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Caro Severino, l'embrione è il dono di Dio all'uomo

 

di ELIO SGRECCIA



Monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, replica al filosofo Emanuele Severino, il quale, sul Corriere del 24 febbraio, aveva sostenuto che « la Chiesa sta affrontando i problemi della fecondazione assistita con concetti che si frantumano » Ho pensato a lungo prima di rispondere all'articolo del prof. Emanuele Severino pubblicato sul Corriere della Sera il 24 febbraio 2005, e centrato sui miei due interventi comparsi qualche giorno prima sullo stesso giornale ( 8 e 17 febbraio).

La difficoltà che ho avuto nel rispondere derivava, e in parte la sento ancora, dal fatto che si fa fatica a comprendere la tonalità e i passaggi « logici » del suo scritto, certamente, penso, per mio difetto; tuttavia ho creduto doveroso offrire qualche chiarificazione per esprimere l'importanza che attribuisco al dialogo anche quando i percorsi filosofici sono assai diversi. Se, poi, i miei argomenti appariranno « frantumati » più di quelli di Severino e più di quelli degli avversari, mi accontenterò di essere capito dalla gente comune, desiderosa forse di riflettere, leggendo il mio povero scritto di replica.


Non sono ateo grazie a Dio! Ironica mi sembra l'affermazione secondo la quale io non avrei mai nominato Dio nei miei due interventi.

In realtà, il rilievo ( rimprovero?) non è fondato. Non considero il fatto che il Corriere della Sera abbia omesso, per comprensibili ragioni di spazio, una mia premessa all'articolo pubblicato in data 8 febbraio, relativa al fatto che la Chiesa Cattolica attinge alla ragione e alla fede quando esamina queste realtà temporali, ove facevo esplicito riferimento a Dio e alla Rivelazione cristiana. Ma anche negli scritti pubblicati si parla esplicitamente del Creatore, parola che scritta con la maiuscola significa Dio. ( Vedi penultimo capoverso del mio intervento dell' 8 febbraio). Peraltro, quando per più volte cito il Magistero della Chiesa Cattolica e faccio riferimento alla morale cattolica o alla fede cattolica, tutti sanno che dentro quest'insegnamento vi è l'esplicito riferimento a Dio, a Gesù Cristo e alla Chiesa da Lui fondata; penso che lo sappiano anche quelli che si dichiarano non cattolici! Nell'articolo di risposta all'onorevole Amato ( uscito il 17 febbraio) ho nominato espressamente Cristo, la Chiesa e i suoi Sacramenti a proposito della dignità che viene riconosciuta al concepito. Come può essere che il filosofo Severino affermi: « Salvo errore, la parola " Dio" non compare mai negli articoli di Monsignor Elio Sgreccia di recente pubblicati dal " Corriere" » ? Io temevo di essere accusato esattamente del contrario, e cioè di fare troppi richiami alla fede.


Entriamo nel nocciolo del discorso: il nocciolo era, ed è, l'affermazione della dignità umana dell'embrione.

L'embrione che diventa uomo


Il professor Severino scrive che non si può dimostrare che l'unione dello spermatozoo con l'ovulo nel momento della fecondazione dia inizio a un essere umano che si sviluppa come individuo e che ha il valore di persona; secondo il prof. Severino, affermare questo ( cosa che io ho sostenuto in sintonia con tanti altri biologi, medici e filosofi, e in accordo con i documenti della Chiesa) è come affermare che l'uomo è « capace di entrare nel Regno dei Cieli » .


Severino se la prende con il concetto di « capacità » , perché, a suo parere, sarebbe un « non senso » : se i due gameti prima di unirsi non sono già uomini non saranno mai « capaci » di dare origine a un uomo neppure dopo l'unione, a meno che non si chiami in causa Dio ( cosa che io avrei omesso di ricordare).

Non oso dare lezione al prof. Severino né in tema di filosofia né in tema di biologia. Però ho imparato che il biologo quando unisce in laboratorio il gamete maschile con quello femminile di un ratto ottiene un embrione di ratto, perché i due gameti hanno la capacità di generare un individuo ratto allo stadio embrionale, che poi si sviluppa e diviene adulto proprio perché esiste una capacità, una potenzialità che si attua nel momento della unione. Il passaggio dalla potenza all'atto nel vivente, per richiamare Aristotele, avviene per una forza intima, un principio vitale, un'anima. Il vivente è causa e fine di tutta la sua attività e anche del suo sviluppo, e questo per quel principio vitale che unisce tutti gli elementi interni e li orienta verso lo sviluppo di un ben preciso programma che caratterizza ogni individuo secondo la specie e le sue proprie note individuali. Il fenomeno vita è descritto così dai biologi, se non vado errato. Certamente questo fatto esige una causa prima e distinta, il Dio Creatore, che ha creato l'universo e in esso la vita in tutte le sue forme, ma la causa prossima dello sviluppo del vivente è interna a esso e si attua quando esistono le condizioni necessarie. La fecondazione è la condizione necessaria perché la potenzialità presente nei gameti si attui nella vita dell'individuo.


Nell'uomo il principio vitale è diverso rispetto a quello delle piante e degli animali perché esso provoca non solo la crescita biologica dell'individuo ( come nella pianta) e gli conferisce la capacità sensitiva e di movimento ( co-me nell'animale), ma gli dona la capacità di svolgere attività immateriali e spirituali quali il pensiero, la volontà e la coscienza morale.


Per questo motivo di superiorità dello spirito umano rispetto ai fattori biologici della generazione è legittimo affermare che l'anima spirituale è creata direttamente da Dio, perché lo spirito non può derivare dalla materia biologica. Il Creatore interviene in ogni singolo uomo per costituirlo creatura umana dotata di dignità specifica e superiore agli altri esseri viventi e non viventi. Questa conclusione è frutto sia della ragione sia, per i credenti, della rivelazione biblica.


Che l'anima nell'embrione non si veda nell'immediatezza, come ricorda il Magistero, è un dato di fatto, ma ciò non vuol dire che non esista o non sia spirituale; la sua presenza, infatti, si deduce dagli effetti che quell'essere vivente produce man mano che si sviluppa. Neppure l'intelligenza del filosofo si vede esteriormente, ma la si constata per i suoi ragionamenti e quell'intelligenza risiede nel principio vitale e spirituale che guida e sostiene lo sviluppo dell'individuo.


Non sarà forse che al prof. Severino faccia difficoltà questa spiegazione della capacità come potenzialità, per cui egli non si spiega il passaggio dalla potenza all'atto, dalla potenzialità allo sviluppo? Una spiegazione c'è: questo fatto esige la Causa prima, il Creatore.

 

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