alla perdita totale della fede stessa, in quanto selezionando alcuni aspetti e rifiutandone altri non si rispetta la testimonianza di Dio ma le ragioni umane. 34 Quando si altera la professione di fede tutta la vita del cristiano ne risulta compromessa. 35

 

 c) L'intelligenza e il linguaggio della fede

 

    14. La rivelazione di Dio al popolo eletto, con il quale ha stabilito l'alleanza, non è riducibile all'esperienza religiosa soggettiva; in ugual modo, la rivelazione definitiva in Cristo si è realizzata «con eventi e parole tra loro intimamente connessi». 36 Conseguentemente, non si può affermare che il linguaggio relativo a Dio sia pura-mente «simbolico, strutturalmente poetico, immaginativo e figurativo, che esprimerebbe e produrrebbe una determinata esperienza di Dio», 37 senza tuttavia comunicarci chi è Dio. Occorre invece sostenere che la fede si esprime mediante affermazioni che usano un linguaggio vero, non semplicemente approssimativo, benché analogico.38   

     Nella storia non sono mancati coloro che hanno seminato dubbi in relazione alla rivelazione e all'intelligenza della fede. Alcuni riconoscono certamente che Dio si è rivelato all'uomo, ma a questi si nega la capacità concreta di accogliere la rivelazione. Altri invocano la sproporzione esistente tra Dio che si rivela e l'uomo destinatario della rivelazione. Altri ancora affermano che, dato il carattere contingente, finito e limitato dell'essere umano, si può accogliere la parola di Dio solo in modo frammentario, parziale e riduttivo. Una rivelazione divina considerata definitiva e piena entrerebbe così in conflitto con la stessaa condizione storica dell'essere umano. 39 E quand'anche la rivelazione potesse essere accolta, si dice, non potrà tuttavia, essere espressa in enunciati concreti, che debbano essere considerati delle verità. Se questo fosse vero, la rivelazione cristiana dovrebbe stare alla pari delle «rivelazioni» presenti in altre religioni o anche nell'ordine stesso della creazione. Il linguaggio umano è certamente limitato e parziale, 40 però non si deve dimenticare che le parole e le opere di Gesù, seppure circoscritte in quanto realtà umane, hanno come fonte la persona divina del Verbo incarnato, vero Dio e però uomo, e per questo presentano un carattere definivo e pieno. «La verità su Dio non viene abolita o ridotta

perché è detta in linguaggio umano. Essa, invece, resta unica, piena e completa perché chi parla e agisce e il Figlio di Dio incarnato». 41

 

    15. La conoscenza della fede ha il suo punto di partenza nella testimonianza personale di Dio che si rivela. La fede ci giunge attraverso l'udito, mediante l'ascolto della parola di Dio (cf. Rm 14-17). Ora, la stessa fede che accoglie la verità rivelata (auditus fidei) suscita il desiderio di progredire nella sua intelligenza (intellectus fidei). La fede, in effetti, cerca l'intelligenza. 42 La verità rivelata, pur trascendendo la ragione umana, e in armonia con essa. La ragione, essendo orientata alla verità, son la luce della fede è in grado di penetrare il significato della rivelazione. Contro l'opinione di alcune correnti filosofiche molto diffuse tra di noi, dobbiamo riconoscere la capacità che possiede la ragione umana di raggiungere la verità, come pure la sua capacità metafisica di conoscere Dio a partire dal creato. 43 In un mondo che spesso ha perso la speranza di poter cercare e trovare la verità, il messaggio di Cristo ricorda le possibilità a disposizione della ragione umana. In tempi di grave crisi per la ragione, la fede viene in suo aiuto e si fa suo avvocato. 44

 

    16. La mediazione attraverso una riflessione genuinamente filosofica aiuta la teologia nel dialogo autentico con la cultura di ogni tempo. 45 È necessario tener conto «della filosofia e della sapienza dei popoli» 46 ma lo scambio fecondo tra le culture non deve portare al relativismo né alla negazione del «valore universale del pa-trimonio filosofico assunto dalla Chiesa». 47 La filosofia consente di discernere tra le semplici opinioni e la verità obiettiva. La cultura non può mai essere un criterio assoluto di giudizio in relazione alla rivelazione divina. È piuttosto la fede che giudica la cultura ed è il Vangelo che conduce le culture alla piena verità. 48 Analogamente, non tutta la riflessione filosofica è compatibile con la rivelazione, 49 tanto meno è valido assumere acriticamente i principi della cultura imperante per attualizzare il sempre nuovo messaggio evangelico. 50

  

    17. Il magistero della Chiesa ci dà la garanzia di spiegare correttamente la rivelazione di Dio. Dal momento che l'alleanza instaurata da Dio in Cristo ha un carattere definitivo, occorre che sia salvaguardata da deviazioni e falli che possono corromperla. Per assicurare il suo permanere nella verità, Cristo ha dotato la Chiesa, e specialmente i pastori, del carisma dell'infallibilita, 51 che si esercita in diversi modi 52 Suscitare dubbi e diffidenze nei confronti del magistero della Chiesa, anteporre l'au torità di determinati autori a quella del magistero o considerare le indicazioni e i documenti magisteriali sempli-cemente come un «limite» che ostacola il progresso della teologia e che si deve «rispettare» per motivi esterni alla teologia stessa, è all'opposto della dinamica della fede cristiana. 53

 

 d) Rivelazione ed esegesi biblica

 

    18. Una concezione erronea della rivelazione è necessariamente esposta a un'interpretazione ugualmente errata della sacra Scrittura. La costituzione conciliare Dei verbum insegna che la Scrittura è parola di Dio e che, nella composizione dei libri sacri, lo Spirito Santo ha ispirato gli autori umani a scrivere la verità che lo Spirito voleva insegnarci in ordine alla nostra salvezza. 54 Conseguentemente occorre studiare il modo di composizione dei libri, l'intenzione degli autori e molti altri elementi letterari e storico-critici. I contributi dell'esegesi, a questo proposito, sono stati di grande arricchimento ma, al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che, in quanto Parola ispirata, la sacra Scrittura deve «essere letta e interpretata con lo stesso Spirito con il quale fu scritta, per scoprire con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenendo debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'a-nalogia della fede». 55

 

   19. In alcune occasioni i testi biblici si studiano e si interpretano come se si trattasse di semplici testi dell'antichità. Si applicano, inoltre, metodi che escludono sistematicamente la possibilità della rivelazione, del miracolo e dell'intervento di Dio. Invece di integrare i contributi della storia, della filologia e di altri strumenti scientifici con la fede e la tradizione della Chiesa, frequentemente si presenta come problematica proprio l'interpretazione ecclesiale e la si considera estranea, quando non opposta, all'«esegesi scientifica». 56 La tendenza a prescindere dall'ispirazione e dal canone della sacra Scrittura, come se si trattasse di principi irrilevanti per l'autentica comprensione del testo sacro, continua a costituire una grave preoccupazione. 57 La questione non si radica tan-to nell'utilizzo delle risorse della filologia o di tutti i dati che la ricerca ci offre, quanto in quei presupposti filoso-fici e ideologici dei metodi 58 che risultano incompatibili con la confessione di Cristo, centro delle Scritture. 59 Tali metodi sono molto utili e necessari nel loro ambito di applicazione, ma non possono avere, per la loro stessa natura, l'ultima parola nella comprensione di un testo biblico il cui elemento determinante è 1'ispirazione. 60 Sarebbe pressappoco come cercare di comprendere la persona e l'identità di Cristo prescindendo dalla sua natura divina, 61 e per di più, presentare tale comprensione come una conclusione «scientifica». 62 La conseguenza di un'esegesi erronea è che la Scrittura non è più «l'anima della teologia 63 e non può rappresentare il fondamento né per la catechesi, né per la liturgia, né per la predicazione, né per la vita morale cristiana, né per la devozione dei fedeli. 64

