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COMUNICARE LA FEDE IN FAMIGLIA

 

COMUNICARE LA FEDE IN FAMIGLIA



7 giugno 2005

 

Il tema che affrontiamo è di enorme importanza.

Per la Chiesa. Essa si impianta e si radica nella vita umana mediante la famiglia. La rigenerazione del soggetto e del popolo cristiano è impensabile ed impraticabile se prescinde dal "passaggio famigliare".

Per la società civile. Uno dei cardini della nostra società occidentale è stato il "patto educativo" siglato fra Chiesa e famiglia in ordine all’educazione delle nuove generazioni. La rottura di questo patto porterebbe un vero e proprio sfacelo educativo, a cui forse già assistiamo. Chiamati come siamo a prenderci cura dei destini dell’uomo, non possiamo non riflettere su questo problema.

Lo faremo scandendo la nostra riflessione nei seguenti punti.

Nel primo cercherò di dirvi in che cosa consista precisamente la missione educativa della Chiesa.

Nel secondo cercherò di mostrarvi come la famiglia partecipa alla missione educativa della Chiesa.

La missione educativa della Chiesa.

In questo primo punto della mia riflessione tenterò una comprensione della proposta cristiana, dell’economia dei salvezza, per usare un vocabolario più tecnico, in chiave pedagogica.

Che cosa significa? Definisco la proposta cristiana colle parole del Concilio Vaticano II: "Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef. 1,9) mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della natura divina (cf. Ef 2,18; 2Pt 1,4)" [Cost. dogm. Dei Verbum 2; EV 1/873].

Di questo straordinario evento possiamo avere una qualche comprensione servendoci di concetti umani, riferendoci ad esperienze umane. Si pensi, per esempio, all’importanza che assume, in ordine all’intelligenza della proposta cristiana, la categoria della nuzialità. In questo primo punto cercherò di ricorrere alla categoria dell’educazione, presentando, in un certo senso descrivendo la proposta cristiana come una, anzi la proposta educativa.

È legittima una tale presentazione, è corretta una tale descrizione del cristianesimo? Ritengo che non solo sia legittima e corretta, ma che sia una delle vie privilegiate per raggiungere una profonda intelligenza dell’avvenimento cristiano. Ciò è dimostrato dal fatto che questa considerazione è stata elaborata anche da grandi maestri e padri del pensiero cristiano: Clemente d’Alessandria, Origene, i padri Cappadoci soprattutto Gregorio di Nissa, per fare qualche esempio. Oso presumere che seguendo la mia riflessione vi convincerete che questo modo di pensare il cristianesimo è vero ed è assai attraente.

Voglio ancora fare un’altra premessa prima di entrare in medias res. Ho parlato di "fatto cristiano", di "proposta cristiana": non ancora di Chiesa. In realtà "fatto … proposta cristiana" e "Chiesa" denotano la stessa cosa. Cioè: il mistero della volontà del Padre di ricapitolare tutti e tutto in Cristo si realizza oggi nella Chiesa; è la Chiesa.

La mia tesi è che quando parliamo della missione educativa della Chiesa non qualifichiamo la sua missione medesima con una qualità secondaria: ne esprimiamo la sua intima natura. Dire "missione educativa" della Chiesa è come dire … "triangolo di tre lati": educare la persona umana coincide colla ragione d’essere della Chiesa. È appunto la sua missione. Ed è proprio questo che ora cercherò di mostrare, scusandomi fin da ora se il poco tempo che abbiamo a disposizione mi costringe ad essere un po’ troppo … icastico ed apodittico.

Dal punto di vista cristiano quale è il problema centrale dell’uomo, la questione dalla cui soluzione dipende interamente il destino della persona? Che il rapporto oggettivo fra ogni uomo e Cristo, istituito dall’eterna predestinazione del Padre, diventi soggettivo. Se questa "soggettivazione" avviene e nella misura in cui avviene, la persona è riuscita; se non avviene e nella misura in cui non avviene la persona è fallita: il resto è alla fine secondario. Mi spiego.

L’uomo, ogni persona umana, ciascuno di noi in carne ed ossa non è entrato nell’universo dell’essere privo di senso, affidato alla mera progettazione della sua libertà, collocato in una originaria neutralità nei confronti di qualsiasi realizzazione di se stesso. La vita non è un teatro nel quale ciascuno sceglie, prima di entrare in scena, di recitare qualsiasi parte. Noi siamo stati pensati dal Padre dentro un rapporto. La S. Scrittura usa un termine fortissimo: "pro-orizo" [cf. Rom 8,29; Ef 1,5: pre-de-terminare; pre-destinare: oros in greco significa termine]. Siamo stati "confinati dentro una relazione, un rapporto": il rapporto con Cristo. Ho detto che si tratta di un rapporto oggettivo. In due sensi.

