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Teologia

 

Teologia

 

Letteralmente il termine significa «sto­dio di Dio,. (dal greco Theos, Dio, e logos, studia). Questo termine era già noto ai fi­losofi greci (Platone, Aristotele, gli Stoici), che lo usavano per indicare lo studio delle Idee, della Sostanza prima, del Logos. Esso venne ripreso dagli scrittori cristiani per de­nominare quella scienza che studia Dio e tutto ciò che ha qualche rapporto con Lui, soprattutto però come Egli si è compiaciuto di manifestarsi alla umanità nel corso dei se­coli e conclusivamente in Gesù Cristo, suo Figlio Unigenito. Secondo la celebre defini­zione di S. Anselmo la teologia è «fides quaerens intellectum»: è la fede che cerca di ottenere una migliore comprensione di se stessa.

Quando S. Tommaso scrive le sue Summae non era trascorso neppure un secolo dal momen­to in cui la Teologia si era costituita come disciplina autonoma: come uno studio delle verità del­la fede, distinto dal commento della S. Scrit­tura (lectio de sacra pagina). E’ quindi natu­rale che la questione dello statuto epistemo­logico di questa nuova scienza fosse ancora dibattuta: c'era chi negava che la teologia meritas­se il nome di scienza; altri sostenevano che tutt'al più poteva dirsi una scienza pratica, ma non speculativa. Va a S. Tommaso il merito di avere risolto definitivamente la questione dello statuto epistemologico della teologia asse­gnandole un oggetto, dei principi e un meto­do che la distinguono da qualsiasi altra for­ma di sapere.

Se e quale tipo dì scienza sia la teologia l’Ange­lico lo spiega in modo egregio ed esaustivo nella prima questione della Prima Pars della Summa. Ma alcuni aspetti importanti del problema sono presi in esame anche in altri scritti, in particolare: nel Commento alle Sentenze (I Sent., Prol. aa. 1-5); nel Com­mento al De Trinitate di Boezio (q. 2, aa. 1‑3); nella Summa contro Gentile (I, cc. 3‑8); nel Quodilibet, IV (q. 9. a. 3); nel De Potentia (q. 9, a. 5).

 

1. LA PAROLA “TEOLOGIA”

 

L'espressione che S. Tommaso usa più comune­mente per denominare la scienza teologica è sacra doctrina. Significativamente il titolo che egli dà alla prima questione della Pars Prima è: De sacra doctrina, qualis sit et ad quae se extendat (la dottrina sacra: quale es­sa sia e a quali cose si estenda). La parola teologia la usa raramente e se presa da sola si riferisce alla teologia dei filosofi. Per S. Tommaso, con­formemente all'etimologia («discorso tenuto su Dio»), theologia resta una parola generi­ca, che non può essere specificata che dal contesto. Egli la usa come Aristotele per evocare «i poeti teologi» che, prima di So­crate, hanno parlato dell'origine e della co­stituzione del mondo (cfr. I Met., lect. 4). Ancora con Aristotele egli chiama teologia la filo­sofia prima o metafisica: è la theologia philo­sophica del Commento al De Trinitate (q. 5, a. 4), alla quale egli contrappone quella di cui noi qui trattiamo, che egli chiama di vol­ta in volta «theologia quae in sacra Scriptura traditur», «Theologia sacrae Scripturae», «scientia divina quae est per inspirationem divinam acceptam» (ibid., ad 3).

 

2. LEGITTIMITA’ E NECESSITA’ DELLA TEOLOGIA

 

Prima ancora di stabilire se e come la teologia si possa dire scienza, S. Tommaso si preoccupa di provare che lo studio «scientifico» della Pa­rola di Dio non è soltanto legittimo ma an­che doveroso. A prova di questa tesi adduce vari argomenti:

 

1) il cristiano deve rispondere a quelli che gli chiedono ragione della speranza che è in lui (I Pt 3, 15); egli deve saper confutare gli avversari della sua fede (Tt 1, 9). Ora, ciò non si fa senza scrutare le cose servendosi di argomenti (In De Trin., Proem., q. 2, a. 1). È quanto hanno fatto i santi Padri per tutti i grandi misteri del cristianesimo. S. Tommaso cita come esempio la teologia trinitaria: «Che vi siano più Persone in Dio è una di quelle verità che appartengono alla fede e che la ragione na­turale non può scoprire né cogliere piena­mente. È soltanto nella patria che noi speriamo di coglierla, quando, succedendo la visione alla fede, Dio sarà contemplato sen­za intermediari. E tuttavia i santi Padri, sol­lecitati dagli attacchi degli avversari della fe­de, si sono visti costretti a sottometterla a una certa ricerca (de hoc disserere), come hanno fatto per gli altri punti della fede, ma con rispetto e modestia e senza pretendere di coglierli pienamente» (De Pot., q. 9, a. 5).

