Perché
la Chiesa
1. Una domanda è sempre indice di un interesse;
quanto più l’interesse è profondo tanto più la domanda nasce dalla persona
che la pone.
Esistono almeno
due tipi di domande. Domande che chiedono di avere risposte che chiamerò
meramente formali, e domande che chiedono di avere risposte che
chiamerò esistenziali. Le prime sono risposte che non provocano in
alcun modo la nostra libertà: rispondere alla domanda quale sia il fiume
più lungo del mondo, non cambia per nulla le scelte della mia libertà, il
mio modo di essere libero. E se chi interroga è pur sempre interessato alla
risposta, altrimenti non farebbe la domanda, è in fondo indifferente al suo
contenuto, indifferente a che gli si risponda in un modo o nell’altro.
La
situazione è ben diversa quando si pongono domande per avere risposte che
costituiscono una vera provocazione rivolta alla propria libertà. Quando
Agostino scrive: "ero diventato a me stesso una grande domanda e una
terra di grande sudore", pone una questione che costituisce la suprema
provocazione della sua stessa libertà. Ed Agostino stesso nota che la
libertà è così poco indifferente alla risposta a quella domanda, che non
raramente impedisce alla verità di manifestarsi.
La
riflessione agostiniana è importante perché ci aiuta a capire, ci porta a
concludere che esiste una sola vera domanda che interessi ultimamente,
supremamente l’uomo: la domanda su se stesso; la domanda circa la verità ed
il senso del suo esserci. In una parola: circa la sua salvezza.
Anche noi
ci troviamo in questo luogo perché abbiamo interesse ad avere la risposta
ad una domanda: perché la
Chiesa?
Quale è l’intensità
di questo interesse? Fino a quale profondità la domanda si radica nella
nostra persona? È una dimensione della magna quaestio di cui parlava
Agostino o perfino uno dei modi con cui si pone la magna quaestio?
Che attinenza ha la domanda sulla Chiesa colla domanda circa la verità ed il
senso del proprio esserci?
Qualcuno
potrebbe meravigliarsi del fatto che non sia subito partito a costruire la
risposta alla domanda "perché la Chiesa", ma vi stia chiedendo di
verificare prima quale interesse vi spinge a porre la domanda; anzi,
di verificare prima se essa è o non è in stretta connessione colla domanda
di supremo interesse, la domanda sul senso della vita.
Perché
questa verifica preliminare? Perché è dall’esito di questa verifica che
dipende completamente il modo giusto di porci di fronte alla Chiesa, il
modo adeguato per conoscere la ragione del suo esserci.
Per capire
la Pietà di
Michelangelo una domanda sul suo peso non è adeguata: è inutile; ugualmente
la domanda sulla composizione chimica del marmo di cui fatta. Queste domande
non sono adeguate perché sono generiche: il peso e la composizione
chimica sono di tutti i pezzi di marmo. Ora di fronte ad una
scultura di Michelangelo ciò che stupisce non è ciò che essa ha in comune
con ogni pezzo di marmo [peso e composizione chimica], ma ciò che ha di
assolutamente unico: incorporare ed esprimere un evento spirituale,
l’ispirazione artistica.
Per avere
una risposta alla domanda – perché la Chiesa? – e quindi per conoscere l’intima
verità della medesima Chiesa, non si deve considerarne il
"generico": ciò che la accomuna, nel bene e nel male, con altre
comunità umane. La Chiesa
infatti si presenta esibendo all’uomo una singolarità unica, che
ovviamente l’uomo può accettare o rifiutare, ma che chiede di essere
riconosciuta per ciò che è.
È
precisamente questa singolarità unica che l’uomo può riconoscere o
non a seconda del rapporto che egli istituisce fra la domanda rivolta alla
Chiesa: "perché esisti?" e la domanda rivolta a se stesso:
"perché esisto?". Se nell’uomo che chiede "perché la Chiesa" questa
connessione esiste, la domanda è posta in modo adeguato; se non esiste, la
domanda è posta in modo inadeguato.
2. È essenziale mostrare se e come esiste una
connessione fra la domanda sul senso della Chiesa e la domanda sul senso
del proprio esserci.
La
connessione esiste ed è costituita dalla "pretesa cristiana". Più
precisamente: è costituita dalla persona di Cristo.