 

 e) Rivelazione e preghiera cristiana

 

 20. Lo stesso Gesù Cristo che ci rivela il volto del Padre (cf. Gv 14,9) è colui che ci insegna a rivolgerci a lui con la preghiera del Padre nostro. Noi, incorporati a Cristo mediante il battesimo, abbiamo ricevuto il suo stesso Spirito che ci fa gridare Abbà, Padre! (cf. Rm 8,15). L'aspirazione del cuore umano che cerca Dio, pur senza saperlo, è stata realizzata da colui che si è fatto nostro compagno di strada (cf. Lc 24,15), trasmettendoci la sua stessa vita divina. «La preghiera cristiana è relazione personale e viva dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo che abita nel loro cuore». 65 L'accettazione mediante la fede del mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, rappresenta per il cristiano una forma di preghiera che non ha pari nelle altre religioni. Infatti la prima esperienza dello Spirito Santo avviene proprio nell'atto di fede (cf. 1Cor 12,3) ed è lo stesso Spirito che sollecita la preghiera al Padre, che la sostiene compensando la nostra debolezza (cf. Rm 8,26) e che ci guida verso un comportamento cristiano (cf. Gal 5,18.22-25).

 

    2l. Il cristiano sa che Dio «chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera». 66 Se Dio vivo e vero può essere conosciuto soltanto quando egli stesso prende l'iniziativa di rivelarsi, la preghiera risulta assolutamente necessaria, perché mette l'uomo nello stato d'animo di ricevere il dono della rivelazione. Quando quest'ultima viene svuotata del suo contenuto trinitario ed è equiparata alle «rivelazioni» di altre religioni, la preghiera si priva di Cristo e, di conseguenza, non è più una preghiera cristiana. Constatiamo con preoc-cupazione come la tanta confusione rispetto al mistero di Cristo e alla concezione cattolica della rivelazione abbia indotto alcuni cristiani a sminuire il valore della preghiera di domanda o a ricorrere a «forme sostitutive» di preghiera, in cui i «metodi» si confondono con i contenuti, a prendere distanza dalla preghiera pubblica della Chiesa e a mettere in discussione il rapporto tra ciò che si crede (lex credendi) e ciò che si prega (lex oranda). 67 Le comunità cristiane sono chiamate a essere scuole di preghiera, in cui la fame di spiritualità trovi un orientamento adeguato. 68

 

2. GESÙ CRISTO, Il FIGLIO DEL DIO VIVENTE

 

    22. «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Dalla professione di fede nella persona di Gesù Cristo deriva la verità sull'uomo, sulla storia e sul mondo. 69 La vita cristiana, l'incorporazione alla Chiesa, l'impegno per la trasformazione del mondo mediante la promozione della giustizia e della solidarietà, la speranza futura... sono inseparabili dal modo in cui si intende e si vive Gesù Cristo. «È necessario che il mistero del Figlio di Dio fatto uomo e il mistero dellaa santissima Trinità, che fanno parte delle verità principali della rivela zione, illuminino con la purezza della loro verità la vita dei cristiani». 70 La Chiesa è consapevole del fatto che il primo servizio che può e deve prestare a ciascuna persona, e a tutta l'umanità, consiste nell'annunciare Gesù Cristo, rendere possibile l'incontro con lui e, a partire da lui, illuminare la vita degli uomini. 71 Per questo, il modo in cui la persona e il mistero di Cristo sono compresi, vissuti e presentati e tutt'altro che indifferente.72 

 

a) Cristologia e soteriologia

 

    23. «Nel tempo stabilito da Dio, il Figlio unigenito del Padre (...) si è incarnato: senza perdere la natura di-vina, ha assunto la natura umana», 73 di modo che «la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l'uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale».74 «L'incarnazione è quindi il mistero dell'ammirabile unione della natura divina e della natura umana nell'unica persona del Verbo». 75 Gesù Cristo, persona divina, essendo vero Dio e vero uomo, è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini. 76 Proclamare al mondo che Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente, è morto ed è risuscitato, «per noi uomini e per la nostra salvezza», 77 costituisce la buona novella che la Chiesa, fin dalle sue origini, ha voluto ardentemente annunciare.78 La predicazione apostolica ha sempre mantenuto unita la verità sulla persona di Cristo - oggetto della «cristologia» - alla verità sull'azione redentrice - oggetto della «soteriologia».

 

    24. La riflessione teologica su Gesù Cristo, seguendo gli orientamenti del concilio Vaticano II, 79 si è vista arricchita dagli studi biblici, patristici e storici che hanno contribuito ad approfondire, sempre più, il deposito ricevuto dagli apostoli e custodito dal magistero autentico della Chiesa. Nulla ha determinato tanto la trasmissione della fede negli ultimi decenni quanto il modo in cui sono stati presentati la persona e il mistero di Cristo. Nessuno nega che la recente ricerca su Gesù Cristo, realizzata da prospettive differenti, abbia influito in modo chiaro e decisivo sulla catechesi, sulla predicazione e sull'insegnamento religioso nelle scuole.

 

    25. Tuttavia, non sempre sono stati mantenuti integri gli elementi essenziali della fede della Chiesa sulla perso-na e sul messaggio di Gesù Cristo. Fraintendimenti nell'impostazione metodologica hanno indotto ad alterare la fede e il linguaggio con cui la fede si esprime. In molte occasioni si è abusato del metodo storico-critico senza percepirne i limiti e si è giunti a ritenere che la preesistenza della persona divina di Cristo sia una mera deformazione filosofica del dato biblico. Quando questo si è verificato, la Chiesa non ha smesso di professare la vera Fede, 80 riaffermando la validità del linguaggio con cui proclama che «Gesù Cristo ha due nature, la divina e l'umana, non confuse, ma unite nell'unica Persona del Figlio di Dio». 81 Frequentemente, l'abbandono di que-sto linguaggio della fede cristologica è stato causa di confusione e occasione per cadere in errore. Analogamente, la missione di Cristo è stata intesa come un evento meramente terreno, quando non politico-rivoluzionario, negando così la sua volontà di morire sulla croce per gli uomini. La Chiesa ha ribadito che è stato lo stesso Cristo che ha accettato e si è assunto liberamente la sua pas-sione e morte per la salvezza dell'umanita. 82

 

b) Tutta la vita di Cristo è mistero

 

