Bibbia a fumetti - Castigat ridendo mores - da Astrologia a Vita Sociale il dizionario dei problemi dell'uomo moderno

 

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Giampaolo Crepaldi

 

Giampaolo Crepaldi

Sottosegretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Città del Vaticano

 

STATO LAICO

E MISSIONE

DELLA CHIESA

 

Traduzione dallo spagnolo di Stefano Fontana

 

   La Settimana sociale, anno dopo an­no, si propone come uno dei mo­menti più significativi per i cattoli­ci cubani per realizzare la media­zione culturale tra le istanze del Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa e quella della storia e della vita concreta del popolo cubano. Anche quest’anno il tema scelto Stato laico e missione della Chiesa si propone come uno dei più in­teressanti perché permetterà un u­so adeguato del patrimonio di sa­pienza che la Chiesa ha elaborato nella sua Dottrina sociale e nello stesso tempo un opportuno arric­chimento culturale per affrontare i problemi e le sfide del presente e del futuro.

 

   A sostegno di questa riflessione tanto impegnativa per tutti voi esi­ste l’eredità dottrinale lasciata dal Santo Padre Giovanni Paolo II in occasione del suo storico e memo­rabile viaggio pastorale in terra cu­bana. E’ un’eredità piena della luce neces­saria per illuminare il cammino sto­rico della Chiesa e dei fedeli cuba­ni, che offre strumenti per il discer­nimento della realtà e delle situa­ azioni e che è contemporaneamente fonte di vera e sicura speranza.

 

   La mia riflessione di colloca dentro la stessa cornice di princìpi e di o­rientamenti che il Magistero del San­to Padre ha offerto in occasione del suo già ricordato viaggio pastorale a Cuba.

 

 

La laicità dello Stato.

 

   La comunità giuridicamente organiz­zata nello Stato ha come scopo pro­prio e immediato il miglioramento delle condizioni umane e del bene temporale. Essa esiste in funzione del “bene comune”, che secondo la precisa e insuperabile definizione del Concilio Vaticano II si concretiz­za “nell’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (1).

 

   Ne consegue che lo Stato è per sua stessa natura “laico”: ossia, non si oc­cupa direttamente della “perfezione” dei suoi membri, ma delle “condizioni” tramite le quali essi possono libe­ramente conseguirla.

 

La laicità del potere pubblico era un concetto sconosciuto all’antichità classica. E’ una conquista culturale a cui il cristianesimo ha dato un con­tributo decisivo. Il Faraone e l’Impe­ratore romano sono nello stesso tempo autorità civile e religiosa; essi sono divini e per tanto signori asso­luti della società, delle leggi, dei sud­diti. Il cristianesimo, invece, introdu­ce una logica diversa: secondo essa è necessario “dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. I primi cristiani pagarono ta­le convinzione con il martirio, però contribuirono a cambiare il sistema. Essi difendevano sia lo Stato che la dignità della persona. Se, infatti, “Ce­sare” non è “Dio”, allora non gode di un potere assoluto (perché risponde anche lui ad una legge divina) e per tanto ogni uomo dipende, in ultima istanza, da “Dio” e non da “Cesare”.

 

   Lo stesso “Cesare”, o meglio il pote­re politico, dipende da Dio. La legge terrena, sebbene necessaria, non è la totalità della legge. Laicità dello Sta­to non vuol dire ridurre la sua auto­rità; al contrario: proprio in forza della propria laicità, allo Stato è asse­gnato un compito importante e in­sostituibile: difendere il bene comu­ne, ossia, costruire le condizioni ma­teriali perché la persona possa vive­re e sviluppare la propria trascendente umanità. Pertanto,”la funzione dello Stato è permettere e facilitare agli uomini la realizzazione dei loro fini trascendenti ai quali sono desti­nati” (2).