Non dipende da me il porlo: io mi trovo già relazionato a Cristo: dipende da me se rimanervi oppure uscirne decidendo che altra è la verità e quindi il bene della mia persona. Esso è posto in essere da Dio stesso ed è la ragione per cui Egli mi ha creato. Possiamo esprimere la stessa cosa dicendo: la verità della persona umana è nella sua relazione con Cristo. Questa relazione è connotata da S. Paolo con la formula "essere in Cristo"; da S. Giovanni con la formula "rimanere in Cristo".

Ma questo non è tutto. La persona umana non è collocata in Cristo così come una pianta è collocata in un terreno e un edificio è fondato in un terreno. Essa è un soggetto libero: la libertà è la dimensione costituiva fondamentale dell’esistenza della persona. In che senso? Il rapporto oggettivo, nel senso ora spiegato, diventa soggettivo mediante la libertà. È la libertà che realizza concretamente o concretamente non realizza la verità della persona. Genera la persona in Cristo oppure in un altro modo. Il rapporto oggettivamente istituito dalla decisione divina diventa soggettivo mediante la libertà della persona. Questa "soggettivazione" costituisce il processo formativo della personalità umana; processo che già i grandi filosofi greci avevano distinto dalla natura della persona, natura che ne era comunque la base.

Questo processo in cui l’oggettivo diventa soggettivo investe l’intera persona: è una completa trasformazione della persona secondo la forma di Cristo. Essa investe il modo di pensare, di esercitare la propria libertà, di costruire il rapporto cogli altri, il cuore della persona. Quello che nella paideia greca era stata la formazione o mórphosis della personalità umana, secondo i Padri greci, soprattutto, diventa la meta-morphosis dell’uomo in Cristo [cf. Rom 12,2 e 2Cor 3,18]. È una vera e propria generazione della propria umanità secondo un "modello" conformemente al quale ciascuno di noi è stato pensato: "è l’uomo vero che la sua vita ha conformato all’impronta impressa nella sua natura fin dall’origine" [S. Gregorio di Nissa, Sui titoli dei Salmi, SCh 466, pag. 505]

La missione della Chiesa consiste precisamente nel rendere possibile questa rigenerazione dell’umanità di ogni uomo, nel realizzarla in ogni uomo. È di introdurre ogni uomo in Cristo, perché in Lui realizzi pienamente se stesso.

Una consistente tradizione occidentale definiva il processo educativo precisamente come progressiva conduzione della persona verso la piena realizzazione di se stessa. La Chiesa l’ha fatta propria, dandovi un contenuto assolutamente nuovo.

All’interno di questa concezione si comprende quanto ho detto poc’anzi, che cioè la missione della Chiesa può essere pensata in categorie pedagogiche. È una missione educativa: "figliolini miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi" [Gal 4,19], dice la Chiesa per bocca di Paolo. Abbiamo anche una conferma storica.

"Il cristianesimo si pose il problema educativo dalla prima propaganda evangelica. Non per una tesi preconcetta a voler ridurre le cose al proprio angolo visuale, ma per una necessità insita nella stessa terminologia della sua dottrina, la posizione educativa resta preminente … Il metodo educativo cristiano è presente ed operante nel catecumenato, nella comunità e nella vita di ogni giorno" [Le fonti della paideia antenicena, (a cura di A. Quacquarelli), La Scuola ed., Brescia 1967, pag. XC].

Questa connessione fra la proposta cristiana e l’esperienza educativa ha avuto come prima e necessaria conseguenza la costituzione di una dottrina pedagogica. Detto in altri termini. Alla luce della definizione della missione educativa della Chiesa derivano alcuni principi fondamentali circa l’educazione della persona. Ne vorrei ora richiamare alcuni che mi sembrano i più importanti.

Il primo principio dell’educazione della persona è che l’uomo non è autodipendenza pura, non ha cioè il potere di determinare la verità di se stesso e dunque di definire la sua propria essenza, la sua natura, di disegnare la sua propria immagine. Esiste una misura della propria umanità, che la fede individua nella persona di Cristo: "apposita est nobis forma cui imprimimur", scrive S. Gregorio Magno. E Rosmini afferma: "il Cristianesimo adunque diede l’unità all’educazione primieramente perché pose in mano all’uomo il regolo onde misurare le cose tutte, o sia il fine ultimo a cui indirizzarle" [Dell’educazione cristiana, in Opere di A. Rosmini 31, CN ed., Roma 1994, pag. 226].

