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Dio, I’Essere supremo, infinito, spirituale, <che abita una luce inaccessibile>>

 

Il roveto ardente

 

Dio, l’Essere supremo, infinito, spirituale, "che abita una luce inaccessibile", come afferma san Paolo, e "che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere"(1a Lettera a Timoteo 6, 16), si è voluto manifestare a noi attraverso le realtà ma­teriali che possiamo vedere e toccare. Egli ci vie­ne incontro e ci parla mediante il linguaggio dei segni. che è molto vario e articolato.

 

            In una valle del deserto sinaitico Mosè, di età ormai matura, pascolava il gregge del suocero Ie­tro (Esodo 3) e nei lunghi tempi di riflessione i ricordi della sua giovinezza di privilegio cresciu­ta nella corte dovevano affollarsi nella sua men­te insieme con gli altri dell’epoca successiva. quan­do l’intento di salvare i suoi fratelli ebrei dall’op­pressione lo aveva spinto a iniziative tanto ineffi­caci quanto rischiose, che lo costrinsero a fuggi­re lontano (Esodo 2, 11-15).

 

            Doveva proprio arrendersi all’idea che questa salvezza fosse un miraggio irreale, poiché nessu­na forza era capace di opporsi alla potenza del regno egiziano?

 

            Forse Mosè in quell’ampia distesa di pietre si riconosceva povero e impotente come la magra vegetazione che lo attorniava, dove sui piccoli ciuf­fi erbosi non emergevano che alcuni alberelli di acacia piegati verso terra dai venti, radi tamari­schi e ceppi simili a ginestre.

 

            Forse le poche pecore in quell’arida solitudine gli ricordavano il popolo ebreo costretto a vivere quasi disperato. nonostante le promesse di feli­cità che credeva di avere sentito un giorno da un Dio troppo lontano.

 

            D’improvviso una di quelle piante, probabil­mente un’acacia, gli appare fiammeggiante. Un poco più tardi. quando già dovrebbe mostrarsi consumata, eccola sempre ardente ma intatta. Al­la curiosità di Mosè, che vuole indagare il fatto, risponde una voce misteriosa: "Questo fuoco che non consuma sono io che ti parlo: sono il Dio dei tuoi padri".


 

            Tra i popoli antichi la realtà fisica del fuoco, sorgente di luce e di calore, principio di vita e an­che di distruzione, oppure mezzo di purificazio­ne, è stata sempre vista come un segno della po­tenza trascendente e irresistibile di Dio, che scen­de per agire tra gli uomini.

 

            Ad Abramo il Signore si era mostrato nell’ap­parenza di una fiamma, quando strinse con il pa­triarca il suo patto fondamentale (Genesi 15, 17-18).

 

            Più tardi a tutto Israele si annunzierà dal monte Sinai con un succedersi di lampi accompagnati da tuoni, scosse di terremoto e vento fragoroso, quando scenderà per dettare at popolo la sua leg­ge; e questa comunicazione fatta di segni espres­sivi avrà bisogno di essere completata da una den­sa nuvola e da fumo (Esodo 19, 16-19: 20, 18-20) perché non limitiamo la nostra idea di Dio alle tracce che di lui vediamo nel creato, per quanto siano imponenti e grandiose, ma lo intendiamo soprattutto come mistero inaccessibile, che i no­stri sensi non possono raggiungere.

 

            In un caso diverso, ancora sul monte Sinai, il Signore non volle mostrarsi al profeta Elia nel fuo­co, ma in una brezza leggera. che simboleggia la comunicazione serena e interiore di Dio con i suoi amici (1° Libro dei Re 19, 9-16).

 

            Sui racconti di queste visioni, accadute nei mo­menti storici più significativi, si formerà poi nel­la Bibbia un linguaggio metaforico, fatto di sole immagini verbali, che annunzieranno Dio, per esempio. come "fuoco divoratore" (Deuterono­mio 4, 24) o descriveranno altri suoi interventi nella storia, oppure la sua venuta come giudice finale, con i lineamenti dei fatti svoltisi al Sinai (2° Libro di Samuele 22. 8-9; Salmo 50/49, 2-3: 97/96, 3-4; ecc.).

 

            Ma per tornare a Mosè dinanzi alla fiamma del roveto, il Signore con questo segno gli vuole ri­cordare che la sua presenza vicino agli Ebrei e sempre in atto: le promesse fatte ai loro padri non sono dimenticate; con il fuoco della sua potenza Dio si farà presto luce e forza viva del suo popolo, e la chiamata che adesso rivolge al deluso fug­gitivo sollecita proprio lui, Mosè, a farsi primo col­laboratore della grande opera divina.

 

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