Teologia e
secolarizzazione in Spagna.
Istruzione
pastorale dei vescovi spagnoli
Una parte della riflessione dei teologi spagnoli negli ultimi
decenni non solo è
all'origine
A
quarant'anni dalla chiusura del concilio Vaticano II approvata dalla
Conferenza episcopale spagnola in
occasione dell'assemblea svoltasi a
Quattro i capitoli in cui il testo si sviluppa:
«Gesù Cristo, pienezza della rivelazione»;
«Gesù Cristo, Figlio del Dio
vivente»;
«La Chiesa,
«La vita in Cristo».
La ferma e organica denuncia dei vescovi non ha trovato molti consensi nell'ambito delle scuole e delle facoltà teologiche, ma
non preclude un confronto (cf. Regno-att. 8,2006,228 e sul prossimo n. 14). In particolare sulle ricadute che la teologia può avere
nell'ambito della catechesi, nell'insegnamento
della religione nelle scuole e nel dibattito sui media.
Sia come contenuti sia come modalità
il testo si propone come modello
d'intervento per altri episcopati.
INTRODUZIONE
1.
«Voi chi dite che io
sia?» (Mt 16,15). La domanda di Gesù Cristo ai suoi discepoli si estende nel corso della storia ai cristiani di tutti i tempi. La risposta che diamo determinerà il nostro modo di avvicinarci alla persona di
Cristo e il nostro modo di concepire l'esistenza cristiana. La risposta insufficiente che nasce dalle
possibili opinioni umane - «La
gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?»
(Mt 16,13) - viene superata a
partire dall'incontro personale con
il Salvatore nella Chiesa nascente. Gesù
si rivolge alla comunità dei suoi discepoli e, in mezzo a loro, ascolta le parole di Simon Pietro, la
cui verità si fonda sulla rivelazione del Padre e non sull'opinione
della gente: 1 «Tu sei il Cristo, il Figlio
del Dio vivente» (Mt 16,16). L'affermazione dell'apostolo non ha origine né dalla carne né dal sangue, così come la sua
solidità di «pietra», che Pietro
riceve direttamente da Cristo: «Tu sei Pietro e su questa pietra
edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18).
3.
Consapevoli di aver ricevuto mediante l'imposizione delle mani la missione di conservare integro
il deposito della fede (cf. 1Tm 6,20) e attenti
alla voce di tanti fedeli che si sentono
«portati qua e là da qualsiasi vento di
dottrina» (Ef 4,14), parlando con una sola voce in comunione con il
successore di Pietro, come testimoni della verità divina e cattolica, 4 desideriamo offrire una parola di
orientamento e discernimento di fronte a deter-minate teorie dottrinali, che
hanno preso piede all'interno della Chiesa e
che hanno trovato una diffusa accoglienza
anche in Spagna, turbando la vita ecclesiale e la fede delle persone
semplici. Siamo motivati unicamente dalla
sollecitudine pastorale. Siamo convinti che la nuova evangelizzazione non potra compiersi senza
l'aiuto di una
4. Con la presente istruzione
pastorale intendiamo rivolgere il nostro
sguardo su alcuni aspetti
inscindibile tra la teologia e la vita cristiana;
il dialogo tra vescovi e teologi è più fluido nella
maggior parte delle diocesi; e si sono
consolidate le associazioni teologiche specializzate,
fedeli alla dottrina della Chiesa.
5. Insieme a questi luminosi
segni di speranza, osserviamo con viva preoccupazione ombre che oscurano la verità. Noi vescovi abbiamo
ricordato in varie occasioni che la questione principale con cui deve
confrontarsi la Chiesa
in Spagna è la sua secolarizzazione interna.8 All'origine della secolarizzazione vi è la perdita
dellaa fede e dell'intelligenza
della fede. In questo giocano, senza dubbio, un ruolo importante alcune proposte teologiche
non
sufficientemente fondate relative alla confessione di fede cristologica. Si
tratta di interpretazioni riduttive che non accolgono il mistero rivelato nella sua integrità, Gli aspetti della crisi possono riassumersi in quattro
punti: concezione razionalista della
fede e della rivelazione; 9 umanesimo
immanentista applicato a Gesù Cristo; interpretazione
meramente sociòlogica della Chiesa e soggettivismo-relativismo secolarizzato nella morale cattolica. Ciò
che unisce tutte queste argomentazioni non sufficientemente fondate è
l'abbandono e il non riconoscimento dell'essenza specificamente cristiana, in
special modo del valore definitivo e universale
di Cristo nella sua rivelazione, nella sua condizione di Figlio del Dio
vivente, nella sua presenza reale nella
Chiesa e nella sua vita offerta e
promessa come paradigma della condotta morale. 10 La presente istruzione pastorale si articola intorno a questi quattro punti, segnalando, a partire
dalla confessione di fede di Pietro, alcuni insegnamenti che mettono in
pericolo la professione di fede e la comunione
ecclesiale, che causano confusione tra i fedeli e sono d'ostacolo allo sviluppo dell'evangelizzazione.
l. GESÙ CRISTO , PIENEZZA DELLA RIVELAZIONE
6. «Perché né la carne né il sangue te l'hanno
rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17). Quando l'apostolo san Pietro confessa Gesù come Figlio
di Dio, lo stesso Signore Gesù
dichiara che questa verità non è stata
indotta da una realtà umana, bensì rivelata dal Padre che sta nei cieli. Nelle sue parole si trova formulato il carattere specifico e assoluto della
rivelazione cristiana, dono gratuito
che non si riduce alla sapienza di questo mondo («la carne e il
sangue»),
a) Concezione cattolica della rivelazione
7. Il
concilio Vaticano Il ha descritto la rivelazione di Dio in termini di dialogo di amicizia: «Con questa ri-velazione
infatti Dio invisibile per la ricchezza del suo amore parla agli uomini
come amici e si intrattiene con loro, per
invitarli e ammetterli alla comunione con
sé». 11 Avendo deciso di rivelarsi, Dio ha parlato agli uomini e ha adottato il linguaggio umano
dell'amicizia con una finalità ben
precisa: portare l'uomo alla comunione di vita con Lui mediante la
partecipazione alla sua natura divina.12 «Dio
che "abita una luce inaccessibile" (1Tm
6,16), vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farne figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se
stesso, Dio vuole rendere gli uomini
capaci di rispondergli, di conoscerlo
e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da sé stessi». 13
8.