Il secondo principio dell’educazione della persona è la conseguenza immediata del principio precedente, e mi piace desumerne la formulazione ancora da A. Rosmini: "Si conduca l’uomo ad assimigliare il suo spirito all’ordine delle cose fuori di lui, e non si vogliano conformare le cose fuori di lui alle casuali affezioni dello spirito suo" [ibid. pag. 236]. Più semplicemente: educare significa introdurre l’uomo nella realtà. Ho già avuto modo di parlare lungamente di questo principio.

Il terzo principio dell’educazione della persona è la specificazione di quello precedente, e lo potremmo enunciare nel modo seguente: introdurre la persona nella realtà significa porla in Cristo, come unica posizione nella quale è possibile vedere ogni realtà nella sua intera verità ed amarla secondo il suo valore, e vedere l’insieme nella sua intima bellezza.

Ritengo di aver terminato il primo punto della mia riflessione: la missione educativa della Chiesa. È dentro a questa missione che si colloca la famiglia

La famiglia nella missione educativa della Chiesa.

Molti sono i luoghi in cui si esprime la missione educativa della Chiesa. La famiglia è sicuramente il luogo principale; il ministero coniugale ed il ministero pastorale sono le due espressioni più alte della missione educativa della Chiesa.

Ciò che allora mi propongo in questo secondo punto della mia riflessione è di mostrare quale è la modalità specifica in cui la missione della Chiesa si mostra nella famiglia. In che forma originale la famiglia partecipa alla missione educativa della Chiesa?

Penso sia utile partire della considerazione dell’apporto originale che la famiglia dà all’educazione della persona. Lo connoterei nel modo seguente: generare l’umano mediante l’umano. Mi spiego.

La funzione educativa della famiglia si pone all’origine della vita umana: al momento generativo. E dunque costitutivo. La persona è generata, non solo in senso biologico, mediante la sua introduzione nella realtà. E ciò avviene mediante la risposta alle due domande fondamentali che ogni uomo pone subito appena arrivato in questo mondo: che cosa è ciò che è? [domanda di verità e sulla verità];che valore ha ciò che è? [domanda di bene e sul bene]. L’uomo è generato nella sua umanità se e nella misura in cui "fa luce" in sé ed attorno a sé; se e nella misura in cui "ama la realtà" in misura adeguata al suo valore. Tommaso insegna che i bisogni propriamente umani sono due: veritatem de Deo cognoscere et in societate vivere [cfr. 1,2, q. 94,a.2]. Non abbiamo ora il tempo di approfondire ulteriormente.

Se noi paragoniamo l’introduzione nella realtà come un itinerario, se la pensiamo con la metafora del viaggio, e poi ci chiediamo: quale è il compito della famiglia nell’accompagnare l’itinerante, il viaggiatore? risponderei nel modo seguente. La famiglia dona alla persona neoarrivata la "carta topografica" secondo la quale muoversi; compie il gesto iniziale ed assolutamente necessario precisamente di introdurlo [=metterlo dentro] nella realtà.

Ma questa non è l’unica caratteristica della missione educativa della famiglia. Ne esiste una seconda che ne definisce il metodo. Essa genera l’umano mediante l’umano. Cioè: la famiglia educa convivendo, mediante cioè una situazione o condizione di vita di intensa relazionalità interpersonale. È una vera e propria trasmissione di umanità dentro al vissuto quotidiano; accade in piccolo l’avvenimento mirabile e misterioso che la Teologia chiama la "Tradizione" mediante la quale Dio rivela Se stesso.

Ora possiamo rispondere alla domanda da cui siamo partiti in questo secondo punto: in che forma originale la famiglia partecipa alla missione educativa della Chiesa? generando la persona umana in Cristo mediante il vissuto umano quotidiano. Che cosa significhi "generare la persona umana in Cristo" l’ho spiegato nel primo punto della mia relazione. Che cosa significhi "mediante il vissuto umano" l’ho appena spiegato parlando del metodo educativo proprio della famiglia.

In buona sostanza, questa partecipa alla missione educativa della Chiesa in quanto si pone all’origine, all’inizio della vita umana per configurarla a Cristo. Ancora Tommaso parla della famiglia cristiana come di un "uterus spiritualis" [cfr. 3, q.68, a.10]. È dentro all’utero fisico che la persona è concepita; è dentro alla famiglia che la persona è costituita nella sua umanità, radicandola in Cristo.

Posso pensare la vostra reazione a tutta questa riflessione. Una reazione di "malessere" perché confrontate ciò che sto dicendo colla situazione in cui vivete. Malessere che può essere cattivo consigliere, perché può farvi pensare o che le cose dette non sono vere oppure che non sono praticabili. In realtà sono semplicemente ardue, assai difficili. Esse infatti presuppongono molte cose. Non è possibile parlare ora di tutti questi presupposti. Mi soffermo su quello che ritengo essere il più importante. All’inizio l’ho chiamato il "patto educativo" fra Chiesa e famiglia. In che cosa consiste? Esiste oggi o è stato spezzato? A me sembra che esista ancora, ma sotto almeno due forme, che pongono problemi pastorali diversi. La prima è facile da spiegare; la seconda è difficile da spiegare.