 

2) La verità rivelata è un dono fatto alla ra­gione umana, a cui è connaturale il desiderio di conseguire piena conoscenza degli oggetti (verità) che le sono resi manifesti, e in parti­colare la conoscenza di Dio, che è ciò che rende l'uomo massimamente felice. «Poiché la perfezione dell'uomo risiede nell'unione con Dio, bisogna che l’uomo si serva di tutte le risorse che sono in lui per tentare di av­vicinarsi tanto quanto è possibile alle cose di Dio per applicare la sua intelligenza alla contemplazione e la sua ragione all'appro­fondimento della verità. “Il mio bene è stare vicino a Dio" (Ps. 72, 27). Ed è per questo che Aristotele nell'Etica (1177b. 31‑34) esclude l'opinione secondo la quale l'uomo non deve occuparsi delle cose di Dio, ma so­lo di quelle dell’uomo” (In De Trin., Proem., q. 2, a. 1). S. Tommaso osserva che «quan­do la volontà è ben disposta in rapporto alla fede, ama la verità che è oggetto di fede, vi ritorna senza posa nel suo pensiero (super ea excogitat) e abbraccia tutte le ragioni che si possono trovare a suo favore» (II‑II, q. 2, a. 10). L'Angelico evoca anche “la grande gioia che si prova nel poter gettare un sem­plice sguardo (aliquid posse inspicere) su realtà così elevate, per quanto in modo tan­to debole e povero» (C. G., I, c. 8, n. 49).

 

3) Lo spessore di intelligibilità che possiede il testo sacro, uno spessore che sollecita la ragione alla ricerca. Per gli articoli di fede, come per qualsiasi enunciato, vi è sempre qualche elemento concomitante aliquid concomitans), sia di verità presupposte dal­l'enunciato in questione (ea quae paece­dunt) sia di verità che ne seguono (ea quae consequuntur),e quindi un articolo di fede si presta a essere spiegato ed esplicitato (ex­plicari et dividi). E in questo modo, dichiara S. Tommaso, che grazie agli sforzi dei Padri della Chiesa, la fede è stata esplicitata e illustrata (III Sent., d. 25, q. 2, a. 2, qc, 1, ad 5).

 

4) La necessità di dare un ordine alle stesse verità rivelate da Dio, che nella S. Scrittura si trovano in ordine sparso (II‑II, q. 1, a. 99).

 

3. SCIENTIFICITA’ DELLA TEOLOGIA

 

Per capire che cosa intende S. Tommaso quando dice che la teologia è una scienza, occorre tenere presenti due cose: a) che la scienza è il modo di conoscere proprio dell’uomo, un conosce­re per ragionamento e non per intuizione. Mentre gli angeli intuiscono la verità con l'intelletto, l'uomo raggiunge la verità ragio­nando e ragionare significa ricercare, inqui­sire, ricavare, dedurre. Così nell'uomo la scienza è «virtus intellectualis... quae proce­dit inquisendo ex principiis in conclusioni­bus» (III Sent., d. 34, q. I, a. 2). Perciò quella della scienza non è una verità intuita ma ragionata, dedotta: in altre parole è una verità acquisita mediante il ragionamento. b) che la scienza, per S. Tommaso come per il suo maestro Aristotele, ha carattere essenzial­mente deduttivo: è la conoscenza di una co­sa attraverso le sue cause: «Scientia est rei cognitio per propriam causam» (C. G., 1, c. 94). Nella scienza si ottiene la verità di una cosa facendo luce sulle sue cause, sui suoi princìpi. Perché si possa avere scienza intor­no a qualche oggetto deve esserci un gruppo di principi (assiomi, postulati) che consenta­no di fare dei ragionamenti (deduzioni) a proposito di tale oggetto. Ecco perché S. Tommaso afferma che la scienza esige tre elementi: un oggetto, una serie di princìpi e la spiegazio­ne: «Nelle dimostrazioni ci sono tre cose. Una è ciò che viene dimostrato (spiegato) ossia la conclusione (...). La seconda sono le dignità (princìpi) da cui procede la dimostra­zione. La terza è l'oggetto (subiectum) del quale la dimostrazione mette in luce le pro­prietà e gli accidenti propri» (I Anal., lect., 15, n. 129).

Fatte queste precisazioni si può seguire agevolmente il discorso di S. Tommaso sulla scienti­ficità della teologia: sul suo oggetto, i suoi princìpi, le sue proprietà, il suo metodo, le sue fonti.

