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SANTA MESSA DI MEZZANOTTE SOLENNITÀ
DEL NATALE DEL SIGNORE OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI Basilica
Vaticana “Il Signore mi ha detto:
«Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato»”. Con queste parole del Salmo secondo, Ancora di più: in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio
stesso si è fatto uomo. A Lui il Padre dice: “Tu sei mio figlio”. L'eterno
oggi di Dio è disceso nell'oggi effimero del mondo e
trascina il nostro oggi passeggero nell'oggi perenne di Dio. Dio è così
grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e
venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è
così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla,
affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi,
si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite. Questo è Natale:
“Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”. Dio è diventato uno di noi,
affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come
suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a
conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del
raggio di quell'oggi, della vicinanza di Dio che
dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci – su ogni bambino, anche
su quello non ancora nato. Ascoltiamo una seconda parola
della liturgia di questa Notte santa, questa volta presa dal Libro del
profeta Isaia: “Su coloro che abitavano in terra
tenebrosa una luce rifulse” (9,1). La parola “luce” pervade tutta la liturgia
di questa Santa Messa. È accennata nuovamente nel brano tratto dalla lettera
di san Paolo a Tito: “È apparsa la grazia” (2,11). L'espressione “è apparsa”
appartiene al linguaggio greco e, in questo contesto,
dice la stessa cosa che l’ebraico esprime con le parole “una luce rifulse”:
l’“apparizione” – l’“epifania” – è l'irruzione della luce divina nel mondo
pieno di buio e pieno di problemi irrisolti. Infine, il Vangelo ci racconta
che ai pastori apparve la gloria di Dio e “li avvolse di luce” (Lc 2,9). Dove compare la gloria di Dio, là si
diffonde nel mondo la luce. “Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre”, ci
dice san Giovanni (1 Gv
1,5). La luce è fonte di vita. Ma luce significa soprattutto conoscenza, significa verità
in contrasto col buio della menzogna e dell'ignoranza. Così la luce ci fa
vivere, ci indica la strada. Ma
poi, la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c'è amore,
emerge una luce nel mondo; dove c'è odio, il mondo è
nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme è apparsa la grande
luce che il mondo attende. In quel Bimbo giacente nella stalla, Dio mostra la
sua gloria – la gloria dell'amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell'amore. La
luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, “li ha avvolti di luce”. Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata
anche la carità – la bontà verso gli altri, l’attenzione premurosa per i
deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A partire da
Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo
ai santi – da Paolo ed Agostino fino a san Francesco e san Domenico, da
Francesco Saverio e Teresa d'Avila a Madre Teresa
di Calcutta – vediamo questa corrente di bontà,
questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero di Betlemme,
a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo Dio
oppone, in quel Bambino, la sua bontà e ci chiama a seguire il
Bambino. Insieme con l'albero di Natale,
i nostri amici austriaci ci hanno portato anche una piccola fiamma che avevano acceso a Betlemme, per dirci: il vero mistero del
Natale è lo splendore interiore che viene da questo Bambino. Lasciamo che
tale splendore interiore si comunichi a noi, che accenda
nel nostro cuore la fiammella della bontà di Dio; portiamo tutti, col nostro
amore, la luce nel mondo! Non permettiamo che questa fiamma luminosa si
spenga per le correnti fredde del nostro tempo! Custodiamola fedelmente e
facciamone dono agli altri! In questa notte, nella quale guardiamo verso
Betlemme, vogliamo anche pregare in modo speciale per il luogo della nascita
del nostro Redentore e per gli uomini che là vivono e soffrono. Vogliamo
pregare per la pace in Terra Santa: Guarda, Signore, quest'angolo
della terra che, come tua patria, ti è tanto caro! Fa’ che lì rifulga la tua luce! Fa’ che lì arrivi la pace! Con il termine “pace” siamo
giunti alla terza parola-guida della liturgia di questa Notte santa. Il
Bambino che Isaia annuncia è da lui chiamato “Principe della pace”. Del suo
regno si dice: “La pace non avrà fine”. Ai pastori si annuncia nel Vangelo la
“gloria di Dio nel più alto dei cieli” e la “pace in terra…”. Una volta si leggeva: “… agli uomini di buona volontà”; nella
nuova traduzione si dice: “… agli uomini che egli ama”. Che significa questo cambiamento? Non conta più la buona
volontà? Poniamo meglio la domanda: Quali sono gli uomini che Dio ama, e
perché li ama? Dio è forse parziale? Ama forse
soltanto alcuni e abbandona gli altri a se stessi? Il Vangelo risponde a
queste domande mostrandoci alcune precise persone amate da Dio. Ci sono
persone singole – Maria, Giuseppe, Elisabetta,
Zaccaria, Simeone, Anna ecc. Ma ci sono anche due
gruppi di persone: i pastori e i sapienti dell'Oriente, i cosiddetti re magi.
Soffermiamoci in questa notte sui pastori. Che specie di uomini
sono? Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco
affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi
come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente
non erano grandi santi, se con questo termine si intendono
persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una
caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà
un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso
esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma
vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio.
La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In
qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di
Lui. La loro vigilanza era disponibilità – disponibilità
ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che
indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché
tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun
accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori,
almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno
della sua bontà, anche se non ne hanno un’idea precisa. Nel loro animo aperto
all’attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la
sua pace. Dio cerca persone che portino e
comunichino la sua pace. Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il
nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori
attivi della sua pace – proprio nel nostro tempo. Tra i
cristiani la parola pace ha poi assunto un
significato tutto speciale: è diventata un nome per designare l'Eucaristia.
In essa è presente la pace di Cristo. Attraverso
tutti i luoghi dove si celebra l'Eucaristia una rete di pace
si espande sul mondo intero. Le comunità raccolte intorno all’Eucaristia
costituiscono un regno della pace vasto come il mondo. Quando
celebriamo l'Eucaristia ci troviamo a Betlemme, nella “casa del pane”. Cristo
si dona a noi e ci dona con ciò la sua pace. Ce la
dona perché noi portiamo la luce della pace nel nostro intimo e la
comunichiamo agli altri; perché diventiamo operatori di pace e contribuiamo
così alla pace nel mondo. Perciò
preghiamo: Signore, compi la tua promessa! Fa’ che là dove c'è discordia nasca la pace! Fa’ che emerga
l'amore là dove regna l'odio! Fa’ che sorga la luce
là dove dominano le tenebre! Facci diventare portatori della tua pace! Amen. |
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