Roghi di chiese e migliaia di religiosi uccisi per mano
del socialismo
Il martirio dei cristiani nella guerra civile:
il
Papa ne beatificherà 233
Domenica mattina, 11 Marzo
Sopra la giacca e cravatta, appeso a un cordone
verde-bianco, porterò sul petto un grosso medaglione argentato con
Sarò, domenica, in mezzo ai contadini e agli artigiani aragonesi
che hanno voluto concedermela, giunti ora a Roma con il loro parroco e col loro sindaco. Per tutti noi sarà
gran festa, al pranzo che seguirà non mancherà certo l'allegria né i brindisi
in onore del festeggiato. Anche se è morto 65 anni fa: ma,
per la fede, sarà - non più timido e schivo com'era - in mezzo a noi, più vivo
dei vivi.
Succede, infatti, che domenica il Papa regalerà alla
Chiesa, in un solo colpo, ben 233 nuovi beati.
Fanno parte di quel corteo glorioso di uccisi «in odio
a Cristo e alla fede» che ha irrorato con il suo sangue la terra di Spagna, nei
986 giorni, tra 1936 e
Nel diario di Nenni, miliziano sul fronte di Aragona, risuona il lamento per non essere riusciti a
sfondare le difese di Saragozza, incendiare la grande basilica del Pilar e
«fare pulizia» del clero.
Nei modi più atroci, furono massacrati 4184 tra preti e seminaristi diocesani,
2365 frati, 283 suore, 13 vescovi, per un totale di 6834 vittime. In certe
diocesi, come quella aragonese
di Barbastro (la città del beato Escrivà de Balaguer), nei soli primi mesi della matanza
fu massacrato l'88 per cento del clero.
Decine di migliaia, poi, i laici uccisi perché conosciuti
come «cattolici notori» o anche solo perché nelle loro tasche fu trovata un'immaginetta religiosa o, peggio, un rosario.
Paolo VI, nel 1964, bloccò i processi di beatificazione iniziati subito dopo la
fine di quell'orrore. Ciò che
Niente a che vedere, dunque, con prospettive politiche. Eppure, papa Montini, timoroso di polemiche e di strumentalizzazioni,
vista anche l'eccitazione conciliare, decise di sospendere tutto in attesa di tempi migliori, se mai fossero venuti. Vennero,
in effetti, con Giovanni Paolo II. Il quale ruppe finalmente lo sconcertante
blocco il 22 marzo del 1986, con il decreto di approvazione
del martirio di tre carmelitane a Guadalajara.
Da allora, come un fiume in piena, le cerimonie di beatificazione si sono
succedute.
Domenica, sarà il turno soprattutto dei testimoni della fede della Catalogna e
del Valenciano: tra essi, 32
salesiani con in testa il loro ispettore, José Calasanz: praticamente, tutti i figli di don Bosco sui
quali i «rossi» riuscirono a mettere le mani. Ma,
nella schiera dei 233, c'è pure un sacerdote di 69 anni che è aragonese, non è né catalano né valenciano,
anche se morì con sette domenicani fuggiti da Valencia per cercare un luogo più
sicuro dove conti-nuare il loro studio e la loro preghiera.
Quell'anziano prete è, a viste umane, l'anonimato
fatto persona. Si chiamava Manuél Albert
Ginés. Nato a Calanda, a Calanda restò, senza mai muoversi, per ben 45 anni, sino
all'arrivo degli assassini, come cappellano della chiesa del Miracolo. È quel
Miracolo - con la maiuscola! - cui ho dedicato un
libro recente: la gamba «restituita», il 29 marzo del 1640, al giovane
contadino cui era stata amputata due anni prima.
Ecco perché, domenica, sarò a Roma, a festeggiare con los calandinos: la catena
secolare dei cappellani nel tempio costruito attorno alla stanza dove avvenne el Gran Milagro (con questo
titolo è apparsa la traduzione spagnola del libro), quella catena, dunque,
interrotta subito dopo per mancanza di clero, è terminata con un martire, ora
finalmente beato. Non poteva finir meglio, in una prospettiva
evangelica, la teoria degli umili sacerdoti che dalla metà del Seicento presidiavano quel luogo nella desertica, mistica Bassa
Aragona.
Ogni volta (e sono ormai cinque) che sono tornato laggiù, non ho mancato di
arrestarmi prima di entrare in paese: in mezzo a un
campo, un blocco di pietra sormontato da una stele che finisce con una croce.
Una lapide in marmo annuncia: «Morirono per Cristo».
Seguono otto nomi e una data: 29 di luglio del 1936.
Don Manuél poteva salvarsi, fuggendo.
Ma, sino all'ultimo, non volle abbandonare la chiesa dove, da quasi mezzo
secolo, teneva viva la memoria del prodigio operato per intercessione della Virgen del Pilar.
Quando i «rossi» arrivarono, subito ammassarono contro
il muro del cimitero 42 calandinos, uomini e donne:
li fucilarono perché «cattolici praticanti» o perché possedevano un campo o una
casa. Poi, emisero un bando: pena di morte anche per chi nascondesse un prete.
Tutti - i domenicani, tra cui un novizio di vent'anni,
e don Manuél - uscirono volontariamente dalle case in
cui avevano trovato rifugio, per non mettere in pericolo chi li ospitava.
Non fu risparmiato loro neppure una farsa di processo,
concluso in mezz'ora con la condanna a morte perché «spacciatori di oppio religioso».
Tra percosse e insulti, furono condotti al luogo dove ora sorge
il cippo: dopo la prima scarica, don Manuél era
ancora vivo. Mentre il miliziano gli tirava il colpo
di grazia nella nuca, trovò la forza di gridare ancora una volta: «Viva Cristo Rey!».
Un 29 di marzo, fiesta del Milagro,
riconoscenti perché avevo fatto conoscere al mondo il «loro» prodigio, gli
abitanti di Calanda vollero insignirmi del medaglione
che domenica avrò sul petto. Se ne sono fiero è perché
è il segno di una meravigliosa storia cristiana:
Fiero e, al contempo, riconoscente alla Provvidenza che, guidandomi sulle
tracce di quell'evento del
Migliaia e migliaia di fratelli e sorelle nella fede seppero «morire per
Cristo», come dice la lapide di Calanda.
E dalle loro labbra uscirono parole di fortezza nella
fede e di perdono per i persecutori.
Ma sì, in compagnia di quei 233 testimoni, domenica
sarà davvero una gran bella festa.
Vittorio
Messori
(c) Avvenire
P.S.
N.d.R. Bibliografia essenziale sulla guerra di Spagna:
1) don Bruno Lima,
Cosenza 1997, Due Emme Editrice, Traversa Simonetta 1,
87100 Cosenza - tel. 0984.27850
2) Mons. Vicente Càrcel Ortì, Buio sull'altare,
Città Nuova, Roma 1999
3) http://utenti.tripod.it/davidbotti/
[il socialismo]
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Portale di cattolici: http://www.totustuus.it/
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