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VIAGGIO
APOSTOLICO IN GERMANIA VISITA AL PARLAMENTO FEDERALE DISCORSO
DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Reichstag di Berlin
(Video) Illustre Signor Presidente
Federale Signor Presidente del Bundestag Signora Cancelliere Federale Signora Presidente del Bundesrat Signore e Signori Deputati È per me un onore e una gioia
parlare davanti a questa Camera alta – davanti al Parlamento della mia Patria
tedesca, che si riunisce qui come rappresentanza del popolo, eletta
democraticamente, per lavorare per il bene della Repubblica Federale della
Germania. Vorrei ringraziare il Signor Presidente del Bundestag
per il suo invito a tenere questo discorso, così come per le gentili
parole di benvenuto e di apprezzamento con cui mi ha accolto. In questa ora
mi rivolgo a Voi, stimati Signori e Signore – certamente anche come
connazionale che si sa legato per tutta la vita alle sue origini e segue con partecipazione
le vicende della Patria tedesca. Ma l’invito a tenere questo discorso è
rivolto a me in quanto Papa, in quanto Vescovo di Roma, che porta la suprema
responsabilità per la cristianità cattolica. Con ciò Voi riconoscete il ruolo
che spetta alla Santa Sede quale partner all’interno della Comunità
dei Popoli e degli Stati. In base a questa mia responsabilità internazionale
vorrei proporVi alcune considerazioni sui
fondamenti dello Stato liberale di diritto. Mi si consenta di cominciare
le mie riflessioni sui fondamenti del diritto con una piccola narrazione
tratta dalla Sacra Scrittura. Nel Primo Libro dei Re si racconta che
al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione,
Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano
in questo momento? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei
nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo
servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia
distinguere il bene dal male” (1Re 3,9). Con questo racconto In gran parte della materia da
regolare giuridicamente, quello della maggioranza
può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni
fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco
la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta:
nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità
deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento. Nel terzo secolo,
il grande teologo Origene ha giustificato così la
resistenza dei cristiani a certi ordinamenti giuridici in vigore: “Se
qualcuno si trovasse presso il popolo della Scizia
che ha leggi irreligiose e fosse costretto a vivere in mezzo a loro … questi
senz’altro agirebbe in modo molto ragionevole se, in nome della legge della
verità che presso il popolo della Scizia è appunto
illegalità, insieme con altri che hanno la stessa opinione, formasse
associazioni anche contro l’ordinamento in vigore…”[2] In base a questa convinzione, i
combattenti della resistenza hanno agito contro il regime nazista e contro
altri regimi totalitari, rendendo così un servizio al diritto e all’intera
umanità. Per queste persone era evidente in modo incontestabile che il
diritto vigente, in realtà, era ingiustizia. Ma nelle decisioni di un
politico democratico, la domanda su che cosa ora corrisponda alla legge della
verità, che cosa sia veramente giusto e possa diventare legge non è
altrettanto evidente. Ciò che in riferimento alle fondamentali questioni
antropologiche sia la cosa giusta e possa diventare diritto vigente, oggi non
è affatto evidente di per sé. Alla questione come si possa riconoscere ciò
che veramente è giusto e servire così la giustizia nella legislazione, non è
mai stato facile trovare la risposta e oggi, nell’abbondanza delle nostre
conoscenze e delle nostre capacità, tale questione è diventata ancora molto
più difficile. Come si riconosce ciò che è giusto?
Nella storia, gli ordinamenti giuridici sono stati quasi sempre motivati in
modo religioso: sulla base di un riferimento alla Divinità si decide ciò che
tra gli uomini è giusto. Contrariamente ad altre grandi religioni, il
cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto
rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione.
Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto –
ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che
però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di
Dio. Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento filosofico
e giuridico che si era formato sin dal secolo II a. Cr. Nella prima metà del
secondo secolo precristiano si ebbe un incontro tra il diritto naturale
sociale sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del diritto
romano.[3] In questo contatto è nata la
cultura giuridica occidentale, che è stata ed è tuttora di un’importanza
determinante per la cultura giuridica dell’umanità. Da questo legame
precristiano tra diritto e filosofia parte la via che porta, attraverso il
Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell’Illuminismo fino alla
Dichiarazione dei Diritti umani e fino alla nostra Legge Fondamentale
tedesca, con cui il nostro popolo, nel Per lo sviluppo del diritto e
per lo sviluppo dell’umanità è stato decisivo che i teologi cristiani abbiano
preso posizione contro il diritto religioso, richiesto dalla fede nelle
divinità, e si siano messi dalla parte della filosofia, riconoscendo come
fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella loro
correlazione. Questa scelta l’aveva già compiuta san Paolo,
quando, nella sua Lettera ai Romani, afferma: “Quando i pagani, che
non hanno Il concetto positivista di
natura e ragione, la visione positivista del mondo è nel suo insieme una
parte grandiosa della conoscenza umana e della capacità umana, alla quale non
dobbiamo assolutamente rinunciare. Ma essa stessa nel suo insieme non è una
cultura che corrisponda e sia sufficiente all’essere uomini in tutta la sua
ampiezza. Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura
sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di
sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità. Lo dico
proprio in vista dell’Europa, in cui vasti ambienti cercano di riconoscere
solo il positivismo come cultura comune e come fondamento comune per la
formazione del diritto, riducendo tutte le altre convinzioni e gli altri
valori della nostra cultura allo stato di una sottocultura. Con ciò si pone
l’Europa, di fronte alle altre culture del mondo, in una condizione di
mancanza di cultura e vengono suscitate, al contempo, correnti estremiste e
radicali. La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non
è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia
agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce
da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E
tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito
attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in
prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di
nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto
questo in modo giusto. Ma come lo si realizza? Come
troviamo l’ingresso nella vastità, nell’insieme? Come può la ragione
ritrovare la sua grandezza senza scivolare nell’irrazionale? Come può la
natura apparire nuovamente nella sua vera profondità, nelle sue esigenze e
con le sue indicazioni? Richiamo alla memoria un processo della recente
storia politica, nella speranza di non essere troppo frainteso né di
suscitare troppe polemiche unilaterali. Direi che la comparsa del movimento
ecologico nella politica tedesca a partire dagli anni Settanta, pur non
avendo forse spalancato finestre, tuttavia è stata e rimane un grido che
anela all’aria fresca, un grido che non si può ignorare né accantonare,
perché vi si intravede troppa irrazionalità. Persone giovani si erano rese
conto che nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va; che la
materia non è soltanto un materiale per il nostro fare, ma che la terra
stessa porta in sé la propria dignità e noi dobbiamo seguire le sue
indicazioni. È chiaro che qui non faccio propaganda per un determinato
partito politico – nulla mi è più estraneo di questo. Quando nel nostro
rapporto con la realtà c’è qualcosa che non va, allora dobbiamo tutti
riflettere seriamente sull’insieme e tutti siamo rinviati alla questione
circa i fondamenti della nostra stessa cultura. Mi sia concesso di
soffermarmi ancora un momento su questo punto. L’importanza dell’ecologia è
ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi
coerentemente. Vorrei però affrontare con forza un punto che – mi pare
– venga trascurato oggi come ieri:
esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve
rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una
libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e
volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la
natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si
è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà
umana. Torniamo ai concetti
fondamentali di natura e ragione da cui eravamo partiti. Il grande teorico
del positivismo giuridico, Kelsen, all’età di 84
anni – nel 1965 – abbandonò il dualismo di essere e dover essere. (Mi consola il fatto che, evidentemente, a 84 anni si sia
ancora in grado di pensare qualcosa di ragionevole.) Aveva detto prima che le
norme possono derivare solo dalla volontà. Di conseguenza – aggiunge – la
natura potrebbe racchiudere in sé delle norme solo se una volontà avesse
messo in essa queste norme. Ciò, d’altra parte – dice – presupporrebbe un Dio
creatore, la cui volontà si è inserita nella natura. “Discutere sulla verità
di questa fede è una cosa assolutamente vana”, egli nota a proposito.[5] Lo è veramente? – vorrei domandare.
È veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si
manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiritus? A questo punto dovrebbe venirci
in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla base della convinzione
circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti
umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la
conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e
la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste
conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla
o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura
nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è
nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede
in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di
Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella
consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel
riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo
incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro
compito in questo momento storico. Al giovane re Salomone,
nell’ora dell’assunzione del potere, è stata concessa una sua richiesta. Che
cosa sarebbe se a noi, legislatori di oggi, venisse concesso di avanzare una
richiesta? Che cosa chiederemmo? Penso che anche oggi, in ultima analisi, non
potremmo desiderare altro che un cuore docile – la capacità di distinguere il
bene dal male e di stabilire così un vero diritto, di servire la giustizia e
la pace. Vi ringrazio per la vostra attenzione.
[1] De civitate Dei IV, 4, 1. [2] Contra Celsum GCS Orig. 428 (Koetschau); cfr A. Fürst, Monotheismus
und Monarchie. Zum Zusammenhang von Heil und Herrschaft in der Antike. In: Theol.Phil. 81
(2006) 321 – 338; citazione p. 336; cfr anche J. Ratzinger, Die Einheit der Nationen. Eine Vision der Kirchenväter (Salzburg – München
1971) 60. [3] Cfr
W. Waldstein, Ins Herz
geschrieben. Das Naturrecht
als Fundament einer menschlichen Gesellschaft
(Augsburg 2010) 11ss; 31 – 61. [4] Waldstein,
op. cit. 15 – 21. [5] Citato
secondo Waldstein, op. cit. 19. |
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