    26. «Tutta la vita di Cristo è evento di rivelazione. Ciò che è visibile nella vita terrena di Gesù conduce al suo mistero invisibile. 83 Le parole, i miracoli, le azioni, l'intera vita di Gesù Cristo è rivelazione della suaa filiazione divina e della sua missione redentrice. Gli evangelisti, avendo conosciuto mediante la fede chi è Gesù, hanno indicato in tutta la sua vita terrena i tratti caratteristici del suo mistero. La rivelazione dei misteri della vita di Cristo, accolta nella fede, ci apre alla conoscenza di Dio e alla partecipazione alla sua stessa vita. Nella liturgia, in quanto «esercizio della missione sacerdotale di Gesù Cristo», 84 la Chiesa celebra ciò che professa la nostra fede, affinché possiamo entrare in comunione vera con i misteri di Cristo. 85 «Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in Lui e che egli lo viva in noi». 86 Una cristologia profonda dimostrerà la continuità tra la figura storica di Gesù Cristo, la professione di fede ecclesiale e la comunione liturgica e sacramentale nei misteri di Cristo. 87

 

    27. Constatiamo con dolore come in alcuni scritti di cristologia non si dimostri tale continuità, dando luo-go a presentazioni incomplete, quando non deformate, del mistero di Cristo. In alcune opere cristologiche si avvertono le seguenti mancanze:

 

1. una metodologia teologica errata, in quanto si pretende di leggere la sacra Scrittura a margine della tradizione ecclesiale e con criteri unicamente storico-critici, senza spiegare i presupposti di tali criteri né indicarne i limiti;

2. il sospetto che l'umanità di Gesù Cristo sia minacciata se si afferma la sua divinita; 88

3. la rottura tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede», come se quest'ultimo fosse il risultato di differenti esperienze della figura di Gesù, dagli apostoli fino ai nostri giorni;

4. la negazione del carattere reale, storico e trascendente della risurrezione di Cristo, 89 ridotta a una mera esperienza soggettiva degli apostoli; 90

5. l'oscuramento di nozioni fondamentali della professione di fede nel mistero di Cristo quali, tra le altre, la sua preesistenza, la filiazione divina, la coscienza di sé, della sua morte e della sua missione redentrice, della risurrezione, dell'ascensione e della glorificazione.

 

    28. Alla radice di queste teorie si trova spesso una rottura tra la storicità di Gesù e la professione di fede della Chiesa: si considerano scarsi i dati storici degli evangelisti su Gesù Cristo. 91 Da questa prospettiva, i Vangeli sono studiati esclusivamente come testimonianza di fede in Gesù, che non direbbero nulla o molto poco su Gesù stesso e che necessitano pertanto di essere reinterpretati. Inoltre, questa impostazione prescinde dalla tradizione della Chiesa e la emargina. Questo modo di procedere porta a conseguenze difficilmente compatibili con la fede, quali:

 

l. svuotare di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesù;

2, negare che nei Vangeli si affermi la preesistenza del Figlio e

3. considerare che Gesù non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice, ma come fallimento. Questi errori sono fonte di grave confusione, perché inducono non pochi cristiani a concludere, equivocando, che gli insegnamenti della Chiesa su Gesù Cristo non si fondano sulla sacra Scrittura oppuree che devono essere radicalmente reinterpretati.

 

    29. La comprensione errata dell'umanità di Cristo, accompagnata da una metodologia teologica discutibile, procede in parallelo con gli errori sulla vergine Maria. Nel 1978 la Conferenza episcopale spagnola, mediante la Commissione episcopale per la dottrina della fede, confutò alcune pubblicazioni che negavano l'insegnamento della Chiesa sul concepimento virginale di Gesù. 92 Alcune tesi sulla santissima Vergine sono segno dell'abbandono della dimensione mariana, propria di un'autentica spiritualità cattolica, e della rottura tra la fede celebrata e la fede confessata. 93

 

c) Gesù Cristo, l'unico Salvatore di tutti gli uomini

 

    30. L'affermazione del carattere unico e universale della mediazione salvifica di Cristo è parte centrale della buona novella che la Chiesa proclama ininterrottamente fin dall'epoca apostolica: «Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'e salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabi-lito che possiamo essere salvati» (At 4,11-12). La verità sulla persona di Cristo, costituito da Dio «giudice dei vivi e dei morti» (At 10,42), è inseparabile dalla verità sulla sua missione redentrice, di modo che «chiunque crede in Lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,43). «Deve essere, quindi, fermamente -creduto come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio uno e trino è offerta e compiùta una volta per sempre nel mistero dell'incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio». 94 L'assoluta certezza rispetto a questa verità di fede ha motivato i cristiani di ogni tempo ad annunciare, con parole e fatti, che Gesù Cristo «è il Signore di tutti» (At 10,36).

 

31. In stretta relazione con il significato della rivelazione, il dibattito cristologico contemporaneo si è incentrato sulle cosiddette teologie del pluralismo religioso, che presentano la figura di Gesù Cristo a partire da presupposti relativisti, sulla base sia della convinzione che la verità divina sia inaccessibile alla ragione, sia di una mentalità simbolica di origine orientale. 95 La conseguenza di tali presupposti è stata il rifiuto sostanziale dell'identificazione della figura storica individuale di Gesù Cristo con la realtà stessa del Figlio di Dio. L'assoluto - si afferma - non può rivelarsi nella storia in forma piena e definitiva. Tutt'al più nella storia si trovano modelli, figure ideali che starebbero a indicare il totalmente altro. Alcune ipotesi teologiche affermano che Gesù Cristo è vero Dio e verò uomo, ma ritengono che, a causa del limite della natura umana di Gesù, la rivelazione di Dio in lui non possa essere considerata completa e definitiva. Si dovra, pertanto, considerarla in relazione ad altre possibili «rivelazioni» di Dio espresse mediante le guide religiose dell'umanità e i fondatori delle religioni nel mondo. Quando si afferma, erroneamente, che Gesù Cristo non costituisce la pienezza della rivelazione di Dio lo si mette alla pari degli altri massimi esponenti religiosi. 96 Ne consegue l'idea, ugualmente erronea, e che semina insicurezza e dubbio, che le religioni mondiali, in quanto tali, sono vie di salvezza complementari al cristianesimo. 97

 

    32. La riflessione cristologica deve salvaguardare, argomentare e giustificare, da un lato, il carattere realmente storico e concreto dell'incarnazione di Cristo e, dall'altro, il carattere definitivo e pieno della sua esistenza storica in relazione alla storia e alla salvezza di tutti gli uomini. Affermare che Gesù Cristo è il verbo di Dio in-carnato significa:

 

1. che egli è Dio, la verità ultima e definitiva;

2. che egli svela chi è l'uomo, in quanto ci rivela la relazione necessaria e appropriata con Dio; 98  e

3. che egli è la verità assoluta della storia e della creazione.

 

Per questo, nell'incontro e nella comunione con Cristo, l'essere umano può riconoscere veramente se stesso. Con l'incarnazione non solo non diminuisce la divinità, ma si accresce anche l'umanità.

