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PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE
"DOMINUS JESUS"
Intervento del Rev.do Don
Angelo Amato SDB
I CONTENUTI CRISTOLOGICI
Da un punto di vista cristologico, sono sostanzialmente tre i contenuti
dottrinali che la
Dichiarazione «Dominus Jesus» intende ribadire per
contrastare interpretazioni erronee o ambigue sull’evento centrale della
rivelazione cristiana, e cioè sul significato e sul valore universale del
mistero dell’incarnazione:
1. la pienezza e la definitività della rivelazione di Gesù
(n. 5-8);
2. l’unità dell’economia
salvifica del Verbo incarnato e dello Spirito Santo (n. 9-12);
3. l’unicità e l’universalità
del mistero salvifico di Gesù Cristo (n. 13-16).
1. La riaffermazione delle pienezza e della definitività
della rivelazione cristiana intende opporsi alla tesi circa il carattere
limitato, incompleto e imperfetto della rivelazione di Gesù
Cristo, considerata quindi complementare a quella presente nelle altre
religioni. Il fondamento di questa asserzione
erronea sarebbe il fatto che la piena e completa verità su Dio non potrebbe
essere monopolio di nessuna religione storica. Nessuna religione, e quindi
nemmeno il Cristianesimo, potrebbe adeguatamente esprimere tutto intero il
mistero di Dio.
Questa posizione viene respinta come contraria alla fede della Chiesa. Gesù, in quanto Verbo del Padre, è «la via, la verità e
la vita» (Gv 14,6). Ed è
lui a rivelare la pienezza del mistero di Dio: «Dio nessuno l’ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Giustamente la Dichiarazione
rileva che la fonte della pienezza, della completezza e della
universalità della rivelazione cristiana è la persona divina del Verbo
incarnato: «La verità su Dio non viene abolita o
ridotta perché è detta in linguaggio umano. Essa, invece, resta unica, piena
e completa perché chi parla e agisce è il Figlio di Dio incarnato» (n. 6). Di
conseguenza la rivelazione cristiana compie ogni altra rivelazione
salvifica di Dio all’umanità.
In questo contesto,
la Dichiarazione
propone due chiarimenti. Anzitutto la distinzione tra la fede teologale e la
credenza. Alla verità della rivelazione cristiana si risponde con
l’obbedienza della fede, virtù teologale che implica un assenso libero e
personale a tutta la verità che Dio ha rivelato. Se la fede è accoglienza della verità
rivelata da Dio Uno e Trino, la credenza è invece esperienza religiosa ancora
alla ricerca della verità assoluta e quindi priva
dell’assenso a Dio che si rivela (n. 7).
Un secondo chiarimento
riguarda l’ipotesi circa il valore ispirato dei testi sacri di altre religioni. A questo proposito si ribadisce che la tradizione della Chiesa riserva la
qualifica di testi ispirati solo ai libri canonici dell’Antico e del Nuovo
Testamento, in quanto ispirati dallo Spirito Santo (n. 8). Tuttavia, si
riconoscono le ricchezze spirituali dei popoli, pur con lacune, insufficienze
ed errori. Di conseguenza «i libri sacri di altre
religioni, che di fatto alimentano e guidano l’esistenza dei loro seguaci,
ricevono dal mistero di Cristo quegli elementi di bontà e di grazia in essi
presenti» (n. 8).
2. Per quanto riguarda
l’unità dell’economia salvifica del Verbo la Dichiarazione
intende contrastare tre tesi che, per fondare teologicamente il pluralismo
religioso, cercano di relativizzare e sminuire l’originalità del mistero di
Cristo.
Una prima tesi considera Gesù di Nazaret, come una delle
tante incarnazioni storico-salvifiche del Verbo eterno, rivelatrice del
divino in misura non esclusiva, ma complementare ad
altre figure storiche. Contro tale ipotesi, si ribadisce
l’unità tra il Verbo eterno e Gesù di Nazaret. Solo Gesù è il Figlio
e il Verbo del Padre. È quindi contrario alla fede cristiana introdurre una
qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo: Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile,
fattosi uomo per la salvezza di tutti (n. 10).
