VII. Gli atti del penitente
[1450] «La penitenza induce il
peccatore a sopportare di buon animo ogni sofferenza; nel suo cuore vi sia la
contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere tutta l’umiltà e
la feconda soddisfazione» .
La contrizione
[1451] Tra gli atti del penitente,
la contrizione occupa il primo posto. Essa è «il dolore dell’animo e la
riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare
più in avvenire» .
[1452] Quando proviene dall’amore
di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta «perfetta» (contrizione di
carità). Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono
dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena
possibile, alla confessione sacramentale .
[1453] La contrizione detta
«imperfetta» (o «attrizione») è, anch’essa, un dono di Dio, un impulso dello
Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal
timore della dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul
peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza viene così scossa, può
aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto
l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la
contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a
riceverlo nel sacramento della Penitenza .
[1454] È bene prepararsi a ricevere
questo sacramento con un esame di coscienza fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a
questo scopo sono da cercarsi nel Decalogo e nella catechesi morale dei Vangeli
e delle lettere degli Apostoli: il Discorso della montagna, gli insegnamenti
apostolici .
La confessione dei
peccati
[1455] La confessione dei peccati
(l’accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e
facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, l’uomo guarda
in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità
e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine
di rendere possibile un nuovo avvenire.
[1456] La confessione al sacerdote
costituisce una parte essenziale del sacramento della Penitenza: «È necessario
che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui
hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta
dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti
del Decalogo, perché spesso feriscono
più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi»:
"I cristiani [che] si
sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio
li mettono tutti davanti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli,
invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente qualche peccato, è
come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché sia perdonato per
mezzo del sacerdote. «Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al
medico la ferita, il medico non può curare quello che non conosce»". ( Concilio di Trento )
[1457] Secondo il precetto della
Chiesa, «ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è tenuto all’obbligo
di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell’anno» .
Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere
la santa Comunione, anche se prova una grande contrizione, senza aver prima
ricevuto l’assoluzione sacramentale, a
meno che non abbia un motivo grave per comunicarsi e non gli sia possibile
accedere a un confessore . I fanciulli devono accostarsi al sacramento della Penitenza
prima di ricevere per la prima volta la Santa Comunione .
[1458] Sebbene non sia strettamente
necessaria, la confessione delle colpe quotidiane (peccati veniali) è tuttavia
vivamente raccomandata dalla Chiesa . In effetti, la confessione regolare dei
peccati veniali ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le
cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita
dello Spirito. Ricevendo più frequentemente, attraverso questo sacramento, il
dono della misericordia del Padre, siamo spinti ad essere misericordiosi come
lui:
"Chi riconosce i propri
peccati e li condanna, è già d’accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e
se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L’uomo e il peccatore sono due cose
distinte: l’uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi
ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. Quando comincia
a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché
condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano col riconoscimento
delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla Luce". ( S.Agostino )
La soddisfazione
[1459] Molti peccati recano offesa
al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose
rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le
ferite). La semplice giustizia lo esige. Ma, in più, il peccato ferisce e
indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni con Dio e con il
prossimo. L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i
disordini che il peccato ha causato . Risollevato dal peccato, il peccatore
deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di
più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o
«espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza».
[1460] La penitenza che il confessore impone deve tener
conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene
spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla
natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta,
nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni
volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce
che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che,
solo, ha espiato per i nostri peccati
una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare i coeredi di Cristo
risorto, dal momento che «partecipiamo alle sue sofferenze» (Rm 8,17):
"Ma questa soddisfazione, che compiamo per i nostri peccati, non è
talmente nostra da non esistere per mezzo di Gesù Cristo: noi, infatti, che non
possiamo nulla da noi stessi, col suo aiuto possiamo tutto in lui che ci dà la
forza . Quindi l’uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni nostro vanto è riposto
in Cristo in cui. .. offriamo soddisfazione, facendo «opere degne della
conversione» (Lc
3,8), che da lui traggono il loro valore, da lui
sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre". ( Concilio di Trento )