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IL MODERNISMO

 

Il Modernismo  

di Alberto Torresani

 

La gnosi

Si suole ripetere, ed è bene farlo perché vero, che la gnosi sia la madre di tutte le eresie. La gnosi si presenta come la conquista della verità avvenuta sul piano intellettuale da parte di alcuni privilegiati e da essi proposta a tutti coloro che hanno la forza intellettuale di seguirli in speculazioni operanti ad altezze inaccessibili ai comuni mortali. Il modernismo, è stato giustamente osservato, non è tanto un’eresia formalizzata quanto un modo eretico di pensare le Sacre Scritture, il cristianesimo dei primi secoli, il papato, i santi, i sacramenti, i dogmi della fede che vengono sganciati da qualunque nucleo storico, reale, per inserirli in un divenire che di tempo in tempo si cristallizza in certe formulazioni che non possono pretendere di risultare perenni perché il flusso storico prosegue, nega dialetticamente le formulazioni del passato elaborandone di nuove che a loro volta saranno contraddette, risultando vere solo nel momento della sintesi soggettiva.

Storicismo hegeliano

Occorre ricordare che lo storicismo assoluto di Hegel è stato la matrice filosofica degli ultimi due secoli, prontamente accolto dal protestantesimo liberale (Strauss, Bauer). Con Hegel venne accettata anche la sua logica, che risulta il rovesciamento della logica del senso comune, per cui massimamente concreto non è l’individuo, bensì il tutto di cui fa parte (il popolo, la comunità, la nazione, il partito, la classe sociale). La fede non è più l’assenso razionale a un messaggio affidato da Cristo ad apostoli ben concreti, bensì è l’espressione della fede di una comunità: quando questa varia, muta anche l’espressione della fede. Non si può affermare che Cristo è risorto nella domenica di Pasqua, bensì occorre dire che la prima comunità ha sentito rinascere in sé la speranza del valore del suo messaggio e quindi per la comunità Cristo è veramente risorto... Si potrebbero moltiplicare all’infinito gli esempi, ma forse è meglio riassumere i fatti principali che hanno indotto Pio X a intervenire con tanta fermezza nel 1907.

La crisi del modernismo

Per lo storico, la definizione di modernismo data dall’enciclica Pascendi appare astratta: giustamente qualche modernista affermò di non aver mai professato tutte quelle dottrine insieme. Infatti, si tratta di varie correnti di pensiero, alcune legittime anche se potevano turbare spiriti avvezzi a procedere su altri binari; altre erano pericolose a causa dell’assenza di sfumature e precisazioni; altre ancora erano eretiche o addirittura prive di fondamento cristiano. Il modernismo è una conseguenza del liberalismo del secolo XIX e consiste nel porre su un piede di parità tutte le istanze che non risultino autocontraddittorie. Modernismo è anche la volontà da parte dell’ordinamento politico e sociale di ridiscutere il concetto tradizionale di Chiesa; di rammodernare le istituzioni ecclesiastiche, lo stile pastorale e il modello di vita dei cristiani in seno al mondo moderno; di rinnovare l’esegesi, la teologia e la filosofia delle religioni secondo il nuovo paradigma scientifico. Émile Poulat definisce il modernismo come “l’incontro e il confronto fra un passato religioso da lungo tempo fissato e un presente che ha trovato altrove le vive sorgenti della propria ispirazione”. Potremmo aggiungere che, come al tempo di Galilei si scontrarono due diversi paradigmi scientifici per l’astronomia, quello tolemaico ritenuto usuale da quasi tutti gli scienziati, e quello copernicano, risultato vincente ma non ancora accolto dalla comunità scientifica, così all’inizio del XX secolo si scontrarono il paradigma scientifico tomista, accettato dalla maggioranza di teologi ed esegeti, e quello fondato sullo storicismo hegeliano che sembrava destinato al trionfo. Noi oggi, a distanza di circa un secolo da quei dibattiti, sappiamo che con Hegel non si fonda alcuna teologia.

La teologia in Germania

In Germania, patria d’origine del pensiero contemporaneo, il livello nettamente superiore degli studi nei seminari, determinato anche dalla convivenza con la Chiesa protestante, produsse una specie d’insofferenza nei confronti delle tendenze clericali e autoritarie insorte a Roma fin dal tempo di Pio IX. Nei confronti del mondo moderno e delle sue aspirazioni si era assunto un atteggiamento più aperto. Le pressioni di Roma a favore della neoscolastica furono interpretate come il tentativo di fissare filosofia e teologia sui risultati raggiunti nel XIII e XVI secolo. Veniva agitato il problema della liturgia in tedesco e del celibato ecclesiastico. Il laicato appariva insofferente della tutela clericale e aspirava a prendere in mano l’organizzazione parrocchiale e la scelta dei parroci. L’appoggio offerto dalla gerarchia al partito di Zentrum era giudicato un’indebita intromissione della Chiesa in faccende opinabili. Il modernismo, per questi motivi, non ha avuto casi clamorosi in Germania perché le affermazioni di tipo modernista erano ridimensionate, non apparivano come il fondamento della Chiesa del futuro.

