BENE (ontologico)
E’ un aspetto
fondamentale dell’essere ed è l’oggetto proprio della volontà. S. Tommaso lo
definisce come “conformità dell’ente con la facoltà appetitivi” (convenientiam entis ad appetitum exprimit hoc nomen bonum), come si legge all’inizio dell’Etica: “Il bene
è ciò che tutti desiderano” (De Ver., q. I, a. 1). Però, precisa lo stesso S. Tommaso, la definizione
“il bene è ciò che tutti desiderano” non va presa nel senso che qualunque bene sia da tutti desiderato, ma nel senso che tutto ciò che è
desiderato ha ragione di bene” (I, q.
1.
PROPRIETA’ TRASCENDENTALE
Considerato come
aspetto fondamentale dell’essere il bene è un trascendentale. S. Tommaso non
manca mai di includerlo nella lista dei trascendentali, assieme all’unum, al verum, alla
res e all’aliquid. La dottrina tomistica della
bontà trascendentale ricalca da vicino quella della verità ontologica. In
entrambi i casi si tratta di una relazione logica,
fondata nella realtà delle cose. La verità è la conformità fra l’ente e
l’intelletto e dice quindi l’intelligibilità dell’ente, invece la bontà è la
conformità fra l’ente e la volontà e dice la desiderabilità o appetibilità
dell’ente. Come ogni trascendentale, anche la bontà è una caratteristica
dell’ente da cui differisce soltanto logicamente, non realmente: “bene e l’ente si identificano secondo la realtà, ma
differiscono secondo il concetto. Eccone la dimostrazione. La ragione di bene consiste in questo,
che una cosa sia desiderabile. Infatti Aristotele dice che “il bene è ciò
che tutti desiderano”. Ora è chiaro che una cosa è desiderabile nella misura in
cui è perfetta, infatti ogni cosa tende alla propria
perfezione. Ma una cosa è perfetta in quanto è in atto, e così è evidente che una cosa tanto è buona quanto è ente; l’essere infatti è l’attualità d’ogni cosa. E così si dimostra che
il bene e l’ente si identificano realmente; ma il bene
esprime il concetto di appetibilità, non espressa dalla nozione di ente” (I, q.
2.
BONTA’ ESSENZIALE E ACCIDENTALE
Nella bontà, come
pure nella verità, S. Tommaso distingue tra bontà ontologica essenziale e bontà ontologica accidentale. La prima riguarda
l’ente in quanto è oggetto della
volontà divina, ed è una relazione essenziale
perché senza di essa l’ente
sparisce. E’ Dio
infatti che, per amore, pone
in atto ogni ente. La seconda riguarda l’ente in quanto è oggetto della volontà
umana o di qualche altro essere intelligente creato; è accidentale perché l’essere e la bontà dell’ente non dipendono dalla nostra appetizione, ma ne sono anzi presupposti.
S. Tommaso dimostra che tutte le cose
sono dotate oltre che di
bontà ontologica accidentale anche di bontà ontologica
essenziale. Infatti, essendo tutte frutto
della volontà
divina, non possono non avere con essa un rapporto di convenienza,
di appetibilità e di amore. “Dio ama tutti gli
esseri esistenti, perché tutto ciò
che esiste in quanto esiste è buono; infatti l’essere di ciascuna
cosa è un bene, come è un bene
3.
EREDITA’ PLATONICA E ARISTOTELICA
Nell’analisi della
bontà ontologica S. Tommaso è maggiormente debitore a Platone che ad Aristotele. Quest’ultimo infatti ammette si
che Dio è il supremo bene attorno al quale gravita tutto l’universo, ma per Dio
stesso le cose non sono buone, in quanto egli né le conosce, né le vuole né le
crea. Invece secondo Platone le cose sono buone anche per il
Demiurgo perché questi è sommamente buono e l’effusione della propria bontà costituisce
l’unica ragione della realizzazione delle cose (cfr.
Timeo 28). Però S. Tommaso sottoscrive
l’insegnamento di Platone solo in parte, in quanto dice
che le cose sono buone perché partecipano alla bontà del Demiurgo, Dio. Per il
resto lo rinnova profondamente facendo fare alla bontà un
bagno salutare nelle acque del suo concetto intensivo di essere. Da
questo bagno la dottrina della bontà esce trasformata su due punti importanti:
1) la bontà a cui le cose partecipano non è l’Idea ma Dio stesso; 2) la bontà
non costituisce il fondamento ultimo della realtà né nelle cose né in Dio
stesso; essa rimanda a un principio superiore,
all’essere stesso, che è la perfezione suprema e primordiale, di cui la bontà
non dice che un aspetto: quello di esser appetibile dalla volontà e di appagarla.
(V.
TRASCENDENTALE, VOLONTÀ, DIO)