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Corriere della Sera - NAZIONALE -

IL PAPA RACCONTA


E WOJTYLA SFIDÒ Il MALE

 

Introduzione alla nuova edizione di Memoria e identità.

 

 

La parola Redenzione è la parola chiave di tutto il pensiero di Giovanni Paolo II... Giovanni Paolo II sottolinea decisamente questa verità. Il limite temporale delle due dittature del secolo scorso appartiene alla nostra storia, ma è solo la conseguenza di un limite più profondo del potere del male. Il limite del male è, in ultima istanza, il potere stesso di Dio e di conseguenza viene ribadita la bontà originaria dell'essere... La memoria della Chiesa è il punto dove la coscienza dell'umanità si allarga e tocca le nostre origini, le fondamenta del nostro essere.

 

Le esperienze fondamentali della sua vita in Polonia: l'occupazione nazista e la dittatura comunista

 

 


Questo libro offre le riflessioni di Giovanni Paolo II su alcune esperienze fondamentali della sua vita. È un'opera che ci permette uno sguardo alla sua biografia interiore. Il primo problema discusso è la grande questione del male. La Polonia ha fatto ampiamente esperienza del male negli anni della guerra, dell'occupazione nazista. L'oppressione della Patria schiavizzata e calpestata fu anche una esperienza personalissima del Santo Padre: la chiusura dell'Università, l'arresto dei professori, l'impossibilità dello studio, il duro lavoro in una fabbrica chimica, lo studio clandestino della filosofia e della teologia, l'essere sempre in pericolo di vita.

Poi venne la liberazione, ma questa liberazione si trasformò ben presto in una nuova oppressione. La dittatura comunista cerca di uniformare il pensiero e rende difficile la vita della Chiesa con ogni tipo di angherie.

 

 

• Nasce necessariamente la questione: perché questo potere del male? Da dove viene il male e cosa dobbiamo fare per vincerlo? Le prime risposte giungono, per Giovanni Paolo II, dalla fede e dalla tradizione filosofica cristiana che poi fa proprie e approfondisce con l'esperienza personale di questa fede. Le parole classiche della fede diventano così, da risposte oggettive, risposte esistenziali, verificate e vissute nella propria carne. Quindi, da dove il male? Una questione umanissima, una questione di noi tutti. La fede dice: dal peccato originale. È una risposta enigmatica, misteriosa, ma anche rafforzata da una evidenza empirica: un fattore negativo minaccia la costruzione della nostra esistenza, anzi, dell'universo. Sì, certo, la risposta rimane misteriosa. Ma offre tuttavia un elemento che ci aiuta nel confronto col male: il male non è connaturale all'uomo, non è parte della sua natura; viene, invece, da una sua libera scelta.

Da una volontà iniziale che ha macchiato e coinvolto tutta la storia, tutte le volontà. È necessario quindi illuminare la volontà, o meglio, illuminare la ragione perché illumini e guidi la volontà. È necessario, soprattutto, dar forza alla volontà perché scelga il bene e resista al male.

 

 

Appare, dunque, una prima conclusione fondamentale: il male ha una fonte determinata, e non è tutto. A questo punto occorre fare un'altra considerazione che è presa dalla dottrina della creazione ed elaborata dalla tradizione filosofica cristiana: la fede nel Dio Creatore di tutto implica che l'essere, come tale, è buono perché viene dal Creatore buono. La stoffa dell'essere, per così dire, è buona; il male quindi non appartiene all'essere, «non è» connaturale all'essere. Per la tradizione cristiana il male è solo negazione, è come un parassita che si nutre dell'essere e lo consuma, ma non può esistere ed operare senza il bene, esiste ed opera come forza della negazione. È una forza grande, lo vediamo, e tuttavia ha un limite. Il male non è infinito, il male ha un limite temporale ed ontologico.

Giovanni Paolo II sottolinea decisamente questa verità. Il limite temporale delle due dittature del secolo scorso appartiene alla nostra storia, ma è solo la conseguenza di un limite più profondo del potere del male. Il limite del male è, in ultima istanza, il potere stesso di Dio e di conseguenza viene ribadita la bontà originaria dell'essere. Chi crede nel Creatore non può avere l'ultima paura.

 

 

• La fede è fiducia e infonde coraggio all'uomo. Giovanni Paolo II sottolinea diverse volte nel suo libro un'altra conseguenza di questa visione: il male può anche trasformarsi in uno strumento del bene, le forze del bene possono crescere proprio nella lotta col male. Nell'epilogo, dove il Papa parla dell'attentato, troviamo forse l'espressione più forte di questa possibilità della trasformazione del male in bene. Qui vediamo come il Santo Padre ha assimilato il pensiero della fede così da farla divenire esperienza reale della sua stessa vita. Troviamo scritto: «La Redenzione continua. Dove cresce il male, lì cresce anche la speranza del bene. Nei nostri tempi il male si è sviluppato a dismisura, servendosi dell'opera di sistemi perversi che hanno praticato su vasta scala la violenza e la sopraffazione. (...) È stato un male di proporzioni gigantesche (...). Nello stesso tempo, però, la grazia divina si è manifestata con ricchezza sovrabbondante. Non vi è male da cui Dio non possa trarre un bene più grande. Non c'è sofferenza che Egli non sappia trasformare in strada che conduce a Lui». La fede nel Creatore, e la conseguente ontologia del pensiero illuminato dalla fede, diventa qui una filosofia esistenziale. Da ontologia diventa interpretazione della nostra vita. Tuttavia questa non è ancora la totalità del pensiero cristiano nella riflessione di Giovanni Paolo II.