La critica storica

Gli episodi più clamorosi del modernismo avvennero in Francia. A parte il fermento filosofico suscitato dalle tesi di Maurice Blondel, che sembravano mettere da parte le tesi dell’intellettualismo scolastico a favore dell’azione che in qualche modo compendia anche gli impulsi del cuore, il modernismo in Francia si accentrava intorno a Mons. Louis Duchesne che aveva introdotto alcuni teologi ai metodi della critica storica.

L’esegesi biblica

Costoro applicarono tale metodo ai testi scritturistici col risultato di mettere in discussione le idee ricevute dalla tradizione circa Mosé, la storia d’Israele, l’insegnamento di Cristo e la fede dei primi cristiani. Alcuni di loro ritennero più onesto seguire le certezze del nuovo metodo di ricerca che i dati della fede tradizionale.

Alfred Loisy

Tra loro c’era Alfred Loisy (1857-1940), che mostrò poca prudenza divulgando a un pubblico impreparato i risultati delle sue ricerche. Bastava molto meno per allarmare la gerarchia ecclesiastica francese: perfino Leone XIII, tanto amante degli studi avanzati, mise in guardia da quelle novità. Loisy fu allontanato nel 1893 dalla cattedra dell’Istituto Cattolico di Parigi e perciò ebbe il tempo di estendere le ricerche a tutta la Sacra Scrittura. Quando le polemiche e gli attacchi sembravano quietati, Loisy pubblicò un opuscolo intitolato Il Vangelo e la Chiesa (1902). La tesi di fondo era che Gesù non si era proposto di organizzare una nuova società religiosa destinata a conservare il suo messaggio, bensì si era limitato ad annunciare l’imminenza del regno dei cieli. In seguito le cose andarono diversamente: “Gesù aveva annunciato il regno ed è venuta la Chiesa”. Tuttavia, non si trattava di pia frode. Poiché il regno tardava a venire, la Chiesa si assunse il compito di organizzare l’attesa adattandosi alle circostanze di tempo e di luogo, originando le varie formulazioni dei dogmi, lo sviluppo della gerarchia ecclesiastica e dei sacramenti. Questo stato di cose indica che l’essenza della Chiesa va cercata nel divenire e perciò è lecito attendersi nel futuro nuovi sviluppi. I dogmi, per Loisy, erano formule meramente verbali dipendenti dallo stato delle conoscenze operanti nei tempi e luoghi che le avevano espresse, non verità piovute dal cielo o dati certi che sarebbero passati inalterati attraverso i millenni.

Reazione ecclesiastica

Nel gennaio 1903 l’opuscolo del Loisy fu condannato dall’arcivescovo di Parigi Richard. Ad agosto fu eletto papa Pio X che da tempo seguiva con apprensione le novità esegetiche francesi. In autunno Loisy pubblicò un nuovo opuscolo Intorno a un piccolo libro in cui rifiutava ogni tutela, definita anacronistica, esercitata dalla gerarchia sugli esegeti, aggiungendo che, contro quanto sostenuto dall’apologetica classica, la divinità di Cristo non avrebbe alcun fondamento storico, come ogni altro intervento di Dio nelle vicende umane. Ciò che è storico, ribadiva Loisy, non è la resurrezione di Cristo, bensì che gli apostoli credevano nella sua resurrezione, una credenza peraltro che si diffuse lentamente.

Loisy all’Indice

Questa volta la reazione ecclesiastica fu dura e nel 1904 le opere del Loisy furono poste all’Indice. Le discussioni si allargarono ad argomenti che esorbitavano dall’esegesi e dalla storia dei dogmi. Un discepolo del Blondel, il padre Lucien Laberthonnière dell’Oratorio, con due raccolte di articoli, elaborò una pungente critica delle filosofie dell’essenza, proponendo di sostituirle con una filosofia dell’azione. Laberthonnière, tuttavia, commise l’errore di criticare il tomismo, che conosceva male, e finì per confondere il piano naturale col piano soprannaturale.