 

   Il compito della legge civile consiste nel garantire una convivenza ordina­ta nella vera giustizia, affinché tutti, secondo l’espressione dell’Apostolo, “possano vivere una vita calma e tranquilla con pietà e dignità "(3).

Il presupposto che Pio XII ha defini­to come “sana e legittima” laicità dello Stato consiste nel riconoscere che prima dello Stato (4) esiste qual­cosa di assoluto e inviolabile: la per­sona umana e il suo rapporto costi­tutivo con Dio; e poi i diritti e i doveri che ne conseguono. Né lo Stato né nessun altro organismo, sistema o ideologia sono origine e fonte di tali diritti e doveri.

 

   La costruzione del bene comune co­mincia con il riconoscimento del di­ritti assoluti della persona e conti­nua come esercizio competente, creativo e prudente della responsa­bilità che deriva da tale riconosci­mento.

 

   La Chiesa ha sempre richiamato l’at­tenzione su questa essenziale e nobile funzione del potere politico. An­cora Pio XII, nel radiomessaggio di Pentecoste del 1941 affermava che: “tutelare l’intangibile ambito del di­ritti della persona umana e facilitarle l’esercizio dei suoi doveri è fun­zione essenziale del potere pubbli­co”. Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris riprendeva analitica­mente lo stesso concetto come fon­te di legittimazione dell’autorità: “Nell’epoca moderna l’attuazione del bene comune trova la sua indica­zione di fondo nei diritti e nei dove­ri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consi­stono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e pro­muovere quei diritti; e nel contribui­re, di conseguenza, a rendere più fa­cile l’adempimento dei rispettivi doveri. Per cui ogni atto dei poteri pubblici che sia od implichi un mi­sconoscimento o una violazione di quei diritti, è un atto contrastante con la stessa loro ragione di essere e rimane perciò stesso destituito d’o­gin valore giuridico” (5).

 

Stato laico, non laicista

 

Forse conviene chiarire che parlare di Stato "laico" non significa parlare di Stato “laicista”. Lo Stato laico è, alla lettera, lo Stato non religioso: ossia uno Stato che non ha la prete­sa di identificarsi direttamente con il senso ultimo della vita, però è anche uno Stato che riconosce e serve il diritto-dovere di cercare tale senso religioso da parte dei suoi cittadini. Lo Stato laicista, invece, è lo Stato che pretende di escludere program­maticamente la dimensione religiosa dal contesto civile pubblico. E’ evi­dente che la dimensione religiosa non è di pertinenza diretta dello Sta­to, però un sistema politico che non riconosca un ordine superiore e che non rispetti e favorisca la libertà dei suoi cittadini di cercare il significato ultimo della vita, mancherebbe alle proprie responsabilità. Se “Cesare” non è “Dio”, è inutile dire che Dio non esiste: significa piuttosto che Cesare riconosce un ordine superio­re, che lo giustifica e a cui risponde nell’esercizio autonomo del suo potere.

 

   Davanti a questa prospettiva di lai­cità dello Stato c'è una sola alternati­va: il totalitarismo aperto oppure subdolo. Se il fine ultimo non è Dio, allora tale fine sarà identificato, pre­sto o tardi, con lo Stato; un potere che non riconosce altra autorità su­periore è destinato inevitabilmente a divenire totalitario e oggetto di un rispetto obbligato da parte dei suoi sudditi, e per tanto, fragile e costan­temente minacciato dall’interno.

 

   La laicità dello Stato ha due forme degenerative opposte: da una pane la pretesa di identificare la legge reli­giosa con quella civile, e dall’altra pane il laicismo, l’indifferentismo re­ligioso o, peggio, l’ateismo. Però, co­me ha affermato il Santo Padre nel suo memorabile viaggio a Cuba: “U­no Stato moderno non può fare del­l’ateismo o della religione uno dei suoi ordinamenti politici"(6).