 

Questa ontologia creazionale non rimane nell'area della speculazione filosofica, ma entra nella sfera del tempo e della vita vissuta. Tuttavia non riguarda ancora la sfera della storia. Il bene, così dice la fede nella creazione, è presente ed operante nell'essere. Ma come entra nella storia? Come entra in questa accumulazione delle volontà umane macchiate, che ha creato quasi una seconda dimensione dell'essere o, come dice Pascal, «une seconde nature»? Questa è la domanda. Come entra nella storia questo bene dell'essere con il suo proprio essere? Naturalmente anche su questa domanda la risposta fondamentale viene, per il Papa, dalla fede cristiana; ma anche qui vediamo come nel pensiero di Giovanni Paolo II la fede della Chiesa diventa risposta nella vita e della vita. La questione è, quindi, capire come la forza del Bene di Dio entra nella storia, si rende parte della storia, e diventa lievito invisibile che poi penetra il male dall'interno, trasformandolo.

 

 

• La prima parte della risposta è ovvia: il bene entra in modo definitivo nella storia nel momento della incarnazione del Figlio di Dio. Qui l'essere di Dio stesso, il Bene Assoluto, entra nella «stoffa» della storia. Il Creatore diventa creatura. Questo passo ontologico diventa necessariamente, nella vita di Gesù, azione storica. Nell'accumulazione delle volontà macchiate dalla superbia, dall'egoismo, entra, in tal modo, un'altra volontà non macchiata. L'umiltà dell'incarnazione è il vero contrasto radicale a questo orgoglio divenuto, per l'uomo, una seconda natura. Giovanni Paolo II contrappone questi due modi di volontà con le parole di sant'Agostino: «Amor sui usque ad contemptum Dei, amor Dei usque ad contemptum sui». Questa nuova volontà è amore fino alla fine: così dice il Signore stesso (cfr. Gv 13,1). Questo lievito di una volontà radicalmente conforme alla volontà di Dio, cioè conforme alla verità e all'amore, arriva al massimo della sua azione nel mistero pasquale: nella croce e risurrezione di Gesù.

 

Il Papa si riallaccia qui soprattutto alla Gaudium et spes del Vaticano II. Due brani possono illuminare il suo pensiero. Il primo brano: «Scorrendo le pagine della Gaudium et spes, si nota come sempre ritornino le “parole chiave”: croce, risurrezione, mistero pasquale. Tutte dicono insieme: Redenzione». Il secondo brano: «La risurrezione di Cristo mette in risalto il fatto che solo la misura del bene immesso da Dio nella storia mediante il mistero della Redenzione è di una grandezza tale da corrispondere pienamente alla verità dell'essere umano». A questo punto, mi sembra, si può capire perché e in quale senso la parola Redenzione è la parola chiave di tutto il pensiero di Giovanni Paolo II. La sua prima Enciclica programmatica inizia con le parole significative Redemptor hominis. Di questa sua prima Enciclica dice il Papa nel libro: «Tutto ciò che è contenuto (in essa) l'avevo portato con me dalla Polonia». È, si può dire, la «Somma» della sua visione teologica ed antropologica. Qui si vede come, nel pensiero del Santo Padre, Teologia — Dottrina su Dio —, Cristologia ed Antropologia coincidono. L'uomo è la via della Chiesa, dice nell'Enciclica. Il Papa accetta la svolta antropologica dell'epoca moderna, ma in chiave cristologica: l'uomo esemplare, il portatore della storia vittoriosa del bene, del progresso e del necessario cambiamento del mondo, è Cristo. In Cristo Dio ed uomo si uniscono e così nasce il vero umanesimo, la vera svolta antropologica.

 

 

• Tuttavia, per la completa appropriazione esistenziale della fede nella redenzione manca ancora un passo. Giovanni Paolo II lo ha trovato nell'incontro con la figura di suor Faustina Kowalska, la religiosa di Cracovia da lui canonizzata. Al centro della vita mistica di questa suora sta l'esperienza della misericordia divina. «Misericordia divina» è, per il Papa, la traduzione concreta della parola Redenzione. È una traduzione in termini esistenziali. Dice il Papa: «Fu come se Cristo avesse voluto rivelare che il limite imposto al male (...) è in definitiva la Divina Misericordia». In questo contesto, «Dio sa sempre trarre il bene dal male». Per Giovanni Paolo II i concetti di redenzione e di misericordia divina formano un'unica verità e perciò anche le sue Encicliche Redemptor hominis e Dives in misericordia vanno lette insieme. Dice il Pontefice su questo punto: «Anche le riflessioni racchiuse nella Dives in misericordia erano frutto della mia esperienza pastorale in Polonia e, in modo particolare, a Cracovia».