 

d) Cristologia e catechesi

 

    33. Cristo si trova al centro della catechesi. Il fine della catechesi è quello di condurre alla comunione con Gesù Cristo, attraverso un'istruzione organica e completa in cui progressivamente si arriva a «svelare nella per-sona di Cristo l'intero disegno di Dio». 99 La gioia di Gesù, che rende grazie al Padre per aver «tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti» e averle «rivelate ai piccoli» (Mt 11,25), si estende a tutti coloro che partecipano alla missione salvifica di trasmettere la fede. Questa gioia viene inibita quando determinate forme di catechesi, anziché favorire l'incontro con Cristo vivo, lo ritardano o addirittura lo impediscono.

 

    34. Determinate teorie erronee sul mistero di Cristo, che sono passate dagli ambiti accademici ad altri più po-polari, alla catechesi e all'insegnamento scolastico, sono per noi motivo di tristezza. In tali teorie non si fa riferi-mento alla divinità di Gesù Cristo o la si considera espressione di un linguaggio poetico privo di contenuto reale, negando, di conseguenza, la sua preesistenza e la sua filiazione divina. 100 La morte di Gesù  viene così spogliata della sua valenza redentrice e considerata come il risultato dello scontro con la religione del suo tempo. Cristo è considerato prevalentemente dal punto di vista dell'etica e della dinamica di trasformazione della società: secondo questa prospettiva egli sarebbe semplicemente l'uomo del popolo che si schiera dalla parte degli oppressi e degli emarginati al servizio della liberta." 101

 

    35. La conseguenza di tali ipotesi, contrarie alla fede della Chiesa, è la dissoluzione del soggetto cristiano. La riflessione, che dovrebbe contribuire a rendere ragione della speranza (cf. 1Pt 3,15), si allontana dalla fede ricevuta e celebrata. L'insegnamento della Chiesa e la vita sacramentale si considerano distanti dalla volontà di Cristo, quando non opposte a essa. 102 Il cristianesimo e la Chiesa appaiono come separabili. Secondo gli scritti di alcuni autori, non era intenzione di Gesù  Cristo fondare né la Chiesa né tantomeno una religione, bensì liberare l'uomo dalla religione e dai poteri costituiti. Con-sapevoli della gravità di queste affermazioni e del danno che causano al popolo fedele e semplice, non possiamo smettere di ripetere con le parole della Lettera agli Ebrei: «Gesù  Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono» (Eb 13,8-9).

 

3. LA CHIESA SACRAMENTO DI CRISTO

 

    36. «'Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). La confessione di Gesù  come il Figlio del Dio vivente da parte di Pietro ha preceduto la promessa di Gesù  di edificare la sua Chiesa. La Chiesa vive per professare Gesù  Cristo come l'Unto di Dio e confida, per questo, sull'aiuto dello Spirito Santo. La stessa Chiesa è «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15). La verità che ci rende liberi (cf. Gv 8,32) è un dono dello Spirito datoci mediante Gesù  Cristo risuscitato ed è intimamente unita alla salvezza (cf. 1Tm 2,4), così che la Chiesa realizza la sua missione annunciando Cristo che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) 103

 

a) Cristo e la Chiesa: il «Cristo totale»  

 

    37. «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioé segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano». 104 L'essenza piu profonda della Chiesa consiste nel suo intimo legame con il mistero salvifico di Cristo, che l'ha istituita come «strumento di redenzione per tutti» 105 e «sacramento universale di salvezza», 106 al fine di realizzare e manifestare per mezzo di essa il mistero dell'amore di Dio all'uomo 107 Cristo e la Chiesa, senza confondersi ma anche senza separarsi, costituiscono il Cristo totale (Christus totus). 108 L'unica Chiesa di Cristo, «costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi che sono in comunione con lui». 109 L'insegnamento del concilio Vaticano II ha evidenziato tanto la continuità esistente tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica quanto gli elementi distintivi della Chiesa di Cristo presenti in altre Chiese e comunità ecclesiali che, per la loro stessa. natura, tendono alla comunione piena. 110

 

    38. «Il Signore Gesù  infatti diede inizio alla sua Chiesa predicando il buon annuncio, cioé la venuta del regno di Dio promesso da secoli nelle Scritture». 111 Lo stretto legame tra il regno di Dio e la Chiesa s'illumina a partire dall'unità esistente tra le parole e opere di Cristo e il suo mistero pasquale. Accogliere il Regno significa per i Vangeli, fin dal principio, accogliere e seguire Gesù  Cristo. La partecipazione al Regno, oltre la Pasqua, realizza la sua forma definitiva nella comunione piena con il Signore risorto, mediante il dono del suo Spirito. Ogni uomo è chiamato a partecipare, per strade che solo Dio conosce, a questa pasqua del Signore, 112 entrando così nel Regno. Ne consegue che non si può legittimamente separare il regno di Dio dalla figura storica di Gesù  Cristo, morto e risuscitato, e quindi dal Padre. 113 Tantomeno è legittimo annullare il significato della Chiesa come vero sacramento della comunione in Cristo. E benché la realizzazione del disegno divino di salvezza possa avvenire fuori dai limiti visibili della Chiesa, non è corretto separare la nozione di re-gno di Dio dalla realtà della Chiesa.114

 

     39. Il Sinodo straordinario dei vescovi dell'anno 1985, convocato in occasione del ventennale dalla chiusura del concilio Vaticano II, ha messo in evidenza l'importanza della nozione di comunione per com-prendere l'intima natura della Chiesa, così come il Concilio l'aveva definite. 115  Parlando di comunione si deve tener conto del fatto che, anzitutto, è un dono di Dio, con una dimensione orizzontale e verticale, visibile e invisibile. 116 Pertanto, non è sufficiente intendere la comunione come il risultato dell'esercizio associativo proprio di raggruppamenti meramente umani. Il punto di partenza della comunione è l'incontro dell'uomo con Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che avviene attraverso l'annuncio della Chiesa e dei sacramenti. 117  Se non si tiene conto di questo, ciò che è proprio e specifico del mistero della Chiesa resta in ombra.

 

b) Liturgia e speranza escatologica

 

    40. La liturgia, in quanto opera di Cristo e azione della sua Chiesa, realizza e manifesta il suo mistero come segno visibile della comunione tra Dio e gli uomini, introducendo i fedeli nella vita nuova della comunità. 118 Per questo, anche se «non esaurisce tutta l'azione della Chiesa», 119 la liturgia costituisce il culmine e la fonte della vita ecclesiale, 120 in cui si fa presente e si professa pubblicamente il mistero della fede.121 La trasmissione della fede, l'annuncio missionario, il servizio al mondo nella carità, 122 la preghiera cristiana, la speranza rispetto alle realtà future, tutta la vita della Chiesa hanno nella liturgia la loro fonte e il loro termine. Alla luce di questi insegnamenti si comprende il grave danno insito, per il popolo di Dio, negli abusi relativi alla celebrazione liturgica, specialmente ai sacramenti dell'eucaristia e della penitenza. Come non manifestare un profondo dolore quando la disciplina della Chiesa in materia liturgica è vulnerata? 123 «Ognuno ci con-sideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1 Cor 4,1-2).