L'insegnamento conciliare ha posto in evidenza gli elementi specifici
9. Risulta incompatibile con
la fede della Chiesa considerare la
rivelazione, secondo quanto sostengono alcuni autori, come una mera percezione soggettiva per la quale «ci si
rende conto» del Dio che ci abita e che tenta di manifestarsi a noi. Anche
quando usano un linlaggio che apparentemente
si avvicina a quello ecclesiale, si allontanano tuttavia dal sentire
della Chiesa.16 E necessario riaffermare
che la rivelazione presume una novità, 17 perché fa parte del disegno di Dio che «guarda con benevolenza i [suoi] figli di adozione».18
Per questo è sbagliato intendere la rivelazione come lo sviluppo immanente della religiosità dei popoli e considerare che tutte
le religioni sono «rivelate», in conformità al grado di progresso
raggiunto nella loro storia e, in questo senso vere e salvifiche. La Chiesa riconosce, per disposizione di Dio, quanto vi è di vero e di santo nelle
religioni non cristiane.19 Riconosce inoltre che «quando lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei
popoli, nelle culture e religioni,
assume un ruolo di preparazione evangelica», 20 poiché la sua fonte ultima è Dio. Ne consegue che si possa
legittimamente sostenere che, mediante gli
elementi di verità e santità contenuti nelle altre religioni, lo Spirito Santo operi la salvezza nei non cristiani;
questo non significa, tuttavia, che le altre religioni possano essere considerate, «come tali, vie di salvezza,
anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che
riguardano le verità fondamentali su Dio, l'uomo e il mondo».21
10. La
dottrina cattolica sostiene che la rivelazione non può essere equiparata a quelle che alcuni chiamano le «rivelazioni»
di altre religioni. Tale equiparazione non tiene conto del fatto che «la
profonda verità, sia su Dio sia sulla
salvezza dell'uomo, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi in
Cristo, il quale nello stesso tempo è il
mediatore e la pienezza dell'intera rivelazione».22 Gesù Cristo, il
Figlio eterno del Padre fatto uomo nel seno
purissimo della vergine Maria per opera e grazia dello Spirito Santo, è la parola definitiva di Dio
all'umanità. In Cristo «si dà la
piena e completa rivelazione
b) Risposta alla rivelazione divina
11. La fede è la risposta
adeguata alla rivelazione di Dio. Quando Dio si rivela gli dobbiamo l'obbedienza
del-la fede, «che è
affidarsi pienamente a Dio e accogliere la sua verità, in quanto garantita da
lui, che è la verità stessa». 25 La fede è
un dono di Dio. L'uomo, per credere, ha bisogno della grazia di Dio e
dell'ausilio interiore dello Spirito Santo,
«il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia "a tutti dolcezza nel consentire
e nel credere alla verità". Affinché l'intelli-genza della rivelazione
diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo per mezzo dei suoi doni
perfeziona continuamente la fede». 26
12. Tre aspetti dell'insegnamento conciliare meritano di essere
sottolineati. 27
Primo, la fede va intesa come la dedizione di tutta la persona a Dio che
si rivela e comunica. È ascolto e obbedienza
nella sua accezione originale e, per
questo, sequela. Tramite l'obbedienza della fede, l'essere umano si
abbandona, interamente e liberamente a Dio prestandogli il pieno ossequio
dell'intelletto e della volontà, e assentendo volontàriamente alla rivelazione data da lui. 28 L'essere umano accoglie
come verità ciò che Dio ha detto di
sé, precisamente perché Dio lo ha
testimoniato, non perché lo rivela la ragione. 29 L'aspetto dottrinale della fede - l'insieme
delle verità rivelate che raccolgono la
testimonianza di Dio - deve essere
compreso personalmente: la libera dedizione di tutta la persona a Dio che si rivela permette di accogliere la testimonianza divina. Se si dimentica questo
secondo aspetto, non si comprendono le ripercussioni morali dell'atto di
fede. 30
Secondo, l'adesione a Dio, che è la fede, ha la sua origine, il suo mezzo e
il suo fine in Dio.31 La sua origine in Dio, perché Dio prende
l'iniziativa. Molte volte e in
diversi modi aveva parlato nei tempi antichi (cf. Eb 1,1), ma in Gesù
Cristo, suo Figlio incarnato, abbiamo
la sua parola definitiva (cf Gv 1,14-16). Il suo mezzo, perché la grazia divina mette in esercizio la libertà
umana e illumina la ragione affinché possa riconoscere la presenza
Terzo, la comprensione della rivelazione è un dono dello Spirito Santo
che, con i suoi doni, va continuamente perfezionando la fede. Senza la vita dello Spirito, la fede non si
perfeziona e la rivelazione finisce
col non essere compresa.
13.
Vivere secondo la fede significa necessariamente professare in modo completo e integrale il messaggio di Gesù Cristo, poiché una «selezione» dei diversi
aspetti del suo insegnamento, vale a dire accettarne alcuni e rifiutarne
altri, 32 non risponderebbe alla rivelazione del Padre, bensì «alla carne e al sangue» (cf. Mt 16,17), «perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). È di vitale importanza mantenere
integro il deposito della fede, così
come Cristo lo ha affidato alla
Chiesa perché lo custodisse. Così fu affermato fin dai primordi della
Chiesa. 33 Dalla negazione di un aspetto
della professione di fede si passa alla perdita totale della fede stessa, in quanto selezionando alcuni
aspetti e rifiutandone altri non si rispetta la testimonianza di Dio ma le ragioni umane. 34 Quando si
altera la professione di fede tutta la vita
c) L'intelligenza e il linguaggio della fede
14.
La rivelazione di Dio al popolo eletto, con il quale ha stabilito l'alleanza, non è riducibile
all'esperienza religiosa
soggettiva; in ugual modo, la rivelazione definitiva in Cristo si è realizzata «con eventi e parole tra loro intimamente connessi». 36
Conseguentemente, non si può affermare che il linguaggio relativo a Dio sia
pura-mente «simbolico, strutturalmente
poetico, immaginativo e figurativo, che esprimerebbe e produrrebbe una
determinata esperienza di Dio», 37 senza tuttavia comunicarci chi è Dio. Occorre invece sostenere che la fede si esprime mediante affermazioni che usano un
linguaggio vero, non semplicemente approssimativo, benché analogico.38
Nella storia non sono mancati
coloro che hanno seminato dubbi in relazione alla rivelazione e all'intelligenza della fede. Alcuni riconoscono certamente che Dio si è rivelato all'uomo, ma a questi si
nega la capacità concreta di
accogliere la rivelazione. Altri invocano la sproporzione esistente tra Dio che si rivela e l'uomo destinatario
della rivelazione. Altri ancora affermano che, dato il carattere contingente, finito e limitato dell'essere umano, si può accogliere la parola di Dio solo in
modo frammentario, parziale e
riduttivo. Una rivelazione divina considerata definitiva e piena
entrerebbe così in conflitto con la stessaa
condizione storica dell'essere umano.