 

4. OGGETTO FORMALE DELLA TEOLOGIA

 

La prima cosa da fare quando si reclama un posto per una determinata scienza è mo­strare che esiste un oggetto di ricerca che non è già ricoperto da altre scienze. E’ quan­to fa S. Tommaso per la teologia. Egli fa vedere che il suo oggetto, Dio e le creature, non coincide con quello della teologia dei filosofi, i quali pure stu­diano sia Dio sia le creature. Infatti mentre la filosofia tratta di Dio e delle creature av­valendosi esclusivamente della luce della ra­gione, la teologia considera Dio e le creature av­valendosi anzitutto e soprattutto della luce della divina Rivelazione. Ora, «la diversità di princìpi o di punti di vista causa la diversi­tà delle scienze (diversa ratio cognoscibilis diversitatem scientiarum inducit). Una stessa conclusione scientifica, può dimostrarla sia un astronomo che un fisico, per es., la ro­tondità della terra; ma l'astronomo parte da criteri matematici, cioè fa astrazione dalle qualità della materia; il fisico invece la di­mostra mediante la concretezza stessa della materia. Quindi niente impedisce che delle stesse cose delle quali tratta la filosofia con la luce della ragione naturale, tratti anche un'altra scienza che proceda alla luce della rivelazione. Perciò la Teologia che fa parte della sacra dottrina differisce secondo il ge­nere dalla teologia che rientra nelle discipli­ne filosofiche» (I, q. 1, a. 1, ad 2). Pertanto, diverse sono le considerazioni del filosofo e del teologo intorno a Dio e alle creature. «Il filosofo studia quello che conviene alle crea­ture secondo la loro natura, come nel fuoco studia la tendenza a salire verso l'alto, men­tre il teologo studia nelle creature soltanto quello che loro conviene per rapporto a Dio, come l'essere create da Dio, l'essere a lui soggette e simili aspetti (...) E se alcune considerazioni delle creature sono comuni al filosofo e al teologo, tuttavia esse partono da princìpi diversi, perché il filosofo trae gli argomenti dalle cause proprie delle cose, mentre il teologo li trae dalla Causa prima, cioè o perché Dio ha così insegnato, o per­ché torna alla gloria di Dio o perché la po­tenza di Dio è infinita, (C. G., II, e. 4).

La Teologia abbraccia un'infinità di oggetti: tut­to il mondo divino, umano c cosmico; tutta­via non è una scienza frammentaria ma for­temente unitaria: c questo non solo grazie all'unità dell'oggetto formale (la luce della rivelazione), ma anche grazie all'unità del­l'oggetto materiale: in quanto tutto è visto con riferimento a Dio. «La sacra dottrina non si occupa di Dio e delle creature allo stesso modo; ma dì Dio principalmente, del­le creature invece in quanto si riferiscono a Dio, come principio o fine loro» (1, q. 1, a. 3, ad 1). «Nella sacra dottrina tutto viene trattato sotto il punto di vista di Dio (sub ratione Dei); o perché è Dio stesso o perché dice ordine a lui come a princìpio e fine. È chiaro dunque che Dio è il soggetto (ogget­to) della sacra dottrina„ (I, q. 1, a. 7). «An­che se gli articoli della fede sono molti, alcu­ni dei quali si riferiscono alla divinità, altri alla natura umana che il Figlio di Dio assun­se in unità di persona, altri agli effetti della divinità; tuttavia il fondamento di tutta la fe­de è la stessa prima verità sulla divinità, giacché in ragione di essa tutto il resto è con­tenuto nella fede, in quanto in qualche mo­do si riconduce a Dio» (Expos. I Decr., 1).

 

5. LA TEOLOGIA SCIENZA SUBALTERNA

 

S. T.ommaso distingue le scienze in architettoni­che e subalterne. Le prime non dipendono da nessun'altra scienza, ma piuttosto stanno a capo di un gruppo di scienze, in quanto procedono da princìpi primi che sono loro noti immediatamente. Invece le seconde si basano su princìpi che devono mutuare da scienze superiori. «Vi è un doppio genere di scienze. Alcune dì esse procedono da princì­pi noti per naturale lume d'intelletto come l'aritmetica e la geometria; altre procedono da princìpi conosciuti alla luce di una scienza superiore: per es. la prospettiva si basa sui princìpi della geometria e la musica sui prin­cìpi dell'aritmetica. E in tal maniera la sacra dottrina è scienza, in quanto poggia sui prin­cìpi conosciuti per lume di una scienza supe­riore, cioè della scienza di Dio e dei beati. Quindi come la musica ammette i princìpi che le fornisce la matematica, così la sacra dottrina accetta i principi rivelati da Dio”. (I, q. 1, a. 2). Siccome deriva i suoi princìpi da una scienza superiore, la teologia non è una scien­za architettonica bensì subalterna: la sua guida è la sapienza divina, ed è in effetti una partecipazione di essa. «La sacra dottrina non mutua i suoi principi da nessuna scienza umana, ma dalla scienza divina, dalla quale, come da somma sapienza, è regolata ogni nostra cognizione» (I, q. 1, a. 6 e ad 1).