 

   Sono ambedue forme di integrali­smo radicale, che conducono alla stessa conseguenza: la perdita della libertà. La Chiesa, presente nei cinque continenti e in forza della sua storia millenaria, ha conosciuto e co­nosce ambedue le degenerazioni. “E­sperta in umanità”, non si stanca di rivendicare per l’autorità civile il ruolo di tutela del bene comune, che essa può sviluppare mediante la “sana e legittima laicità” dello Stato. Le correnti filosofiche e gli avveni­menti concreti dell’età moderna e contemporanea hanno favorito una concezione e una prassi dello Stato visto come “Soggetto”, capace di in­telligenza e volontà, in condizione di accogliere le necessità della società,

interpretarle adeguatamente e risol­verle meglio di tutti gli altri soggetti del sistema sociale. Ai giorni nostri, di fronte alla “crisi dello Stato” occi­dentale, è facile riconoscere l’errore di una simile impostazione. Le varie ideologie che hanno preteso toglie­re Dio dalla convivenza civile per li­berare l’uomo e che hanno riposto nello Stato tutta la responsabilità della felicità, hanno fallito e hanno tragicamente tradito quell’uomo che intendevano esaltare. Il  secolo che sta per finire ci ha insegnato che la pretesa di fare del potere politico la fonte della felicità ultima, eliminando Dio o sostituendolo, è stata paga­ta con la vita di milioni di uomini e l’oblio dei diritti umani.

 

   Lo Stato non è un “Soggetto”, lo Sta­to è un “ordinamento”, un sistema di regole e funzioni. Con una felice am­bivalenza, per indicare la “legge”, i greci adoperavano il termine no­mos, che vuol dire anche “muro”: le leggi sono come dei “muri”, che di­fendono e custodiscono ciò che esi­ste al loro interno e che esse stesse non possono creare, ma solo tutela­re e sostenere: la vita dell’uomo, la vita sociale, la felicità terrena delle persone.

 

   Allora, il potere (qualunque potere: quello dello Stato, quello della mam­ma, dello sposo...) non è fine a se stesso: è concesso da Dio come ser­vizio, come tutela e aiuto. La Dottri­na sociale della Chiesa ha introdot­to, a questo riguardo, il "principio di sussidiarietà", secondo il quale: “una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di u­na società di ordine inferiore, pri­vandola delle sue competenze, deve piuttosto sostenerla in caso di ne­cessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre compo­nenti sociali, in vista del bene comu­ne”(7).

 

   A questo proposito desidero citare un testo del Catechismo della Chie­sa cattolica che mi sembra molto in­teressante e istruttivo: “Dio non ha voluto riservare solo a stesso l’e­sercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve es­sere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un pro­fondissimo rispetto per la libertà u­mana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comu­nità umane.”(8).

 

 

Stato e Chiesa al servizio dell’uomo

 

Questi sono i criteri con cui la Chie­sa legge e giudica la politica. Lo fa senza pretese: certamente con il suo spirito critico, ma anche di collabo­razione e di servizio. E’ noto, come afferma il Concilio, che “la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti. in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiva­no una sana collaborazione tra di lo­ro, secondo modalità adatte alle cir­costanze di luogo e di tempo” (9).

 

   La distinzione tra Stato e Chiesa è netta e la stessa Chiesa lo ribadisce con forza e convinzione. Una distin­zione che riguarda il fine prossimo, le strutture e gli strumenti. Ma non si tratta, né può trattarsi, di separa­zione. Sia lo Stato che la Chiesa sono nella storia e ambedue sono chiama­ti a servire l’uomo. Proprio il destino di questo uomo concreto è il croce­via in cui la distinzione non potrà mai diventare separazione. Nell’uo­mo concreto, la felicità ultima e i bi­sogni temporali sono misteriosa­mente, e tuttavia realmente, merito. Analogamente, nel servizio concreto all’uomo, la Chiesa e lo Stato hanno dimostrato che è possibile che o­gnuno compia il proprio specifico mandato e, contemporaneamente, lavorare assieme nel rispetto reci­proco e al servizio del bene comu­ne.