39 E quand'anche la rivelazione potesse essere accolta, si dice, non
potrà tuttavia, essere espressa in enunciati concreti, che debbano essere
considerati delle verità. Se questo fosse
vero, la rivelazione cristiana dovrebbe stare alla pari delle «rivelazioni» presenti in altre
religioni o anche nell'ordine stesso della
creazione. Il linguaggio umano è
certamente limitato e parziale, 40 però
non si deve dimenticare che le parole e le opere di Gesù, seppure circoscritte in quanto realtà umane, hanno
come fonte la persona divina del Verbo incarnato, vero Dio e però uomo, e per questo presentano un carattere
definivo e pieno. «La verità su Dio non viene abolita o ridotta
perché è detta in linguaggio umano. Essa, invece, resta unica, piena e completa perché chi parla e
agisce e il Figlio di Dio incarnato». 41
15. La conoscenza della fede ha il suo punto di partenza nella testimonianza personale di Dio che si
rivela. La fede ci giunge attraverso l'udito, mediante l'ascolto della parola di Dio (cf. Rm 14-17). Ora, la stessa
fede che accoglie la verità rivelata (auditus fidei) suscita il desiderio di progredire nella sua intelligenza (intellectus
fidei). La fede, in
effetti, cerca l'intelligenza. 42 La verità
rivelata, pur trascendendo la ragione umana, e in armonia con essa. La ragione, essendo orientata alla
verità, son la luce della fede è in grado di penetrare il significato della rivelazione. Contro l'opinione di alcune
correnti filosofiche molto diffuse
tra di noi, dobbiamo riconoscere la capacità che possiede la ragione
umana di raggiungere la verità, come pure la sua capacità metafisica di
conoscere Dio a partire dal creato. 43 In un mondo che spesso ha perso la speranza di
poter cercare e trovare la verità, il
messaggio di Cristo ricorda le possibilità a disposizione della ragione umana. In tempi di grave crisi per la
ragione, la fede viene in suo aiuto e si fa suo avvocato. 44
16. La mediazione attraverso una
riflessione genuinamente filosofica aiuta la teologia nel dialogo autentico con la cultura di ogni tempo. 45 È necessario tener conto «della filosofia e della sapienza dei popoli» 46 ma
lo scambio fecondo tra le culture non deve portare al relativismo né
alla negazione
17. Il
magistero della Chiesa ci dà la garanzia di spiegare correttamente la rivelazione di Dio. Dal
momento che l'alleanza
instaurata da Dio in Cristo ha un carattere definitivo, occorre che sia salvaguardata da
deviazioni e falli che possono corromperla. Per
assicurare il suo permanere nella verità,
Cristo ha dotato la Chiesa, e
specialmente i pastori, del carisma dell'infallibilita, 51 che si
esercita in diversi modi 52 Suscitare
dubbi e diffidenze nei confronti del
magistero della Chiesa, anteporre l'au
torità di determinati autori a quella del magistero o considerare le
indicazioni e i documenti magisteriali sempli-cemente come un «limite» che
ostacola il progresso della teologia e che
si deve «rispettare» per motivi esterni alla teologia stessa, è all'opposto della dinamica della fede
cristiana. 53
d) Rivelazione ed esegesi biblica
18. Una concezione erronea
della rivelazione è necessariamente esposta a un'interpretazione ugualmente
errata della sacra Scrittura. La costituzione conciliare Dei verbum insegna che la Scrittura è parola di Dio e che, nella composizione dei libri sacri, lo Spirito
Santo ha ispirato gli autori umani a
scrivere la verità che lo Spirito voleva insegnarci in ordine alla nostra
salvezza. 54 Conseguentemente
occorre studiare il modo di composizione dei
libri, l'intenzione degli autori e molti altri elementi letterari e
storico-critici. I contributi dell'esegesi, a questo proposito, sono
stati di grande arricchimento ma, al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che, in quanto Parola ispirata, la sacra
Scrittura deve «essere letta e interpretata con lo stesso Spirito con il quale fu scritta, per scoprire con esattezza il
senso dei sacri testi, si deve badare
con non minore diligenza al contenuto
e all'unità di tutta la Scrittura, tenendo debito conto della viva
tradizione di tutta la Chiesa e dell'a-nalogia della fede». 55
19. In
alcune occasioni i testi biblici si studiano e si interpretano come se si trattasse di semplici
testi dell'antichità. Si applicano, inoltre, metodi che escludono sistematicamente la possibilità della rivelazione,
e) Rivelazione e preghiera
cristiana
20. Lo
stesso Gesù Cristo che ci rivela il volto
2l. Il cristiano sa che Dio
«chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera».
66 Se Dio vivo e vero può essere
conosciuto soltanto quando egli stesso
prende l'iniziativa di rivelarsi, la preghiera risulta assolutamente necessaria, perché mette l'uomo nello stato
d'animo di ricevere il dono della rivelazione. Quando quest'ultima viene
svuotata del suo contenuto trinitario ed è
equiparata alle «rivelazioni» di altre religioni, la preghiera si priva di Cristo e, di conseguenza, non è più una preghiera cristiana. Constatiamo con preoc-cupazione come la tanta
confusione rispetto al mistero di Cristo e
alla concezione cattolica della rivelazione abbia indotto alcuni cristiani a sminuire il valore della preghiera di domanda o a ricorrere a «forme
sostitutive» di preghiera, in cui i
«metodi» si confondono con i contenuti, a prendere distanza dalla
preghiera pubblica della Chiesa e a mettere
in discussione il rapporto tra ciò che si crede (lex credendi) e ciò che si prega (lex oranda). 67 Le
comunità cristiane sono chiamate a essere scuole di preghiera, in cui la
fame di spiritualità trovi un orientamento adeguato. 68
2. GESÙ
CRISTO, Il FIGLIO DEL DIO VIVENTE
22. «Tu
sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Dalla professione di fede nella persona
di Gesù Cristo deriva la verità sull'uomo, sulla
storia e sul mondo. 69 La vita cristiana, l'incorporazione alla Chiesa, l'impegno per la
trasformazione del mondo mediante la promozione della giustizia e della
solidarietà, la speranza futura... sono inseparabili dal modo in cui si intende
e si vive Gesù Cristo. «È necessario che il
mistero del Figlio di Dio fatto uomo e il mistero dellaa santissima Trinità, che fanno parte delle verità principali
della rivela zione, illuminino con la purezza della loro verità la vita dei cristiani». 70 La Chiesa è consapevole del fatto che il primo servizio che può e deve prestare a ciascuna
persona, e a tutta l'umanità, consiste nell'annunciare Gesù Cristo, rendere possibile l'incontro con lui e, a
partire da lui, illuminare la vita degli uomini. 71 Per questo, il modo in cui la persona e il mistero di Cristo sono
compresi, vissuti e presentati e tutt'altro che indifferente.72
a) Cristologia e soteriologia
23.
«Nel tempo stabilito da Dio, il Figlio unigenito del Padre (...) si è
incarnato: senza perdere la natura di-vina,
ha assunto la natura umana», 73 di modo che «la nostra debolezza è assunta
dal Verbo, l'uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in
comunione mirabile, condividiamo la tua
vita immortale».74 «L'incarnazione è
quindi il mistero dell'ammirabile unione della natura divina e della
natura umana nell'unica persona del Verbo».
75 Gesù Cristo, persona divina, essendo vero Dio e vero uomo, è l'unico mediatore
tra Dio e gli uomini. 76 Proclamare al mondo che Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente, è morto ed è risuscitato,
«per noi uomini e per la nostra
salvezza», 77 costituisce la buona novella che la Chiesa, fin dalle sue
origini, ha voluto ardentemente annunciare.78 La predicazione apostolica
ha sempre mantenuto unita la verità sulla persona di Cristo - oggetto della
«cristologia» - alla verità sull'azione redentrice - oggetto della «soteriologia».
24. La
riflessione teologica su Gesù Cristo, seguendo gli orientamenti del concilio Vaticano II, 79 si è vista arricchita dagli studi biblici, patristici e storici
che hanno contribuito ad
approfondire, sempre più, il deposito ricevuto dagli apostoli e custodito dal magistero
autentico della Chiesa.
Nulla ha determinato tanto la trasmissione della fede negli ultimi decenni
quanto il modo in cui sono stati presentati la persona e il mistero di Cristo. Nessuno nega che la recente ricerca
su Gesù Cristo, realizzata da prospettive differenti, abbia influito in modo chiaro e decisivo sulla catechesi, sulla
predicazione e sull'insegnamento religioso nelle
scuole.
25. Tuttavia, non sempre sono stati mantenuti
integri gli elementi
essenziali della fede della Chiesa sulla perso-na e sul messaggio di Gesù Cristo.