Il fatto di essere una scienza subalterna non svilisce il valore della teologia ma piuttosto l'accresce, visto che la scienza da cui essa di­pende è la scienza di Dio e dei beati». Così, secondo S. Tommaso, la teologia che procede dalla Rive­lazione deve essere considerata come più elevata della teologia filosofica. Essa passa infatti da ciò che noi riteniamo mediante la fede, aderendo alla Verità Prima, ad altre cose, come da altrettanti princìpi ad altrettante conclusioni, essendo i princìpi ciò che noi te­niamo per fede (gli articoli di fede), e le con­clusioni, le verità che ne deduciamo. A que­sto proposito l'Aquinate ama ripetere che la «sacra dottrina» è un'imitazione e come un'impronta in noi della scienza di Dio stesso: come questa, che nelle sua unità e semplicìtà abbraccia tutte le cose, essa possiede una unità superiore che le permette di trat­tare di cose molto diverse (I, q. 1, a. 3, ad 2); come questa, inoltre, essa considera le creature, per così dire, dall'alto, a partire da Dio, nella luce di Dio, in seguito a una con­siderazione diretta di Dio (In De Trin, Proem., q. 2, a. 2; C. G., II, c. 4).

Avvalendosi del procedimento scientifi­co, che consiste nell'argomentare nuove ve­rità assumendo determinati princìpi, il teo­logo pur procedendo da princìpi accolti per fede e pertanto inevidenti, tuttavia, con l’ar­gomentazione teologica, raggiunge nuove verità che possono vantare la stessa certezza dei principi. Questa convinzione fa dire a S. Tommaso che la teologia non rende evidenti le cose che crediamo. si serve tuttavia di queste per ren­dere evidenti (facit apparere) altre cose, e ciò con lo stesso tipo di certezza nei due ca­si» (per modum quo de primis certitudo ha­betur) (In De Trin., Proem., q. 2, a. 2, ad 6). Sulla stessa linea, egli non esita a scrivere commentando Dionigi: «Niente di ciò che può essere tratto (qaaecumqe elici possunt) da ciò che è contenuto nella Scrittura è un corpo estraneo (non sunt aliena) nella dottri­na di cui trattiamo, anche se non è allo stes­so modo contenuto nella Scrittura» (In Div,. Nom., c. 1, lect. l). Si può dunque legitti­mamente concludere che «il credente possiede la scienza di ciò che è concluso a parti­re dalla fede» (De Ver., q. 14, a. 9, ad 3). Così S. Tommaso ammette che la pratica della teologia pur non dando l’habitus dei princìpi (poiché i suoi princìpi sono accolti per fede), fa acqui­sire l’habitus di ciò che si deduce da questi princìpi e di ciò che serve a difenderli (I Sent., Prol. 3, qc. 3, ad 3).

Per precisare l'ambito esatto dell'inter­vento della ragione nei misteri delle fede, S. Tommaso distingue tra l’esistenza delle verità di fe­de (an ita sit) e il loro significato (quomodo sit). Dell'esistenza la ragione non può forni­re altro argomento che l'autorità della S. Scrittura: per es. se si discute con i giudei oc­corre addurre l'autorità dell’Antico Testamento, mentre se si discute con i manichei che negano l’Antico Testamento bisogna invocare soltanto l'autorità del Nuovo Testamento. Invece quando si cerca di approfondire il significato delle verità rivelate, allora biso­gna basarsi su ragioni che vanno alla radice della verità (oportet rationibus inniti investi­gantibus veritatis radicem) «perché se il pro­fessore si accontenta di risolvere la questio­ne ricorrendo semplicemente all'autorità, rassicurerà l’uditore sulla esistenza di tale verità, ma non gli farà acquistare né scienza né intelligenza della medesima, e lo mande­rà via a mani vuote». (Quod., I V, y. 9, a. 3).