Nei suoi
termini essenziali la "pretesa cristiana" è la seguente: la tua
beatitudine o infelicità eterna è decisa da te nel tempo, dentro ad un
rapporto con un fatto storico. La pretesa si giustifica perché il fatto
storico in rapporto al quale tu decidi la tua beatitudine o infelicità
eterna, è Gesù Cristo, Dio fatto uomo. In altri termini, "secondo il
Cristianesimo… pur restando che il finito per se stesso non può venire a
contatto con l’infinito e il tempo con l’eternità, c’è tuttavia un fatto
storico del tutto singolare in cui finito e infinito, tempo ed eternità …
vengono a contatto nel senso più reale ed è l’incarnazione dell’Uomo-Dio,
Gesù Cristo. Ma unicamente con essa…" [C. Fabro, Dall’essere
all’esistente, Marietti 1820, Genova 2004, pag. 198].
La pretesa
cristiana quindi è di essere una novità assoluta per l’uomo di ogni
tempo e luogo "in quanto afferma: 1) che Dio è apparso nel
tempo nella Persona di Cristo – ecco l’infinito e l’eterno commensurati in
qualche modo al finito e al tempo, - e 2) che l’uomo si salva
nell’eternità mediante una decisione – con la scelta appunto dell’Assoluto
– ch’egli deve fare nel tempo, fin quando è in vita e per suo conto – ecco
il finito e il tempo ch’è divenuto in qualche modo commensurato
all’infinito e all’eternità" [ibid.]. Insomma, una beatitudine eterna
può essere decisa nel tempo, perché l’Eternità è nel tempo, e questa
presenza dell’Eternità nel tempo è Gesù Cristo. Mai e da nessuno la libertà
umana era stata provocata con una tale intensità, "perché una
decisione per l’eternità nel tempo è l’intensità più intensiva, il salto
più intensivo" [S. Kierkegaard, Diario ( a cura di C.
Fabbro) 11, Morcelliana ed., Brescia 1982, pag. 27].
In che
senso la "pretesa cristiana" connette nell’uomo la domanda sulla
Chiesa alla domanda sul senso della sua vita? Perché fondando la beatitudine
eterna dell’uomo sulla decisione, sul rapporto a qualcosa di storico;
perché essendo ogni avvenimento storico dentro a precise coordinate
spazio-temporali, è ragionevole chiedersi come possono uomini non contemporanei
e non testimoni di quell’avvenimento porsi in rapporto ad esso,
decidersi a riguardo ad esso. Tutto il cristianesimo, tutta la sorte del
cristianesimo dipende dalla risposta a questa domanda. E la risposta a
questa domanda è la
Chiesa. Quindi la "pretesa cristiana" prende
oggi la forma della "pretesa ecclesiale". Ma fermiamoci un
momento su questo punto.
La
"pretesa ecclesiale" è la coerente continuazione della
"pretesa cristiana". Alla domanda "perché la Chiesa", essa
risponde: "perché la beatitudine dell’uomo possa essere decisa nel
tempo nel rapporto con l’Eterno nel tempo, cioè con Cristo, di cui io -
Chiesa – sono la presenza". Il senso della Chiesa è di essere
la presenza di Cristo in ogni tempo e spazio.
Qualcuno
potrebbe chiedersi perché questa presenza, questa modalità di
presenza. Ancora una volta la domanda sulla Chiesa alla fine rimanda alla
domanda su Cristo: cur Deus homo? Perché Dio ha voluto mostrarsi e
farsi incontrare nella modalità dell’incarnazione? Esiste una unità nel
"metodo" di Dio, una coerenza: è la fedeltà di Dio. Egli
si mostra in carne ed ossa all’uomo perché l’uomo è carne ed ossa.
Questo metodo
divino è stato stupendamente descritto da V. Solov’ëv nel modo
seguente: "La Chiesa,
fondata da Cristo, Dio-uomo, ha anche una composizione divinoumana … La Chiesa è santa e divina
perché è santificata dal sangue di Gesù Cristo e dai doni dello Spirito
Santo; ciò che direttamente procede da questo principio che santifica la Chiesa è divino, puro
ed immutabile; invece le opere degli uomini di Chiesa, compiute secondo il
carattere umano, benché fatte per la Chiesa, hanno qualcosa di molto relativo e,
lungi dall’essere qualcosa di perfetto, solo sono in via di
perfezionamento. Questo il lato umano della Chiesa. Ma dietro il
torrente mutevole ed ondeggiante dell’umanità ecclesiale si trova e si
costituisce la Chiesa
stessa di Dio, la sorgente infinita della grazia divina, ininterrotta
azione dello Spirito Santo che dà all’umanità la vera vita in Cristo e in
Dio. Quest’azione di grazia divina è sempre esistita nel mondo; ma
dall’incarnazione di Cristo ha assunto una forma visibile e
tangibile … così che, nonostante non tutto nella Chiesa visibile sia
divino, tuttavia il divino in essa è già visibile" [I fondamenti
spirituali della vita, ed. LIPA, Roma 1998, pag. 106-107]. Perché la Chiesa? Perché il
Mistero sia visibile, tangibile, incontrabile.