 

   Un equilibrio così difficile, ancora prima dei sistemi e strutture “perfett­i”, è stato ottenuto mediante il ri­spetto e la ricerca sincera della ve­rità. Per questo la collaborazione tra Stato e Chiesa è nello stesso tempo frutto e causa di un contesto di au­tentica libertà.


 

Laicità dello Stato e libertà religiosa

 

E’ doveroso a questo punto passare ad una implicazione concreta e fondamentale della laicità dello Stato, af­frontando il tema, tanto considerato dal Concilio e dal papa Giovanni Pa­olo II, della libertà religiosa. Occorre in particolare, mostrare come la li­bertà non rappresenta solo un do­vere ma anche un “interesse” per lo Stato.

Giovanni Paolo II afferma che: “Lo Stato non deve pronunciarsi in ma­teria di fede religiosa e non può so­stituirsi alle diverse Confessioni nel­la organizzazione della vita religiosa. Il rispetto del diritto alla libertà reli­giosa è il segno dei rispetto degli al­tri diritti umani fondamentali, dato che quella rappresenta l’implicito i ri­conoscimento dell’esistenza di un ordine che trascende la dimensione politica dell’esistenza, un ordine che rivela la sfera della libera adesione ad una comunità di salvezza anterio­re allo Stato”(10).

 

   Proprio in virtù della sua “autentica laicità”, lo Stato, anche senza attri­buirsi una funzione di direzione del­la vita religiosa dei cittadini, perché in questo caso andrebbe oltre il campo di sua competenza, rispetta e favorisce la vita religiosa, assicurando in modo particolare a tutti i citta­dini la tutela effettiva della libertà religiosa e procurando le condizioni favorevoli per lo sviluppo della vita religiosa (11).

 

   0gni uomo infatti, afferma la Digni­tatis humanae, “ha il dovere e quindi il diritto, di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi i­donei per formarsi giudizi di co­scienza retti e veri secondo pruden­za”(12).

 

   Sebbene possa sembrare paradossa­le per la mentalità dominante, il ri­spetto della libertà di religione è la prima verifica dell’autentica laicità dello Stato; tale rispetto è segno e prova che l’autorità è esercitata in modo responsabile e legittimo. La li­bertà religiosa è, in un certo senso, la sintesi di tutti i diritti umani. Co­stituisce uno dei diritti fondamentali della persona perché è relativa al primo del suoi doveri: il dovere di anelare verso Dio alla luce della verità e per mezzo di quel movimento dello spirito che si chiama amore, movimento che si accende e si ali­menta unicamente di quella luce (13). Tutelando la libertà religiosa, lo Stato offre garanzie e libertà a tutti: non solo ai credenti ma anche ai non credenti. Come ha ricordato Giovanni Paolo II: “chi riconosce la relazione tra la verità ultima e Dio stesso, riconoscerà anche ai non cre­denti il diritto, oltre al dovere, della ricerca della verità, che potrà condurli alla scoperta del mistero divi­no”(14).

 

   Agendo in questo modo, lo Stato non solo compie un dovere sostan­ziale relativo alla sua stessa ragione di essere, ma consolida anche la sua autorità, l’ordine interno e la pace. Infatti mediante il rispetto della li­bertà religiosa, lo Stato favorisce la formazione dei cittadini che, rispet­tando l’ordine morale, come afferma il Concilio “sappiano obbedire alla legittima autorità e siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con sen­so di responsabilità, e che si impe­gnino a perseguire tutto ciò che è vero e buono, generosamente dispo­sti a collaborare a tale scopo con gli altri”(l5).

 

   C’è perciò una convenienza per lo stesso potere politico a favorire la li­bertà religiosa, poiché essa “servirà anche a garantire l’ordine e il bene comune di ogni paese, di ogni so­cietà poiché gli uomini, quando si sentono protetti nei propri diritti fondamentali, sono più disposti a darsi da fare per il bene comu­ne”(16).