 

6. FONTI DELLA TEOLOGIA

 

S. Tommaso non si stanca mai di ripetere che fonte primaria della teologia, è la S. Scrittura. può essere diversamente, perché, come s'è visto, il teologo deriva i princìpi, le verità fondamentali della sua riflessione, dalla Ri­velazione, ossia dalla S. Scrittura. Avere co­me fonte primaria la S. Scrittura appartiene alla logica interna della Teologia. Pertanto la S. Scrittura non è soltanto l’unico libro di testo del teologo, ma è anche la sua sola auc­toritas, movendo dalla quale può argomen­tare proprie ex necessitate (I q. 1, a. 8, ad 2). Nessun'altra autorità, a cui può certa­mente rivolgersi, gli può fornire una garan­zia altrettanto sicura. Perciò il teologo deve attenersi saldamente e strettamente a quan­to trova scritto nel testo sacro: «De Deo di­cere non debemus quod in Scriptura non invenitur, vel per verba vel per sensum”(I, q. 36, a.2, ad 1).  «Non est affirmandum aliquid de divinis, quod auctoritate Scripturae sacrae non est expressum» (I, q. 39, 'a. 2, ob. 2). Perciò per S. Tommaso la regola aurea a cui si deve attenere il teologo è la seguente: «Prima di tutto bisogna ritenere incrollabilmente la ve­rità della Scrittura» (primo quidem, veritas Scripturae inconcusse teneatur) (I, q. 68, a. 1 ).

Affermando il primato assoluto della fonte biblica, S. Tommaso non intende affatto escludere l'importanza delle altre fonti, che anzi egli riconosce apertamente. Dopo la Scrittura al primo posto viene la Tradizione; segue il Magistero ecclesiastico (i Concili); quindi viene l'insegnamento dei Padri della Chiesa e infine, come autorità estranea, l'o­pinione dei filosofi. Sul valore delle singole autorità ecco quanto scrive l'Angelico nella Summa: «Dell'autorità dei filosofi la sacra dottrina fa uso come di argomenti estranei e probabili; mentre delle autorità della Scrit­tura canonica si serve come di argomenti propri e rigorosi. Delle sentenze poi dei Dottori della Chiesa essa si serve quasi come di argomenti propri, ma di un valore solo probabile; perché la nostra fede poggia sulla rivelazione fatta agli Apostoli e ai Profeti, i quali hanno scritto i libri canonici, non già su qualche altra rivelazione, ammesso che esista, fatta a qualche dottore privato» (I, q. 1, a. 8, ad 2).

 

7. IL RICORSO ALLA FILOSOFIA

 

La legittimità del ricorso alla filosofia nel lavoro teologico è apertamente ricono­sciuta e proclamata dall'Angelico in tulle le sue opere. Si tratta d'altronde di una conse­guenza logica del suo modo dì concepire i rapporti tra fede e ragione, secondo il prin­cìpio dell'armonia, che prevede una collabo­razione reciproca tra queste due sorgenti di verità. Ecco come 1'Aquinate giustifica l'uso della filosofia da parte del teologo: «La sa­cra dottrina si avvale anche della ragione umana, non già per dimostrare i dogmi, ché altrimenti si perderebbe il merito della fede; ma per chiarire alcuni punti del suo insegnamento . Siccome infatti la grazia non distrugge la natura ma anzi la perfeziona, la ragione deve sevire alla fede, nel modo stesso che l'inclinazione naturale della volontà as­seconda la carità. Ond'è che S. Paolo dice: "facendo schiava ogni intelligenza all'obbe­dienza di Cristo" (2 Cor 10, 5). È così che la sacra dottrina utilizza anche l'autorità dei fi­losofi dove essi con la ragione giunsero a co­noscere la verità» (I, q. 1, a. 8, ad 2).

Nel commento al De Trinitate di Boezio (Proem., q. 2, a. 3), S. Tommaso affronta diretta­mente il problema: «Utrum in scientia fidei, quae est de Deo, liceat rationibus philosophi­cis uti» . Egli premette che si danno due sor­genti principali del conoscere, duo lumina, il lumen naturale mentis humanae e il lumen f­dei: poi fa vedere in che modo si rapportano i duo lumina. Egli scarta l'ipotesi che una sorgente possa sopraffare l'altra. Ciò non riesce alla fede, in quanto «la luce della fede che ci viene infusa gratuitamente non di­strugge la luce della conoscenza che ci viene data dalla natura», ma piuttosto la perfezio­na; né può riuscire alla ragione, in quanto «la luce naturale dell'intelligenza umana è insufficiente a svelare quelle verità che sono rivelate dalla fede». Respinge quindi l'ipote­si di una reciproca conflittualità, perché en­trambi i lumi, della fede e della ragione, procedono da un'unica suprema sorgente, Dio. Escluse le due ipotesi della reciproca sopraffazione e della conflittualità, rimane come unica soluzione possibile quella del­l'armonia e della reciproca sussidiarietà, che è appunto la soluzione che S. Tommaso fa sua.