Certamente
l’uomo può preferire altre vie per incontrare il Mistero, diverse dal
metodo divino. Questa preferenza può perfino giustificarsi con ragioni
religiose: quale Dio è quello dei cristiani che "si sporca" le
mani con la nostra povera umanità? E le "anime religiose" possono
essere le più impermeabili al messaggio cristiano, e scandalizzarsi più di
ogni altro del "peso" della dimensione umana della Chiesa.
È tuttavia
necessario chiedersi: a quale esito porta una ricerca del volto del Mistero
che voglia seguire un metodo diverso da quello indicato dal Mistero stesso?
Passando accanto alla Chiesa, non si arriva alla persona viva del
Dio fatto uomo, ma tutt’al più alla sua dottrina religiosa, al suo
insegnamento morale, cioè ad una idea. È questa la soluzione della
"magna quaestio" di cui ci parlava Agostino? L’uomo, l’uomo nella
sua concreta esperienza quotidiana, ha bisogno solo di una "sublime
dottrina religiosa"? ha bisogno solo di un "elevato insegnamento
morale?" o non piuttosto di un incontro con una persona, che
sia tale da fargli sentire che Essa, solo Essa è la risposta vera ed
adeguata al suo cuore? Come vedete, la domanda sulla Chiesa rimanda sempre
alla domanda su Cristo. E la domanda su Cristo reciprocamente coinvolge
sempre la Chiesa.
Cristo e la
Chiesa hanno una sorte comune nella coscienza religiosa
dell’uomo. È soprattutto il quarto evangelista che ci educa a vedere questa
condivisione dello stesso destino da parte di Cristo e della Chiesa,
vedendo nel rifiuto incontrato da Gesù il "tipo" del rifiuto che la Chiesa va incontrando.
Credere
infatti in Cristo significa accettare per sempre l’evento dell’incarnazione
di Dio: questo evento, accaduto duemila anni orsono, è reso permanente
perché riguarda ogni uomo. Esso non può mai essere staccato dalla
concretezza visibile della Chiesa in tutta la sua completa organicità.
Ora penso
vi rendiate conto che la domanda sulla Chiesa è radicata nella "magna
quaestio" che è ogni uomo a se stesso e per se stesso.
"Purtroppo molti che discutono di teologia e di catechesi,
hanno oggi una tale sottigliezza e scaltrezza di linguaggio da poter
coniare innumerevoli espressioni e giri di frase che lasciano costantemente
incerti il lettore e il fedele proprio sulla questione essenziale: se Gesù
Cristo sia vivo oggi tra noi, come persona, unica irripetibile,
singolare, così come lo era prima della sua morte, e con tutta la pienezza
di vita … dovuta alla risuscitante azione divina del Padre" [A.
Sicari, Viaggio nel Vangelo, Jaca Book ed., Milano 1995, pag.
142]. E la risposta a questa essenziale questione è l’esistenza, la realtà
della Chiesa.
3. La provvidenza divina ha voluto che fosse presente
in mezzo a noi un figlio di Israele: un grande dono questa presenza.
Non è certo il luogo e il tempo ora per meditare, sia pure brevemente, fra
l’Israele di Dio e noi l’Israele delle genti, fra il popolo di Dio che
possiede "l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione,
il culto, le promesse, i patriarchi" [Rom 9,5] e noi popolo di Dio
chiamato per totalmente immeritata misericordia fra i pagani. Mi limiterò
ad alcune riflessioni, in continuità penso con ciò che ho detto finora. Sono
riflessioni che spero ci aiuteranno a cogliere più profondamente quanto
detto finora.
