Principio di (non) contraddizione
È la relazione
che esiste tra l'affermazione e la negazione di uno stesso elemento di
conoscenza. Il princìpio di contraddizione (detto pure comunemente principio di
non contraddizione) dice che è assurdo e pertanto logicamente inammissibile che
un attributo (predicato) possa allo stesso tempo e sotto lo stesso punto di
vista appartenere e non appartenere allo stesso soggetto. Questo princìpio
venne chiaramente formulato e strenuamente difeso da Aristotele (Metafisica), il
quale ha mostrato che su tale princìpio poggia sia il conoscere, sia il
comunicare, sia l'essere, per cui esso è il più importante e fondamentale di
tutti i princìpi logici e metafisici. Aristotele lo giustifica elenchicamente, ossia confuta chi lo nega facendogli vedere
che se appena pronuncia una sola parola e intende conferirle un significato,
implicitamente già lo accetta.
Anche S.
Tommaso pone il princìpio di contraddizione a fondamento della logica, della
semantica e della metafisica e ne mostra l'assoluta incontestabilità
avvalendosi, come Aristotele, del procedimento elenchico. Del principio
l'Aquinate propone una formulazione che quadra perfettamente con le categorie
della sua filosofia dell'essere, dicendo che è il principio secondo cui «è impossibile
per una cosa essere e non essere contemporaneamente» (impossibile est esse et non esse simul). Poi spiega che «è il principio naturalmente primo nella seconda
operazione dell'intelletto, cioè nel giudizio» (VI Met, lect. 6), perché in questa operazione è impossibile apprendere
alcunché senza il riconoscimento di tale princìpio. Quindi fa vedere che se
anche in se stesso non risulta direttamente dimostrabile, in quanto non
esistono altri princìpi a cui agganciarlo, tuttavia a difesa di tale princìpio si
possono addurre vari argomenti che provano indirettamente il suo indiscutibile
valore. In primo luogo mostrando l'assurdità della pretesa di coloro che
reclamano anche per questo princìpio una dimostrazione diretta. Perché
reclamare una dimostrazione vera e propria anche per il princìpio di
contraddizione, che è il principio di tutti i princìpi, equivale a esporsi a un
regresso infinito. «Ora, se si retrocede all'infinito non si perviene mai alla
dimostrazione, perché la conclusione di qualsiasi dimostrazione acquista
certezza mediante la sua riduzione al primo princìpio della dimostrazione. Ma
questo princìpio non esiste qualora la dimostrazione debba far marcia indietro
all'infinito. Ora, se c’è qualcosa di indimostrabile nessuno può pensare che ci
sia alcunché di più indimostrabile del suddetto princìpio» (ibid.). In secondo
luogo, facendo vedere a coloro che negano valore al princìpio di
contraddizione, che di fatto poi lo ritengono valido e lo contestano soltanto a
parole. Basta soltanto che pronuncino una parola sensata. per es. «piove»;
pronunciando questa parola non potranno allo stesso tempo voler dire che «non
piove». «Tuttavia ‑ soggiunge acutamente S. Tommaso ‑ ciò si può
fare soltanto nel caso che colui che mette in dubbio la validità di tale princìpio
dica qualche cosa, ossia esprima qualche cosa a parole. Perché se non dice
niente, è ridicolo fornire delle spiegazioni a chi rifiuta di far uso della
ragione» (ibid.).
(Vedi: CONOSCENZA)
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Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero di S.
Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna.
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