Fraintendimenti nell'impostazione
metodologica hanno indotto ad alterare la
fede e il linguaggio con cui la fede si esprime. In molte occasioni si è abusato del metodo
storico-critico senza percepirne i
limiti e si è giunti a ritenere che la preesistenza della persona divina di Cristo sia una mera deformazione filosofica del dato biblico. Quando
questo si è verificato,
b) Tutta la vita di Cristo è mistero
26. «Tutta la vita di Cristo è evento di
rivelazione. Ciò che è visibile nella vita terrena di Gesù conduce al suo mistero invisibile. 83 Le parole, i
miracoli, le azioni, l'intera vita di Gesù Cristo è rivelazione della suaa
filiazione divina e della sua missione redentrice. Gli evangelisti, avendo
conosciuto mediante la fede chi è Gesù, hanno indicato in tutta la sua vita
terrena i tratti caratteristici del suo mistero. La rivelazione dei misteri
della vita di Cristo, accolta nella fede, ci apre alla conoscenza di Dio e alla
partecipazione alla sua stessa vita. Nella liturgia, in quanto «esercizio della
missione sacerdotale di Gesù Cristo», 84
27. Constatiamo con dolore come in alcuni
scritti di cristologia non si dimostri tale continuità, dando luo-go a
presentazioni incomplete, quando non deformate, del mistero di Cristo. In
alcune opere cristologiche si avvertono le seguenti mancanze:
1. una
metodologia teologica errata, in quanto si pretende di leggere la sacra
Scrittura a margine della tradizione ecclesiale e con criteri unicamente
storico-critici, senza spiegare i presupposti di tali criteri né indicarne i
limiti;
2. il
sospetto che l'umanità di Gesù Cristo sia minacciata se si afferma la sua
divinita; 88
3. la
rottura tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede», come se quest'ultimo
fosse il risultato di differenti esperienze della figura di Gesù, dagli
apostoli fino ai nostri giorni;
4. la
negazione del carattere reale, storico e trascendente della risurrezione di
Cristo, 89 ridotta a una mera esperienza soggettiva degli apostoli; 90
5.
l'oscuramento di nozioni fondamentali della professione di fede nel mistero di
Cristo quali, tra le altre, la sua preesistenza, la filiazione divina, la
coscienza di sé, della sua morte e della sua missione redentrice, della
risurrezione, dell'ascensione e della glorificazione.
28. Alla radice di queste teorie si trova
spesso una rottura tra la storicità di Gesù e la professione di fede della
Chiesa: si considerano scarsi i dati storici degli evangelisti su Gesù Cristo.
91 Da questa prospettiva, i Vangeli sono studiati esclusivamente come
testimonianza di fede in Gesù, che non direbbero nulla o molto poco su Gesù
stesso e che necessitano pertanto di essere reinterpretati. Inoltre, questa
impostazione prescinde dalla tradizione della Chiesa e la emargina. Questo modo
di procedere porta a conseguenze difficilmente compatibili con la fede, quali:
l.
svuotare di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesù;
2, negare
che nei Vangeli si affermi la preesistenza del Figlio e
3.
considerare che Gesù non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice,
ma come fallimento. Questi errori sono fonte di grave confusione, perché
inducono non pochi cristiani a concludere, equivocando, che gli insegnamenti
della Chiesa su Gesù Cristo non si fondano sulla sacra Scrittura oppuree che
devono essere radicalmente reinterpretati.
29. La comprensione errata dell'umanità di
Cristo, accompagnata da una metodologia teologica discutibile, procede in
parallelo con gli errori sulla vergine Maria. Nel 1978 la Conferenza episcopale
spagnola, mediante la Commissione episcopale per la dottrina della fede,
confutò alcune pubblicazioni che negavano l'insegnamento della Chiesa sul
concepimento virginale di Gesù. 92 Alcune tesi sulla santissima Vergine sono
segno dell'abbandono della dimensione mariana, propria di un'autentica
spiritualità cattolica, e della rottura tra la fede celebrata e la fede
confessata. 93
c) Gesù Cristo, l'unico Salvatore di tutti gli
uomini
30. L'affermazione del carattere unico e
universale della mediazione salvifica di Cristo è parte centrale della buona
novella che la Chiesa proclama ininterrottamente fin dall'epoca apostolica:
«Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata
d'angolo. In nessun
altro c'e salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabi-lito che
possiamo essere salvati» (At 4,11-12). La verità sulla persona di Cristo,
costituito da Dio «giudice dei vivi e dei
morti» (At 10,42), è inseparabile dalla verità sulla sua missione redentrice, di modo che «chiunque
crede in Lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,43). «Deve essere, quindi, fermamente
-creduto come verità di
fede cattolica che la volontà salvifica
universale di Dio uno e trino è offerta e compiùta una volta per sempre nel mistero dell'incarnazione,
morte e risurrezione del Figlio di
Dio». 94 L'assoluta certezza rispetto a questa verità di fede ha motivato i cristiani di ogni tempo ad annunciare, con parole e fatti,
che Gesù Cristo «è il Signore di
tutti» (At 10,36).
32. La
riflessione cristologica deve salvaguardare, argomentare e giustificare, da un lato, il
carattere realmente
storico e concreto dell'incarnazione di Cristo e, dall'altro, il carattere definitivo e pieno della
sua esistenza storica in
relazione alla storia e alla salvezza di tutti gli uomini. Affermare che Gesù Cristo è il verbo di Dio in-carnato significa:
1. che egli è Dio, la verità ultima e definitiva;
2. che egli svela chi è l'uomo, in quanto ci rivela la relazione necessaria e appropriata con Dio; 98 e
3. che egli è la verità assoluta
della storia e della creazione.
Per questo, nell'incontro e nella comunione con
Cristo, l'essere umano può
riconoscere veramente se stesso. Con l'incarnazione non
solo non diminuisce la divinità, ma si
accresce anche l'umanità.
d) Cristologia e catechesi
33.
Cristo si trova al centro della catechesi. Il fine della catechesi è quello di condurre alla
comunione con Gesù Cristo, attraverso un'istruzione organica e completa in cui progressivamente si
arriva a «svelare nella per-sona di
Cristo l'intero disegno di Dio». 99 La
gioia di Gesù, che rende grazie al
Padre per aver «tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli
intelligenti» e averle «rivelate ai piccoli»
(Mt 11,25), si estende a tutti coloro che partecipano alla missione salvifica di trasmettere la fede. Questa
gioia viene inibita quando determinate forme di catechesi, anziché favorire l'incontro con Cristo vivo, lo ritardano o addirittura lo impediscono.
34. Determinate teorie erronee
sul mistero di Cristo, che sono passate dagli
ambiti accademici ad altri più po-polari, alla catechesi e
all'insegnamento scolastico, sono per noi
motivo di tristezza. In tali teorie non si fa riferi-mento alla divinità di Gesù Cristo o la si
considera espressione di un linguaggio poetico privo di contenuto reale,
negando, di conseguenza, la sua preesistenza e la sua filiazione divina. 100 La morte di Gesù viene così spogliata della sua valenza
redentrice e considerata come il risultato
dello scontro con la religione del suo tempo. Cristo è considerato
prevalentemente dal punto di vista dell'etica
e della dinamica di trasformazione della società: secondo questa
prospettiva egli sarebbe semplicemente
l'uomo del popolo che si schiera dalla parte degli oppressi e degli
emarginati al servizio della liberta." 101
35. La conseguenza di tali
ipotesi, contrarie alla fede della Chiesa,
è la dissoluzione del soggetto cristiano. La riflessione, che dovrebbe
contribuire a rendere ragione della speranza (cf. 1Pt 3,15), si allontana dalla
fede ricevuta e celebrata. L'insegnamento
della Chiesa e la vita sacramentale si
considerano distanti dalla volontà di
Cristo, quando non opposte a essa. 102 Il cristianesimo e la Chiesa appaiono come separabili. Secondo gli
scritti di alcuni autori, non era intenzione di Gesù Cristo fondare né la Chiesa né tantomeno una
religione, bensì liberare l'uomo dalla
religione e dai poteri costituiti. Con-sapevoli della gravità di queste
affermazioni e del danno che causano al
popolo fedele e semplice, non possiamo smettere
di ripetere con le parole della Lettera agli Ebrei: «Gesù Cristo
è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi
sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che
non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono» (Eb 13,8-9).