Edouard Le Roy

Al principio del 1905 suscitò scalpore un articolo di Edouard Le Roy, un matematico e filosofo allievo di Bergson, intitolato “Che cosa è un dogma?”. Egli si chiedeva che significato potessero avere i dogmi della Chiesa per un’intelligenza moderna di formazione scientifica. Concludeva affermando che i dogmi sono norme di azione morale e religiosa: la Chiesa, quando ce li propone, ci chiede di credere che la realtà religiosa ha in sé i mezzi per giustificare l’atteggiamento prescritto. Le Roy fu attaccato inoltre perché si accingeva a discutere anche la nozione di miracolo e la sua funzione apologetica. È opportuno ricordare che queste discussioni avvenivano nell’anno in cui il governo francese dichiarava decaduto il Concordato, operando la separazione tra Chiesa e Stato.

Il modernismo in Gran Bretagna

La Chiesa cattolica era in Gran Bretagna in minoranza, tuttavia i modernisti ebbero due figure di spicco, George Tyrrel (1861-1909) e Frederick von Hügel (1852-1925) che ebbero largo seguito in Italia, specialmente il secondo che parlava molte lingue ed era in grado di riassumere e diffondere le idee dei modernisti.

George Tyrrel

Per influsso del von Hügel, George Tyrrel, un gesuita autore di libri di pietà e predicatore di ritiri, fu avviato agli studi di critica biblica e a una filosofia di intonazione neokantiana che lo indussero a mettere in discussione un buon numero di nozioni della teologia fondamentale. Nel 1903, Tyrrel pubblicò, ricorrendo a pseudonimo, un volume intitolato La Chiesa e il futuro in cui denunciava il dispotismo della Curia romana e la sua pretesa di detenere la verità, mentre dovrebbe essere una scuola di carità. Solo nel 1906, per un’indiscrezione, si conobbe il nome dell’autore: Tyrrel fu espulso dalla Compagnia di Gesù, trascorrendo gli ultimi anni di vita, già gravemente ammalato, nel tentativo di collegare tra loro tutti i modernisti scomunicati perché levassero una vivace protesta contro il papato.

Il modernismo in Italia

In Italia, verso la fine del secolo XIX stava montando nel giovane clero una vivace reazione ostile all’intransigenza dei vecchi nei confronti del liberalismo risorgimentale: le pubblicazioni dei modernisti inglesi e francesi erano lette e commentate nei seminari. Appare evidente un collegamento delle istanze dei giovani col Risorgimento, sorto dall’incontro del liberalismo col riformismo religioso, che individuava nel conservatorismo della gerarchia l’ostacolo da superare. Nel modernismo italiano si possono individuare tre filoni. Il primo era formato da religiosi e giovani preti secolari presenti soprattutto nell’Italia centrale: costoro reagivano contro l’astrattezza delle scienze ecclesiastiche. Il secondo gruppo era formato da militanti dell’Opera dei Congressi: avendone costatato le insufficienze pratiche e i limiti culturali, mediante una vigorosa azione culturale cercavano di affrettare i tempi per un partito politico di cattolici, la Democrazia Cristiana. Il terzo gruppo era formato di giovani intellettuali lombardi, di formazione liberale anche a causa del ceto di appartenenza: essi si proponevano di far avvenire senza traumi il passaggio dal cattolicesimo intransigente al cattolicesimo aperto alle aspirazioni del mondo moderno.

I modernisti del primo gruppo

Gli esponenti principali del primo gruppo furono padre Salvatore Minocchi (1860-1926) dei Missionari del Sacro Cuore; Mons. Umberto Fracassini (1862-1950) superiore del seminario di Perugia; don Salvatore Minocchi (1869-1943) professore di ebraico a Firenze e Pisa. Quest’ultimo aveva fondato a Firenze la rivista “Studi religiosi”, dedicata soprattutto agli studi biblici. Minocchi recensiva i lavori di Loisy, Lagrange, Laberthonnière, Harnack, Tyrrel ed era letto dal giovane clero, con scandalo dei vescovi. A questo gruppo apparteneva anche un giovane prete molto colto, Ernesto Buonaiuti (1881-1946) che nel 1905 lanciò una nuova pubblicazione “Rivista storico-critica delle scienze teologiche”, peraltro meno progressiva di “Studi religiosi”: chiaramente il Buonaiuti cercava di porsi alla testa del modernismo italiano. Tra i collaboratori del Buonaiuti c’era Giovanni Semeria (1867-1931), barnabita, predicatore di talento, divulgatore impareggiabile. Il compito dei modernisti italiani, come si vede, s’era indirizzato allo svecchiamento della cultura ecclesiastica che appariva superficiale e inoperante, sia tra il clero sia tra i laici.