Il popolo
di Israele è il segno visibile della presenza nella storia dell’Eterno: la
visibilità del Mistero comincia nella vicenda storica di Israele. Il metodo
con cui l’Eterno intende incontrarsi con l’uomo inizia a documentarsi e ad
esibirsi quando inizia Israele. Esso nasce da un intervento di Dio nella
storia umana. "Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te:
dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità dei cieli
all’altra, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a
questa?… ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo
a un’altra con prove, segni … come fece per voi il Signore vostro Dio in
Egitto, sotto i vostri occhi?" [Deut 4,32.34]. Israele nasce da questo
incontro e vive di questo incontro. E questa è la sua grandezza unica; è la
sua profonda ragione d’essere. Per questo motivo teologico il tentativo di
sterminarlo è stato un atto sacrilego che non può essere comparato a
nessuna tragedia storica.
La
celebrazione della Pasqua è centrale nella vita di Israele perché è in essa
che Israele custodisce la sua identità: popolo che incontra il Mistero
dentro alla sua storia. Infatti, "l’agnello-pasquale, l’azzima e
l’erba amara, che l’Israele delle generazioni nelle sue presenti coordinate
spazio-temporali è chiamato a mangiare, non sono qualcosa che si situi a un
livello di ordine convenzionale, o tutt’al più psicologico, per richiamare
l’uscita dall’Egitto, ma sono proprio essi a far sì che l’Israele delle
generazioni sia ora intento a uscire dall’Egitto per mano del Signore"
[C. Girando, Eucarestia per la Chiesa, Gregorian University
Press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989, pag. 142]. È nella concreta
visibilità di un rapporto istituito dalla celebrazione, che ogni israelita
incontra il Mistero che lo libera: "in ogni generazione e generazione,
ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo proprio lui uscito
dall’Egitto, siccome è detto: e annuncerai a tuo figlio in quel giorno
…". Dice la Mišná
[cit. ibid. pag. 135].
Il
"metodo" di Dio si continua e raggiunge il suo compimento
insuperabile ed insperato nel fatto che Dio stesso si rende visibile
perché si fa uomo: "e il Verbo si fece carne e venne ad abitare
in mezzo a noi".
Dio
stesso, in persona, ha piegato i cieli ed è disceso; personalmente – non
più attraverso i profeti – si è fatto pastore del suo popolo per donargli
la vita vera, la vita eterna.
C’è un
testo della Pesiqta Rabbati che sembra esprimere l’istante
unico, ancora sospeso [fino a quando?], dell’attesa da parte di Israele di
uno che sia più che profeta.
Israele
rifiuta le parole dei profeti, dicendo a ciascuno di loro: "queste
sono consolazioni vane. Come mi consolate invano! Delle vostre risposte non
resta che perfidia. Tutti i profeti vanno dal Santo – benedetto Egli sia –
e gli dicono: sovrano del mondo abbiamo cercato di consolare Sion, e non ha
accettato. Dice il Santo – benedetto Egli sia – venite con me. Io e voi
andremo da lei e la consoleremo" [cit. da U. Neri, Ho
creduto perciò ho parlato, EDB, Bologna 1998, pag. 138].
Io e voi: questo è accaduto e continua ad accadere oggi
perché esiste la Chiesa.
E da Israele e in Israele nasce la Chiesa: gli apostoli –
le sue colonne – e i primi discepoli, Maria – il cuore della Chiesa – e le
prime donne di cui anche conosciamo i nomi, sono figli e figlie di Israele.
E con questa primizia di Israele sono chiamati i pagani.
Mi piace
allora concludere accostando due testi biblici. Nell’Apocalisse viene
descritta la Chiesa
nella quale la grazia e la santità abita in pienezza: è la "nuova
Gerusalemme … pronta come una sposa adorna per il suo sposo" [Ap
21,1], vera dimora di Dio fra gli uomini. In essa si compie quanto Tobia
aveva profetizzato su Gerusalemme: "Generazioni e generazioni
esprimeranno in te l’esultanza, e il nome della città eletta durerà nelle
generazioni dei secoli … beati coloro che ti amano" [Tb 13,13b.14b].
Ma già ora
la nuova Gerusalemme non esiste solo nei desideri, nelle aspirazioni dei
cristiani e di ogni vero israelita: la sua intima bellezza e splendore è
già ora presente, "così che, nonostante non tutto nella Chiesa
visibile sia divino, tuttavia il divino in essa è già qualcosa di visibile".
E la sua edificazione è affidata a ciascuno di noi.
AAula Magna S. Lucia
19 febbraio 2005
Presentazione del libro "Perché la Chiesa" di Luigi Giussani
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