3. LA
CHIESA SACRAMENTO DI CRISTO
36. «'Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»
(Mt 16,18). La confessione di Gesù come
il Figlio del Dio vivente da parte di Pietro
ha preceduto la promessa di Gesù
di edificare la sua Chiesa. La Chiesa vive per professare Gesù Cristo come l'Unto di Dio e confida, per questo, sull'aiuto dello Spirito
Santo. La stessa Chiesa è «colonna e sostegno della verità»
(1Tm 3,15). La verità che
ci rende liberi (cf. Gv 8,32) è un dono
dello Spirito datoci mediante Gesù
Cristo risuscitato ed è intimamente unita alla salvezza (cf. 1Tm
2,4), così che la Chiesa realizza la sua missione annunciando Cristo che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6)
103
a) Cristo e la Chiesa: il «Cristo totale»
37. «
38. «Il Signore Gesù infatti
diede inizio alla sua Chiesa predicando il buon annuncio, cioé la venuta del
regno di Dio promesso da secoli nelle
Scritture». 111 Lo stretto
legame tra il regno di Dio e
39. Il Sinodo straordinario dei vescovi
dell'anno 1985, convocato in
occasione del ventennale dalla chiusura
del concilio Vaticano II, ha messo in evidenza l'importanza della nozione di comunione per com-prendere l'intima natura della Chiesa, così come il
Concilio l'aveva definite. 115 Parlando di comunione si deve tener
conto del fatto che, anzitutto, è un dono di Dio,
con una dimensione orizzontale e verticale, visibile e invisibile. 116 Pertanto, non è
sufficiente intendere la comunione come il risultato dell'esercizio associativo
proprio di raggruppamenti meramente umani.
Il punto di partenza della comunione è
l'incontro dell'uomo con Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che avviene attraverso l'annuncio della Chiesa e dei sacramenti.
117 Se non si tiene conto di
questo, ciò che è proprio e specifico del mistero
della Chiesa resta in ombra.
b) Liturgia e speranza escatologica
40. La
liturgia, in quanto opera di Cristo e azione della sua Chiesa, realizza e manifesta il suo mistero come segno visibile della comunione tra Dio e gli
uomini, introducendo i fedeli nella vita nuova della comunità. 118 Per questo, anche se «non
esaurisce tutta l'azione della Chiesa», 119 la liturgia costituisce il
culmine e la fonte della vita ecclesiale, 120 in cui si fa presente e si professa pubblicamente il mistero della fede.121
La trasmissione della fede, l'annuncio
missionario, il servizio al mondo nella carità, 122 la preghiera cristiana, la speranza rispetto alle realtà future,
tutta la vita della Chiesa hanno nella liturgia la loro fonte e il loro
termine. Alla luce di questi insegnamenti si
comprende il grave danno insito, per il popolo di Dio, negli abusi
relativi alla celebrazione liturgica, specialmente ai sacramenti dell'eucaristia e della penitenza. Come non
manifestare un profondo dolore quando
la disciplina della Chiesa in materia liturgica è vulnerata? 123 «Ognuno
ci con-sideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli
amministratori è che ognuno risulti
fedele» (1 Cor 4,1-2).
41.
«Cos'è la Chiesa, se non l'assemblea dei santi?» 124 «Noi crediamo alla comunione tra tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei
defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali
tutti insieme formano una sola Chiesa». 125 La Chiesa sarà portata alla sua
pienezza alla fine dei tempi (cf. At 3,21),
quando il genere umano, insieme a tutto l'universo, sarà rinnovato (cf.
Ef 1,10; Col 1,20; 2 Pt 3,10-13). 126 La speranza rispetto alla vita del mondo futuro è costitutiva della
condizione del cristiano. Siamo cristiani precisamente per la fede nella
risurrezione di Cristo, 127 principio e causa della nostra stessa risurrezione
(cf. 1Cor 15,2 1). Quando si seminano dubbi
ed errori rispetto alla fede della Chiesa
nella venuta del Signore nella gloria alla fine dei tempi (parusia), rispetto alla risurrezione
della carne, al giudizio particolare e finale, al purgatorio, alla possibilita reale di condanna eterna (inferno) o di
eternal beatitudine (paradiso), 128 si incide negativamente sulla vita
cristiana di tutti coloro che sono ancora pellegrini su questa terra, perché si
resta allora «nell'ignoranza circa quelli
che sono morti» e si cade nella tristezza di quanti non hanno speranza (cf. l Ts 4,13). Il silenzio su queste
verità della nostra fede, nell'ambito della predi-cazione e della catechesi, e
causa di disorientamento tra i fedeli che sperimentano nella propria esistenza
le conseguenze della scissione tra quello
in cui si crede e quello che si celebra.
c) Il ministero ordinato nella Chiesa
42. Il
Signore Gesù ha istituito diversi ministeri per il servizio del suo corpo, la
Chiesa. 129 Secondo la fede ecclesiale, Gesù Cristo ha fondato il ministero della successione apostolica nella vocazione e missione
dei dodici apostoli, trasmesso con la consacrazione sacramentale. 130 Agli apostoli e ai loro successori Cristo ha affidato la funzione
di insegnare, santificare e governare nel suo nome e con la sua autorità.
Presentare, poi, il ministero ordinato come il risultato di vicissitudini storiche
o lotte di potere nell'ambito religioso è contrario alla verità storica e alla fede della Chiesa. 131
43. Constatiamo che alcuni
autori hanno difeso e diffondono concezioni erronee sul ministero ordinato nella Chiesa. Tramite l'applicazione di un metodo
esegetico scorretto, hanno separato
Cristo dalla Chiesa, come se non fosse nella volontà di Gesù Cristo
fondare la sua Chiesa. 132 Una volta rotto il vincolo tra la volontà
di Cristo e
45. La mancanza di chiarezza
rispetto al ministero ordinato nella Chiesa
non è estranea alla crisi vocazio-nale degli ultimi anni. In alcuni casi
sembra addirittura che si voglia provocare
un «deserto vocazionale», così da
produrre dei cambiamenti nella struttura interna della Chiesa. Tuttavia, la
dove, mantenendo la dottrina
cattolica, si offrono ai giovani ambiti per l'incontro personale con
Cristo nella preghiera liturgica e personale,
normalmente sorgono le vocazioni per il sacerdozio ministeriale. È
necessario ricordare le disposizioni magisteriali sull'uomo come unico soggetto
valido dell'ordine sacramentale, perché tale è stata la volontà di Cristo
nell'istituire il sacerdozio. 135 Alcuni
hanno ingiustificatamente sostenuto che questa volontà non consta nella Scrittura, ma ciò non corrisponde
all'interpretazione autentica della parola di Dio scritta e trasmessa. 136 La dottrina sull'ordinazione
sacerdotale riservata agli uomini deve
essere tenuta in modo definitivo, poiché «è stata proposta infallibilmente dal
magistero ordinario e universale». 137 La
comunione vera con il magistero
della Chiesa dispone oggi, su questo punto,
di un criterio certo di verifica.