 

   Non è superfluo ricordare che dopo la seconda guerra mondiale la comu­nità internazionale ha manifestato un interesse crescente per la salva­guardia dei diritti umani e delle li­bertà fondamentali e ha preso in grande considerazione il rispetto della libertà di coscienza e di religio­ne, richiamandola in modo esplicito in alcuni significativi documenti, tra cui desidero ricordare: a) la Di­chiarazione universale delle nazio­ni unite sui diritti dell’uomo (10 dicembre 1948); b) l’Accordo Inter­nazionale sul diritti civili e politici, approvato dalle Nazioni Unite (16 dicembre 1966), art. 18; c) Atto finale della Conferenza sulla Sicu­rezza e la Cooperazione in Europa (1 agosto 1975, 1.a).

 

 

I contenuti della libertà religiosa

 

   Il contenuto della libertà religiosa consiste nel fatto “che tutti gli uomi­ni devono rimanere immuni da cos­trizione, tanto da parte di singole persone come di gruppi sociali o di qualsiasi autorità umana, in modo che in materia religiosa nessuno venga obbligato ad agire in contra­sto con la propria coscienza né che sia impedito ad agire in conformità ad essa in privato e in pubblico” (17).

 

   L’uomo è religioso per natura; è un essere creato e, dotato d’intelligenza e volontà, è capace di conoscere ed amare il suo Creatore e autore di vi­ta. Difendendo il diritto inalienabile alla libertà religiosa, si difende l’inte­grità e la legittimità di questo dialo­go costitutivo; per ciò la Chiesa di­fendendo la libertà religiosa non di­fende un privilegio istituzionale, bensì la verità sulla persona umana (18).

 

   Per questo, se il diritto alla libertà re­ligiosa si fonda sulla stessa dignità della persona umana, così come è conosciuta tramite le parole di Dio rivelate e mediante la stessa ragione, questo diritto della persona deve es­sere contemplato nell’ordinamento giuridico della società, in modo che diventi anche un diritto civile" (l9). E’ bene precisare che la libertà reli­giosa non può essere ridotta alla sola libertà di culto, ma contempla an­che il diritto a non essere discrimi­nati nell’esercizio degli altri diritti e della libertà di ogni persona, consi­derata sia in dimensione personale che comunitaria. Il godimento della libertà religiosa comprende dimen­sioni ad essa complementari con cui è inesorabilmente legata. Essendo e­spressione di una dimensione… del­l'uomo, La pratica della libertà reli­giosa rivela ed esige la presenza di a­spetti individuali e comunitari, pri­vati e pubblici  tra loro strettamente connessi (20).

 

   Nel suo viaggio apostolico a Cuba e durante la Celebrazione eucaristica nella suggestiva e significativa piazza della rivoluzione José Marti, il 25 gennaio 1998, il Santo Padre ha af­fermato che “Lo Stato, lungi da ogni fanatismo o secolarismo estremo, deve promuovere un sereno clima sociale e una adeguata legislazione che permetta ad ogni persona e ad ogni confessione religiosa di vivere liberamente la propria fede, espri­merla negli ambiti della vita pubbli­ca e poter contare sui mezzi e gli spazi sufficienti per apportare alla vita della nazione le sue ricchezze spirituali, morali e civiche” (21).

 

   La Chiesa annuncia Gesù Cristo, Sal­vatore dell’uomo. La sua specifica missione non è di ordine politico conomico e sociale. Il fine che Dio assegnò alla sua Chiesa è di ordine religioso. Però proprio da questa missione religiosa derivano compiti, luci e energie che possono servire per fondare e consolidare la comu­nità umana secondo la legge divina. Più ancora, ove sia necessario e secondo le circostanze di tempo e di luogo, la missione della Chiesa può creare, o meglio deve creare, opere al servizio di tutti, in particolare dei più bisognosi, come ad esempio le opere di assistenza e simili” (22).