     Per quanto concerne la sussidiarietà del­la filosofia nei confronti della Teologia il Dottore Angelico la schematizza in tre punti: «Nella dottrina sacra si può far uso della filosofia in tre modi (in sacra doctrina philosophia pos­sumus tripliciter uti). Anzitutto per provare quei preamboli della fede che sono indispen­sabili nella scienza della fede, come per es. ciò che si può dimostrare naturalmente di Dio, ad es.: che Dio esiste, che è uno e altre verità del genere che riguardano sia Dio sia le creature; queste verità sono provate dalla filosofia e sono presupposte dalla fede. In secondo luogo, per chiarire mediante similitudini le cose della fede (...). In terzo luogo, per controbattere ciò che si dice contro la fe­de: facendo vedere che si tratta di cose false oppure impertinenti» (In De Trin.,Proem., q. 2, a. 3). Il primo servizio è semplicemente preliminare alla teologia, ché dì per sé si svolge al di fuori della teologia, trattandosi di preamboli; tuttavia nella sintesi tomista, che non cono­sce separazioni compartimentali tra fìlosofia e teologia esso viene sempre incorporato in un’unica trattazione. Il secondo servizio è intrin­seco e veramente sussidiario, in quanto for­nisce alla speculazione teologica immagini e analogie atte a illustrare le verità di fede (cfr. C. C., 1, c. 8). Infine, il terzo servizio, di confutazione delle obiezioni che si solle­vano contro la fede, è piuttosto successivo e integrativo rispetto alla teologia: in effetti gli errori e le obiezioni si respingono dopo che si è ap­profondito il senso della verità. Ma nella Summa Theologiae anche questa parte viene incorporata in un'unica trattazione.

Il ruolo che S. Tommaso assegna alla filosofia nei confronti della teologia, quando ne fa oggetto di trattazione esplicita come nei testi che ab­biamo esaminato, è già notevole: la filosofia è l'orizzonte razionale che circonda la teologia da tutte le parti; precede e segue le verità di fe­de e apre varchi di intelligibilità con similitu­dini appropriate. Di fatto però la filosofia, così come l'adopera S. Tommaso, nella elaborazione della sacra dottrina, svolge un ruolo molto più importante e significativo. Non è così esterno e periferico come sembra suggerire l'Aquinate sia nel Commento al De Trinitate sia nella Summa, ma va in profondità, dà una forma nuova ai contenuti, ai misteri, al­la Parola di Dio. La filosofia fornisce alla teologia uno schema di razionalità per ordinarli, per interpretarli e per esprimerli. In effetti, S. Tommaso nella Summa e nelle altre opere teologi­che non assume dalla filosofia soltanto il me­todo sillogistico e certe similitudini, ma an­che tutto il linguaggio tecnico e un insieme di verità di grande spessore teoretico, che egli stesso ha messo a punto nella sua pode­rosa e feconda filosofia dell'essere. Il concet­to intensivo dell'essere (actualitas omnium actuum), i concetti di partecipazione e di co­municazione, il principio dell'analogia, la distinzione reale tra l'essenza e l’actus essendi nelle creature, il concetto di persona (che è quanto di più perfetto esiste nel creato) ecc. sono conquiste filosofiche che hanno con­sentito a S. Tommaso di gettare una luce nuova e ra­diosa su molti punti fondamentali della Ri­velazione. Un paio di esempi possono basta­re a confermarlo.

Il primo riguarda la cristologia. È noto come i primi concili avevano risolto il dibat­tito intorno alla costituzione ontologica del Cristo. Quello di Calcedonia aveva definito che in Cristo ci sono due nature, umana e di­vina, ma una sola persona, quella divina. L'unicità della persona salvaguardava l’uni­tà dell'essere di Cristo. Questo era chiaro; meno chiaro era invece il modo col quale la persona assolveva al compito di sostegno della natura umana. Un chiarimento decisi­vo su questo punto viene portato da S. Tommaso curi la sua concezione intensiva dell'essere applicata alla persona. Questa viene definita dall'Angelico mine un subsistens in natura rationali. Ora si capisce perché se nel Cristo c'è una sola persona, come afferma Calce­donia, questa non può essere che la persona del Verbo. Infatti, se Cristo è veramente, sostanzialmente Dio, la sua umanità non può essere provvista di un suo atto d'essere, perché è l’atto d'essere che causa la sussi­stenza; quindi la natura umana riceve la sus­sistenza della Persona divina del Verbo, né per questo soffre alcuna menomazione. Al contrario la natura umana di Cristo, diviene il soggetto del massimo dono che potesse es­sere elargito a una creatura: l’unione iposta­tica, che è la più alta divinizzazione dell'uo­mo che si potesse concepire al di fuori del panteismo. Con la sua dottrina del primato dell'essere S. Tommaso chiarisce anche il senso della incarnazione dell'atto di essere proprio della Persona del Verbo alla natura umana di Cri­sto al momento del suo concepimento. L'actus essendi che fa reale ed esistente la natura umana di Cristo è lo stesso esse divino del Verbo (III, q. 17; Comp. Theol. I, c. 212; De unione Verbi incarnati).