d) La vita consacrata nella Chiesa
46. La
vita consacrata è un dono del Padre alla Chiesa, il quale, mediante lo Spirito Santo, suscita tra i suoi figli
una sequela speciale di Cristo, in castità, povertà
e obbedienza, testimoniando la speranza del regno dei cieli. 138 Nelle persone consacrate, essendo «nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo
per la sua missione», 139 risplende
in modo singolare la natura intima della vocazione Cristiana 140 e l'aspirazione sponsale della Chiesa verso
l'unione con Gesù Cristo. La vita consacrata
è una forma di sequela et imitatio
Christi, sequela e imitazione della persona del Signore. Perciò, risulta
gravemente compromessa quando si ba-sa su una
cristologia che non corrisponde alla tradizione ecclesiale.
47. Concepire la vita
consacrata come un'«istanza critica»
all'interno della Chiesa presuppone un ridu-zionismo ecclesiologico.
Quando si vive dialetticamente la comunione gerarchica, opponendo la «Chiesa
uf-ficiale o gerarchica» alla «Chiesa popolo di Dio», dal sentire cum Ecclesia si passa, nella prassi, all'agere contra
Ecclesiam. S'invoca allora «il tempo dei profeti», e atteggiamenti di dissenso,
che tanto incrinano la co-munione ecclesiale, si fanno passare per «denunce
profetiche». Le conseguenze di queste
argomentazioni sono disastrose per tutto il popolo cristiano e, in particolare, per i consacrati. Per alcuni questo
riduzionisrno svuota del contenuto
cristiano lo stesso nucleo della consacrazione, i consigli evangelici. 141
e) Il magistero della Chiesa e il fenomeno del dissenso
48.
Gli errori ecclesiologici segnalati si esprimono anche attraverso l'esistenza di gruppi che propagano
e divulgano sistematicamente insegnamenti
contrari al magistero della Chiesa su
questioni di fede e di morale. Approfittano
della facilità con cui determinati mezzi di comunicazione sociale prestano loro attenzione e moltiplicano
le apparizioni in pubblico, le mani-festazioni e i comunicati collettivi e gli
interventi personali dissentono apertamente
dall'in-segnamento del papa e dei vescovi. Allo stesso tempo reclamano
per sé la condizione di cristiani e cattolici, mentre non rappretano che
associazioni prettamente civili. Non si tratta di associazioni molto numerose,
ma la loro ripercussione sui mezzi di
comunicazione è tale che le loro opinioni
si diffondono ampiamente e seminano dubbi e confusione tra le persone semplici. Questo modo di agire rende manifesta
la carenza degli elementi essenziali della
fede cristiana, così come li trasmette la tradione apostolica.
49. Questi gruppi, la cui nota comune è
il dissenso, si sono espressi in interventi pubblici a favore, tra altri temi e questioni etico-morali, delle assoluzioni
collettive e del sacerdozio femminile e hanno travisato il senso vero del
matrimonio proponendo e praticando la «benedizione» delle unioni tra persone omosessuali.
L'esistenza di questi gruppi semina divisioni e disorienta gravemente il popolo dei fedeli, è causa di sofferenza per molti cristiani (sacerdoti, religiosi e
laici) ed è motivo di scandalo e di ulteriore allontanamento per i non credenti.
50. Attraverso queste
manifestazioni si offre una concezione
deformata della Chiesa, secondo la quale esisterebbe un confronto
continuo e inconciliabile tra la «gerarchia» e il «popolo». La gerarchia,
identificata con i vescovi, è presentata con
tratti alquanto negativi: fonte di
«imposizioni», di «condan-ne» e di «esclusioni». Di fronte ad essa, il
«popolo», con cui s'identificano questi gruppi, è presentato con tratti
opposti: «liberato», «plurale» e «aperto». Questo modo di presentare la Chiesa implica l'invito esplicito a «rompere
con la gerarchia» e a «costruire», in pratica, una «Chiesa parallela».
Per questi gruppi, l'attività della Chiesa non consiste principalmente nell'annuncio della persona di Gesù Cristo e nella comunione degli uomini con
Dio, che si realizza mediante la
conversione di vita e la fede nel Redentore, bensì nella liberazione da
strutture oppressive e nella lotta per
l'integrazione di gruppi emarginati, secondo una prospettiva
prevalentemente immanentista.
51. È necessario ricordare,
inoltre, che esiste un dissenso silenzioso che promuove e difende la disaffezione verso
una certa distanza dagli insegnamenti magisteriali. Dietro a
quest'atteggiamento si cela frequentemente
l'idea che
4. LA VITA
IN CRISTO
52.
«Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt
16,24). La scena di Cesarea di
Filippo ci porta dalla professione di fede
di Pietro e dalla promessa di edificare la Chiesa alla sconcertante ed esigente
proposta di sequela di Cristo. Per
condurre una vita autenticamente cristiana ed essere in verità un discepolo di Gesù Cristo non basta
riconoscerlo come Figlio di Dio di
fronte agli uomini nella comunione
della Chiesa. Tale annuncio implica una speciale sequela di Cristo. La morale cristiana, intesa come «vita in Cristo», 143 trova qui il suo permanente punto di verifica. «Cristo, che è il nuovo
Adamo, proprio rivelando il mistero
del Padre e del suo amore svela anche pienamente
l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione».144 In Cristo,
«immagine del Dio invisibile» (Col 1,15),
l'uomo è stato creato «a immagine e somiglianza»
del Creatore. « È in Cristo, redentore e salvatore, che l'immagine divina, deformata nell'uomo dal primo peccato, è stata restaurata nella sua bellezza
originale e nobilitata dalla grazia
di Dio». 145 Di fronte al pericolo, costante nella condizione umana, che
«venga resa vana la croce di Cristo»
(1Gor 1,17), la grazia di Dio, che suscita in noi la sequela, ci rimanda
alla verità di ciò che siamo e di ciò che
siamo chiamati ad essere. La Chiesa
«sa che proprio sulla strada della vita morale è aperta a tutti la via
della salvezza». 146
53. Attualmente, una delle
grandi sfide dell'evangelizzazione riguarda
l'ambito morale. Si tratta di una si-tuazione difficile che proviene da
un contesto culturale che si dichiara postcristiano e si propone di vivere
«come se Dio non esistesse». Oltre all'ateismo teorico e all'agnosticismo
sistematico, si diffondono oggi l'ateismo e l'agnosticismo pratici, secondo i
quali Dio non sarebbe rilevante per la
ragione, la linea di condotta e la felicità umane. 147 In questa
situazione l'uomo si mette a misurare la sua
vita e le sue azioni in relazione a se stesso, alla vita sociale e al
loro grado di compatibilità con il mondo, per soddisfare le sue necessità e i
suoi desideri. La sfera del trascendente cessa di essere significativa nella vita sociale e personale quotidiana, per
essere relegata alla coscienza individuale come un fattore meramente soggettivo. Il risultato è un radicale relativismo, 148 secondo il quale qualunque opinione sui temi della
morale sarebbe ugualmente valida. Ognuno possiede
«le sue verità» e tutt'al piu, nell'ambito dell'etica, si può aspirare a
dei «minimi condivisi», la cui validità non
potrà andare oltre il presente e nel quadro di determinate circostanze.