La prima consiste nell’esplicito rapporto che i genitori istituiscono con la Chiesa per l’educazione dei loro figli. Questa forma può giungere fino al punto che chiedano alla Chiesa di allearsi con loro nell’opera intera dell’educazione, mandando i propri figli anche alle scuole gestite dalla Chiesa.

È questa la forma che la Chiesa desidera e pressantemente chiede che assuma il patto educativo che essa vuole siglare con la famiglia. Non mi fermo oltre perché è ben conosciuta.

La seconda forma è più difficile da spiegare. Devo fare due premesse. Voi sapete che noi viviamo dentro una cultura che nelle sue basi è stato generata dalla fede cristiana. Di essa oggi vive anche chi non si riconosce nella fede cristiana o è magari ateo. Vi faccio solo un esempio. Una delle colonne portanti della nostra cultura è l’affermazione della dignità della persona umana, di ogni persona umana.

Quando parlo di "cultura" non pensate a … libri o ad università. La cultura è il modo con cui un uomo, una donna, un popolo si pone dentro alla realtà, e quindi il modo mediante cui introduce nella realtà i nuovi arrivati. È innegabile che il nostro modo di porci dentro alla realtà, appunto la nostra cultura, è stato configurato dalla fede cristiana.

Seconda premessa. Educare una persona nel senso spiegato nella prima parte della mia riflessione, non è qualcosa che avviene fuori dal mondo in cui viviamo. Educare una persona significa, lo abbiamo già detto, farla essere nella sua pienezza. E ciò non può non accadere dentro ad una cultura, dal momento che pienezza di vita umana non esiste senza cultura.

Tenendo conto di queste due premesse, ora riprendo il discorso. La seconda forma che può assumere il patto educativo fra la famiglia e la Chiesa è proprio di chi, pur non riconoscendosi nella fede cristiana, ritiene che la cultura da essa generata sia il modo più adeguato per l’uomo di vivere dentro alla realtà. Pertanto, chi sigla il patto educativo in questa forma, da una parte non educa i propri figli secondo un astratto modello di umanità che concretamente non esiste da nessuna parte: secondo un progetto utopico. Dall’altra difende la possibilità pubblica della fede cristiana di educare e di generare cultura. Non posso fermarmi oltre su questo tema oggi di bruciante attualità: non ne abbiamo il tempo.

Chi sceglie per esempio per i propri figli l’insegnamento della Religione Cattolica si pone dentro questa prospettiva; è consapevole che la conoscenza ragionata delle fede cristiana sia indispensabile perché il proprio figlio cresca nella pienezza della sua umanità, che egli ha ricevuto in un preciso contesto culturale.

La scelta dell’insegnamento della Religione Cattolica è una delle forme che esplicita questo secondo modello di alleanza educativa genitori-Chiesa.

Si pone dentro a questo contesto il grande tema dell’educazione alla convivenza con gli altri dentro al processo in cui siamo ormai immersi, di incontro fra le culture, religioni, popoli diversi.

Conclusione

Mi piace concludere con un testo di T.S. Eliot, che mi sembra sintetizzi stupendamente quanto ho cercato di dirvi poveramente:

"Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amarne le leggi?

Essa parla loro della Vita e della Morte, e di tutto ciò che essi preferirebbero dimenticare.

Essa è tenera là dove essi si mostrerebbero duri e dura là dove a loro piacerebbe essere morbidi.

Essa parla loro del Male e del Peccato, e di altri fatti sgradevoli.

Essi cercarono costantemente di sfuggire alle tenebre esteriori ed interiori

sognando sistemi così perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono.

Ma l’uomo che è adombrerà l’uomo che finge di essere.

E il Figlio dell’uomo non fu crocifisso una volta per tutte".

[La Roccia. Un libro di parole, BvS ed., Milano 2005, pag. 103]

La missione educativa della Chiesa è qui stupendamente indicata: far sì che l’uomo vero metta in ombra l’uomo che finge di essere. Nell’unico modo possibile: non illudendo l’uomo inducendolo a pensare che può salvare il proprio io senza esserlo mai diventato, ma mediante una maternità che anche nel dolore genera l’uomo. Dove un "io" è generato, è in atto la redenzione.

Noi dimoriamo dentro questa straordinaria storia: non perdiamone mai la gioiosa e grata coscienza.

Carlo Caffarra

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