 L'interpretazione esistenziale del concetto di redenzione ha trovato un ultimo approfondimento nel modo in cui Giovanni Paolo II ha accettato, spiritualmente assimilato e trasformato l'episodio dell'attentato e le sue conseguenze fisiche e psichiche, così che il fatto — brutto e violento in sé — divenne interiormente un passo nuovo nella conformazione dell'anima con la volontà di Dio. L'odio va vinto dall'amore e crea una nuova dimensione dell'amore. (...)

 

• Un'ultima osservazione. In questo libro non poteva mancare una parola sulla Madonna, così centrale nella vita spirituale di Giovanni Paolo II. Maria appare in una prospettiva inaspettata, come portatrice della memoria. La madre del Signore è di conseguenza interpretata come garante dell'identità della Chiesa, perché ogni identità collettiva suppone una memoria comune. Questa memoria culturale, etico-religiosa e storica garantisce e conserva i valori che definiscono e costituiscono la comunità. Ma ritorniamo a Maria. In realtà il Vangelo di san Luca descrive Maria soprattutto come la persona che ha saputo conservare e, in un certo senso, «digerire» la memoria delle parole, dei fatti, degli inizi della vita di Gesù (cfr. Lc 2,19. 51). La memoria di Maria appare così nel Vangelo come fonte della memoria della Chiesa sugli inizi della nostra salvezza. Dai Padri Maria fu considerata come prefigurazione e rappresentazione della Madre Chiesa, che oltre le singole memorie delle singole persone conserva la memoria essenziale e fondamentale sulla quale si basa la fede comune. Giustamente il Papa collega questo concetto della memoria con quello della tradizione che, come memoria della Chiesa, è per così dire l'humus da cui è cresciuta la Scrittura ed è il contesto vivo nel quale essa viene compresa.

 

 

La memoria della Chiesa è il punto dove la coscienza dell'umanità si allarga e tocca le nostre origini, le fondamenta del nostro essere.(...) Mi sembra che in questo capitolo sulla memoria troviamo anche la chiave per la giusta interpretazione dei capitoli sulla Nazione e sul patriottismo. Il valore fondamentale della Patria e della Nazione consiste — secondo il Papa – proprio nel fatto che Patria e Nazione sono uno spazio di memoria. Le memorie delle generazioni passate, delle loro sofferenze e sconfitte, dei loro successi, delle esperienze sofferte nelle situazioni storiche, dei valori portanti per la vita — queste memorie creano comunità ed indicano ai singoli le strade della vita. Senza memoria, senza radici, non può vivere né la comunità né la singola persona. La memoria ci dona le radici dalle quali prendiamo il «senso» della vita. Una civiltà puramente astratta, basata solo sull'evidenza razionale e controllabile, non può sopravvivere, perché priva dei criteri fondamentali della vita. I valori che vanno oltre la razionalità immediata si perdono e così l'uomo stesso diventa manipolabile. Dove non si conosce più il passato si perde anche il futuro in favore di un presente vuoto. Perciò la Nazione come luogo di memoria è necessaria per l'uomo. Con riferimento alla Madonna Giovanni Paolo II sottolinea qui la missione delle madri di conservare la memoria di una comunità: «la memoria appartiene al mistero della donna più che a quello dell'uomo. Così è nella storia delle famiglie, nella storia delle stirpi e delle nazioni, e così è anche nella storia della Chiesa».

 

• Partendo dal concetto della memoria, il Santo Padre indica il luogo antropologico e filosofico della Patria e della Nazione. Lui lo sottolinea con l'espressione «madrepatria». Il Papa non dimentica che il concetto di Nazione non è univoco, ma può assumere configurazioni molto diverse. Rimane ugualmente evidente che le memorie delle singole nazioni devono aprirsi alle memorie delle altre e che il loro incontro deve favorire una permanente purificazione e maturazione delle memorie, il radicamento sempre più profondo di tutte le memorie particolari nella memoria comune dell'umanità, conservata in modo eccellente nella memoria della Chiesa. Questa reciproca purificazione e comunione delle memorie diventerà forza di pace e di riconciliazione dell'umanità. Così ritorniamo all'inizio di questa riflessione: la memoria fondamentale, conservata dalla Chiesa, implica la memoria del Creatore che ha fatto bene l'essere. A questa memoria si aggiunge poi l'altra, che ci dice: il male non viene dall'essere creato come tale, ma nasce dall'accumulazione di volontà macchiate dalla superbia e dall'egoismo. Finalmente la memoria della Chiesa ci dice che il Creatore stesso si è fatto creatura ed ha immesso così nella «stoffa» della storia una nuova forza del bene. Questa nuova presenza del bene divino nella «stoffa» della storia si concretizza nella misericordia divina, la quale trasforma la violenza in amore, mettendo così il limite definitivo al male e aprendo le porte alla speranza. Questa memoria deve penetrare ed unire tutte le memorie umane collettive e singole: così troviamo la pace; così arriva la vera redenzione.

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