Il secondo esempio riguarda l’Eucari­stia, più precisamente la transustanziazione.

Per S. Tommaso questo prodigio in sede ontologica non fa problema, perché al di là di tutte due le forme e materie, sta il fondamento comune dell’essere, su cui avviene il passaggio dalla sostanza del pane alla sostanza del cor­po di Cristo, e di cui Dio soltanto è autore (perché dell'essere la causa unica è sempre Dio): «Per virtù di un agente limitato non può una forma cambiarsi in un'altra forma, né una materia in un’altra materia. Ma per virtù di un agente infinito, che opera su tutto l'ente (quod habet actionem in totum ens), tale conversione è possibile; perché ad am­bedue le forme e ad ambedue le materie è comune la natura di ente; e l'autore dell'en­te può mutare l'entità dell'una nell'entità dell'altra, eliminando ciò che distingueva l'una dall'altra» (III, q. 75, a. 4, ad 3).

 

8. LA TEOLOGIA SCIENZA SPECULATIVA

 

Tra i teologi dell'Ordine francescano (Alessandro di Hales, Bonaventura) e quelli dell'Ordine domenicano (Alberto Magno) si discuteva vivacemente sulla natura specifica della teologia, se cioè fosse una scienza speculativa o pratica. I Francescani sostenevano che la teologia è un sapere eminentemente pratico, che ha di mira soprattutto l'incremento della ca­rità. Invece i Domenicani affermavano che l'obiettivo primario è speculativo: la cono­scenza della verità rivelata, ma riconosceva­no anche la grande rilevanza che ha questo conoscere per la vita cristiana. Anche S. Tommaso difende la priorità del fine speculativo senza però sminuire minimamente il suo significa­to pratico. Ecco il suo giudizio a questo ri­guardo: «La sacra dottrina comprende sotto di sé i due aspetti (speculativo e pratico); come anche Dio con la medesima scienza conosce se stesso e le sue opere. Tuttavia è più speculativa che pratica (magis tamen est spe­culativa quam practica), perché si occupa più delle cose divine che degli atti umani, dei quali tratta solo in quanto per essi l'uo­mo è ordinato alla perfetta conoscenza di Dio, nella quale consiste la beatitudine eter­na» (I, q. 1, a. 4).

Per avere una conferma di come l'Ange­lico prenda sul serio questa duplice funzione della Teologia è sufficiente dare uno sguardo al suo studio dei misteri di Cristo (per questo può bastare la lettura del suo commento al Sim­bolo). Di ognuno di essi, dopo avere svisce­rato il senso profondo, egli sottolinea il ca­rattere esemplare, evidenziando le lezioni che il cristiano deve trarre per la propria vi­sta spirituale.

Anche se propriamente è una scienza, tuttavia a causa del suo oggetto principale (le sublimi verità che riguardano Dio) la teologia secondo l'Angelico merita anche il nome di sapienza. Anzi, secondo S. Tommaso, «questa dot­trina fra tutte le sapienze umane, è sapienza in sommo grado, e non soltanto in un sol ge­nere di oggetti (...). Infatti, colui che consi­dera la causa suprema dell'universo, che è Dio, è il sapiente per eccellenza: cosicché, al dire di S. Agostino, la sapienza è la cono­scenza delle cose divine. La sacra dottrina poi in modo più proprio si occupa di Dio in quanto causa suprema, perché non si limita a quel che se ne può conoscere attraverso le creature (ciò che hanno fatto anche i filoso­fi) ma si estende anche a quello che di se stesso egli solo conosce c ad altri viene co­municato per rivelazione. Quindi la sacra dottrina è detta sapienza in sommo grado» (I, q. 1, a. 6).

 

9. METODO DELLA RICERCA TEOLOGICA

 

Due sono i metodi fondamentali di cui si avvale la scienza: la risoluzione (resolutio) e la composizione (compositio). Il primo va dagli effetti alle cause, dalle conseguenze ai princìpi e fa luce sugli effetti, sulle conse­guenze riconducendoli e risolvendoli nei lo­ro princìpi. Il secondo procede in senso in­verso: discende dalle cause universali alle cause particolari o effetti, dai princìpi primi alle loro conseguenze, e trasmette in tal mo­do la luce dei princìpi sulle conclusioni (In De Trin., lect., II, q. 2, a. 1, ad 3). La resolutio è il metodo proprio delle scienze speri­mentali e della filosofia; la compositio è il metodo della teologia «In ogni ricerca, scrive l'Angelico, bisogna partire da qualche prin­cìpio. E se questo princìpio ha una priorità, sia nell'ordine conoscitivo sia nell'ordine reale (prius in esse), il procedimento non è risolutivo ma piuttosto compositivo, poiché le cause sono più semplici degli effetti» (I‑II, q. 14, a. 5). E tale è precisamente il metodo della teologia.