        41. «Cos'è la Chiesa, se non l'assemblea dei santi?» 124 «Noi crediamo alla comunione tra tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali tutti insieme formano una sola Chiesa». 125 La Chiesa sarà portata alla sua pienezza alla fine dei tempi (cf. At 3,21), quando il genere umano, insieme a tutto l'universo, sarà rinnovato (cf. Ef 1,10; Col 1,20; 2 Pt 3,10-13). 126 La speranza rispetto alla vita del mondo futuro è costitutiva della condizione del cristiano. Siamo cristiani precisamente per la fede nella risurrezione di Cristo, 127 principio e causa della nostra stessa risurrezione (cf. 1Cor 15,2 1). Quando si seminano dubbi ed errori rispetto alla fede della Chiesa nella venuta del Signore nella gloria alla fine dei tempi (parusia), rispetto alla risurrezione della carne, al giudizio particolare e finale, al purgatorio, alla possibilita reale di condanna eterna (inferno) o di eternal beatitudine (paradiso), 128 si incide negativamente sulla vita cristiana di tutti coloro che sono ancora pellegrini su questa terra, perché si resta allora «nell'ignoranza circa quelli che sono morti» e si cade nella tristezza di quanti non hanno speranza (cf. l Ts 4,13). Il silenzio su queste verità della nostra fede, nell'ambito della predi-cazione e della catechesi, e causa di disorientamento tra i fedeli che sperimentano nella propria esistenza le conseguenze della scissione tra quello in cui si crede e quello che si celebra.

 

c) Il ministero ordinato nella Chiesa

 

    42. Il Signore Gesù ha istituito diversi ministeri per il servizio del suo corpo, la Chiesa. 129 Secondo la fede ecclesiale, Gesù Cristo ha fondato il ministero della successione apostolica nella vocazione e missione dei dodici apostoli, trasmesso con la consacrazione sacramentale. 130 Agli apostoli e ai loro successori Cristo ha affidato la funzione di insegnare, santificare e governare nel suo nome e con la sua autorità. Presentare, poi, il ministero ordinato come il risultato di vicissitudini storiche o lotte di potere nell'ambito religioso è contrario alla verità storica e alla fede della Chiesa. 131

 

    43. Constatiamo che alcuni autori hanno difeso e diffondono concezioni erronee sul ministero ordinato nella Chiesa. Tramite l'applicazione di un metodo esegetico scorretto, hanno separato Cristo dalla Chiesa, come se non fosse nella volontà di Gesù Cristo fondare la sua Chiesa. 132 Una volta rotto il vincolo tra la volontà di Cristo e la Chiesa, si cerca l'origine della costituzione gerarchica della Chiesa in ragioni puramente umane, frutto di mere congiunture storiche. S'interpreta così la testimonianza biblica sulla base di presupposti ideologici, selezionando alcuni testi ed elementi e dimenticandone altri. Si parla di «modelli di Chiesa» che sarebbero presenti nel Nuovo Testamento: di fronte alla Chiesa delle origini, «caratterizzata dal discepolato e dal carisma», libera da vincoli, sarebbe nata poi la Chiesa «istituzionale e gerarchica». Il modello di Chiesa «gerarchica, legale e piramidale», sorto successivamente, sarebbe distante dalle affermazioni neotestamentarie, che pongono l'accento sulla comunità e sulla pluralità dei carismi e ministeri, così come sulla fraternità cristiana, intesa nel suo complesso come sacerdotale e consacrata. Questo modo di presentare la Chiesa non ha fondamento reale nella sacra Scrittura né nella tradizione ecclesiale e deforma gravemente il disegno di Dio sul corpo di Cristo che è la Chiesa, portando i fedeli su posizioni di scontro dialettico. In quest'ottica, la ricchezza di carismi e ministeri suscitati dallo Spirito Santo non si considera a favore del bene comune (cf. 1Cor 12,4-12), bensì come espressione di soluzioni umane che rispondono più a lotte di potere che alla volontà positiva del Signore. 133

 

    44. In modo analogo, alcuni negano la distinzione tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio mini-steriale, « quantunque differiscano di essenza e nonn soltanto di grado». 134  Chi ragiona in questo modo parte dal presupposto che nel Nuovo Testamento i ministri non sono considerati come «persone sacre», per con-cludere che questa «sacralizzazione» del ministero, o di un gruppo all'interno della Chiesa, sarebbe una so-vrapposizione storica posteriore. Questa teoria non menziona che Cristo è il sommo sacerdote della nuova alleanza (cf. Eb 4,14-15; 7,26-28; 8-9), il cui ministero è condiviso da alcuni cristiani in modo speciale, per renderlo presente sotto forma sacramentale nella Chiesa. La terminologia sacerdotale posteriore non avrebbe cambiato la realtà del ministero apostolico testimoniato chiaramente nel Nuovo Testamento. Qui si trovano riferimenti all'incorporazione nel ministero mediante l'imposizione delle mani (cf. At 14,23; 1 Tm 4,14).

 

    45. La mancanza di chiarezza rispetto al ministero ordinato nella Chiesa non è estranea alla crisi vocazio-nale degli ultimi anni. In alcuni casi sembra addirittura che si voglia provocare un «deserto vocazionale», così da produrre dei cambiamenti nella struttura interna della Chiesa. Tuttavia, la dove, mantenendo la dottrina cattolica, si offrono ai giovani ambiti per l'incontro personale con Cristo nella preghiera liturgica e personale, normalmente sorgono le vocazioni per il sacerdozio ministeriale. È necessario ricordare le disposizioni magisteriali sull'uomo come unico soggetto valido dell'ordine sacramentale, perché tale è stata la volontà di Cristo nell'istituire il sacerdozio. 135 Alcuni hanno ingiustificatamente sostenuto che questa volontà non consta nella Scrittura, ma ciò non corrisponde all'interpretazione autentica della parola di Dio scritta e trasmessa. 136 La dottrina sull'ordinazione sacerdotale riservata agli uomini deve essere tenuta in modo definitivo, poiché «è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale». 137 La comunione vera con il magistero della Chiesa dispone oggi, su questo punto, di un criterio certo di verifica.

 

d) La vita consacrata nella Chiesa

 

    46. La vita consacrata è un dono del Padre alla Chiesa, il quale, mediante lo Spirito Santo, suscita tra i suoi figli una sequela speciale di Cristo, in castità, povertà e obbedienza, testimoniando la speranza del regno dei cieli. 138  Nelle persone consacrate, essendo «nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione», 139 risplende in modo singolare la natura intima della vocazione Cristiana 140 e l'aspirazione sponsale della Chiesa verso l'unione con Gesù Cristo. La vita consacrata è una forma di sequela et imitatio Christi, sequela e imitazione della persona del Signore. Perciò, risulta gravemente compromessa quando si ba-sa su una cristologia che non corrisponde alla tradizione ecclesiale.