Una seconda tesi erronea,
derivata dalla prima, pone una distinzione all’interno dell’economia del
mistero del Verbo. Per cui si avrebbe una duplice
economia salvifica, quella del Verbo eterno distinta da quella del Verbo incarnato: «La prima avrebbe un plusvalore di universalità rispetto alla seconda, limitata ai soli
cristiani, anche se in essa la presenza di Dio sarebbe più piena» (n. 9). La Dichiarazione
rifiuta questa distinzione e riafferma la fede della Chiesa nell’unicità
dell’economia salvifica voluta da Dio Uno e Trino, «alla cui fonte e al cui
centro c’è il mistero dell’incarnazione del Verbo, mediatore della grazia
divina sul piano della creazione e della redenzione» (n. 11). Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, è l’unico
mediatore e redentore di tutta l’umanità: se ci sono elementi di salvezza e
di grazia fuori del cristianesimo, essi trovano la loro fonte e il loro centro nel mistero dell’incarnazione del Verbo.
Una terza
tesi erronea
separa invece l’economia dello Spirito Santo da quella del Verbo incarnato:
la prima avrebbe un carattere più universale della seconda. La Dichiarazione
rifiuta anche questa ipotesi come contraria alla
fede cattolica. L’incarnazione del Verbo è infatti
un evento salvifico trinitario: «il mistero di Gesù,
Verbo incarnato, costituisce il luogo della presenza dello Spirito Santo e il
principio della sua effusione all’umanità non solo nei tempi messianici, ma
anche in quelli antecedenti alla sua venuta nella storia» (n. 12). Il mistero
di Cristo è intimamente connesso con quello dello Spirito Santo, per cui l’azione salvifica di Gesù
Cristo, con e per il suo Spirito, si estende oltre i confini visibili della
Chiesa a tutta l’umanità. C’è un’unica economia divina trinitaria che si
estende all’umanità intera, per cui «gli uomini non
possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto
l’azione dello Spirito» (n. 12).
3. Infine, contro la tesi che
nega l’unicità e l’universalità salvifica del mistero di Cristo, la Dichiarazione ribadisce che «deve essere fermamente creduta, come dato
perenne della fede della Chiesa, la verità di Gesù
Cristo, Figlio di Dio, Signore e unico salvatore, che nel suo evento di
incarnazione morte e risurrezione ha portato a compimento la storia della
salvezza, che ha in lui la sua pienezza e il suo centro» (n. 13).
Raccogliendo i numerosi dati biblici e magisteriali,
si dichiara che «la volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è offerta
e compiuta una volta per sempre nel mistero dell’incarnazione, morte e
risurrezione del Figlio di Dio» (n. 14).
In questo contesto,
alle proposte di evitare in teologia termini come unicità, universalità e
assolutezza, che porrebbero un’enfasi eccessiva sul significato e sul valore
dell’evento salvifico di Gesù, la Dichiarazione
risponde precisando che tale linguaggio intende rimanere fedele al dato
rivelato. L’uso di questi termini è assertivo. La Chiesa, cioè, fin dall’inizio ha creduto in Gesù
Cristo, Figlio unigenito del Padre, che con la sua incarnazione ha donato
all’umanità la verità della rivelazione e la sua vita divina (n. 15).
Riproponendo queste dottrine cristologiche, la Dichiarazione ha
inteso ribadire anzitutto la ferma coscienza di fede della Chiesa contro
ipotesi ambigue ed erronee. In secondo luogo, ha inteso invitare a una ulteriore e più approfondita esplorazione del
significato delle figure e degli elementi positivi di altre religioni. Se
«l’unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle
creatura una varia cooperazione» (Lumen gentium
n. 62), resta ancora «da approfondire il contenuto di questa mediazione
partecipata, che deve restare pur sempre normata
dal principio dell’unica mediazione di Cristo» (n. 14).
Il dibattito teologico, cioè, resta aperto. Sono state chiuse solo quelle strade
che portavano a vicoli ciechi.
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