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Specie

 

Specie

 

Dal latino species; in S. Tommaso (come negli altri au­tori medioevali) è un termine polivalente. Esso viene usato per significare:

1) Uno dei cinque predicabili, ed è quello che di un soggetto dice tutta la sua essenza (e per questo motivo è sinonimo di essentia), indicandone il genere prossimo e (a differen­za specifica. Per es., quando si dice di Pietro che è animale ragionevole, se ne indica la specie: "Species constituitur ex genere et differentia" (I, q. 3, a. 5); "Differentia est, quae constituit speciem" (I, q. 50, a. 2, ad 1).

2) L’aspetto esterno di una cosa: "Haec species mundi, quae nunc est, cessabit" (C. G.. IV, c. 97).

3) La bellezza di una cosa: "Species au­tem sive pulchritudo"(I. q. 39, a. 8); "Spe­cies proprie respicit pulchritudinem"(In Is. 53).

4)  Gli elementi sensibili (gli accidenti) del Sacramento dell’Eucaristia che vengono precisamente chiamate species sacramenta­les (III, q. 76, a. 7, ob. 1).

5)                 L’immagine intenzionale con cui la mente coglie gli oggetti conosciuti; in tal ca­so è sinonimo di intentio, idea, conceptio.

 

       Di tutti questi usi quello che in sede teo­retica ha maggior rilievo è l’ultimo, perché dal modo di concepire la species e dal modo di intendere il suo rapporto con l’oggetto co­nosciuto dipende il proprio schieramento fi­losofico, pro o contro il realismo. Se la spe­cies viene concepita come oggetto stesso del conoscere e non come mezzo, è impossibile evitare l’immanentismo e il soggettivismo. Se invece la species viene intesa come me­dium, come lo strumento che indirizza la mente all’oggetto conosciuto, per cui la mente immediatamente è cosciente non del­la species bensì dell’oggetto, allora si ha una concezione "realistica", "oggettiva" del co­noscere. Che S. Tommaso sposi la posizione realisti­ca e rifiuti quella immanentistica emerge chiaramente dalla sua dottrina intorno alla species. Definendo la species egli dice che essa è nell'intelletto l’immagine di ciò che è nella realtà (I,q. 13, a. 10). o ancora più concisamente: "E l’immagine della cosa co­nosciuta" (species intelligibilis est similitudo rei intellectae) (I, q. 14, a. 2, ad 2). Non è specchio di stessa, non è autocoscienza; ma è specchio delle cose, è coscienza del­l’oggetto conosciuto. Ma la tesi della funzio­ne intenzionale e dei valore oggettivo della species S. Tommaso la espone anche in modo espli­cito criticando la posizione dei soggettivisti. A suo giudizio "una tale opinione risulta chiaramente falsa quanto meno per due mo­tivi. Primo, perché l’oggetto della nostra in­tellezione si identifica con l’oggetto delle scienze. Se dunque noi conoscessimo soltan­to le specie intenzionali presenti nell’anima nostra (species quae sunt in anima) ne segui­rebbe che tutte le scienze non avrebbero per oggetto le cose reali esistenti fuori dell’anima, ma soltanto le specie che si trovano in essa (...). Secondo, perché ne seguirebbe l’errore dei filosofi antichi, i quali afferma­vano che “la verità è ciò che sembra a ognu­no”; e così sarebbero vere anche le asserzio­ni contraddittorie. Infatti se una facoltà non conosce che le proprie impressioni, può dare un giudizio soltanto di queste (...). E' perciò necessario affermare che le specie intelligi­bili sono il mezzo di cui l’intelletto si serve per conoscere (...). Ma poiché l’intelletto può riflettere su stesso, allora in forza di questa riflessione, può conoscere la propria intellezione e quindi la specie di cui si serve. E cosi la specie intellettiva (species intellec­tiva) in un secondo tempo può anche diveni­re oggetto di intellezione (id quod intelligi­tur). Ma oggetto primario di intellezione è la realtà di cui la specie intelligibile (species in­telligibilis) è un’immagine (similitudo)"(I, q. 85, a. 2).

 

   (Vedi:  CONOSCENZA, ASTRAZIONE, INTENZIONALITA')

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        Battista Mondin.

        Dizionario enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,

        Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

 

 


 

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