La radice più profonda della crisi morale
che colpisce gravemente molti cristiani è la frattura esistente tra fede
e vita: 149 un fenomeno annoverato dal
concilio Vaticano Il «tra i più gravi errori del nostro tempo». 150
Restituire ai cristiani quelle convinzioni
e quelle certezze che permettano loro di «non avere paura», nella comprensione che «questa è la vittoria che ha
sconfitto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4), è un autentico e imperativo
servizio ecclesiale per l'evangelizzazione.
a) Cristo, norma della morale
54.
Cristo, il Signore, è la norma di vita suprema e immutabile per i cristiani. Gesù Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, ci fa conoscere
«la condizione dell'uomo e la sua
vocazione integrale». 131 Chi crede in Cristo ha la vita nuova nello
Spirito Santo ed è reso figlio di Dio. In virtù di questa adozione filiale, la persona umana è trasformata ricevendo una
capacità nuova. È così in grado di
seguire la vita di Cristo, di operare
rettamente e di fare il bene. Il discepolo di Cristo, unito al Salvatore e
mosso dallo Spirito Santo è capace
di conseguire la perfezione della carità, la santità, che rappresenta la vocazione ultima di ogni persona umana.152 «Benedetto sia Dio, Padre del Si-gnore nostro Gesù Cristo... ci ha scelti prima della creazione del
mondo, per essere santi e immacolati al suo
cospetto nella carità» (Ef 1,3.4).
55. Cristo è «il punto di
riferimento indispensabile e definitivo per acquisire una conoscenza integrale
dell'uomo».153 Ed è inoltre il fondamento di un agire morale integrale, in cui non vi è dicotomia tra fede
e ragione. Se Cristo è la norma dell'agire morale, 154 la fondatezza della morale deve procedere dalla rivelazione e dal magistero della Chiesa, il cui ambito si
estende al comportamento umano senza
entrare in conflitto con la giusta
ragione.155 Se si porta avanti l'idea
che nella rivelazione troviamo soltanto princìpi generici sull'agi-re umano, 156 senza tener conto che la sacra
Scrittura e la tradizione dimostrano
il contrario 157- come
nel caso della cosiddetta «autonomia teonoma» -,158 l'insegnamento morale ne risente gravemente.
«La sacra Scrittura, infatti, rimane la sorgente viva e feconda della dottrina morale della Chiesa - come ha
ricordato il concilio Vaticano II "Il
Vangelo [è]... fonte di ogni verità salutare e di ogni regola
morale"».159
b) La
dignità della persona umana
56. La
dignità della persona umana deriva dal fatto di esser stata creata a immagine e somiglianza di Dio. «Dotata di un'anima spirituale e immortale,
d'intelligenza e di libera volontà la persona umana è ordinata a Dio e chiamata, con la sua anima e il suo corpo,
alla beatitudine eterna».160 In ogni
uomo esiste un desiderio innato di felicità, che
Dio desidera colmare in modo
sovrabbondante, dal momento che chiama l'uomo a partecipare, mediante Cristo,
alla stessa beatitudine divina:
«Cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro
che lo amano» (1 Cor 2,9). L'uomo consegue il suo fine ultimo in virtù della grazia di
Cristo, «dono gratuito che Dio ci dà per renderci partecipi della sua vita trinitaria e capaci di agire per amor
suo». 161 Affrontare la vita
«come se Dio non esistesse», pretendere di ignorare Dio o, ancora peggio,
negarlo esplicitamente, è il principio
dell'infelicità umana. Per questa rag-ione
57. La
grazia di Cristo non annulla l'ordine creato, ma risponde alle profonde aspirazioni della libertà umana, nel prevenire, preparare e suscitare la
libera risposta dell'uomo. 163 La realizzazione della dignità dell'uomo
impone che si rispetti l'ordine essenziale della natura umana creata da Dio, che trascende le vicissitudini storiche e culturali. Quest'ordine della natura
umana si esprime nella legge naturale, che l'uomo può conoscere, benché la legge sia previa alla sua
conoscenza. 164 «La legge
morale naturale esprime e prescrive le finalità,
i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona umana. Pertanto essa non può
essere concepita come normatività semplicemente
biologica, ma deve essere definita come l'ordine razionale secondo il
quale l'uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e regolare la sua vita e i suoi
atti e, in particolare, a usare e disporre
del proprio cor-
po», 165
58. La
conoscenza della legge naturale presuppone che questa sia inscritta nel più profondo
dell'essere umano
e che possa essere percepita, almeno in una certa misura, per mezzo della sola
ragione, al di fuori della rivelazione di Cristo. 166 Il giudizio della coscienza non stabilisce la legge, bensì afferma la
sua autorità percependola come norma oggettiva e immutabile, e incoraggia l'uomo a fare il bene e a evitare il male. 167 «La coscienza,
dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo;
invece, in essa è inscritto
profondamente un principio di obbedienza
nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i
comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano». 168 In questo senso, il magistero ha segnalato le lacune e le carenze di alcune teorie morali come
l'«opzione fondamentale», 169 il
«proporzionalismo e consequenzialismo»
170 o la cosiddetta «morale
delle virtù». 171 È necessario ricordare inoltre che, affinché la persona agisca conformemente alla sua dignità, la coscienza
deve essere retta e aperta alla
verità, 172 vale a dire che deve essere «in accordo con ciò che è giusto e buono
secondo la ragione e la legge
divina». 173
59.
L'attuale condizione storica della persona umana è segnata dal peccato. A causa del peccato
originale, tutti gli uomini nascono privi della santità e della giustizia, originali. Benché la loro natura non sia
totalmente corrotta per effetto del peccato
originale, si trova, tuttavia,
«ferita nelle sue forze naturali, e sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, ed è incline al peccato». 174 Per
questa ragione, non tutte le inclinazioni che
l'uomo sperimenta sono buone. 175 L'uomo
ha così bisogno dell'aiuto di Dio persino per conoscere e realizzare molte cose buone che sono insite nelle potenzialità della natura. Anche per
questo risulta assolutamente
necessaria l'azione dello Spirito Santo
e una formazione morale sostenuta dalla parola di Dio e dagli insegnamenti
della Chiesa, per acquisire una retta
coscienza. Quando si presenta in maniera ambigua la dottrina della Chiesa sul peccato originale, o si tace e si nega la gravità del peccato, le
conseguenze per la formazione della
coscienza sono molto nega-tive, mentre
appare confuso il cammino che porta alla felicità autentica.
60.
Tuttavia, il peccato non è la parola definitiva sulla condizione umana.
solo è il redentore di tutti gli uomini, ma anche
di ogni uorno. l76 La sua predicazione e i suoi sacramenti, custoditi nella Chiesa «fino al suo
ritorno», permettono all'uomo di
svolgere una vita morale autentica.
c) Morale della sessualità e della vita
61.