 

   Non si tratta della salvezza dell' “u­manità” in astratto, ma di ogni sin­golo uomo, considerato nella sua individualità e concretezza. La Chiesa desidera condurre gli uomini a offri­re un culto al Dio di vita e verità, confessando “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio padre di tutti” (23). Però essa, co­me “madre e maestra”, partendo dalla sua missione spirituale e tramite il messaggio evangelico e la sua dottri­na sociale, promuove nello stesso tempo lo sviluppo integrale dell’uo­mo,in tutte le sue dimensioni. Que­sto è l’incarico che essa ha ricevuto. Nel compimento di tale mandato la Chiesa ha contribuito, lungo i seco­li, allo sviluppo della civiltà e al bene comune di tanti popoli e paesi. In stretto collegamento con la mis­sione profetica, la Chiesa realizza an­che una missione culturale e caritati­va. Si tratta di tre dimensioni stretta­mente unite, poiché “la parola profe­tica in difesa dell’oppresso e il servi­zio caritativo danno autenticità e co­erenza al culto” (24).

 

   “Il rispetto della libertà religiosa de­ve garantire gli spazi, le opere e i mezzi per compiere queste tre di­mensioni della missione della Chie­sa, in modo che, oltre al culto, la Chiesa possa dedicarsi all’annuncio del Vangelo, alla difesa della giustizia e della pace, nel mentre pro­muove lo sviluppo integrale delle persone. Nessuna di queste dimen­sioni deve essere sacrificata, poiché nessuna esclude le altre né deve essere privilegiata rispetto alle altre”(25).

 

      La Chiesa non s’identifica con nes­suna forma particolare di civiltà u­mana o sistema politico, economico o sociale, però, da!l’interno del mondo e tramite l’azione dei cristiani, manifesta il suo particolare servizio con l’intenzione di vivificare tutti gli aspetti della vita contemporanea con i valori di fondo che garantisco­no la solidità e il progressivo svilup­po. Ai Vescovi e ai Sacerdoti il Con­cilio ricorda che “con la sua vita e le sue parole, aiutati dai religiosi e dai fedeli, dimostrano che la Chiesa, an­che con la sua sola presenza, porta­trice di tutti i suoi doni, è fonte ine­sauribile delle virtù che tanto neces­sitano al mondo di oggi”(26).

 

 

NOTE

 

   (1)   Cf. Gaudium et spes, 26 e 74.

          

(2)  Giovanni Paolo II. La posizione della Santa Sede di fronte ai grandi problemi mondiali. Discorso del   Santo  Padre al Cor­po diplomatico accreditato presso La Santa Sede (in L’Osservatore Romano, 22 gennaio 1999, p. 23).

 

  (3)   1 Tm 2,2.

 

  (4)   Discorso ai marchigiani (23 marzo 1958), in Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII, vol. XX. p. 33.

 

  (5)   Pacem in terris, parte seconda: "Compiti dei pubblici poteri e diritti e doveri della persona"

 

(6)  Omelia del Santo Padre Giovanni Paolo II durante la Concelebrazione eucaristica in Piazza José Martì a L’Avana, in Supplemento de "L'Osservatore romano", 29 gennaio 1998, p. X.

 

  (7)  Giovanni Paolo II, Centesimus annus n. 48.

 

  (8)  Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1884.

 

  (9)  Cf. Gaudium et spes n. 76.

 

(10)  Giovanni Paolo II. La posizione della Santa Sede di fronte ai grandi problemi mondiali; discorso del Santo   Padre al Cor­po Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in "L'Osservatore Romano" 22 gen­naio 1989, p. 23.

 

      (11)  Cf. Dignitatis humanae n. 6.

 

     (12)  Cf. Dignitatis humanae n. 3.

 

     (13)  Cf. Evangelii nuntiandi n. 39.