 

    47. Concepire la vita consacrata come un'«istanza critica» all'interno della Chiesa presuppone un ridu-zionismo ecclesiologico. Quando si vive dialetticamente la comunione gerarchica, opponendo la «Chiesa uf-ficiale o gerarchica» alla «Chiesa popolo di Dio», dal sentire cum Ecclesia si passa, nella prassi, all'agere contra Ecclesiam. S'invoca allora «il tempo dei profeti», e atteggiamenti di dissenso, che tanto incrinano la co-munione ecclesiale, si fanno passare per «denunce profetiche». Le conseguenze di queste argomentazioni sono disastrose per tutto il popolo cristiano e, in particolare, per i consacrati. Per alcuni questo riduzionisrno svuota del contenuto cristiano lo stesso nucleo della consacrazione, i consigli evangelici. 141

 

e) Il magistero della Chiesa e il fenomeno del dissenso

 

    48. Gli errori ecclesiologici segnalati si esprimono anche attraverso l'esistenza di gruppi che propagano e divulgano sistematicamente insegnamenti contrari al magistero della Chiesa su questioni di fede e di morale. Approfittano della facilità con cui determinati mezzi di comunicazione sociale prestano loro attenzione e moltiplicano le apparizioni in pubblico, le mani-festazioni e i comunicati collettivi e gli interventi personali dissentono apertamente dall'in-segnamento del papa e dei vescovi. Allo stesso tempo reclamano per sé la condizione di cristiani e cattolici, mentre non rappretano che associazioni prettamente civili. Non si tratta di associazioni molto numerose, ma la loro ripercussione sui mezzi di comunicazione è tale che le loro opinioni si diffondono ampiamente e seminano dubbi e confusione tra le persone semplici. Questo modo di agire rende manifesta la carenza degli elementi essenziali della fede cristiana, così come li trasmette la tradione apostolica.

 

    49. Questi gruppi, la cui nota comune è il dissenso, si sono espressi in interventi pubblici a favore, tra altri temi e questioni etico-morali, delle assoluzioni collettive e del sacerdozio femminile e hanno travisato il senso vero del

matrimonio proponendo e praticando la «benedizione» delle unioni tra persone omosessuali. L'esistenza di questi gruppi semina divisioni e disorienta gravemente il popolo dei fedeli, è causa di sofferenza per molti cristiani (sacerdoti, religiosi e laici) ed è motivo di scandalo e di ulteriore allontanamento per i non credenti.

 

    50. Attraverso queste manifestazioni si offre una concezione deformata della Chiesa, secondo la quale esisterebbe un confronto continuo e inconciliabile tra la «gerarchia» e il «popolo». La gerarchia, identificata con i vescovi, è presentata con tratti alquanto negativi: fonte di «imposizioni», di «condan-ne» e di «esclusioni». Di fronte ad essa, il «popolo», con cui s'identificano questi gruppi, è presentato con tratti opposti: «liberato», «plurale» e «aperto». Questo modo di presentare la Chiesa implica l'invito esplicito a «rompere con la gerarchia» e a «costruire», in pratica, una «Chiesa parallela». Per questi gruppi, l'attività della Chiesa non consiste principalmente nell'annuncio della persona di Gesù Cristo e nella comunione degli uomini con Dio, che si realizza mediante la conversione di vita e la fede nel Redentore, bensì nella liberazione da strutture oppressive e nella lotta per l'integrazione di gruppi emarginati, secondo una prospettiva prevalentemente immanentista.

 

   51. È necessario ricordare, inoltre, che esiste un dissenso silenzioso che promuove e difende la disaffezione verso la Chiesa, considerando questo un legittimo atteggiamento critico rispetto alla gerarchia e al suo ma-gistero, giustificando il dissenso all'interno della Chiesa stessa, come se un cristiano non potesse essere adulto senza prendere

 

una certa distanza dagli insegnamenti magisteriali. Dietro a quest'atteggiamento si cela frequentemente l'idea che la Chiesa attuale non obbedisca al Vangelo e che occorra lottare «dal di dentro» per arrivare a una Chiesa futura autenticamente evangelica. In realtà, non si cerca la vera conversione dei suoi membri, la sua purificazione costante, la penitenza e il rinnovamento, 142 bensì la trasformazione della stessa costituzione della Chiesa, per adattarla alle opinioni e alle prospettive del mondo. Questa posizione trova appoggio in membri di centri accademici della Chiesa e in alcune case editrici e librerie gestite da istituzioni cattoliche. Grande è il disorientamento che tale modo di procedere causa tra i fedeli.

 

4. LA VITA IN CRISTO

 

    52. «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). La scena di Cesarea di Filippo ci porta dalla professione di fede di Pietro e dalla promessa di edificare la Chiesa alla sconcertante ed esigente proposta di sequela di Cristo. Per condurre una vita autenticamente cristiana ed essere in verità un discepolo di Gesù Cristo non basta riconoscerlo come Figlio di Dio di fronte agli uomini nella comunione della Chiesa. Tale annuncio implica una speciale sequela di Cristo. La morale cristiana, intesa come «vita in Cristo», 143 trova qui il suo permanente punto di verifica. «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione».144 In Cristo, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), l'uomo è stato creato «a immagine e somiglianza» del Creatore. « È in Cristo, redentore e salvatore, che l'immagine divina, deformata nell'uomo dal primo peccato, è stata restaurata nella sua bellezza originale e nobilitata dalla grazia di Dio». 145 Di fronte al pericolo, costante nella condizione umana, che «venga resa vana la croce di Cristo» (1Gor 1,17), la grazia di Dio, che suscita in noi la sequela, ci rimanda alla verità di ciò che siamo e di ciò che siamo chiamati ad essere. La Chiesa «sa che proprio sulla strada della vita morale è aperta a tutti la via della salvezza». 146

 

    53. Attualmente, una delle grandi sfide dell'evangelizzazione riguarda l'ambito morale. Si tratta di una si-tuazione difficile che proviene da un contesto culturale che si dichiara postcristiano e si propone di vivere «come se Dio non esistesse». Oltre all'ateismo teorico e all'agnosticismo sistematico, si diffondono oggi l'ateismo e l'agnosticismo pratici, secondo i quali Dio non sarebbe rilevante per la ragione, la linea di condotta e la felicità umane. 147 In questa situazione l'uomo si mette a misurare la sua vita e le sue azioni in relazione a se stesso, alla vita sociale e al loro grado di compatibilità con il mondo, per soddisfare le sue necessità e i suoi desideri. La sfera del trascendente cessa di essere significativa nella vita sociale e personale quotidiana, per essere relegata alla coscienza individuale come un fattore meramente soggettivo. Il risultato è un radicale relativismo, 148 secondo il quale qualunque opinione sui temi della morale sarebbe ugualmente valida. Ognuno possiede «le sue verità» e tutt'al piu, nell'ambito dell'etica, si può aspirare a dei «minimi condivisi», la cui validità non potrà andare oltre il presente e nel quadro di determinate circostanze. La radice più profonda della crisi morale che colpisce gravemente molti cristiani è la frattura esistente tra fede e vita: 149 un fenomeno annoverato dal concilio Vaticano Il «tra i più gravi errori del nostro tempo». 150 Restituire ai cristiani quelle convinzioni e quelle certezze che permettano loro di «non avere paura», nella comprensione che «questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4), è un autentico e imperativo servizio ecclesiale per l'evangelizzazione.