I modernisti del secondo gruppo

Il secondo gruppo del modernismo italiano è rappresentato soprattutto da Romolo Murri (1870-1943). La sua adesione al modernismo fu tardiva e superficiale, perché a lui interessava soprattutto affrontare il problema dell’azione dei cristiani nella vita pubblica e interpretò il modernismo come mezzo per accelerare una crisi di crescita. Mediante la rivista “Cultura sociale”, il Murri intendeva liberare il cristianesimo da elementi che gli sembravano sopravvivenze di paganesimo. Questi atteggiamenti gli procurarono il seguito di sacerdoti e laici che intendevano operare un’azione sociale al di fuori del controllo della gerarchia e che perciò reclamavano riforme radicali nella Chiesa perché la religione divenisse qualcosa di personale, meno presente nelle realtà temporali che perciò dovevano svolgersi secondo una logica laica.

I modernisti del terzo gruppo

Il terzo gruppo era l’erede dei riformisti lombardi del XIX secolo e si era stretto intorno al vescovo di Cremona Geremia Bonomelli. Era composto da alcuni intellettuali come Gallarati-Scotti, Pestalozza, Casati, Jacini, ammiratori del noto romanziere Antonio Fogazzaro. Questi, nel 1905, aveva pubblicato Il santo, forse il meno significativo dei suoi romanzi, ma certamente il più discusso: nella scena culminante, il Papa si recava dal santo (una velata allegoria dei modernisti) per apprendere come superare i mali della Chiesa: lo spirito di menzogna che chiude gli occhi davanti alla scienza moderna e mette in stato di accusa i migliori cristiani; lo spirito di dominio che ha trasformato in dittatura ciò che dovrebbe essere autorità paterna; lo spirito di avarizia così contrario alla povertà evangelica; lo spirito di immobilismo simile a quello che mosse i capi del popolo ebraico a condannare Cristo che disturbava i loro piani di dominio (si percepiscono in queste espressioni gli echi delle Cinque piaghe della Chiesa del Rosmini, un testo molto letto dal gruppo dei modernisti lombardi.

L’intervento del papa Pio X

Il papa Pio X non era tranquillo. Riceveva relazioni sempre più allarmate dai vescovi, quasi tutti poco preparati per reagire in modo adeguato, specie coloro che non conoscevano di prima mano i problemi agitati dai modernisti. Con due encicliche (Ad diem illum e Jucunda sane), Pio X mise in guardia la gerarchia contro i novarum rerum molitores che con sfoggio di erudizione mettevano a soqquadro le origini della Chiesa (l’accenno a Mons. Duchesne era trasparente). Padre Genocchi al Seminario Romano e padre Gismondi alla Gregoriana furono sollevati dall’incarico di esegesi biblica e sostituiti da studiosi contrari ai metodi critici da loro impiegati. Nel 1905 ci fu la lettera indirizzata al rettore dell’Istituto Cattolico di Parigi e un’allocuzione agli alunni del seminario francese a Roma. Nel 1906 Il santo di Fogazzaro fu incluso nell’Indice insieme con le opere di Laberthonnière. Nel 1907 il papa Pio X prese posizione contro il “neoriformismo religioso”; la rivista del gruppo milanese “Rinnovamento” ricevette un monito severo. Il 17 luglio fu pubblicato il decreto del Sant’Ufficio Lamentabili sine exitu contenente la condanna di 65 proposizioni ricavate dalle opere di Loisy. L’8 settembre fu pubblicata l’enciclica Pascendi che tracciava un quadro drammatico delle dottrine moderniste.

Effetti dell’enciclica

L’enciclica fu accolta come il primo scroscio di pioggia dopo una tempesta di vento che produce una sorta di liberazione. L’accoglienza dei conservatori era scontata; i moderati rilevarono il tono negativo, sostenendo che non offriva la soluzione dei problemi dibattuti; i modernisti la giudicarono eccessiva, ossia la caricatura piuttosto che il ritratto delle loro dottrine. Tyrrel affermò che l’enciclica avrebbe unito i moderati ai modernisti, ma in questo sbagliò. I più compromessi presero atto di trovarsi fuori della Chiesa e decisero di conseguenza. La maggior parte si sottomise. La massa dei fedeli nemmeno comprese di che cosa si trattasse. Purtroppo i sospetti, le delazioni, i raggiri e tutta una serie di incomprensioni durarono a lungo, producendo sofferenze ed emarginazioni ingiuste: si potrebbe ricordare il caso dell’arcivescovo di Milano Carlo Andrea Ferrari, che un informatore troppo zelante mise in contrasto con Pio X: due santi che soffrirono intensamente senza che un reale contrasto li dividesse.

 

Bibliografia:

M. Greshat - E. Guerriero(a cura di), Storia dei Papi, San Paolo, Milano 1994.

Aa. Vv., La Chiesa negli Stati moderni e i movimenti sociali (1878-1914), vol. IX di Storia della Chiesa, a cura di H. Jedin, Jaca Book, Milano 1993.

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