 

(14) Giovanni Paolo II, Se desideri la pace, rispetta le coscienze di ogni uomo, Messaggio per la Giornata mondiale della pace,    1991, n. 11.

 

     (15)  Cf. Dignitatis humanae, n. 8.

 

     (16)  La libertà di coscienza e Ia religione, Messaggio del Santo Padre ai Capi di Stato dei paesi firmatari l’Atto Finale di Helsinki, 1 settembre 1980 (in “L’Osservatore Romano”, 21 dicembre 1980, p. 20).

 

      (17)  Cf. Dignitatis humanae, n. 2.

 

(18)  Giovanni Paolo II, Messaggio ai par­tecipanti al Congresso “Secolarismo e libertà religiosa”, 7 dicembre        1995, n. 3.

 

(19)  Cf. Dignitatis humanae, n. 2.

 

(20)     Cf. La libertà di coscienza e di religio­ne n. 4

 

      (21)  Omelia del Santo Padre durante la Concelebrazione eucaristica in piazza José Martì a L’Avana, cit., p. x.

 

      (22)   cf. Gaudium et spes. n. 42.

 

(23)       Ef.  4,5.

 

(24) Giovanni Paolo II. Messaggio ai vescovi della Conferenza episcopale cubana, 25 gennaio 1988, supplemento a “L’Osservatore Romano”, p. XIII.

 

      (25)  cf. idem

 

(26) Cf. Gaudium et spes, n. 43.

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Pubblichiamo la conferenza pronun­ciata da Mons. Giampaolo Crepaldi, Sot­tosegretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, in apertura della IV Settima­na sociale cattolica di Cuba, tenutasi dal 24 al 27 giugno 1999 nella diocesi di Ma­tanzas "per approfondire lo studio del Magistero sociale del Papa Giovanni Paolo II e per promuoverne l’applicazione a Cuba.

 

I lavori della Settimana sociale sono poi proseguiti con relazioni e dibattiti attorno a tre nuclei tematici: Gbobalizzazione e solidarietà, Educazione per il dialogo, Partecipazione e riconciliazione naziona­le.

Su Globalizzazione e solidarietà sono intervenuti: Arturo Lopez Levy, economi­sta e membro della Comunità ebraica cu­bana, P. Alberto Athié della Commissione episcopale di pastorale sociale della Con­ferenza Episcopale del Messico. Daniel Mier e Roberto Vaiga laici membri della "Cattedra Giovanni Paolo II" della diocesi di Matanzas, P. José Luis Aleman, Diretto­re del Dipartimento di economia della Pontificia Università "Madre e Maestra" della Repubblica Dominicana.

 

Ad introdurre i lavori su “Educazione al dialogo” hanno provveduto tre laici del Movimento di Lavoratori Cristiani:

Jaqueline Rodriguez, Cristina Perez e Là­zaro Lorencis.

 

L'analisi del quarto tema si è avvalsa di u­na articolata relazione del Dott. Dagober­to Valdés, membro del Pontificio Consi­glio “Giustizia e pace”, direttore del Cen­tro di Formazione Civica e Religiosa e della Rivista "Vitral", nonché corrispondente della nostra rivista.

 

Il 2 giugno 1999 il Segretario di Stato di Sua Santità, Cardinale Angelo Sodano, a­veva inviato una Lunga lettera all’Arcive­scovo di Santiago de Cuba e Presidente della Commissione episcopale “Giustizia e Pace” per sottolineare l’importanza del­le Settimane sociali che, come ebbe a scrivere il Papa il 22 gennaio 1999 in un messaggio ai vescovi cubani, dovrebbero aiutare la Chiesa a “professare la fede in ambito pubblico; praticare la carità in forma personale e sociale; educare le co­scienze alla libertà e al servizio di tutti gli uomini e stimolare le iniziative che pos­sano configurare una nuova società”.

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da La Società, n. 37, Anno X,  N. 1/2000

 

 

 


 

 


 

 



 

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