 

a) Cristo, norma della morale

 

     54. Cristo, il Signore, è la norma di vita suprema e immutabile per i cristiani. Gesù Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, ci fa conoscere «la condizione dell'uomo e la sua vocazione integrale». 131 Chi crede in Cristo ha la vita nuova nello Spirito Santo ed è reso figlio di Dio. In virtù di questa adozione filiale, la persona umana è trasformata ricevendo una capacità nuova. È così in grado di seguire la vita di Cristo, di operare rettamente e di fare il bene. Il discepolo di Cristo, unito al Salvatore e mosso dallo Spirito Santo è capace di conseguire la perfezione della carità, la santità, che rappresenta la vocazione ultima di ogni persona umana.152 «Benedetto sia Dio, Padre del Si-gnore nostro Gesù Cristo... ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,3.4).

 

    55. Cristo è «il punto di riferimento indispensabile e definitivo per acquisire una conoscenza integrale dell'uomo».153  Ed è inoltre il fondamento di un agire morale integrale, in cui non vi è dicotomia tra fede e ragione. Se Cristo è la norma dell'agire morale, 154 la fondatezza della morale deve procedere dalla rivelazione e dal magistero della Chiesa, il cui ambito si estende al comportamento umano senza entrare in conflitto con la giusta ragione.155 Se si porta avanti l'idea che nella rivelazione troviamo soltanto princìpi generici sull'agi-re umano, 156 senza tener conto che la sacra Scrittura e la tradizione dimostrano il contrario 157- come nel caso della cosiddetta «autonomia teonoma» -,158 l'insegnamento morale ne risente gravemente. «La sacra Scrittura, infatti, rimane la sorgente viva e feconda della dottrina morale della Chiesa - come ha ricordato il concilio Vaticano II "Il Vangelo [è]... fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale"».159

 

b) La dignità della persona umana

 

    56. La dignità della persona umana deriva dal fatto di esser stata creata a immagine e somiglianza di Dio. «Dotata di un'anima spirituale e immortale, d'intelligenza e di libera volontà la persona umana è ordinata a Dio e chiamata, con la sua anima e il suo corpo, alla beatitudine eterna».160 In ogni uomo esiste un desiderio innato di felicità, che

 

Dio desidera colmare in modo sovrabbondante, dal momento che chiama l'uomo a partecipare, mediante Cristo, alla stessa beatitudine divina: «Cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1 Cor 2,9). L'uomo consegue il suo fine ultimo in virtù della grazia di Cristo, «dono gratuito che Dio ci dà per renderci partecipi della sua vita trinitaria e capaci di agire per amor suo». 161 Affrontare la vita «come se Dio non esistesse», pretendere di ignorare Dio o, ancora peggio, negarlo esplicitamente, è il principio dell'infelicità umana. Per questa rag-ione la Chiesa offre a tutti il suo insegnamento morale, 162 nella consapevolezza che è Cristo colui che ha rivelato all'uomo la sua più sacra dignità e la sua vocazione ultima.

 

    57. La grazia di Cristo non annulla l'ordine creato, ma risponde alle profonde aspirazioni della libertà umana, nel prevenire, preparare e suscitare la libera risposta dell'uomo. 163 La realizzazione della dignità dell'uomo impone che si rispetti l'ordine essenziale della natura umana creata da Dio, che trascende le vicissitudini storiche e culturali. Quest'ordine della natura umana si esprime nella legge naturale, che l'uomo può conoscere, benché la legge sia previa alla sua conoscenza. 164 «La legge morale naturale esprime e prescrive le finalità, i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona umana. Pertanto essa non può essere concepita come normatività semplicemente biologica, ma deve essere definita come l'ordine razionale secondo il quale l'uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e regolare la sua vita e i suoi atti e, in particolare, a usare e disporre del proprio cor-

po», 165

 

    58. La conoscenza della legge naturale presuppone che questa sia inscritta nel più profondo dell'essere umano e che possa essere percepita, almeno in una certa misura, per mezzo della sola ragione, al di fuori della rivelazione di Cristo. 166 Il giudizio della coscienza non stabilisce la legge, bensì afferma la sua autorità percependola come norma oggettiva e immutabile, e incoraggia l'uomo a fare il bene e a evitare il male. 167 «La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano». 168 In questo senso, il magistero ha segnalato le lacune e le carenze di alcune teorie morali come l'«opzione fondamentale», 169 il «proporzionalismo e consequenzialismo» 170 o la cosiddetta «morale delle virtù». 171 È necessario ricordare inoltre che, affinché la persona agisca conformemente alla sua dignità, la coscienza deve essere retta e aperta alla verità, 172 vale a dire che deve essere «in accordo con ciò che è giusto e buono secondo la ragione e la legge divina». 173

 

    59. L'attuale condizione storica della persona umana è segnata dal peccato. A causa del peccato originale, tutti gli uomini nascono privi della santità e della giustizia, originali. Benché la loro natura non sia totalmente corrotta per effetto del peccato originale, si trova, tuttavia, «ferita nelle sue forze naturali, e sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, ed è incline al peccato». 174  Per questa ragione, non tutte le inclinazioni che l'uomo sperimenta sono buone. 175 L'uomo ha così bisogno dell'aiuto di Dio persino per conoscere e realizzare molte cose buone che sono insite nelle potenzialità della natura. Anche per questo risulta assolutamente necessaria l'azione dello Spirito Santo e una formazione morale sostenuta dalla parola di Dio e dagli insegnamenti della Chiesa, per acquisire una retta coscienza. Quando si presenta in maniera ambigua la dottrina della Chiesa sul peccato originale, o si tace e si nega la gravità del peccato, le conseguenze per la formazione della coscienza sono molto nega-tive, mentre appare confuso il cammino che porta alla felicità autentica.

 

    60. Tuttavia, il peccato non è la parola definitiva sulla condizione umana. La Chiesa insiste nel proclamare che in Cristo l'uomo ha recuperato la santità originale ricevuta da Dio e che, con l'aiuto della sua grazia, può correre per la via dei comandamenti del Signore (cf. Sal 118,32). La grazia, mentre restaura il danno provocato dal peccato, rende pienamente la libertà umana, orientando l'uomo verso la beatitudine. Cristo non

solo è il redentore di tutti gli uomini, ma anche di ogni uorno. l76 La sua predicazione e i suoi sacramenti, custoditi nella Chiesa «fino al suo ritorno», permettono all'uomo di svolgere una vita morale autentica.

 

c) Morale della sessualità e della vita

 

    61. Conseguenza immediata della dignità umana rivelata in Cristo è la dignità intangibile della sessua-lità. 177 In un contesto contrassegnato da un esasperato pansessualismo, il vero significato della sessualità umana risulta molte volte distorto, controverso e contestato, quando non pervertito. 178 È necessario che superiamo la tentazione di risolvere «i vecchi e nuovi problemi con risposte che sono più conformi alla sensibilità e alle esperienze del mondo che al "pensiero di Cristo" (cf 1 Cor 2,16)». 179 La sessualità è inscritta nell'essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, uomo e donna, e deve essere intesa nella prospettiva della vocazione della persona all'amore. 180 Così, mediante la virtù della castità, si consegue l'integrazione della sessualità nella persona. 181

 