Come s'è visto, i princìpi da cui muove il teologo nel suo argomentare sono i grandi misteri della Rivelazione, ossia gli articoli di fede. Questi non sono più intesi da S. Tommaso co­me la materia, il soggetto della esposizione e della ricerca teologica, come nella sacra dot­trina del sec. XII, ma costituiscono i punti di partenza da cui muove la riflessione teologi­ca, la quale conduce il suo lavoro secondo tutte le leggi e le esigenze della demostratio aristotelica: «Così ciò che riteniamo per fede funge per noi da princìpi di questa scienza, mentre il resto vi appartiene come conclu­sione» (In De Trin., Proem., q. 2, a.2). Nel­la teologia il credente, nelle condizioni di aviatore (in statu viae) cerca una qualche intelligenza dei misteri soprannaturali in quanto, sul fon­damento incrollabile della fede, che è una «partecipazione» della scienza di Dio e dei beati, procede a ulteriori conoscenze: «Venimus in cognitionem aliorum secundum modum nostrum, silicet discurrendo de principiis ad conclusionem» ((ibid.).

Pertanto il metodo della teologia è essenzial­mente deduttivo e S. Tommaso lo applica costante­mente (anche nei commenti della S. Scrittu­ra) nella forma sillogistica, che è la forma più rigorosa della argomentazione.

Il metodo compositivo è indispensabile quando il teologo attende al suo compito principale, che è quello di approfondire il senso della Parola di Dio. Ma c'è anche un altro compito a cui il teologo viene spesso chiamato: quello di difendere la fede cristia­na dagli assalti dei suoi nemici. In questo ca­so il metodo più appropriato è quello dialet­tico. «La sacra dottrina disputa contro chi nega i suoi princìpi (disputat cum negante sua principia), argomentando rigorosamen­te se l'avversario ammette qualche verità della rivelazione, come quando ricorrendo all'autorità della S. Scrittura disputiamo con gli eretici, o quando per mezzo di un articolo ammesso combattiamo contro chi ne nega qualche altro. Se poi l'avversario non crede niente di ciò che è rivelato, allora la scienza sacra non ha più modo di portare argomenti a favore degli articoli di fede: non le resta che controbattere le ragioni che le si posso­no opporre. È chiaro infatti che poggiando la fede sulla verità infallibile ed essendo im­possibile dimostrare il falso da una cosa ve­ra, le prove che si portano contro la fede, non sono delle vere dimostrazioni, ma degli argomenti solubili» (I, q. 1, a. 8; cfr. Quodl., IV, q. 9, a. 3).

Scelta la resolutio come metodo proprio della teologia, l'Angelico ne trae le logiche conse­guenze, applicandolo non solo allo studio dei singoli articoli di fede, ma anche alla strutturazione generale dì tutte le verità ri­velate. Queste, nella Summa Theologiae, vengono disposte logicamente secondo la lo­ro capacità di irradiare luce sulle verità suc­cessive. E poiché S. Tommaso distingue due univer­si (ordini): quello della creazione e quello della redenzione, egli assegna a Dio il ruolo primario nell'ordine della creazione; mentre dà a Cristo il ruolo primario nell'ordine del­la redenzione. Su questa semplice distinzio­ne il Dottore Angelico basa la divisione del­la Summa in due grandi sezioni. La prima (che abbraccia la Prima e la Seconda) è di indole teocentrica: vi si parla di Dio, della sua natura, dei suoi attributi, della Trinità, delle opere di Dio, della creazione e della provvidenza e delle sue creature: gli angeli e l'uomo. E di quest'ultimo si studiano la na­tura, le attività, le facoltà, le passioni, le vir­tù e i vizi. La seconda, invece, è spiccata­mente cristocentrica: vi si studiano tutti i mi­steri di Cristo e gli effetti della sua azione salvifica: la Chiesa e i Sacramenti. Con que­sta duplice applicazione del metodo compo­sitivo S. Tommaso è riuscito a dare alla Teologia quel rigo­re e quella sistematicità che nessuno era riu­scito a darle in precedenza e che servirà come modello impareggiabile per tutti i teologi che verranno dopo di lui.

Secondo gli antiche biografi dell’Aquina­te, S. Tommaso dava l'impressione di essere un in­novatore. In realtà, il concetto di teologia come scienza e la elaborazione del metodo com­positivo per la sua ricerca, quali brevemente descritti nelle pagine che precedono, non si riscontrano negli autori anteriori né nei con­temporanei in una forma paragonabile  alla sua. 

 

(Vedi: FEDE, RAGIONE, FILOSOFIA, METODO, DIO, CRISTO)

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        Battista Mondin.

        Dizionario enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,

        Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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