Conseguenza immediata della dignità umana rivelata in Cristo è la dignità intangibile della
sessua-lità. 177 In un contesto contrassegnato da un esasperato pansessualismo, il vero significato della sessualità
umana risulta
molte volte distorto, controverso e contestato, quando non pervertito. 178 È necessario che superiamo la tentazione di risolvere «i vecchi e nuovi
problemi con risposte che sono più
conformi alla sensibilità e alle
esperienze del mondo che al "pensiero di Cristo" (cf 1 Cor 2,16)». 179 La sessualità è inscritta nell'essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, uomo e donna, e deve
essere intesa nella prospettiva della vocazione della persona all'amore. 180 Così, mediante la virtù della castità, si
consegue l'integrazione della sessualità nella persona. 181
62. La dignità della vita umana esige che la sua trasmissione avvenga nell'ambito dell'amore coniugale. Pertanto,
quei metodi che pretendono di sostituire, e non semplicemente di aiutare
l'azione dei coniugi nella procreazione, non sono ammissibili. 182 Se si separa
la finalità unitiva da quella procreativa, si falsa l'imma-gine dell'essere umano, dotato di anima e corpo, e
si degradano gli atti del vero amore,
capace di esprimere la carità coniugale che unisce gli sposi. La
conseguenza è che una regolazione moralmente
corretta della natalità non può
ricorrere a metodi contraccettivi.
183
63.
Alla luce di questi princìpi sulla sessualità si comprende il motivo per cui
64. Non possiamo dimenticare
neppure che la vita umana ha inizio con il
concepimento e ha fine con la morte
naturale. L'aborto e l'eutanasia sono azioni gra-vemente disordinate, lesive della dignità umana e contrarie agli
insegnamenti di Cristo, 188 La Chiesa è con-sapevole
del fatto che tali questioni debbano essere spiegate alla comunità
cristiana, assediata costantemente dalla
mentalità edonista propria della cultura della morte. Non possiamo
neanche mettere in dubbio che, fin dal
momento della fecondazione, esista vera e autentica vita umana, distinta da quella dei genitori; 189 per cui
interrompere lo sviluppo naturale costituisce un gravissimo attentato contro la
vita stessa. 190 «L'amore di Dio non fa differenza tra l'essere appena
concepito, ancora nel seno materno, e il
bambino o il giovane o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza,
perché in ciascuno di loro vede l'impronta della sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,26)». 191 È
contrario all'insegnamento della Chiesa
sostenere che fino all'annidamento dell'ovulo fecondato non si possa
parlare di «vita umana», stabilendo
così una rottura nell'ordine della dignità umana tra l'embrione e quello che si
definisce, erroneamente, «pre-embrione». 192 In modo analogo, nessuno ha la
potestà di eliminare una vita innocente, neppure quando si trova allo stadio
terminale. 193 Dobbiamo ricordare ai fedeli che è lecito, anzi giusto, evitare
«certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato,
perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché
troppo gravosi per lui e per la sua famiglia», 194 nonostante tutto questo supponga che si abbrevi la sua speranza
di vita. Ben diverso è però realizzare inter-venti
con la diretta intenzione di eliminare la vita della persona malata o anziana.195
d) Morale sociale
65. In questo momento storico
è particolarmente importante che i fedeli
cattolici ricordino la loro re-sponsabilità nell'attività pubblica e
politica. L'imperante mentalità laicista
tende a relegare le convinzioni religiose nella coscienza individuale e a
impedire che si manifestino e che abbiano ripercussioni pubbliche. È
facile che si accettino di buon grado le opere di tipo assistenziale e umanitario dei cristiani, ma che si
respinga qualsiasi altra manifestazione della loro fede, compresa la
difesa dei valori umani più elementari, come il diritto alla vita dal suo
concepimento fino alla sua morte naturale. Chiedere che il cattolico parli e
agisca nella vita pubblica in modo conforme alle sue convinzioni non significa voler imporre la fede né la pratica
religiosa agli altri.. Contribuiamo al bene di tutti apportando il meglio che abbiamo: la fede in Gesu Cristo
salvatore, che non contraddice la ragione umana, ma la eleva a una
migliore comprensione del bene comune e della natura
della società. 196 Coloro che rivendicano la loro condizione di
cristiani operando nell'ordine politico e sociale con proposte che
contraddicono espressamente l'insegnamento evangelico, custodito e trasmesso
dalla Chiesa, sono causa grave di scandalo e
si collocano fuori dalla comunione
ecclesiale. 197
66. I
fedeli debbono difendere e sostenere quelle formazioni o associazioni politiche che promuovono la dignità della
persona umana e della famiglia. Qualora non
si possa eliminare una legge negativa su queste materie, il fedele
cattolico deve operare al fine di minimizzare
i guasti che tale legge provoca.198 Su
questioni più contingenti è
possibile un certo pluralismo di opzioni per i cattolici. Tuttavia,
quando è in gioco la dignità della persona umana - come oggi spesso succede - il
cattolico deve offrire la testimonianza reale della sua fede manifestando un
inequivocabile rifiuto di tutto ciò che offende la dignità dell'essere umano.
Anche le opere di carattere
assistenziale promosse da cattolici, animati
da spirito di carità, devono presentare un profilo specifico in cui Dio e Cristo non possono restare a margine, poiché i cristiani sanno che la radice
di ogni dolore è l'allontanamento da Dio. 199
CONCLUSIONE
67.
«Voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Riconoscere Gesù Cristo come Figlio del
Dio vivente è il principio di una teologia profonda al servizio del popolo di Dio. Quando si offusca la verità sulla persona di
Cristo e sulla sua missione, la vita
cristiana inesorabilmente s'impoverisce. La teologia non può più essere
definita cattolica, se non pone al
centro del suo impegno nel comprendere
la fede (intellectus fidei) la
professione di fede di Pietro a
Cesarea di Filippo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (NIt 16,16).
68. Nel rivedere sommariamente
alcuni degli insegnamenti errati piu diffusi nella nostra società, abbiamo
voluto dimostrare lo stretto legame che esiste tra teologia e vita cristiana. «Noi non intendiamo far da padroni
sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete gia saldi» (2Cor
1,24). Le opinioni erronee, che abbiamo esaminato, hanno avuto serie e gravi
conseguenze nella vita della Chiesa. Dobbiamo constatare che in molte delle nostre famiglie si è interrotta la trasmissione
della fede. Le convinzioni di fede di
genitori, educatori e catechisti sono
state scosse da proposte teologiche equivoche, ambigue e dannose che hanno indebolito la
loro fede e hanno così precluso la trasmissione gioiosa del
Vangelo. Accogliere pienamente Gesù Cristo
nella comunione della Chiesa è all'origine
della gioia cristiana: « Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la
vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).
69. La
teologia nasce dalla fede ed è chiamata a interpretarla mantenendo il suo
legame irrinunciabile con la
comunità ecclesiale. La Chiesa ha bisogno della teologia, come la teologia ha bisogno del suo legame ecclesiale.
«Nello svolgimento della missione di annunciare il Vangelo della speranza, la
Chiesa in Europa apprezza con gratitudine la vocazione dei teologi, valorizza e promuove il loro lavoro». 200 Dopo aver celebrato l'anno dell'Eucaristia -
mistero di comunione in cui la sapienza di
Dio si apre a chi lo adora - invochiamo la protezione di Maria immacolata su coloro che hanno ricevuto il ministero
ecclesiale di approfondire la fede, contribuendo alla sua trasmissione fedele nell'ambito della teologia, affinché
la loro opera edifichi il popolo di
Dio, pronti a rispondere della nostra speranza a chiunque ce ne domanda ragione
(cf. 1 Pt 3,15), e la gioia di Cristo raggiunga in tutti noi la sua
pienezza (cf. Gv 15,11).
1 2