    62. La dignità della vita umana esige che la sua trasmissione avvenga nell'ambito dell'amore coniugale. Pertanto, quei metodi che pretendono di sostituire, e non semplicemente di aiutare l'azione dei coniugi nella procreazione, non sono ammissibili. 182 Se si separa la finalità unitiva da quella procreativa, si falsa l'imma-gine dell'essere umano, dotato di anima e corpo, e si degradano gli atti del vero amore, capace di esprimere la carità coniugale che unisce gli sposi. La conseguenza è che una regolazione moralmente corretta della natalità non può ricorrere a metodi contraccettivi. 183

   

    63. Alla luce di questi princìpi sulla sessualità si comprende il motivo per cui la Chiesa considera ugual-mente «tra i peccati gravemente contrari alla castità (...) la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali». 184 L'insegnamento cristiano sulla sessualità non consente di banalizzare tali questio-ni né di considerare i rapporti sessuali un «semplice gioco di piacere. La banalizzazione della sessualità comporta la banalizzazione della persona». 185 L'uso delle facoltà sessuali assume il suo vero significato e la sua onestà morale nel matrimonio legittimo e indissolubile di un uomo con una donna, aperto alla vita, 186 che è il fondamento della società e il luogo naturale per l'educazione dei figli. Gli attacchi al matrimonio a cui spesso assistiamo non tarderanno ad avere conseguenze gravi per la stessa società. 187

 

    64. Non possiamo dimenticare neppure che la vita umana ha inizio con il concepimento e ha fine con la morte naturale. L'aborto e l'eutanasia sono azioni gra-vemente disordinate, lesive della dignità umana e contrarie agli insegnamenti di Cristo, 188 La Chiesa è con-sapevole del fatto che tali questioni debbano essere spiegate alla comunità cristiana, assediata costantemente dalla mentalità edonista propria della cultura della morte. Non possiamo neanche mettere in dubbio che, fin dal momento della fecondazione, esista vera e autentica vita umana, distinta da quella dei genitori; 189 per cui interrompere lo sviluppo naturale costituisce un gravissimo attentato contro la vita stessa. 190 «L'amore di Dio non fa differenza tra l'essere appena concepito, ancora nel seno materno, e il bambino o il giovane o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza, perché in ciascuno di loro vede l'impronta della sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,26)». 191 È contrario all'insegnamento della Chiesa sostenere che fino all'annidamento dell'ovulo fecondato non si possa parlare di «vita umana», stabilendo così una rottura nell'ordine della dignità umana tra l'embrione e quello che si definisce, erroneamente, «pre-embrione». 192 In modo analogo, nessuno ha la potestà di eliminare una vita innocente, neppure quando si trova allo stadio terminale. 193 Dobbiamo ricordare ai fedeli che è lecito, anzi giusto, evitare «certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia», 194 nonostante tutto questo supponga che si abbrevi la sua speranza di vita. Ben diverso è però realizzare inter-venti con la diretta intenzione di eliminare la vita della persona malata o anziana.195

 

d) Morale sociale

 

    65. In questo momento storico è particolarmente importante che i fedeli cattolici ricordino la loro re-sponsabilità nell'attività pubblica e politica. L'imperante mentalità laicista tende a relegare le convinzioni religiose nella coscienza individuale e a impedire che si manifestino e che abbiano ripercussioni pubbliche. È facile che si accettino di buon grado le opere di tipo assistenziale e umanitario dei cristiani, ma che si respinga qualsiasi altra manifestazione della loro fede, compresa la difesa dei valori umani più elementari, come il diritto alla vita dal suo concepimento fino alla sua morte naturale. Chiedere che il cattolico parli e agisca nella vita pubblica in modo conforme alle sue convinzioni non significa voler imporre la fede né la pratica religiosa agli altri.. Contribuiamo al bene di tutti apportando il meglio che abbiamo: la fede in Gesu Cristo salvatore, che non contraddice la ragione umana, ma la eleva a una migliore comprensione del bene comune e della natura della società. 196 Coloro che rivendicano la loro condizione di cristiani operando nell'ordine politico e sociale con proposte che contraddicono espressamente l'insegnamento evangelico, custodito e trasmesso dalla Chiesa, sono causa grave di scandalo e si collocano fuori dalla comunione ecclesiale. 197

 

    66. I fedeli debbono difendere e sostenere quelle formazioni o associazioni politiche che promuovono la dignità della persona umana e della famiglia. Qualora non si possa eliminare una legge negativa su queste materie, il fedele cattolico deve operare al fine di minimizzare i guasti che tale legge provoca.198 Su questioni più contingenti è possibile un certo pluralismo di opzioni per i cattolici. Tuttavia, quando è in gioco la dignità della persona umana - come oggi spesso succede - il cattolico deve offrire la testimonianza reale della sua fede manifestando un inequivocabile rifiuto di tutto ciò che offende la dignità dell'essere umano. Anche le opere di carattere assistenziale promosse da cattolici, animati da spirito di carità, devono presentare un profilo specifico in cui Dio e Cristo non possono restare a margine, poiché i cristiani sanno che la radice di ogni dolore è l'allontanamento da Dio. 199

 

CONCLUSIONE

 

    67. «Voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Riconoscere Gesù Cristo come Figlio del Dio vivente è il principio di una teologia profonda al servizio del popolo di Dio. Quando si offusca la verità sulla persona di Cristo e sulla sua missione, la vita cristiana inesorabilmente s'impoverisce. La teologia non può più essere definita cattolica, se non pone al centro del suo impegno nel comprendere la fede (intellectus fidei) la professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (NIt 16,16).

 

    68. Nel rivedere sommariamente alcuni degli insegnamenti errati piu diffusi nella nostra società, abbiamo voluto dimostrare lo stretto legame che esiste tra teologia e vita cristiana. «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete gia saldi» (2Cor 1,24). Le opinioni erronee, che abbiamo esaminato, hanno avuto serie e gravi conseguenze nella vita della Chiesa. Dobbiamo constatare che in molte delle nostre famiglie si è interrotta la trasmissione della fede. Le convinzioni di fede di genitori, educatori e catechisti sono state scosse da proposte teologiche equivoche, ambigue e dannose che hanno indebolito la

 

loro fede e hanno così precluso la trasmissione gioiosa del Vangelo. Accogliere pienamente Gesù Cristo nella comunione della Chiesa è all'origine della gioia cristiana: « Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

 

    69. La teologia nasce dalla fede ed è chiamata a interpretarla mantenendo il suo legame irrinunciabile con la comunità ecclesiale. La Chiesa ha bisogno della teologia, come la teologia ha bisogno del suo legame ecclesiale. «Nello svolgimento della missione di annunciare il Vangelo della speranza, la Chiesa in Europa apprezza con gratitudine la vocazione dei teologi, valorizza e promuove il loro lavoro». 200 Dopo aver celebrato l'anno dell'Eucaristia - mistero di comunione in cui la sapienza di Dio si apre a chi lo adora - invochiamo la protezione di Maria immacolata su coloro che hanno ricevuto il ministero ecclesiale di approfondire la fede, contribuendo alla sua trasmissione fedele nell'ambito della teologia, affinché la loro opera edifichi il popolo di Dio, pronti a rispondere della nostra speranza a chiunque ce ne domanda ragione (cf. 1 Pt 3,15), e la gioia di Cristo raggiunga in tutti noi la sua pienezza (cf. Gv 15,11).

 

 

 

 

  

 

 

 

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